A proposito delle polemiche contro Papa Benedetto in Africa, sull’uso del “preservativo” per combattere l’Aids (vedi Blog del 25 marzo scorso, con il caso dell’Uganda), segnalo una dichiarazione alla Radio Vaticana del Cardinale senegalese Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar, il quale ha ricordato che dal 1995 in Senegal, su richiesta dell’allora Presidente Abdou Diouf, le comunità religiose cristiana e musulmana si sono impegnate nella lotta contro l’Aids: “Abbiamo detto che avremmo predicato, esortato in favore dell’astinenza e della fedeltà e l’abbiamo fatto, sia noi cristiani che i musulmani. E se oggi il tasso di contagio dell’Aids rimane basso in Senegal, penso che sia grazie alle comunità religiose che hanno insistito sulla morale e sui comportamenti morali”.
Anche se il cardinale ha riconosciuto che in alcuni paesi del continente africano potrebbero esserci delle difficoltà “perché ci sono usanze diverse”, però sostiene che “in ogni caso è necessario sapere che l’Africa è variegata e che ci sono delle società africane che conoscono e osservano molto bene il concetto dell’astinenza e della fedeltà” e che “è necessario aiutarle a continuare a coltivarlo”.
Quanto al Senegal, ha confessato di temere che “se si iniziasse a distribuire dosi massicce di profilattici ai nostri giovani, questo non li aiuterebbe e sarebbe più difficile controllarsi e rimanere fedeli fino al matrimonio, Penso che aiutare la gente attraverso l’educazione ad imparare lo sforzo di controllarsi, rimanga un contributo valido per la prevenzione dell’Aids”, ha commentato. Secondo il Cardinale Sarr è “un peccato che, invece di riflettere su come il Papa è stato accolto e su tutto quello che ha vissuto con le popolazioni del Camerun e dell’Angola, alcuni media abbiano messo l’accento quasi esclusivamente sulla questione del profilattico e dell’aborto. In questo viaggio ci sono state cose belle che è necessario trasmettere e invece alcuni non hanno trovato niente di meglio da fare che alimentare polemiche”, che peraltro “sono state gonfiate rispetto al resto del contenuto” della visita papale.
A questo proposito, il Cardinale ha dichiarato che “diventa sempre più necessario che l’Occidente e gli occidentali smettano di pensare che solo quello che loro concepiscono come modo di vedere e di fare, sia valido”. E ha aggiunto: “Ciò che rimarrà nella mia mente del viaggio papale è che, se il Papa ha sollevato questi due problemi dell’aborto e dei profilattici, forse è stato per ricordare sia a noi africani e in special modo a noi Vescovi d’Africa che pensare con la nostra testa e per noi stessi è meglio…. In ogni caso, io mi sono impegnato a lavorare perché noi possiamo esprimerci e dimostrare che abbiamo modi di vedere e di agire che sono validi, anche se sono diversi da quelli che alcuni propongono”.
Piero Gheddo
Come abbiamo bisogno noi in Italia di “imparare” dai popoli del cosidetto terzo mondo.!!!!!
E se qualcuno incominciasse a puntare su “carta scadente dei giornali” “foto sfuocate” oppure “titoli falsi” o meglio, “presentatori dei TG spettinati o bruttini” invece di ascoltare o leggere i contenuti?
buona settimana a tutti, riccarda
Carissimo P. Piero, ecco cosa mi hanno mandato amici di TOYAI – ASSOCIAZIONE MISSIONARIA presente in diocesi che opera molto bene, riguardo al pensiero degli Africani sul discorso del Papa.
è un po’ lunghino, ma vale la pena di leggerlo.
ciao riccrda
Enigma di prevenzione del HIV: Il papa ha un caso?
Consideriamo le affermazioni fatte da papa Benedetto XVI sul flagello dell’AIDS alla conferenza stampa durante il volo verso Yaoundé, in Camerun, realistico, ragionevole e scientificamente valido.
“Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi.
Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.”
