Il miglior commento a “Combattere la povertà, costruire la pace”, Messaggio per la pace 2009 di Papa Benedetto, credo sia di esplicitare quanto lo stesso Papa ha affermato nel Messaggio per la Quaresima 2006 nel quale si legge: “Il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell’uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell’annunzio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo”. Giusto, ma quando si scende all’esame delle situazioni concrete di sottosviluppo, la tendenza dominante è di attribuire le cause e i rimedi a fattori materiali, tecnici, politici, economici, ignorando le cause profonde che sono religiose, culturali, educative, di mentalità e strutture sociali favorevoli o di ostacolo allo sviluppo.
“Vangelo e sviluppo” è un tema trascurato dagli studi e dalla pubblicistica cristiana. Nella bibliografia internazionale missionaria (edita annualmente dalla Pontificia Università Urbaniana), ci sono decine di titoli sul debito estero dei paesi poveri, i rapporti commerciali fra paesi ricchi e poveri, i finanziamenti dei “piani di sviluppo”, ma non se ne trova uno solo che spieghi, illustri, documenti in modo concreto questa frase della “Redemptoris Missio” (n. 58): “Lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione”; e quest’altra di Benedetto XVI nel Messaggio quaresimale 2006: “Gli esempi dei santi e le molte esperienze missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo”. Ma chi nella Chiesa studia queste “esperienze missionarie”, in modo che risultino esemplari per favorire lo sviluppo? Lo stesso mondo degli studi e dell’animazione missionaria in Italia studia e pubblicizza i problemi che riguardano le cause e i rimedi materiali al sottosviluppo (debito estero, aiuti economici, regole del commercio internazionale, ecc.), ma trascura le esperienze dei missionari come modello dello spirito e delle tecniche per creare sviluppo.
Visitando da decenni le missioni in ogni parte del mondo, ho toccato con mano che i missionari sul campo, descrivendo le cause del sottosviluppo, si riferiscono alla mancanza di educazione, alla corruzione delle élites, alle lotte intestine fra le etnie, a mentalità e culture fondate su visioni inadeguate dell’uomo e della donna, alle stesse religioni che, pur avendo anche valori da salvare, ostacolano lo sviluppo dell’uomo e del popolo. In una parola, mettono in risalto non i valori materiali, tecnici, finanziari, ma quelli culturali, educativi, religiosi. E spesso concludono: “Qui solo il Vangelo può cambiare queste situazioni disumane di miseria e di ignoranza”. E’ quel che diceva la beata Madre Teresa: “La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo”. Parole assurde in un paese con immensi problemi di diritti umani, economici, sociali, tecnici da risolvere? No, è una visione di fede che tutti dobbiamo ricuperare.
Piero Gheddo