Cosa dice la "Caritas in Veritate"

La terza Enciclica di Papa Benedetto “Caritas in veritate” è veramente un testo di grande valore. Dopo averla letta (e sottolineata per ricordare i temi più importanti), penso che sia, nel nostro tempo, “la magna charta dei paesi poveri”, come il Primo ministro dell’India aveva definito 40 anni fa la “Populorum Progressio”, di cui questa nuova Enciclica sociale vuol essere la continuazione aggiornata al nostro tempo. E’ il tentativo riuscito di sintetizzare la situazione caotica in campo economico-finanziario in cui ci troviamo tutti sommersi. Lo scopo è di orientare l’economia mondiale, specie quella dei paesi ricchi, verso la fraternità fra i popoli, termine preferito a solidarietà: gli uomini infatti sono tutti fratelli perché figli dello stesso Padre. Quindi verso i popoli più poveri e marginalizzati dal mercato mondiale. Un’Enciclica scritta anzitutto per i grandi del mondo, gli studiosi, i periti di varie scienze, ma credo leggibile anche da “tutti gli uomini di buona volontà” a cui il Papa espressamente si rivolge.

Un’enciclica di alto livello intellettuale e di inquadratura schematico-concettuale molto ampia, anche se non facile da leggere. E’ la prima osservazione che mi viene in mente leggendo. Manca una trascrizione direi “giornalistica”, che renda certi passaggi un po’ più comprensibili e digeribili. Un’osservazione generale che nulla toglie al valore del testo pontificio e si potrebbe ripetere per tanti altri documenti delle autorità ecclesiastiche: per voler comprendere tutto, per non trascurare alcun aspetto delle complesse situazioni del mondo attuale, si finisce per far perdere di vista il quadro generale del tema trattato. La stessa divisione della Caritas in Veritate in lunghi capitoli senza alcun sottotitolo non invita a leggere. La “Populorum Progressio” aveva avuto un grande successo di opinione pubblica in tutto il mondo, nei giornali laici e nei paesi poveri, credo anche per questo motivo, diciamo didascalico:  procedeva per paragrafi di 15-20-25 righe, ciascuno dei quali con un suo chiaro e nero titoletto. I sei capitoli della “Caritas in veritate” procedono per pagine e pagine con un titolo molto generale e poi un po’ di corsivi che si perdono nella lunghezza dei testi. Chi legge non respira più, si stanca, perde di vista la trama generale dell’opera!

Un documento, ripeto, che merita di essere veramente letto da tutti “gli uomini di buona volontà”, perché spiega molto bene la dottrina sociale della Chiesa riguardo ai problemi economici, politici, sociali e culturali di cui oggi si discute e si dibatte specialmente fra i soggetti politici e nei Parlamenti. Cosa dice la Caritas in Veritate? Il Papa parte spiegando il significato del titolo: la carità, cioè l’amore all’uomo, è il segno distintivo del cristianesimo: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. Ma questo amore dev’essere nel rispetto della verità sulla natura dell’uomo e della società umana. Due i “criteri orientativi dell’azione morale”, la giustizia e il bene comune. Ecco in estrema sintesi i contenuti del primo capitolo, che orienta e giustifica tutto il resto dell’Enciclica:

Benedetto XVI parte dal messaggio fondamentale della “Populorum Progressio: l’uomo creato da Dio non è un essere autosufficiente. Senza Dio, lo sviluppo umano viene “disumanizzato” (10-12). Il Vangelo è indispensabile “per la costruzione della società secondo libertà e giustizia” (13). Quindi lo sviluppo dell’uomo è una “vocazione” perché nasce “da un appello trascendente” ed è uno “sviluppo integrale” quando è “volto alla promozione di ogni uomo e di tutti gli uomini (16-18). Secondo queste premesse, le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale. Il sottosviluppo ha una causa radicale, che è “la mancanza di pensiero… e di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” (19). “La società globalizzata – rileva il Papa – ci rende vicini, ma non ci rende fratelli… Bisogna allora mobilitarsi, affinchè l’economia evolva verso esiti pienamente umani” (19-20).

Non è possibile, in questo breve Blog, seguire tutta l’Enciclica nei restanti cinque capitoli, che trattano dei problemi in cui oggi si dibatte l’umanità. La Caritas in Veritate non è un’enciclopedia o un elenco sistematico di problemi, ma un esame e una proposta di soluzione, affinchè lo sviluppo sia veramente per tutto l’uomo e per tutti gli uomini. Mi pare importante rilevare che la Caritas in Veritate riprende dalla Populorum Progressio e mette bene in risalto quello che quarant’anni fa era stato trascurato di quell’Enciclica, nei commenti e studi anche di parte cattolica. Paolo VI partiva dallo “sviluppo dell’uomo che viene da Dio e deve portare a Dio” (nn. 14-21 e 40-42 della P.P. e n. 58 della “Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II).

