Cosa insegna la storia recente

 

    Sono stato due mesi a Roma (aprile-maggio 2010) per esaminare, purificare e portare a Milano i libri che ancora mi possono servire e il materiale scritto accumulato in 16 anni a Roma sul tema missionario.  E’ una pena vedere come, negli ultimi cinquant’anni, sono tramontati tanti modelli e ideologie, che hanno suscitato entusiasmo e dedizione nei popoli poveri e poi sono falliti; e anche in Occidente sono stati sostenuti con foga da non pochi cattolici convinti e praticanti. Per grazia di Dio, mi sono sempre battuto contro questi falsi ideali di “liberazione” che mi apparivano destinati al fallimento per la loro radice pagana e disumana.

    Il crollo di un mito rivoluzionario lascia sempre tanti orfani: orfani di Mao, orfani del Vietnam di Ho Chi Minh e dei Khmer rossi di Pol Pot, orfani di Fidel Castro e di Che Guevara, orfani di altri miti minori ma non meno coinvolgenti: Sandinisti del Nicaragua,  Thomas Sankara del Burkina Faso, Samora Machel del Mozambico, Eduardo Dos Santos dell’Angola, Sekù Turé della Guinea Konakry, Amilcar Cabral e i guerriglieri della Guinea Bissau, Menghistu dell’Etiopia, Afeworki dell’Eritrea, Robert Mugabe dello Zimbabwe, Siad Barre della Somalia, tutti dittatori o movimenti (li ho visto sul posto) che avevano sposato l’ideologia marxista-leninista-maoista, già fallita in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est, ma ancora capace di suscitare speranze sia nelle élites dei popoli poveri che in Occidente e in Italia.

    Non c’è in me alcune intenzione di irridere alle illusioni generose di tanti fratelli e sorelle. Quei modelli erano palloni gonfiati e si sono sgonfiati, erano sogni e sono svaniti uno ad uno per la logica implacabile della storia, che ci insegna questo: la rivoluzione violenta e le guerriglie di liberazione (ispirate al marxismo-leninismo-maoismo e sostenute  dall’Urss e dalla Cina) quando conquistano il potere diventano regimi peggiori di quelli contro i quali si è combattuto per  “liberare il popolo”. Il cammino della sinistra italiana, in questo quadro globale, sembra sfociare in un orfanotrofio, pieno di orfani di tutte le rivoluzioni violente e delle guerriglie di liberazione. Fra le decine che le sinistre hanno esaltato e appoggiato, non se ne salva nemmeno una! Ho buttato via quasi tutti i ritagli di giornali e di riviste che sostenevano queste “liberazioni” illusorie. “Parce sepultis”, dicevano i latini, “Lascia che i morti seppelliscano i morti” dice Gesù.

     Forse i più giovani fra i miei pochi lettori non mi capiscono. Ma sto parlando di lotte politiche e sociali di popoli lontani che dagli anni sessanta fino ai novanta del Novecento hanno spaccato in due l’opinione pubblica italiana e anche cattolica. Porto un solo esempio per farmi capire. I “sandinisti” in Nicaragua (dal nome di Augusto Nicolàs Sandino (1895-1934) che aveva organizzato una rivolta contro la presenza militare degli Usa negli anni dal 1927 al 1933), erano giunti al potere nel 1980 dopo la rivoluzione vittoriosa contro il dittatore Somoza, uomo nefasto per il paese e il popolo, contro il quale scrissi nei miei articoli su “Avvenire” e in “Mondo e Missione” dopo il viaggio in Nicaragua del 1979.

    Negli anni ottanta, i sandinisti avevano suscitato un entusiasmo non giustificato dal loro governo rivoluzionario, decaduto dopo le elezioni del 1990 quando venne eletto Presidente il rappresentante del partito loro opposto con il 55% dei voti (i Sandinisti ebbero solo il 40%). Ecco alcune espressioni tratte da ritagli della stampa italiana (anche cattolica) di quegli anni ottanta:  “Il Nicaragua è il paese dell’America Latina dove il Vangelo trova le migliori condizioni per essere annunziato e vissuto”; “In Nicaragua, fin che esisterà il Sandinismo esisterà il cristianesimo”; “Sandino ieri, oggi e sempre”; “Chi opta per la rivoluzione dei Sandinisti opta per la vita; chi opta per la controrivoluzione dei Contras opta per la morte e non è cristiano”: “la Chiesa popolare del Nicaragua è per Sandino” .

