Perché respingere gli africani a casa loro?

Il Blog del 25 maggio sul respingimento degli immigrati africani in Libia ha suscitato parecchi commenti di cui ringrazio gli amici interlocutori. Mi pare che, a parte i vari accenti sul problema (che è molto complesso), tutti concordano su due princìpi che esprimono il sentimento comune del popolo italiano:

– primo, di voler aiutare gli africani che a costo della vita fuggono in Italia per poter lavorare e vivere in pace;

– secondo, che però una immigrazione incontrollata di clandestini, aprendo le porte a tutti, finirebbe per dissestare il sistema di vita del popolo italiano, che non può sopportare da solo l’arrivo di migliaia e decine di migliaia di profughi clandestini, oltre a quelli regolari.

E’ la morsa di una tenaglia di cui non sappiamo come liberarci: da un lato la compassione per povera gente disperata, dall’altro la certezza che se non mettiamo un freno, un ostacolo all’arrivo di quanti vorrebbero venire in Italia e in Europa, ci troveremo assaltati da una marea di persone che fuggono la fame, le guerre, le dittature e le pandemie africane.

Nell’inverno 2006-2007 ho visto arrivare gli immigrati africani ai confini della Libia col Sahara (vedi sul mio sito internet www.gheddopiero.it le corrispondenze dalla Libia). Ricordando quelle scene provo ancora una pena enorme, ma sinceramente non so dare una risposta concreta ai molti interrogativi degli amici lettori. Avete tutti ragione. Non si possono respingere verso l’inferno, bisogna aiutarli. Ma come? Questo il vero problema e nessuno ha una risposta plausibile. Tutte le ipotesi sono teoricamente belle, concretamente irrealizzabili:

– deve interessarsene l’Europa perché è un problema continentale. D’accordo, l’Europa critica l’Italia, però quando la Spagna alcuni anni fa ha respinto in Africa i profughi, sparando e uccidendo alcuni clandestini africani, non ricordo il clamore di proteste dell’U.E. e della stampa internazionale; o c’è un forte pregiudizio contro l’Italia di cui già si lamentava Romano Prodi? Comunque, l’Europa non fa nulla: tutti chiudono le frontiere ai clandestini. Ed è facile capire perché. Se l’Europa dovesse aprire le porte a tutti, con i mille problemi che ciascun paese deve gestire al suo interno, non è pensabile né possibile che possa ospitarli tutti. Dobbiamo renderci conto che i potenziali immigrati in Europa da paesi africani, o comunque in guerra o sotto pesanti dittature, sono milioni e decine di milioni.

– Bisogna aiutare gli africani a casa loro, affinchè si sviluppino in modo autonomo. Anche questa è una soluzione più che giusta, ma già sperimentata da mezzo secolo e fallita. Nell’Europa dell’ultimo dopoguerra, in 10-12 anni il “Piano Marshall” ha riportato i paesi europei distrutti ad uno sviluppo maggiore di prima della guerra. In Africa, cinquant’anni dopo l’indipendenza (1960), i finanziamenti dei “piani di sviluppo” e l’invio di aiuti finanziari e di macchine non hanno prodotto un vero sviluppo dei singoli paesi. La vera soluzione per l’Africa sarebbe l’educazione del popolo: in media i paesi africani hanno ancora un 50% di analfabeti! Ma chi va ad educarli quando i governi locali si interessano poco o nulla delle campagne e delle scuole? Chi ha viaggiato nell’Africa rurale sa che le scuolette di villaggio, quando ci sono, hanno classi da 80 a 100 e più bambini, spesso senza libri e senza quaderni. Circa la metà dei supposti “alfabetizzati” sono analfabeti di ritorno. Nei villaggi tradizionali africani si ignora la ruota, il carro agricolo, i fertilizzanti, l’irrigazione artificiale, ecc. Dico sempre e lo ripeto che a Vercelli produciamo 80 quintali di riso all’ettaro, nell’Africa rurale (non nelle poche fattorie moderne) si producono in media cinque quintali di riso all’ettaro! Le vacche della pianura padana producono 30 litri di latte al giorno, in Africa le vacche (ripeto: escluse le poche fattorie moderne) non producono latte, eccetto un litro o due quando hanno il vitellino. Il continente africano nel 1960 esportava cibo, oggi importa circa il 30% del cibo di base che consuma (riso, mais, grano). Ma chi va ad educare e insegnare a produrre di più?

– Non vendiamo più armi e le guerre finiranno anche in Africa. Giusto, anch’io vorrei che non si producessero nè vendessero più armi. Ma non illudiamoci, le guerriglie tribali che sconvolgono i paesi africani avvengono anche senza le nostre armi. Vent’anni fa l’Italia era al 7° posto per la vendita di armi nel mondo, oggi è al 16°, ai primi posti sono salite Cina, India, Brasile, Sud Africa, oltre alle potenze tradizionali, USA, Russia, Francia, Inghilterra. Nel novembre 1994 ho visitato Ruanda e Burundi dov’era attivo un vero genocidio e mi dicevano che le eliminazioni di massa erano fatte con coltelli e coltellacci, bastoni e fuoco. Dove c’è odio e non amore, le guerre (o guerriglie) sono inevitabili. Nel 1982 ho visitato per “Avvenire” e la Caritas le regioni di frontiera del Pakistan con l’Afghanistan dov’erano i campi profughi afghani che fuggivano l’occupazione sovietica del loro paese; ebbene, mi dicevano che gli artigiani di villaggio riuscivano, con i loro poveri mezzi, a fabbricare il kalashnikov sovietico, arma semplicissima ed efficace.