Un ricordo. Nel 1972, cinque anni dopo la Populorum Progressio, nella sede di Piacenza dell’Università cattolica si tenne un congresso di studio di tre giorni sull’Enciclica, al quale ho partecipato con una lezione sull’azione dei missionari per lo sviluppo dei popoli. Mi stupiva il fatto che, a parte l’introduzione teologica del gesuita padre Joblin, si parlava dei problemi materiali dello sviluppo, gli aiuti, i finanziamenti dei piani di sviluppo, il commercio internazionale, i prezzi delle materie prime, i lavoratori emigrati, ma quasi senza più connessione con l’ispirazione religiosa profonda della P.P. Quasi due mondi separati: da un lato Dio, il Vangelo, la Chiesa, la vita religiosa; dall’altro il quotidiano con i suoi angosciosi problemi politico-economico-sociali-culturali. Era l’impressione comune che avevo in quegli anni, leggendo i molti studi e commenti internazionali, ripeto anche di cristiani e cattolici, dell’Enciclica di Paolo VI.

La Caritas in Veritate, riprendendo il grande documento di Paolo VI, ha voluto congiungere in modo fermo la fede con la vita, che deve illuminare e guidare anche la ricerca di una soluzione ai grandi problemi dell’umanità, ai quali oggi ci troviamo confrontati e spesso non abbiamo risposte adeguate. Insomma, credo che la Caritas in Veritate debba essere letta e meditata da tutti coloro che hanno a cuore specialmente temi come la fame nel mondo, l’integrazione culturale dei popoli, gli aiuti allo sviluppo da parte dei popoli ricchi e via dicendo.

Piuttosto, si può ancora notare che in questa Enciclica di Papa Benedetto manca qualcosa che ci aiuti a comprendere meglio gli ultimi della terra, quel miliardo di uomini e donne che ancora oggi soffrono la fame. E, di conseguenza, capire meglio cosa in concreto possiamo e dobbiamo fare per aiutarli. Nel prossimo numero del Blog parlerò di questo limite dell’Enciclica, che è un po’ quello dei documenti ecclesiastici e civili dei popoli ricchi che trattano di quelli poveri.

Piero Gheddo

Un pensiero su “Cosa dice la "Caritas in Veritate"

  1. CARITAS IN VERITATE
    di Ermete Ferraro

    “Coniugare la carità con la verità” è l’intento che si è proposto S.S. Benedetto XVI nella sua ultima enciclica, il cui titolo capovolge l’espressione paolina “veritas in caritate” (Ef 4,15) e, seguendo questa parola d’ordine, affronta da tutti i punti di vista quel concetto di “populorum progressio” che Paolo VI ebbe il merito di analizzare già nel 1967.
    1. La prima questione affrontata dal Papa è il rapporto inscindibile tra carità cristiana e giustizia, nella convinzione che: “Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è « inseparabile dalla carità » intrinseca ad essa.” (6). La ricerca del “bene comune”, infatti, comporta la giustizia perché: “La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale d’amore che vince il male con il bene” (ivi). Il sottosviluppo, quindi, dipende dalla “…mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” visto che, argomenta il pontefice, “la società sempre più globalizzata ci rende vicini ma non ci rende fratelli” (19). A distruggere ricchezza e produrre nuova povertà, inoltre, contribuiscono certamente “l’esclusivo obiettivo del profitto (…) gli effetti deleteri di un’attività finanziaria…per lo più speculativa (…) la corruzione e l’illegalità” e qui Benedetto XVI non manca di additare un’altra causa paradossale d’impoverimento, ossia quegli “aiuti internazionali…spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità che si annidano sia nella catena dei soggetti donatori sia in quella dei fruitori” (19-31-22). La verità, prosegue il Papa, è che purtroppo lo Stato ha smesso di svolgere il suo ruolo di garanzia sociale, dovendo “far fronte alle limitazioni che alla sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilità dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali”, e pertanto l’auspicio è un “meglio calibrato ruolo dei pubblici poteri” che accresca “una partecipazione più sentita alla res publica da parte dei cittadini” in modo da superare “situazioni di degrado umano oltre che di spreco sociale” (24).

