Musilmani in Italia – La visione del card. Biffi (II)

      

 

 

    Dopo il testo del card. Biffi su questo tema del 5 febbraio scorso, ecco il secondo (che completa il primo), tratto parzialmente da un intervento fatto il 20 settembre 2001 (9 giorni dopo l’atroce attentato del fanatismo islamico alle Due Torri di New York) al Convegno dell’ “Istituto Veritatis Spendor” su “Multiculturalità e identità oggi” (testi tratti dal suo volume: “Liber Pastoralis Bononiensis”, EDB, 2002, pagg. 86,  alle pagg. 780-789).

 

   

                            Gli auspici per lo Stato e la Società civile

 

    L’auspicio esistenziale che crediamo di dover formulare per lo Stato e la società civile, è che si chiariscano e che siano comunemente accolte alcune persuasioni previe, sicché ci si accosti al fenomeno dell’immigrazione provvisti di una “cultura” plausibile largamente condivisa. E’ incontestabile, per esempio, il principio che a ogni popolo debbono essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni che gli consentono non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo quanto è richiesto dalla dignità umana. Gli organismi internazionali sono sollecitati a farsi carico delle iniziative atte a conseguire questa meta e non possono perdere di vista questo necessario ideale di giustizia distributiva generale; e tutto ciò vale – in modo proporzionato e secondo le reali possibilità – anche per i singoli stati. Ma non se ne può dedurre – se si vuole essere davvero “laici” oltre tutti imperativi ideologici – che una nazione non abbia il diritto di gestire e di regolare l’afflusso di gente che vuole entrare ad ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere.

    Bisogna piuttosto dire che ogni auspicabile progetto di pacifico inserimento suppone ed esige che gli eccessi siano vigilati e regolamentati. E’ tra l’altro davanti agli occhi di tutti che gli ingressi arbitrari – hanno fama di essere abbastanza agevolmente effettuabili – determinano fatalmente da un lato il dilatarsi incontrollato della miseria e della disperazione (e spesso pericolose insorgenze di intolleranza e di rifiuto assoluto), dall’altro il prosperare di un’industria criminale di sfruttamento di chi aspira a varcare clandestinamente i confini.

 

                                 Progetti realistici complessivi

 

     Ciò che dobbiamo augurare al nostro Stato e alla società italiana è che si arrivi presto ad un serio dominio della situazione, in modo che il massiccio arrivo di stranieri nel nostro paese sia disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di inserimento che mirano al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.

    Tali progetti dovrebbero contemplare tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti: per questa strada si potrà arrivare ad un sicuro innesto entro il nostro organismo sociale, senza discriminazioni e senza privilegi. Chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell’ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che suscitare e favorire perniciose crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l’insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.

 

                                                Criteri attuativi

 

      La pratica attuazione di questi progetti obbedirà necessariamente a criteri che saranno anche economici: l’Italia ha bisogno di forze lavorative che non riesce più a trovare nell’ambito della sua popolazione. A questo proposito, dovrebbero essere tutti ormai persuasi di quanto sia stato insipiente la linea perseguita negli ultimi 40 anni, con l’ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l’assenza di ogni correttivo legislativo che ponesse qualche rimedio all’egoistica e stolta denatalità, da molto tempo ai vertici delle statistiche mondiali. Tutto questo nonostante l’esempio contrario delle nazione d’Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo intelligenti e realistici provvedimenti.

 

                           La salvaguardia dell’identità nazionale

 

    Ma i criteri di cui si parla non potranno essere soltanto economici e previdenziali.

Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semiabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.

     Sotto questo profilo, uno Stato davvero “laico” – che cioè abbia di mira non il trionfo di qualche ideologia ma il vero bene degli uomini e delle donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro – dovrebbe avere fra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente verificato tra le popolazioni latine e quelle germaniche soppravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità.

    Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo “si inculturino” nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizioni di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte. A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione. In una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all’onestà delle intenzione e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l’inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti dei molti paesi dell’Est-Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta – essendo “laicamente” motivata – non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili critiche sollevate dall’ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche.

    Come si vede, si propone qui semplicemente il “criterio dell’inserimento più agevole e meno costoso”: un criterio totalmente ed esplicitamente laico, a proposito del quale evocare gli spettri del razzismo, della xenofobia, della discriminazione religiosa, dell’ingerenza clericale e perfino della violazione della Costituzione, sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale, se effettivamente si verificasse ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani.

 

                                   Il caso dei musulmani

 

    Se non si vuol eludere e censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo ad occhi aperti e senza illusioni. Gli islamici – nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione – vengono a noi risoluti a restare estranei alla nostra “umanità”, individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più “laicamente” irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente “diversi”, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.

    Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione delle donne lontanissima della nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti, Non sono dunque gli uomini di Chiesa ma gli Stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo.

    Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell’importanza delle libertà civili (fra cui quella religiosa) e nei principi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quella della richiesta che venga data “reciprocità” non puramente verbale da parte degli Stati di origine degli immigrati.

    Scrive a questo proposito la nota CEI del 1993: “In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono acconsentite manifestazioni religiose fuori dell’islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E’ questo un problema che non interessa solo la Chiesa ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il Papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa” (“Ero forestiero e mi avete ospitato”, 34: ECEI 5/2024). Ma – diciamo noi – chiedere serve poco, anche se il Papa non può fare di più.

    Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il “principio di reciprocità” da parte di uno Stato davvero “laico” e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri.

 

                                  Cattolicesimo – “religione nazionale storica”

  

    Quanto ai rapporti da intrattenere con le diverse religioni, che sono presenti tra noi in conseguenza dell’immigrazione,  sarà bene che nessuno ignori e dimentichi che il cattolicesimo – che indiscutibilmente non è più la “religione ufficiale dello Stato” – rimane non di meno la “Religione storica” della nazione italiana, la fonte precipua della sua entità, l’ispirazione determinante delle nostre più vere grandezze. Sicché è del tutto incongruo assimilarlo socialmente alle altre forme religiose e culturali, alle quali dovrà essere assicurata piena e autentica libertà di esistere e di operare, senza però che questa comporti un livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà .

    Va anche detto che è una singolare visione della democrazia il far coincidere il rispetto degli individui e delle minoranze con il non rispetto della maggioranza e l’eliminazione di ciò che è acquisito e tradizionale in una comunità umana. Dobbiamo qui segnalare purtroppo casi sempre più numerosi di questa, che è una “intolleranza sostanziale”, per esempio quando nelle scuole si aboliscono i segni e gli usi cattolici per la presenza di alunni di altre fedi.

 

                                               Conclusione

 

     In una intervista di una decina di anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: ”Ritiene anche lei che l’Europa o sarà cristiana o non sarà?”. Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento. Io penso – dicevo – che l’Europa o diventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale che sembra essere l’atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam, che non mancherà: solo la scoperta dell’ ”avvenimento” cristiano come unica salvezza dell’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso da questo inevitabile confronto.

    Purtroppo né i “ laici, né i cattolici” pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgano di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersi troppo tardi. I “cattolici”, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice dialogo ad ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.

    La speranza è che la gravità della situazione possa ad un certo momento portare ad un efficace risveglio sia della ragione sia dell’antica fede. E’ il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.