Come affermato da Papa Benedetto XVI, è provato che in Uganda e nella maggioranza dei paesi africani “la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà.”. Appare superfluo documentare lo straordinario contributo offerto da Sr Miriam Duggan, dal Nsambya hospital, dal Kitovu hospital, da Youth Alive, dai gruppi Meeting Point, dal Lacor hospital, da Reach Out Mbuya, e dalle molte altre realtà della Chiesa Cattolica al successo della risposta dell’Uganda all’epidemia.
E’ parimenti vero come ha ripetuto il Papa che “non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari”. L’Uganda sotto la guida del presidente Museveni e la coraggiosa pertecipazione della gente a ogni livello, inclusi i capi religiosi e culturali non ha perso tempo in richieste di aiuto. Gli Ugandesi hanno agito con una strategia chiara e determinata basata sull’astinenza (ritardo della prima esperienza sessuale) e sulla fedeltà (“zero grazing”, letteralmente “zero pascolo”). Inoltre non si tratta neppure di una questione di fondi: negli anni cruciali in cui la prevalenza è scesa dal 15% nel 1992 al 6% nel 2004, il costo dell’AIDS Control Programme dell’Uganda era di 23 centesimi di dollaro a persona.
Veramente “non si può risolvere il flagello (dell’AIDS) con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”.
La nostra esperienza dimostra che la posizione della Chiesa sui preservativi e l’AIDS è la più ragionevole e scientificamente fondata per la prevenzione dell’epidemia dell’AIDS. L’Uganda ha una storia di successo nella lotta all’HIV/AIDS. Alcuni si sono spinti a definire l’esperienza Ugandese “un vaccino sociale”. L’approccio completo alla prevenzione che sarebbe stato successivamente definito “ABC”, sebbene all’inizio fosse veramente una risposta indigena concepita localmente alla pandemia, è diventato un approccio alla prevenzione della trasmissione dell’HIV basato sull’evidenza del coinvolgimento. Da molti anni siamo coinvolti nella lotta alla malattia e riconosciamo il forte impatto della Chiesa e della religione in generale al rallentamento della diffusione dell’epidemia, attraverso un lavoro di educazione della gioventù e della gente ad un uso responsabile della sessualità. Sappiamo quanto siano importanti i preservativi in focolai epidemici all’interno di gruppi ad alto rischio; tuttavia, ci sono poche o nessuna prova che le comuni e popolari misure di prevenzione (compresi la vendita dei preservativi a prezzi popolari, il test gratuito su richiesta e il trattamento a tappeto delle le malattie sessualmente trasmesse) abbiano contribuito alla riduzione o al rallentamento delle epidemie generalizzate di HIV.
Riviste scientifiche di punta hanno pubblicato studi che mostrano che il fattore principale per il declino della prevalenza dell’HIV in Uganda è stato la riduzione dei rapporti sessuali casuali con più partner (la B di ABC). Da allora, la prova di un ruolo chiave della riduzione dei partner, completato dalla diminuzione dei rapporti prematrimoniali è emersa in merito al più recente declino dell’HIV in Kenya, Zimbawe, Etipia e Malawi. In Uganda, Kenya e Zambia, l’aumento dei comportamenti di astinenza è stata associata alla riduzione della prevalenza dell’HIV. In Uganda la percentuale di giovani dai 15 ai 24 anni che hanno dichiarato raporti prematrimoniali nell’anno precedente il matrimonio sono diminuiti dal 53% al 16% per le donne e dal 60% al 23% per gli uomini tra il 1989 e il 1995. In Kenya, una diminuzione simile dei rapporti prematrimoniali è stata registrata tra il 1993 e il 1998: dal 56% al 41% per la popolazione maschile e dal 32% al 21% per quella femminile. Tutte le storie di successo in Africa sono state precedute da una diminuzione dei rapporti casuali e prematrimoniali, in generali nei 5-6 anni precedenti il palesarsi della riduzione dell’epidemia.