    2. Il secondo aspetto toccato dall’enciclica è quello del rapporto tra sviluppo e cultura. I due rischi estremi, quello dell’”eclettismo culturale” derivante da un diffuso relativismo e quello dell’ “appiattimento culturale e dell’omologazione degli stili di vita (…) convergono nella separazione della cultura dalla natura umana (…) Quando questo avviene, l’umanità corre nuovi pericoli di asservimento e di manipolazione.” (26) Il rispetto per la vita – aggiunge il Papa – è particolarmente importante, perché “l’apertura alla vita è al centro di un vero sviluppo” (28). Allo stesso modo va garantito il rispetto della libertà religiosa, se non si vuole incorrere nel “danno che il « supersviluppo » procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal «sottosviluppo morale »…” (29) . Premesso che “la dignità della persona e le esigenze di giustizia (…) richiedono una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini” (32), Benedetto XVI ricorda che “la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato” (35) ed ammonisce che “ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale. (…) L’economia globalizzata sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita.” Bisogna perciò evitare di leggere in modo deterministico la stessa globalizzazione, di cui vanno corrette “ le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà o addirittura con una sua accentuazione (…) orientando “la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione” (42).

    3. L’articolata analisi del Pontefice passa quindi ad affrontare il delicato rapporto tra lo sviluppo dell’uomo e la salvaguardia dell’ambiente naturale. “Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera (…) La natura è a nostra disposizione non come « un mucchio di rifiuti sparsi a caso », bensì come un dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per custodirla e coltivarla” (Gn 2,15).” (48). Bisogna evitare, ribadisce Benedetto XVI sia il neo-panteismo paganeggiante di chi considera la natura più importante della stessa persona umana… (sia) la sua completa tecnicizzazione, perché l’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario (…) L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale ” (48). Il Papa, dunque, condanna severamente l’accaparramento delle risorse energetiche ed auspica, al contrario, un netto miglioramento dell’efficienza energetica e la promozione di energie alternative, stimolando una responsabilità globale che porti ad un “governo responsabile della natura (…) con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino» In questo ambito, particolare importanza ha l’adozione di nuovi stili di vita (49-50). L’enciclica entra successivamente in un ambito fondamentale: il rapporto tra sviluppo e pace: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione nelle relazioni sociali. (…)Inoltre, quante risorse naturali sono devastate dalle guerre! La pace dei popoli e tra i popoli permetterebbe anche una maggiore salvaguardia della natura. L’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua, può provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte. Un pacifico accordo sull’uso delle risorse può salvaguardare la natura e, contemporaneamente, il benessere delle società interessate…”. (51)

    4. Il documento passa poi a delineare un modello di società più equa e solidale che veda la ‘famiglia umana’ impegnata in un discernimento cui la fede cristiana può fornire le indispensabili basi etiche, evitando gli opposti atteggiamenti laicisti e fondamentalisti cui assistiamo si solito, in quanto: “…l’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità…” (55-56). Questa “collaborazione feconda tra credenti e non credenti” è il primo punto fermo, cui segue la proposta di una visione complessiva in cui “…il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa” (58). Quanto poi alla “cooperazione allo sviluppo”, il Pontefice ammonisce i paesi c.d. “sviluppati” a non utilizzare gli “aiuti” per ribadire una loro “presunta superiorità culturale” e come uno strumento per “…mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all’interno del Paese aiutato” (58). D’altronde, aggiunge Benedetto XVI: “Le società in crescita devono rimanere fedeli a quanto di veramente umano c’è nelle loro tradizioni, evitando di sovrapporvi automaticamente i meccanismi della civiltà tecnologica globalizzata…” (59). L’unica molla della cooperazione internazionale, quindi, deve essere soltanto la solidarietà sociale, discorso strettamente connesso con quello delle migrazioni, fenomeno molto complesso sul piano economico, sociale e culturale, ma che richiede comunque un approccio umanitario e solidaristico. Ecco perché il Papa sottolinea con forza che: “…tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione…” (63). Una società più equa e solidale, prosegue l’enciclica, non può non tener conto del “nesso diretto tra povertà e disoccupazione” e perciò il Papa lancia un appello: “ per « una coalizione mondiale in favore del lavoro decente » e richiama le stesse organizzazioni sindacali “…alla loro necessaria azione di difesa e promozione del mondo del lavoro, soprattutto a favore dei lavoratori sfruttati e non rappresentati, la cui amara condizione risulta spesso ignorata dall’occhio distratto della società…” (64). Tra le caratteristiche di una società diversa, ma già in parte presenti ed operanti, il Papa ricorda alcune significative esperienze, quali quella della microfinanza (65) e le battaglie incentrate sulla responsabilità sociale del consumatore (66), strettamente collegata a quella sobrietà cui più volte la Chiesa ha richiamato i Cristiani. Un ulteriore pilastro di questa alternativa è, per Benedetto XVI, la necessaria ed irrimandabile “… riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale” dal momento che “urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale (che) dia finalmente attuazione ad un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle Nazioni Unite.” (67)