    Infatti i vescovi condannavano il movimento rivoluzionario che toglieva libertà alla Chiesa e all’opposizione e realizzava un programma chiaramente  ispirato a quello della vicina Cuba comunista. E’ solo un esempio. Ne potrei citare altri simili.

      Concludo. Tutte le ideologie e tutti i sistemi politici, di destra o di sinistra o di centro, sono inevitabilmente caduchi, tramontano in pochi anni o decenni. Il cristiano fa la sua scelta secondo il Vangelo e la propria coscienza  (tenendo anche conto degli orientamenti che dà la Chiesa), per ottenere il maggior bene comune possibile o anche evitare il peggior male. Con passione e dedizione, ma senza assolutizzare nulla, perchè di assoluto c’è solo Dio.

Piero Gheddo

 

 

 

 

 

La nostra piccola missione quotidiana

 

  

     Il 14 giugno scorso (alla sera c’è la partita di calcio Italia-Paraguay per il Campionato mondiale in Sud Africa) vado dall’occhialaio a ritirare un paio di occhiali. Li provo, vanno bene, pago con uno sconto e dico:

     “Grazie e auguri”.

     “Auguri anche a lei, che le vada sempre bene”.

     “Ma io le facevo gli auguri per un altro motivo”.

     “Che questa sera vinca l’Italia?”.

     “Sì, ma è scontato”.

     “E allora, per cosa?”.

     “Che Dio la benedica e sia sempre con lei e la sua famiglia”.

     “Ha ragione, ne abbiamo proprio bisogno”.

     Il negozio è deserto, sono le tre e un quarto del pomeriggio. Segue un’amichevole chiacchierata con sue domande e mie risposte sul valore della preghiera che “dà una marcia in più nella vita, perché quando io prego sento in me la forza e il calore di Dio che ci vuole bene, perché è Padre di tutti noi. Quando si prega, si vive meglio”.

     Se mi capita l’occasione, cerco sempre di richiamare in modo naturale la presenza di Dio, di Gesù, della Madonna, dei santi nella nostra vita. Il nostro mondo secolarizzato ci porta a vivere “come se Dio non esistesse”, mentre sono convinto che la grandissima maggioranza degli italiani conservano un certo senso religioso della vita. Il problema è che non se ne parla mai, nemmeno in famiglia, tra amici, sui mass media, nelle scuole.

     Parlare di Dio, della preghiera, di Gesù Cristo, è un tema tabù, mentre dovrebbe essere uno degli argomenti fondamentali nell’educazione dei giovani e nella nostra vita di adulti e di anziani. In fondo, è quello che conta davvero e più vai avanti negli anni e più te ne accorgi.

    Ecco perché chi ha avuto la fortuna di ricevere e conservare la fede, ha anche l’impegno di trasmettere agli altri la propria fede. Senza fare prediche o essere importuni, ma in modo naturale, perché la situazione in cui ci troviamo lo richiede. “Quello che gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente datelo”, dice Gesù. Se questo vale per i soldi, perché non dovrebbe valere per la fede?

                                                                                             Piero Gheddo

                                                      

 

Scrive un missionario dalla Tanzania

 

 

   Carissimo p.Piero, sono un sacerdote diocesano di Roma (ma originario di Treviso), missionario fidei donum in Tanzania. Ho letto con piacere, come sempre, il tuo articolo sull’assenza di sacerdoti italiani tra i nuovi ordinati del Pime e lo condivido in tutto. Venendo la mia vocazione dal Cammino Neocatecumenale, mi chiedo: possibile che tanti ordini religiosi non si rendano conto della bellezza straordinaria delle nuove realta’ ecclesiali? Possibile che ci sia ancora (dopo decenni) un cosi’ generale rifiuto da parte di tanta Chiesa ufficiale? Possibile che non si vedano i frutti e non si accolgano? Non sarebbe ora di riconoscerli nei fatti come dono dello Spirito Santo che puo’ fecondare istituti religiosi e diocesi? Eppure, a fronte di tante vocazioni che producono le nuove realta’ ecclesiali, e il Cammino tra queste, sono praticamente snobbate. Poco male, ci sarebbe da dire, se altrove le cose andassero bene. Ma le cose tanto bene non vanno.

