“Akwaaba!” gridavano gli africani ad Accra, capitale del Ghana, mentre Barack Obama scendeva dall’aereo presidenziale americano: Benvenuto! Altri gridavano: “Akwaaba wo ba fiz!”, Welcome Home, Bentornato a casa! Era il sabato 11 luglio 2009. In una sola giornata il Presidente americano ha compiuto una visita al continente africano che rimarrà come uno dei momenti più alti nella storia di questo sfortunato continente, specialmente per il discorso tenuto al Parlamento di Accra. Perché Obama è andato in Ghana? Avrebbe dovuto andare in Kenya, paese dal quale viene la sua famiglia; ma il Kenya si trova in una situazione di insicurezza e di guerriglia per i contrasti fra le varie etnie, mentre il Ghana è oggi uno dei paesi più pacifici e democratici dell’Africa nera, che sta incamminandosi bene verso la democrazia e lo sviluppo.
Obama ha scelto il Ghana per dare un segno agli africani di come vuole tutta l’Africa, poi ha indicato con parole forti la via per la rinascita del continente, che ancora fatica a uscire dalla morsa del sottosviluppo. Parlando al Parlamento del Ghana, ha incominciato ricordando le sue origini africane: “Io ho dentro di me il sangue dell’Africa. Mio nonno faceva il cuoco per gli inglesi in Kenya, e nonostante fosse un anziano rispettato nel suo villaggio i suoi datori di lavoro lo chiamarono “boy” (ragazzo) per buona parte della sua vita. Mio padre crebbe pascolando le capre in un minuscolo villaggio, lontanissimo dalle università americane dove sarebbe poi andato per ricevere un’istruzione”.
Il Presidente della maggior potenza mondiale si presenta come africano e la sua stessa persona dimostra che “il futuro dell’Africa spetta agli africani”, anche se oggi l’Africa è rimasta “drammaticamente indietro. Malattie e conflitti hanno devastato intere parti del continente africano”. Ma, ha aggiunto Obama, “è troppo facile addossare ad altri la colpa di questi problemi. L’Occidente non è responsabile della distruzione dell’economia dello Zimbabwe nell’ultimo decennio o delle guerre in cui vengono arruolati bambini tra i combattenti. Ma io sono convinto che questo sia un nuovo momento di promesse. Non saranno giganti come Nkrumah o Kenyatta a plasmare il futuro dell’Africa. Sarete voi. E soprattutto, saranno i giovani”.
Quattro i pilastri della rinascita africana: democrazia, opportunità per tutti, lotta alle epidemie e risoluzione pacifica dei conflitti. “La prima cosa da fare è sostenere governi democratici e onesti. Nessun Paese riuscirà a creare ricchezza se i suoi leader sfruttano l’economia per arricchirsi, o se la polizia può essere comprata da trafficanti di droga. Questa non è democrazia, questa è tirannia ed è tempo che finisca. Possiamo star certi di una cosa: la storia è al fianco degli africani valorosi, non al fianco di chi usa colpi di Stato o modifiche costituzionali per rimanere al potere. L’Africa non ha bisogno di uomini forti, ha bisogno di istituzioni forti”.
“Questo continente è ricco di risorse naturali”, continua il Presidente americano e gli africani hanno la responsabilità di realizzare le potenzialità dell’Africa, “trasformando la crisi attuale in opportunità”. Poi ha detto: “Voglio essere chiaro: per tanti, troppi africani i conflitti armati sono parte dell’esistenza. Questi conflitti sono una pietra al collo per l’Africa. Dobbiamo combattere la mancanza di umanità in mezzo a noi. Non è mai giustificabile prendere di mira innocenti in nome dell’ideologia. Costringere i bambini a uccidere in guerra è la sentenza di morte di una società. Condannare le donne a stupri incessanti e sistematici è un segno estremo di criminalità e di vigliaccheria. Dobbiamo dare testimonianza del valore di ogni bambino del Darfur e della dignità di ogni donna del Congo. Nessuna fede o cultura può giustificare le offese contro di essi. Quando in Darfur c’è un genocidio o quando in Somalia ci sono i terroristi, queste sono sfide che riguardano la sicurezza globale ed esigono una risposta globale. Ecco perché siamo pronti a collaborare attraverso l’azione diplomatica, l’assistenza tecnica e il supporto logistico, e sosterremo gli sforzi per portare i criminali di guerra di fronte alla giustizia”.
Parole forti, accuse precise che nessuno aveva mai pronunziato in Africa. Per concludere riprendendo il massaggio di fondo della sua visita: “Come ho detto prima, il futuro dell’Africa spetta agli africani…. E sto parlando in particolare ai giovani. Questo è quello che dovete sapere: il mondo sarà come voi lo costruite. Voi avete la forza per chiamare i vostri leader a render conto del proprio operato, per costruire istituzioni che siano al servizio del popolo. Potete sconfiggere le malattie, mettere fine ai conflitti e creare il cambiamento partendo dal basso. Potete farlo. Sì, voi potete. Perché ora la storia sta cambiando”.
“Yes, you can!” ha tuonato il Presidente americano rivolto ai giovani: Sì, voi potete! Un messaggio di speranza e di fiducia. Due brevi riflessioni:
1) “E’ troppo facile addossare agli altri le colpe di questi problemi”. L’Occidente deve prendere coscienze delle proprie colpe, passate e presenti e coltivare verso i fratelli africani gli stessi sentimenti di fiducia e di disponibilità del Presidente americano. Ma anche gli africani, soprattutto gli “intellettuali” e le élites politiche, culturali e religiose del continente debbono rendersi conto delle proprie colpe e responsabilità. Noi in Italia e in Europa, non facciamo un buon servizio all’Africa se continuiamo solo e sempre ad attribuire all’Occidente le colpe dei drammi e dei fallimenti africani. Quando si parla e si scrive dei problemi africani, vengono alla ribalta i temi di sempre: colonialismo, neo-colonialismo, multinazionali, sfruttamento materie prime, oro e diamanti, vendita di armi, debito estero, ecc… Mai che si protesti contro l’analfabetismo, la corruzione dei governi africani, le divisioni e le guerriglie tribali, le dittature, l’instabilità politica che scoraggia gli investimenti dall’estero, la mancanza di strade (persino quelle fatte al tempo del colonialismo spesso non sono mantenute efficienti), ecc.
2) Obama ha indicato i quattro pilastri della rinascita africana: democrazia, possibilità per tutti, combattere le epidemie e risoluzione pacifica dei conflitti. Nel suo discorso non ha sviluppato il secondo pilastro: penso che con “possibilità per tutti” volesse indicare la scuola per tutti (la scuola vera non le povere scuolette africane di villaggio, senza libri e quaderni, con 80-100 alunni per classe!), per dare a tutti i bambini e le bambine eguali possibilità di crescere e di partecipare alla lotta per il buon governo e lo sviluppo. Con il 50% di analfabeti (e non pochi degli “alfabetizzati” sono “analfabeti di ritorno”), l’Africa purtroppo non va da nessuna parte: non può avere governi democratici e non può svilupparsi in un mondo super tecnicizzato come il nostro.
Piero Gheddo