    5. All’impropria e semplicistica identificazione dello sviluppo con il progresso tecnologico è dedicata l’ultima parte dell’enciclica “Caritas in veritate”. La tecnica – spiega Benedetto XVI – non può essere fine a se stessa. ” Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. (…) Ma la libertà umana è propriamente se stessa, solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale…” (68-70). La stessa costruzione della pace – aggiunge il Papa – rischia pericolosamente di essere “…considerata come un prodotto tecnico, frutto soltanto di accordi tra governi o di iniziative volte ad assicurare efficienti aiuti economici”, con l’aggravante che questo processo diventa una forzatura tutt’altro che pacifica, nella misura in cui spesso trascura di “… sentire la voce e guardare alla situazione delle popolazioni interessate per interpretarne adeguatamente le attese…” (72). Oltre che dall’“assolutismo della tecnica”, un altro rischio deriva anche dalla “accresciuta pervasività dei mezzi di comunicazione sociale”, laddove non siano un autentico strumento di promozione umana e sociale, nonché da quel “riduzionismo neurologico”, che semplifica materialisticamente la complessità della natura umana, mortificandone la crescita spirituale (76) e bloccandone lo slancio verso un “umanesimo integrale”.

    Da questo rapido, ma non superficiale, excursus dell’ultima enciclica della massima autorità spirituale del cristianesimo cattolico mi sembra che emerga una visione certamente non nuova, ma sicuramente coerente ed alternativa della prospettiva sociale per i credenti del XXI secolo. Che non si tratti di qualcosa di nuovo si evince dall’impostazione dello stesso Benedetto XVI, che ci tiene a ribadire il legame che lo lega alla tradizione sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum di Leone XIII del 1891 fino ad oggi, passando per la Pacem in terris di Giovanni XXIIII (1963), la Populorum Progressio di Paolo VI (1967) e la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (1987).
    Che si tratti di una silloge assolutamente originale e innovativa della dottrina sociale cattolica, peraltro, si ricava dal richiamo continuo all’attualità e particolarità dei problemi e dei fenomeni che costituiscono il terreno su cui la fede deve cimentarsi, coniugandosi con la ragione e non limitandosi a promuovere la “carità” senza il richiamo ad una “verità” rivelata e stabile.
    Al di là di qualche residua compiacenza antropocentrica e di un’affermazione del progresso come crescita, che onestamente non mi sento di condividere (secondo la quale: “La vocazione al progresso spinge gli uomini a « fare, conoscere e avere di più, per essere di più »…”(18) ) ritengo che ci troviamo di fronte ad una proposta significativamente alternativa e, nei fatti, molto più innovativa di tante fumose ed ambigue analisi di una sinistra che ha perso le proprie coordinate e che sta scontando la propria incoerenza opportunistica, travestita da “Realpolitik”.
    L’analisi dell’attuale momento storico e della società presente è svolta con lucidità e consapevolezza dei problemi: basti pensare a questioni come quella del “bene comune”, contrapposto al ”profitto” assurto a unica motivazione di un’economia sempre più speculativa e finanzia rizzata; al giudizio sulla globalizzazione come fonte di omologazione culturale e di crescita delle disuguaglianze socio-economiche, oppure all’importanza degli stili di vita per una società più sobria, giusta e rispettosa della natura.
    Quello che mi sembra ancora più importante è la proposta in positivo – e nell’ottica cristiana – di un modello di sviluppo alternativo, il cui obiettivo sia quello di una società equa, solidale, pacifica ed autenticamente umana. Le coordinate di questa proposta, infatti, possono così essere sintetizzate:
    1. Collaborazione tra credenti e non credenti vs laicismo e fondamentalismo;
    2. Ruolo dei pubblici poteri per ristabilire il “bene comune”la giustizia vs preponderanza del profitto economico-commerciale e finanziario;
    3. Sviluppo caratterizzato da relazionalità, comunione e condivisione vs “supersviluppo” che porta con sé un “sottosviluppo morale”;
    4. Rapporto corretto e responsabile tra sviluppo umano e salvaguardia dell’ambiente naturale, a partire da “nuovi stili di vita” vs tecnocrazia, sfruttamento ambientale ed accaparramento delle risorse vitali ed energetiche;
    5. Solidarietà sociale, cooperazione autentica, lavoro “decente” e rispetto dei diritti dei migranti vs lavoro sfruttato e/o precario e “mercificazione” e mancata tutela dei migranti;
    6. Umanesimo integrale vs assolutismo della tecnica, riduzionismo “neurologico” e mortificazione della dimensione spirituale.
    Non si tratta del “manifesto” di una nuova rivoluzione, ma solo perché la vera rivoluzione è già stata proclamata 2009 anni fa da quel Gesù di Nazareth che ci ha portato la “buona notizia” di un Dio che si fa uomo per farci diventare come Lui. Concluderei con un’ultima citazione dell’enciclica: “La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra come dono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso.(…) Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio…”
    Pubblicato l’11.07.2009 sul blog: http://ermeteferraro.splinder.com

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