     Ti faccio un esempio: nel mio piccolo paesello in provincia di Treviso (Santrovaso di Preganziol), dove fino a qualche tempo fa ancora esisteva un seminario del Pime, ora venduto, in cui da ragazzino andavo a fare i “Congressini missionari”, la mia parrocchia conta, dopo quasi 30 anni di presenza del Cammino Neocatecumenale, 4 nuovi sacerdoti e 4 seminaristi in procinto di diventarlo e uno stuolo di ragazzi con 3, 4, 5, 8, 9 fratelli che si stanno preparando per entrare in seminario non appena l’eta’ lo consenta… Io stesso sono secondogenito di 8 figli e ho un altro fratello già ordinato sacerdote presso il Seminario ‘Redemptoris Mater’ di Varsavia.

     Questo per dire semplicemente che la risposta alla crisi demografica, almeno all’interno della Chiesa, c’e’ eccome… E cosi tante famiglie di altre nuove realta’ della Chiesa… E perchè non dire chiaramente che dal ’68 in poi anche tanti preti hanno letteralmente tradito il magistero della Chiesa sull’apertura alla vita, consigliando di limitare le nascite senza motivi e insegnando i metodi naturali con modalita’ contraccettive?

     Ha ragione il Card. Bagnasco, ha totalmente ragione, ma tanti sacerdoti e vescovi, in Italia e in Europa, dovrebbero andare dal Papa e chiedere perdono perchè l’Humanae Vitae è rimasta assolutamente inascoltata, respinta e disprezzata proprio da chi la doveva difendere e diffondere. Mi hanno raccontato addirittura che nei decenni passati si organizzavano nelle nostre campagne incontri dell’Azione Cattolica (allora ancora solida e forte) per insegnare come non avere figli!!! E oggi purtroppo piangiamo sulla crisi demografica…

   Non vorrei sembrarti un pessimista o risentito ma credo che la rigenerazione della Chiesa passi anche attraverso l’ammissione di questo tipo di colpe nei confronti di Pietro e nei confronti del popolo di Dio. Altrimenti continueremo a fare tanti dibattiti e a produrre tanti documenti ma le cose rimarranno tali e quali. Da parte mia sono semplicemente stupefatto delle meraviglie di vocazioni che vedo intorno a me (sono tra l’altro rettore di un piccolo seminario di

16 ragazzi) ma, come si dice dalle nostre parti, “mi piange il cuore” 

al vedere il mio caro Pime e altre gloriose istituzioni ridotte ai minimi termini, perlomeno in Europa.

Un abbraccio. Il Signore benedica la tua missione.

 

don Michele Tronchin, Dar es Salaam (Tanzania)

 

Carissimo padre Michele,

                        che gioia ricevere e leggere la tua lettera! Grazie della bella testimonianza che dai con queste parole. Conosco poco il Cammino Neo-catecumenale sebbene li abbia visto ad esempio un 24-25 vocazioni sacerdotali e missionarie nel loro seminario teologico a Kaoshiung in Taiwan, dov’era rettore padre Antonio Sergianni del Pime, che ora è a Roma come consultore di Propaganda Fide per la Cina. Conosco abbastanza da vicino C.L. a Milano e vedo che anche loro raccomandano di avere molti figli, diverse famiglie cielline li hanno e, attraverso un’educazione seriamente cattolica in famiglia, le vocazioni sacerdotali e religiose con l’aiuto di Dio vengono.

   Bisogna far conoscere queste realtà della Chiesa italiana e personalmente cerco di fare il possibile, anche se il discorso sui movimenti è abbastanza lungo e complesso. Ma nei miei articoli (vedi il Sito www.gheddo.piero.it) li cito spesso. Proprio questa mattina mi ha scritto l’amico Antonio Gaspari di Roma, gli mando il Blog perché sia pubblicato su Zenit nel giorno stessi del mio Sito internet, il quale mi segnala un’altra famiglia neo-catecumenale e romana con sei figlie giovani, che vanno a stabilizzarsi ad Hong Kong per lavoro e come missionarie.