–  Smettiamola di rapinare l’Africa delle sue ricchezze naturali e paghiamo con giustizia le sue materie prime. Giusto, però lo sviluppo di un popolo non è anzitutto un problema di soldi e di macchine, ma, specie nel mondo moderno, un problema culturale ed educativo, di stabilità dei governi e di pace. Qualche anno fa la Banca mondiale rivelava che la Nigeria (paese ricchissimo per il petrolio) aveva un debito estero di 90 miliardi di dollari, ma i capitali nigeriani nelle banche svizzere ed europee erano circa 130 miliardi di dollari. L’Onu ha tentato di intervenire in Somalia per riportare la pace tra le etnie e le fazioni in guerra, con l’operazione “Restore Hope” del 1993-1995. Poi si è ritirata e la Somalia non ha più uno stato e un governo nazionale da 18 anni, è un paese allo sbando, rifugio dei “pirati del mare” e degli estremisti e terroristi islamici. Lo sviluppo di un paese è essenzialmente un problema culturale-educativo e di pace, ma chi va ad educare? Ormai tutti lo ammettono e Giovanni Paolo II l’ha scritto nella “Redemptoris Missio” (n. 58) “Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi”. I missionari e i volontari cristiani creano sviluppo perché rimangono tutta la vita fra un popolo, ed educano. Ma diminuiscono di numero. Molti mandano aiuti e denaro, cdrtamente provvidenziale, ma quanti giovani italiani consacrano la vita a Cristo per la missione alle genti e per aiutare davvero i popoli poveri condividendone la vita?

Cosa dire d’altro? Non lo so e se qualche lettore ha una risposta, intervenga pure liberamente. Scusatemi la lunghezza di questo Blog, ma il problema degli immigrati clandestini è angoscioso per tutti e nessuno sa in concreto cosa fare!

Piero Gheddo

Sui profilattici il Papa ha ragione

Ancora sul tema del preservativo come mezzo per combattere l’Aids (vedi Blog del 18 aprile e del 25 marzo). In una recente intervista pubblicata da “il Sussidiario”, il dott. Edward Green, Direttore dell’AIDS Prevention Research Project della Harvard School of Public Health and Center for Population and Development Studies, ha sostenuto che in merito ai profilattici “il Papa ha ragione”.  “Sono un liberal sui temi sociali, per me è difficile ammetterlo, ma il Papa ha davvero ragione”, ha dichiarato il dott. Green. “Le prove che abbiamo dimostrano che, in Africa, i preservativi non funzionano come intervento per ridurre il tasso di infezione da HIV. […] Quello che si riscontra in realtà è una relazione tra un più largo uso di preservativi e un maggiore tasso di infezione”.

Il dott Green ha poi spiegato: “Non conosciamo tutte le cause di questo fenomeno, ma parte di esso è dovuto al fatto che chi usa i preservativi è convinto che siano più efficaci di quanto realmente sono, finendo così per assumere maggiori rischi sessuali… Un altro fatto ampiamente trascurato – ha aggiunto – è che i preservativi sono usati in caso di sesso occasionale o a pagamento, ma non sono usati tra persone sposate o con il partner abituale. Perciò, una conseguenza dell’incremento nell’uso dei preservativi può essere un aumento del sesso occasionale”.

Come i lettori ricordano, in occasione del primo viaggio di Benedetto XVI in Africa (Camerun e Angola, 17-23 marzo 2009), stampa e televisioni internazionali avevano montato una campagna di condanna del Papa, il quale aveva affermato che il preservativo non serve per la prevenzione dall’Aids e anzi può anche favorire la diffusione della malattia. Addirittura alcuni governi (Francia, Belgio, Germania) in vario modo avevano ufficialmente disapprovato le parole del Papa! Come già ho ricordato (Blog del 25 marzo e del 18 aprile), non pochi studiosi e soprattutto medici e missionari sul campo hanno dichiarato che quanto ha detto il Papa corrisponde alla realtà dei fatti osservata quotidianamente per anni. E due governi africani (dell’Uganda e del Senegal) da anni si sono impegnati, assieme ai musulmani e alle Chiese cristiane, in campagne per l’astinenza sessuale in età minorile e fuori del matrimonio e per la fedeltà coniugale, unici rimedi sicuri di prevenzione dell’Aids) in campo sessuale (oltre naturalmente all’igiene, ecc.). Con ottimi risultati: la diffusione del terribile male è diminuita in Uganda e in Senegal, mentre in altri paesi come il Sud Africa, che hanno fatto tambureggianti campagne per il preventivo, l’infezione continua ad aumentare. Ma quando questo lo dicono i governi africani e i medici sul campo (e addirittura alcuni governi africani), si fa finta di niente, se lo dice il Papa, subito scoppia la canea di accuse, menzogne, condanne!