Ancora, in Uganda la prevalenza di HIV è stata inferiore (6.4%) tra le persone che non hanno mai usato il preservativo rispetto al 9.3% tra quelle che hanno sempre usato il condom. L’uso del preservativo è associato con maggiore prevalenza tra sia uomini che donne. Lo stesso sondaggio ha mostrato che il West Nile e il nord-est dell’Uganda che hanno la più bassa incidenza di HIV (2.3% e 3.5% rispettivamente) hanno alcuni dei più bassi livelli di conoscenza dei preservativi dello stato, alcuni dei più bassi livelli di rapporti sessuali al mese (41.5% e 50.4% rispettivamente), il minor numero di partner sessuali nel corso della vita (una media di 1.7 e 1.8 per le donne e 5.2 e 4 per gli uomini rispettivamente). La percentuale di persone tra i 15 e i 59 anni che intrattengono rapporti ad “alto rischio” è anche tra le più basse in queste due regioni. Per le donne è il 5.5% (il più basso) nel West Nile e dell’8.6% nel Nord-est, mentre per gli uomini è del 29.4% e del 18.5% rispettivamente. La percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che hanno avuto rapporti prima dei 15 anni è pure tra le più basse, 9.6% e 5.2% rispettivamente per le donne e 12% e 7,1% rispettivamente per gli uomini. Per di più, e curiosamente, la prevalenza dell’HIV è minore tra gli uomini non circoncisi (1.6%) rispetto ai circoncisi (2.4%), contrariamente al quadro generale del paese. La regione del West Nile non è isolata dal resto del paese, con un intenso movimento di persone in bus e aeroplani da e per Kampala ogni giorno. Molte persone viaggiano quotidianamente attraverso il West Nile verso Kampala dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Sud Sudan. In aggiunta, il West Nile è una delle regioni che più vissuto un periodo di dopoguerra, avendo vissuto il la fase dei conflitti successivi all’era di Amin. Tutto ciò indica che un elevato uso di preservativi non è stato l’autentico fattore che ha mantenuto bassa la prevalenza dell’HIV in queste due regioni. Piuttosto, la ragione è nei comportamenti.
Il motore dei cambiamenti che stanno avvenendo in molti stati Africani sono comportamenti chiaramente in linea con gli insegnamenti cattolici, comportamenti che gli scienziati, i sociologi e i leader culturali dovrebbero lavorare per identificare e conservare, al fine di aiutare ad evitare l’HIV.
Per di più, la recente decelerazione del tasso di decrescita della prevalenza di HIV in Uganda può essere attribuito all’allontanamento dalla strategia originaria e verificata in loco dell’Uganda. Indubbiamente c’è un’inaccettabile pressione da parte di esperti e organizzazioni occidentali a spostare l’enfasi dagli efficaci punti A e (specialmente) B verso il controverso punto C. Questo è principalmente dovuto al tabù occidentale sull’impossibilità di cambiare i comportamenti sessuali e ad intervenire sui comportamenti personali. Ciò è semplicemente ipocrita, visto che nel caso del fumo, dell’alcool e della droga si mettono a punto approcci differenti.
Il messaggio del Papa, invece di essere criticato, dovrebbe costituire una sveglia riguardo la realtà provata sulle dinamiche della trasmissione dell’HIV non solo in Uganda ma nell’Africa sub-sahariana. Dopo tutto, è universalmente riconosciuto che il principale motore dell’epidemia nelle regioni sub-sahariane è il fatto che le persone hanno molteplici relazioni di tipo sessuale. Ogni soluzione che non accolga questa realtà e le necessarie strategie per evitare il rischio è certamente destinata al fallimento. Noi mettiamo in guardia da un’interpretazione della religione cattolica e degli insegnamenti del Papa come pregiudizialmente contrari alla scienza, perché ciò è semplicemente negato dall’evidenza.
Sam Orach – Uganda Catholic Medical Bureau, Kampala – Uganda
George William Pariyo – Makerere University School of Public Health, Kampala – Uganda
Rose Busingye – Meeting Point International, Kampala – Uganda
Ronald Kamara – Uganda Catholic Secretariat, Kampala – Uganda
Filippo Ciantia – AVSI, Kampala – Uganda
Lawrence Ojom – St Joseph’s Hospital, Kitgum – Uganda
Thomas Odong – AVSI, Kitgum – Uganda
Joseph Lokong Adaktar – Uganda Martyrs University – Faculty of Health Sciences, Nkozi – Uganda
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