  I miei due Blog sulle poche  vocazioni sacerdotali e missionarie in Italia (8 e 12 giugno) avevano appunto questo scopo. Di far riflettere i missionari e il “movimento missionario” in Italia, che anche il nostro carisma missionario può suscitare un “movimento” nella Chiesa, di entusiasmo della fede e di amore al Papa (e di vocazioni sacerdotali-religiose), se noi ci rendiamo conto di quel che potremmo essere, animando missionariamente la Chiesa italiana invece di fare campagne d’opinione pubblica suil debito estero, la vendita delle armi, la privatizzaione delle acque e altri temi che ci fanno perdere l’identità missionaria e le vocazioni dei giovani. Ciao, ti saluto con affetto Dio ti benedica, tuo padre

                                                                                                    Piero Gheddo

 

 

“Il matrimonio? Voler il bene dell’altro”

 

     Alcuni giorni fa ho fatto un bel viaggio in auto dal Pime di  Roma al Pime di Milano in sei ore giuste (circa 600 km.), con Giovanni Radaelli, un amico di Cinisello Balsamo (Milano) che mi ha liberato dalla guida (ore 6 – 12), permettendomi di godere il meraviglioso panorama che l’Italia centrale offre in primavera. Da 16 anni ero, più o meno, un mese a Roma e uno a Milano, viaggiando quasi sempre in auto da solo. Questa volta sono venuti due amici del Pime a prendermi con un furgoncino (guidato da Giovanni Cantoni) che ha portato tutto il mio materiale al Pime di Milano (soprattutto libri). Se Dio vuole, mi stabilizzo a Milano, dov’era la mia residenza prima dei 16 anni a Roma per l’Ufficio storico del Pime, che in questo tempo ha prodotto, con l’aiuto di collaboratori, 32 libri e otto Quaderni dall’Archivio generale del Pime a Roma.

 

     Interessante la chiacchierata con l’amico che mi ha accompagnano. Un normale italiano di 65 anni da poco in pensione, sposato con tre figli, che fa molto volontariato per la parrocchia e il Pime. Interessante perché noi preti abbiamo poco tempo per entrare in contatto prolungato con le famiglie e quando ne ho l’occasione mi piace sentire raccontare come vivono le famiglie normali. L’amico si dichiara cattolico, abbiamo anche detto il Rosario per strada.

     Gli chiedo da quanti anni è sposato. “Mi sono sposato a 25 anni e sono sposato da quarant’anni. Quando mi capita di dire questo ad un giovane, spesso mi chiede: con una donna sola? Alla mia risposta positiva si meraviglia e mi chiede come è possibile un matrimonio così lungo. Gli spiego che se ti sposi davvero per amore e ti doni totalmente a tua moglie, come la moglie si dona al marito, si crea un legame fortissimo che ti permette di continuare a volerle bene. Il matrimonio è un’avventura meravigliosa se c’è amore vero, cioè donazione totale, mentre fallisce se c’è egoismo. Il principio base è di volere rendere felice la persona che hai sposato, condividendo tutto con lei: se è felice lei, sono felice anch’io. Per esempio, noi i soldi che avevamo e che abbiamo guadagnato li abbiamo sempre messi assieme, non c’è mai stata fra noi nemmeno l’ipotesi di poterci separare o divorziare”.

     Chiedo all’amico se ci sono contrasti e difficoltà e come li risolvono. “Certo, dice, si possono avere idee diverse su alcune soluzioni da prendere. Le difficoltà non mancano. Importante essere sinceri e discuterne assieme per scegliere la soluzione migliore. Qualche volta bisogna anche cedere e rinunziare alla propria idea per andare d’accordo. Ma se c’è amore e umiltà non costa nemmeno fatica. Debbo anche aggiungere che mi sono sposato con mia moglie dopo sei anni di fidanzamento e il nostro aiuto per un buon matrimonio è stata la preghiera e l’intesa sulla pratica della fede. Sia io che mia moglie eravamo religiosi e anche da sposati abbiamo continuato ad andare in chiesa e all’oratorio, ad essere utili alla parrocchia. E adesso a fare del volontariato. Dio ci ha aiutati molto. La fede e la preghiera sono il sostegno più forte per una vita serena e felice, nonostante le sofferenze e le difficoltà”.

     Siete contenti dei vostri figli? “Contentissimi. Due sono sposati e uno ancora in casa e lavorano, hanno sempre lavorato anche quand’erano giovani, non hanno mai aspettato di avere un lavoro di loro gradimento. Poi, oltre all’oratorio, a scuola hanno incontrato il movimento di C.L., che ha dato molto alla loro educazione: le amicizie, il sacerdote che li guida, le occasioni anche di fare pellegrinaggi, ritiri spirituali, discussioni sui temi di attualità visti alla luce della fede. Noi genitori apprezziamo molto la loro appartenenza al movimento. Adesso abbiamo cinque nipoti e altri ne arriveranno”.