Una buona notizia per finire. L’8 maggio scorso, il Parlamento europeo ha bocciato con 253 voti contrari, 199 favorevoli e 61 astenuti un emendamento presentato a nome del gruppo liberaldemocratico da Marco Cappato (i soliti radicali italiani!) e da Sophie in’t Veld e che intendeva “condannare fermamente” le affermazioni sull’uso del preservativo nella lotta all’Aids fatte da Benedetto XVI durante il suo recente viaggio in Africa. L’emendamento riguardava il rapporto annuale sui diritti dell’uomo nel mondo.

Piero Gheddo

Le «condizioni disumane» dei profughi in Libia

Nell’inverno 2007 sono stato in Libia e ho potuto visitare la città di Sebha (900 km. a sud di Tripoli, 80.000 abitanti), dove, ospite di don Vanni Bressan, medico e sacerdote cattolico fondatore dell’unica chiesa nel deserto del Sahara libico, ho potuto vedere gli africani che arrivano dopo due-tre mila chilometri di deserto (uno o due su dieci muoiono nel viaggio). La Libia li accoglie anche perché ha bisogno del loro lavoro. In città e nelle campagne fanno di tutto, contadini, baristi, spazzini, falegnami, cuochi. Rimangono nel deserto per alcuni anni, fin che hanno abbastanza denaro per pagarsi il viaggio verso il nord e la traversata del Mare Mediterraneo. Ho parlato (in inglese e francese) a questi neri, tutti molto giovani spesso con moglie e bambino (non pochi sono cristiani, cattolici e protestanti), che fuggono la fame, le dittature, le guerre e tutti le tragedie che tormentano i paesi dell’Africa nera. Ho anche scritto (su “Mondo e Missione”, “Avvenire” e “Il Timone”) di questi disperati che spesso, per fuggire dalle situazioni del loro paese “verrebbero anche a nuoto in Italia o in Europa”. In Libia, nella città del deserto, non sono trattati male, anzi sono anche contenti perché hanno un lavoro e possono guadagnare. Li assiste padre Bressan, che oltre ad essere l’unico sacerdote, è anche medico nel locale ospedale governativo dall’inizio anni novanta.

Conosco quindi la situazione da cui vengono questi poverissimi fratelli e sorelle africani. Per cui, il respingimento dei barconi di immigrati verso la Libia mi ha ferito. Non ne ho ancora scritto perchè capisco benissimo le ragioni del nostro governo, che non può portare da solo il peso di questa continua emergenza. Ma leggo che il vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli (che mi aveva invitato in Libia), ha inviato al sito missionline.org, attraverso un suo portavoce, questa sua riflessione:

Come è possibile rigettare sui libici un problema così vasto? Noi possiamo capire che l’Europa si difende da questa “invasione”, ma non si potrebbero trovare altri mezzi per farlo? Quanto a noi, è l’aspetto umanitario che conta per primo: povera gente che cerca di fuggire dalla povertà, dall’ingiustizia, da una condizione di miseria insopportabile… Come discernere tra questa gente allo sbando chi sarebbe da considerare “rifugiato politico”? E come si possono rifiutare gli altri? Sarebbe una buona cosa se l’Italia potesse impegnarsi e riflettere per giungere a trovare soluzioni giuste e rispettose delle situazioni concrete. Queste persone che sono ricacciate verso la Libia, come potranno vivere in un Paese come questo, che non ha i mezzi concreti per discernere, e che dovrà per forza lasciarle in condizioni inumane?

La nostra Chiesa è continuamente confrontata a una grave questione umanitaria, questo in modo particolare ogni venerdi: infatti il venerdi è una folla di povera gente che si riversa in chiesa e che domanda aiuto. Da parte nostra, facciamo del nostro meglio per accogliere tutti: il servizio sociale cerca di offrire loro cibo, indumenti e quanto serve per l’igiene…. Una semplice clinica gestita grazie a un gruppo di volontari funziona ogni venerdi; questi offrono quache servizio sanitario e accompagnano a volte delle persone gravemente malate in ospedale, spesso donne incinte. Capita anche di aiutare qualcuno a morire! Visitamo dei centri di raccolta per clandestini o delle prigioni: qualche piccolo aiuto possiamo offrirlo, ma la soluzione bisognerebbe cercarla più lontano, alla radice del male…

Ci domandiamo: come è possibile rigettare sui libici un problema così vasto? Non si potrebbe piuttosto aiutare i libici a studiarlo, analizzarlo, a discernere?

Condivido pienamente quanto scrive mons. Martinelli. Mi spaventa specie perché è riuscito a rimanere in Libia per quasi cinquant’anni usando sempre una grande prudenza. Eppure oggi parla di “condizioni disumane” in cui questi profughi sono lasciati!

