Anno paolino: forza e debolezza di San Paolo

Siamo ancora nell’Anno Paolino, proclamato da Benedetto XVI dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 per ricordare il bimillenario della nascita dell’Apostolo Paolo. Leggendo gli Atti degli Apostoli e le Lettere di san Paolo, si rimane colpiti da due fatti: la potenza di Dio e la fragilità del santo, la sua miseria umana.

Cari amici, noi abbiamo un modo sbagliato di guardare ai santi. Li pensiamo quasi dei budda impeccabili, imbalsamati nelle loro nicchie, uomini perfetti e senza tentazioni e senza colpe. No, erano e sono uomini deboli e peccatori come noi. La differenza è che loro coltivano il desiderio di santità, pregando Dio di convertirli. Noi invece ci adattiamo ad una vita cristiana mediocre. Una volta ho detto ad un signore che è venuto a confessarsi: “Guardi che anche lei è chiamato alla santità” e lui mi risponde: “Ma cosa dice? Io santo? Per carità, sono così debole, peccatore, incostante, pieno di difetti, che parlarmi di santità è un’utopia, un sogno che non mi permetto nemmeno di coltivare!”.

Santa Teresa di Gesù ha detto che “santità è il desiderio di santità”. Bello, sintetico e chiaro! S. Paolo è un innamorato di Gesù, vuol spendere tutta la vita per Lui sente l’ansia di annunziare il Salvatore, perché sperimenta nella sua vita la bellezza di questo amore profondo ed esclusivo. “Guai a me se non annunziassi il Vangelo!” (1 Cor. 9,16). “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal. 2,20). ” Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno”(Fil. 1,21). “Tutte queste cose che prima avevano per me un grande valore, ora che ho conosciuto Cristo le ritengo da buttare via. Tutto è una perdita di fronte al vantaggio di conoscere Gesù Cristo, il mio Signore” (Fil. 3, 7-8).

Ma Paolo rimane debole e peccatore, si confessa umilmente ai suoi cristiani e dice loro di pregare per lui. “Mi presentai a voi debole, pieno di timore e preoccupazione” scrive nella I lettera ai Cor. 2,3. “Di me stesso non mi vanterò – scrive nella stessa lettera – (12, 5) – fuorchè delle mie debolezze”. Dicendo di avere ricevuto da Dio “grandi rivelazioni” aggiunge: ” Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nelle carne, un inviato da satana incaricato di schiaffeggiarmi perché non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore perché lo allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta in tutta la sua forza proprio quando uno è debole. E’ per questo che mi vanto volentieri della mia debolezza, perché la potenza di Cristo agisca in me. Perciò mi rallegro della mia debolezza … perchè quando sono debole, allora sono veramente forte”. (2 Cor. 12, 7-10).

Che bello questo passo! S. Paolo non spiega che cos’è questa sua debolezza, ma riconosce di essere peccatore e dice addirittura che “Quando sono debole è allora che sono forte”. Ecco la differenza con il nostro atteggiamento: quando noi ci scopriamo peccatori, allora ci scoraggiamo e diciamo che pensare alla santità è un sogno assurdo. Cari amici, non è il nostro peccato che spiace al Signore, ma la mancanza di volontà e di decisione nel pentirsi e volerlo superare confidando nella Grazia di Dio e l’aspirazione profonda e costante all’unione con Dio, cioè alla santità. Chiediamo a San Paolo di coltivare anche in noi il desiderio della santità, cioè della piena intimità con Dio, perché questo è il senso profondo e supremo della vita cristiana.

Piero Gheddo

3 pensieri su “Anno paolino: forza e debolezza di San Paolo

  1. La santità: bè, ci è sempre stata presentata come perfezione di alcuni uomini o donne, che facevano penitenza, che erano sempre caritatevoli, che ……. erano fuori dalla nostra portata.
    Sembrava quasi che la santità fosse uno sforzo nostro, non un aprire le braccia a Dio e lasciarsi andare.
    era un po’ l’epoca delle penitenze, dove chi più soffriva più era santo.
    una cosa che mi fa riflettere e che rappresenta un po’ la santità come era vista, sono le facce dei Santi nelle nostre chiese. Ho cercato invano un santo sorridente, almeno con espressione serena: tutti sembra abbiano il mal di pancia. Dalle statue (madonna compresa) ci guardano con sguardi cupi, seri, tristi.
    Mi sono anche chiesta: ma è così triste diventare santi?
    ciao, meno male che tu sei allegro e sempre positivo.
    riccarda

  2. Per noi che viviamo in questa epoca santità è una parola grandissima…. irraggiungibile..
    Mi ha colpito molto e tengo a ricordarlo che Giovanni Paolo II è famoso per aver beatificato e canonizzato un grandissimo numero di santi, molti di essi laici, durante il suo pontificato.
    Laici ! Allora forse non si è santi dedicando la propria vita a professare il più possibile l’esperienza di vita, interiore, religiosa e morale, di Gesù Cristo, ma semplicemente vivendo con moralita , bontà , generosità e amore verso il prossimo ???

  3. “Di me stesso non mi vanterò – scrive nella stessa lettera – (12, 5) – fuorchè delle mie debolezze”. !!! Non ci posso credere!!!
    Ma se dice: «In realtà, anche se mi vantassi a causa della nostra autorità, che il Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò proprio che vergognarmene.» (2 Cor 10,8), poi dice pure: «Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione, ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno.» (2 Tm 4, 6-8). Altro che vanteria… Paolo ne combina di tutti i colori, e c’é da rupirsi di come venga venerato. Vedere http://www.brunocamaioni.com/books/Paralipomeni.htm. Stefano

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