Parole che pesano come pietre, conoscendo l’uomo e la situazione di precaria libertà religiosa in cui vive.

Piero Gheddo

«La sofferenza è via più sicura al Paradiso»

Nel mese di maggio, un pensiero su Maria, la nostra mamma del Cielo e maestra di vita spirituale. Perché? Perché è la Madre del Salvatore e lei può insegnarci, più di chiunque altro, la via che porta a Gesù. Rifletto in questi giorni su quella frase del vecchio Simeone: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Luca 2, 35). Afflitto da un acciacco della vecchiaia quasi continuamente doloroso (che però non mi impedisce di lavorare), ogni tanto mi lamento col Signore e poi penso che Maria, la Madre del Crocifisso, ha sofferto per tutta la vita la previsione del suo figlio lacerato dai flagelli e messo in croce a morire come un malfattore. Il pensiero di non essere solo nella sofferenza e che Maria ha sofferto molto di più per amore, mi sostiene, mi consola e mi indica la via al Cielo. San Francesco di Sales ha scritto: “La sofferenza portata con pazienza e amore è la via più sicura che porta al Paradiso”. Tutti abbiamo sofferenze fisiche o morali, incomprensioni, delusioni anche cocenti, fallimenti. L’aiuto di Maria e questo pensiero della sua sofferenza ci dia la forza di portare le nostre piccole e grandi croci.

Piero Gheddo

Quanti cattolici e preti nel mondo?

Secondo l’Annuario Pontificio 2009 i cattolici battezzati sono il 17,3% dell’umanità: 1 miliardo 147 milioni (nel 2007) su circa 6 miliardi e mezzo di uomini. Negli ultimi due anni i battezzati aumentano specialmente in Oceania (4,7%) e in Africa (3%), mentre l’Europa è aumentata solo dello 0,8% e in calo sono le Americhe (meno 0,1%) a causa della “concorrenza” delle molte Chiese e sette pentecostali.

I sacerdoti, negli ultimi otto anni, sono aumentati da 405.262 nel 2000 a 408.024 nel 2007. L’aumento annuale rimane comunque marginale, pari a circa lo 0,25%, una percentuale circa sei volte inferiore all’aumento della popolazione cattolica nello stesso periodo. La crescita dei sacerdoti si concentra soprattutto in Africa e in Asia, dove sono rispettivamente aumentati del 27,6% e del 21,2%. Le Americhe restano abbastanza stazionarie nel numero dei sacerdoti, mentre Europa e Oceania sono diminuite del 6,8% e del 5,5%. Il numero dei vescovi nel mondo, nei due anni 2006-2007, è aumentato da 4.898 a 4.946. Il numero dei seminaristi è salito da 115.480 nel 2006 a 115.919 nel 2007. Anche in questo caso la  crescita è concentrata principalmente in Africa e in Asia (0,4%), mentre le vocazioni continuano a diminuire in Europa e nelle Americhe.

Questi dati provocano tutti noi credenti in Cristo. Ho visitato paesi e continenti, specie fra i non cristiani. Spesso ho avuto impressioni scioccanti. Andando in treno da Nuova Delhi a Calcutta si attraversa la Valle del Gange, la regione più densamente popolata dell’India. Ebbene, in due giorni di treno non sono riuscito a vedere una sola chiesa cristiana, un solo campanile, una sola Croce di Cristo! Noi viviamo nel nostro piccolo buco ma fatti come questo dovrebbe farci sentire l’urgenza della missione alle genti, che invece sta diminuendo d’intensità perché siamo anche noi in crisi di fede!

I cattolici sono circa il 17,3% dell’umanità e gli altri cristiani certo non più del 12-13%. I cinesi nel mondo sono più di tutti i cattolici, cinesi e indiani molto più di tutti i cristiani assieme. E’ vero, Gesù non ha mai detto: diventate la maggioranza dell’umanità e dominate il mondo. Ma ha detto: annunziate a tutti i popoli la Buona Notizia del Vangelo. E questo, duemila anni dopo la sua Risurrezione, ancora non l’abbiamo ancora realizzato! E’ una realtà che deve scuoterci dal nostro indifferentismo: io posso fare poco, pochissimo anche e soprattutto come preghiera, ma quel poco debbo farlo assolutamente.

Piero Gheddo

«Non ci sposiamo, stiamo bene così»

Una piccola esperienza scioccante, che, più o meno, molti lettori hanno già fatto. Mi capita di parlare a lungo con un bel giovanotto che si dichiara cattolico e manifesta buoni sentimenti. Ha 35 anni, un bel lavoro, di cui è contento e degli ottimi genitori. Gli chiedo se è sposato. Risponde di no, però è fidanzato da 11 anni e si vogliono bene.
Ma allora, perché non vi sposate?
Mio nonno, che era contadino, mi diceva sempre che d’estate bisogna lavorare duro e  mettere il fieno in cascina, perché poi verrà l’inverno.
D’accordo, ma la fidanzata lavora anche lei?
Sì, ha la mia età e lavora anche lei. Abbiamo già comperato una casa in cui andremo ad abitare quando sarà il momento.
E perché non subito, se sono 11 anni che vi conoscete e vi volete bene?
Perché per adesso stiamo bene così. Io lavoro molto e vado spesso fuori sede….
Cosa dicono i tuoi genitori?
Sono disperati, anche loro mi dicono quel che mi dice lei…

Dico all’amico che ho letto su una rivista inglese che, secondo dati scientifici, la donna dai 18 ai 25 anni ha il 90% di possibilità di rimanere incinta, dai 25 ai 30 l’80%, più avanza l’età e più il tasso di fertilità diminuisce rapidamente. Dopo i quarant’anni è difficile avere un figlio…. E si ricorre all’inseminazione artificiale… A me pare che se avete il primo figlio a 38-40 anni, quando questo bambino o bambina arriverà agli anni difficili dell’adolescenza, diciamo dai 12 ai 18, non avrà più due genitori, ma due nonni!

L’amico capisce cosa dico, ma ripete: “Però noi adesso stiamo bene così”. Non insisto e forse ho passato il limite della “privacy”. Chiedo scusa e aggiungo che mi sono permesso di toccare e insistere su questo tema come prete amico e perché gli voglio bene. Purtroppo casi come questo sono comunissimi e fa pena pensare che tanti giovani e ragazze, anche cattolici diciamo praticanti, pensano prima ai soldi, alla carriera, alla casa e poi alla famiglia e ai figli! Insomma, tutto viene prima della famiglia, anche per chi ci crede e intende formarne una. Ma quando finalmente si decidono, gli anni e le energie migliori se ne sono andati e allora conosciamo tutti uomini e donne che verso i 40 anni e anche dopo vogliono ansiosamente e a volte disperatamente un figlio, perché si accorgono che una convivenza o un matrimonio senza figli è come un albero da frutta che non dà frutti, come il famoso fico del Vangelo (Matteo 21, 19; Marco 11, 13-14; Luca, 13, 6-9). Cosa fare per capovolgere questa cultura e questa mentalità così diffusa?

Piero Gheddo

Come andare d’accordo con l’islam?

Nel recente viaggio di Benedetto XVI in Terrasanta come “pellegrino di pace” (8-15 maggio 2009), il fatto più rilevante credo sia stata la chiara indicazione del come andare d’accordo fra i fedeli delle tre religioni monoteiste, ebrei, cristiani e musulmani. Dopo aver detto, sull’aereo che lo portava in Giordania, che la Chiesa “non è un potere politico, ma una forza spirituale”, ha aggiunto: “Proprio perché non siamo parte politica, possiamo più facilmente, anche nella luce della fede, parlare alla ragione e appoggiare le posizioni realmente ragionevoli”. La chiave dell’andare d’accordo è appunto “parlare alla ragione e appoggiare le posizioni realmente ragionevoli”. Un discorso laico, fondamentale nel magistero di Benedetto XVI, come aveva già fatto nella “lectio magistralis” a Ratisbona (12 settembre 2006) e poi ripreso il 19 marzo scorso a Luanda in Angola, quando aveva affermato, parlando ai musulmani, che “oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, essa stessa un dono di Dio”.

Il Papa applica al “dialogo” fra cristiani e musulmani il discorso sull’andare d’accordo. Non un “dialogo teologico”, ma un dialogo sui problemi dell’uomo e sulla pace, basato sulla ragionevolezza della fede religiosa. Perché “religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede”. Due i temi sui quali il Papa ha insistito negli incontri con i musulmanii:

1) Primo, ha ringraziato la Giordania che concede la piena libertà di religione nel paese dove vivono circa 100.000 cristiani liberi di costruire chiese (caso unico nel mondo islamico) e persino una Università cattolica (della quale Papa Benedetto ha benedetto la prima pietra). Questo dimostra che, se c’è libertà e ragionevolezza, “lo scontro di civiltà” non è inevitabile. Ed a proposito ha evocato una “alleanza di civiltà tra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le previsioni di chi considera inevitabili la violenza e il conflitto”.

2) Secondo,  la religione è ragionevolmente contro la violenza. Questa visione della religione, ha aggiunto, “rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione”. La ragione spinge a servire “il bene comune, a rispettare la dignità dell’uomo, che dà origine ai diritti umani universali”.

Il discorso tenuto ai musulmani durante la visita alla Cupola della Roccia a Gerusalemme (12 maggio), è quasi una sintesi del suo insegnamento. Ha parlato di ebrei, cristiani e musulmani che “adorano l’Unico Dio” e li ha esortati a credere “di essere essi stessi fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana. Questo – ha continuato il Papa – pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto. Questa è la ragione per la quale operiamo instancabilmente a salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”.

Papa Benedetto è veramente ammirevole, perché parla con molta semplicità e chiarezza, con parole efficaci che lasciano il segno. I suoi interventi hanno avuto un buon impatto nel mondo islamico, come rivelano la stampa della Giordania e di altri paesi arabi, che hanno riferito e commentato in modo favorevole quanto il Papa ha detto sulla libertà di religione e sulla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi.  Il rispetto e la cordialità del mondo islamico, almeno quello dei suoi rappresentanti giordani e della stampa araba, ha confermato quanto già si sapeva. Nel mondo dell’islam, i popoli islamici sono portati ad accettare il “dialogo di civiltà con l’Occidente”. Gli ostacoli sono la strumentalizzazione politica della religione e il radicalismo religioso, terreni di coltura dell’anti-occidentalismo e del terrorismo. Ma sono tendenze dalle quali dobbiamo guardarci anche noi credenti in Cristo.

Piero Gheddo

Com’è difficile essere genitori oggi!

Una cara amica, riferendosi al Blog del 30 aprile “Cosa hanno in testa i giovani d’oggi?”, mi manda questo messaggio che riflette la sofferenza dei genitori di educare i giovani d’oggi.

Caro padre Piero, che argomento difficile lei ha trattato, sui giovani d’oggi! Sono mamma di due gemelli (maschio e femmina) di 12 anni ed ho paura di quello che mi riserverà il futuro. Da mamma, insieme al papà, cerco di insegnare ai miei figli i valori della vita. Cerco di trasmettergli le mie esperienze ma mi rendo conto che vengono recepite come cose che avvenivano secoli fa! Insomma, in fondo ho solo 43 anni!!!! Eppure quando racconto loro della mia vita alla loro età, mi guardano sbalorditi, non riescono a capire come potevo sopravvivere senza DS, PLAY STATION, CELLULARE e BICICLETTA ULTIMO MODELLO! Noi critichiamo i giovani d’oggi ma in fondo siamo stati proprio noi a trasformare la nostra società in una società consumistica, legata solamente all’esteriorità. Vestiti firmati, cellulari, motorini, videogiochi e chi ne ha più ne metta sono le sole cose che interessano ai giovani di oggi. In cosa abbiamo sbagliato? Da genitore riuscirò ad educarli a condurre una vita basata sui valori e non sulla ricchezza? Ci aiuti padre! Cristina.

Cara Cristina, essere genitori è una vocazione (chiamata di Dio) e una missione (scopo della vita), come quella dei missionari. Questi vanno in situazioni difficili e rischiano la vita per annunziare Cristo e fondare la Chiesa; i genitori sono chiamati a dare nuovi membri alla società e alla Chiesa, la loro missione è di educare i loro figli alla fede e ad “una vita basata sui valori e non sulla ricchezza”, come dice lei. Per educare, diceva San Giovanni Bosco, bisogna amare, cioè “dare la vita” per coloro che si amano, come diceva Gesù.

La vostra non è una missione facile, specialmente in un tempo come il nostro, ma l’importante è che siate dedicati alla vostra missione in modo totale e assieme, accettando rinunzie e sacrifici che questa missione richiede e chiedendo l’aiuto di Dio, senza voler ad ogni costo vedere risultati immediati nel vostro sacrificio. Questo, sono sicuro, voi già lo fate. Quindi, abbiate fiducia nello Spirito Santo e anche nei vostri figli. Se voi date loro dei buoni esempi, state tranquilli che i risultati verranno e magari non li vedrete, ma di questi non siete responsabili voi genitori. Dio vi giudicherà su come avete vissuto e adempiuto la vostra vocazione e missione, il resto lasciamolo nelle sue mani. Insomma, cari genitori, non abbiate “paura”! Quando voi cercate di vivere, assieme, un’autentica vita cristiana e adempiere, accettandone i sacrifici, la vostra vocazione e missione di genitori, non dovete più avere paura. Dio è molto, ma molto più grande e onnipotente e sapiente di quel che possiamo pensare noi. Siamo tutti nelle sue mani, voi e i vostri figli. Auguri! Ricordiamoci a vicenda nelle preghiere.

Suo padre  Piero Gheddo

Un gruppo missionario che fa meraviglie

Viviamo un tempo di crisi della fede e quindi anche di crisi della missione ai non cristiani. Il Signore mi ha concesso la grazia di toccare con mano, ancora una volta (è un’esperienza che faccio da una vita!), che la crisi si supera coltivando la fede e l’amore a Cristo e rimanendo fedeli al carisma missionario: “Andate in tutto il mondo, annunziate il Vangelo a tutte le creature”.

Il venerdì 24 aprile ero a San Zeno di Cassola in provincia di Vicenza (2000 abitanti) poco a sud della città di Bassano del Grappa. Invitato dal parroco e dal G.A.M. (Gruppo Amici Missioni), ho celebrato la S. Messa pomeridiana in ricordo e suffragio di padre Sandro Bordignon (1946-2004), missionario del Pime prima in India e poi in Thailandia e già redattore di “Mondo e Missione”. Alla sera ho tenuto in chiesa una conferenza su “Essere missionari oggi”. Il mattino dopo, tornando a Milano, ho ringraziato il Signore di avermi portato a San Zeno di Cassola a conoscere il GAM di cui l’amico Sandro parlava spesso.

Ho capito subito lo spirito che anima questo gruppo quando Roberto Parolin, direttore del convitto e insegnante del Collegio Filippin di Bassano del Grappa, mi ha presentato e ha detto: “Padre, ci parli di Gesù Cristo, della fede e dei missionari. Noi siamo uniti e lavoriamo per questi ideali e non vogliamo perderli”. Non avevo mai sentito una tale richiesta così precisa. La grande chiesa era quasi piena. Ho risposto in modo molto concreto che Cristo è l’unica ricchezza che abbiamo e che, se lo conosciamo e amiamo davvero, non possiamo non essere missionari.

Da San Zeno sono partiti cinque suore e quattro missionari: padre Sandro Bordignon e altri tre in Brasile, Madagascar e Namibia; quest’ultimo, mons. Antonio, è diventato vescovo, ma recentemente è defunto come padre Sandro. Il GAM è nato nel 1987 da un gruppo di amici dei missionari di San Zeno. Hanno cominciato pregando e raccogliendo carta, ferro, rame, mobili vecchi e altro per le missioni; poi, organizzando varie iniziative culturali, sociali, ricreative, hanno coinvolto numerosi volontari e  creato iniziative di successo. “Nel DVD che presenta il GAM – dice Roberto Parolin – ringraziamo tutti quelli che ci hanno aiutati, ma soprattutto ringraziamo lo Spirito Santo e la Provvidenza, perché fin dall’inizio la crescita del movimento non si spiega senza questo aiuto. All’inizio eravamo una trentina di amici, ieri sera avevamo a cena 530 persone, in maggioranza giovani, e nella lotteria improvvisata, con premi tutti regalati, abbiamo tirato su 2.900 Euro. Il segreto è stato certamente la preghiera e l’aiuto di Dio, ma poi di coinvolgere molta gente offrendo a tutti la possibilità di lavorare, di fare qualcosa. Queste cene sono cresciute a poco a poco, per l’opera di numerosi volontari. L’inizio è stata “La cena della solidarietà”, poi abbiamo affittato (e in seguito acquistato) due grandi capannoni, offrendo la possibilità di cene per tutti e per altre iniziative. Martedì scorso avevamo a cena tutta la giunta provinciale di Vicenza e 430 persone, mentre al 1° maggio avremo più di 500 persone. Vengono da noi per feste familiari e di paese, gli alpini, la Croce Rossa, associazioni varie, ditte e partiti politici. Facciamo la “Festa annuale dell’asparago”, che è il prodotto tipico delle nostre campagne, e siamo già all’ottava edizione (e ogni volta vendiamo quintali di asparagi). Ma tutto questo è solo uno strumento per aiutare i missionari. C’è un’attrezzatura di cucina completa, tavoli e sedie per 500 e più persone, un’orchestra che suona e il secondo grande capannone per chi vuol ballare, possibilità di parcheggio delle auto e via dicendo. In un anno realizziamo 70-80.000 Euro che mandiamo ai nostri missionari e suore”.
Può sembrare un ricordo nostalgico d’altri tempi, invece ho vissuto questa realtà il 24 aprile 2009 a San Zeno di Cassola, paese di 2.000 abitanti. L’amico Parolin continua: “In qualsiasi festa o fiera, io intervengo e dico: “Signori, grazie di essere venuti e tutto questo va bene, la festa, il cibo, lo sport, la politica, il commercio, il lavoro. Ma noi siamo nati dai missionari e lavoriamo per i missionari e per questo obiettivo vi chiediamo attenzione e un aiuto”. A volte facciamo parlare qualche missionario, presentiamo un breve Dvd, raccogliamo le offerte. Alla fine chiamo fuori, i cuochi e le cuoche, le cameriere, i lavapiatti per un applauso finale. L’importante per noi è lavorare per Gesù Cristo, non per noi stessi. Allora la gente viene e collabora volentieri. Poi intoniamo il nostro inno: “Un bel ciel come a San Zeno non lo vedi più….”, con grandi applausi dai commensali. L’idea centrale è stata di aiutare i missionari e l’abbiamo mantenuta ferma, però cerchiamo anche di favorire una vita di fede e di missione. I nostri missionari che vengono in vacanza ci danno la carica. L‘ideale missionario e il valore della fede sono sempre presenti nelle nostre attività. Questo è importante perché oggi la missione è un po’ tutto e molti identificano il missionario con l’aiuto ai poveri e con l’agitatore sociale che vuole rivoluzionare la società. Noi parliamo di missione alle genti, come dice il Concilio e confermano i Papi”.
Il parroco di San Zeno, don Giorgio, è un giovane prete che apprezza il GAM e approva cordialmente le loro attività, a volte vi partecipa in modo spontaneo. All’ultima grande cena, mi dicono, si è messo anche lui a lavare i piatti con tanti altri volontari. E’ disponibile per aiutare il GAM perchè vede che anima il suo popolo con ideali cristiani.

Ma anche il GAM attraversa la sua crisi, una crisi di crescita. Parolin mi dice: “Sto notando che la baracca del GAM diventa fin troppo grandiosa e guai se perdiamo di vista le nostre radici, i nostri ideali e le nostre finalità. Vengono a noi molti giovani e ragazze attirati dall’ambiente, dal successo dell’iniziativa, dalle simpatie personali. E questi giovani bisogna continuare ad educarli nella fede e nello spirito missionario, perché il mondo moderno non favorisce in questo. Facciamo qualche ritiro spirituale e serate di preghiera, ma bisogna continuamente educare alla fede e all’ideale missionario. Se perdiamo la fede e la missione, diventiamo uno dei tanti centri di  potere e di denaro e la gente non viene più. Qui sanno tutti che lavoriamo non per noi ma per i missionari e attiriamo tante simpatie”.

Piero Gheddo

Ancora: sposare un musulmano?

Una giovane italiana mi scrive, a proposito di matrimoni fra una cristiana e un musulmano. Tema che mi pare molto sentito! Ecco la lettera:

Ciao, says, anch io ho il tuo stesso problema, sono quattro anni k stiamo insieme ed i miei nn lo sanno, ci vorremmo sposare ma senza cambiare religione l’uno con l’altra, come si può fare? i miei non accetteranno mai ed è ingiusto…se sai come si può fare fammi sapere….ciao.

Cara ragazza anonima,
grazie di avermi scritto e ti rispondo subito. Se capisco bene, da quattro anni sei assieme ad un musulmano che è in Italia e i tuoi genitori non lo sanno. E aggiungi: “I miei non lo accetteranno mai”, cioè non accetteranno mai che tu lo sposi. Adesso vorreste sposarvi, ma senza cambiare religione, né tu né lui. E mi chiedi come potete fare.

Ti rispondo secondo il mio parere e la mia esperienza di casi come questo:

1) Prega molto per avere il consiglio di Dio e la forza per seguirlo.

2) Devi capire e riflettere umilmente che hai fatto un “errore giovanile”, come diciamo noi anziani. Se ti tiri indietro adesso, sei giovane e puoi rifarti una vita. Stai tranquilla che Dio guiderà i tuoi passi verso un’altra occasione di matrimonio. Ma la condizione iniziale è che tu riconosca che hai fatto uno sbaglio. Capita, specialmente da giovani e nessuno ti può giudicare, se non Dio che ti perdona come il Padre buono che sta nei Cieli.

3) Suppongo che tu sia credente. Il mio consiglio, ripeto, è di pregare, riconoscere e fermarti a riflettere su questo errore, sbaglio, peccato, chiamalo come vuoi, che non ti apre nessun scenario di futuro, cioè ti mette in un vicolo cieco da cui non uscirai più, se adesso, subito non domani, non fai marcia indietro. Magari fatti aiutare da qualche sacerdote e confessore a cui confidare le tue pene e chiedere il perdono di Dio nella confessione e nella Comunione con Gesù, che ti rimette a posto e ti permette di iniziare una vita nuova. Lo so che non è facile, per questo ti dico di pregare molto: tu non hai la forza, ma questa forza te la può dare il Signore, se tu lo preghi e riconosci il tuo sbaglio. Ti ricordo anch’io nella preghiera perché Gesù e Maria ti aiutino.

4) Mi chiedi se esiste la possibilità di sposarvi mantenendo ciascuno la propria religione. Certo che è possibile, ma pensa seriamente alle conseguenze, di cui ho già scritto ampiamente in vari miei Blog e nell’ultimo volume pubblicato dalla San Paolo due mesi fa: “Ho tanta fiducia” (pagg. 236, Euro 14,00). Le conseguenze sono queste: tu rompi i rapporti con la tua famiglia d’origine e sposi non solo un uomo, ma un’altra famiglia, un’altra comunità sociale, un’altra religione, altri costumi, tradizioni e leggi matrimoniali. In questo nuovo ambiente in cui andresti a vivere, sappi che la donna ha una posizione di assoluta inferiorità in tutti i settori della vita: divorzio, eredità, autorità familiare ad esempio fissare il luogo di residenza, ecc. Una giovane donna italiana non può accettare questa situazione umiliante, che non dipende dal marito ma dall’ambiente religioso e sociale in cui andresti a vivere.

5) Infine, tu mi dici di voler conservare la tua fede cristiana. D’accordo, ma per quanto tempo potresti mantenerla, in un ambiente totalmente musulmano? Se perdi la fede in Cristo, ragazza mia, perdi la radice della tua identità come persona e soprattutto come donna, l’unica ricchezza che tu hai e che tutti noi abbiamo.

Tu allora capisci facilmente perché le inchieste e statistiche sui matrimoni fra una donna cristiana occidentale e un musulmano confermano che l’80% circa dei matrimoni falliscono nei primi 6-7 anni e altri falliscono dopo. Mi scuso che ho scritto fin troppo. Prega e anch’io prego per te. Dio ti benedica. Con affetto, tuo padre

Piero Gheddo