     Chiedo all’amico se la sua famiglia sente la crisi economica che sta devastando l’Europa e anche l’Italia. Risponde: “La sentiamo nell’atmosfera di lamento e di pessimismo che c’è in giro e naturalmente anche nel dover risparmiare. Ma il necessario,  grazie a Dio, non ci è mai mancato. Debbo dire che quando penso alla vita mia e di mia moglie, ci sentiamo fortunati. Non eravamo ricchi e non lo siamo, ma abbiamo potuto avere la casa nostra, l’automobile e tante altre comodità che quarant’anni fa nemmeno si sognavano. Capisco le difficoltà delle famiglie nelle quali c’è vera disoccupazione, ma non capisco il pessimismo e il lamento generale che si sente. Penso che non apprezziamo abbastanza la fortuna di essere nati e vissuti in Italia e la fortuna di avere ereditato la fede, che costa fatica praticare, ma ti dà una marcia in più in ogni circostanza della vita”.

                                                                                      Piero Gheddo

“Chi è il missionario oggi?”

   La famiglia è in crisi, siamo nel sottozero demografico. “l’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico”, dice il Presidente della Conferenza episcopale italiana card. Angelo Bagnasco (25 maggio 2010). Ci sono pochi bambini ed è inevitabile che diminuiscano i preti, le suore, i giovani che consacrano la loro vita a Dio e alla Chiesa. Gli istituti missionari vedono diminuire anche i missionari italiani, proprio negli anni in cui i vescovi dei territori missionari chiedono nuovo personale missionario (vedi il Blog dell’8 giugno scorso).

 

      Si dice spesso che oggi il “missionario”  ha fatto il suo tempo: la Chiesa è fondata in ogni parte del mondo e il compito della missione passa alle Chiese locali e alla comunione fra le Chiese. E’ una delle tante indebite assolutizzazioni del post-Concilio, che non corrisponde a verità: la realtà infatti dice tutto il contrario. Vorrei mi si spiegasse come mai il solo Pime, che è uno dei tanti istituti missionari, negli ultimi trent’anni è stato invitato a mandare missionari nei seguenti paesi in cui non eravamo presenti: Papua Nuova Guinea (ci siamo andati nel 1981), Taiwan (nel 1986), Cambogia (nel 1990), Messico (nel 1991), Colombia (ma era da poco iniziata la missione in Messico e non siamo andati), Algeria (nel 2006); e l’Istituto ha rifiutato altri inviti da Corea del Sud, Malesia (Borneo), Kazakhistan, Angola, Etiopia, Libia, Senegal, ecc. (per non ricordarne diversi altri dell’America Latina).     

 

     Contra factum non valet argumentum, dicevano i latini: la realtà contraddice la teoria che il missionario è una figura d’altri tempi, non più attuale nella Chiesa. E’ vero che missione alle genti è cambiata molto anche dal Concilio ad oggi, ma cambiano anche gli istituti missionari ed i missionari. Andando a servizio delle Chiese locali e dei loro popoli, cambia la formazione dei missionari e cambiano gli stessi istituti. Comunque a me pare che, proprio in questo tempo di globalizzazione (il mondo che diventa un piccolo villaggio), il missionario dovrebbe e potrebbe diventare una figura sempre più attuale, se solo mantenesse, in Italia (e più in genere in Occidente), la sua identità, il suo carisma, la sua carica di entusiasmo evangelizzatore.

 

     Questo oggi è il vero problema di noi missionari e istituti missionari. Chi è il missionario? Nell’opinione pubblica e nella stima comune eravamo gli inviati dalla Chiesa ad annunziare e testimoniare Cristo e fondare nuove comunità cristiane fra i popoli non cristiani: una figura fortemente rappresentativa della fede in Cristo portata agli estremi confini della terra. Oggi siamo un po’ di tutto. Dal tempo entusiasmante del  Concilio Vaticano II (1962-1965), che aveva rilanciato con forza la missione universale, in pochi anni siamo precipitati nella confusione di idee del Sessantotto, rimanendo travolti dalle “mode culturali” del tempo. Viviamo nel “tempo dell’immagine”, noi missionari e il nostro “movimento missionario in Italia” non ce ne siamo ancora accorti. Ci siamo resi conto che la nostra “immagine” è decaduta?  

     L’immagine del missionario si è a poco a poco  politicizzata e siamo finiti in una marmellata di buonismo, che è diventato la cultura di base del popolo italiano. Sul campo, i missionari continuano il loro lavoro con spirito di sacrificio e di fedeltà al carisma, in Italia l’immagine del missionario cambia, secondo me non li rappresenta più.

 

     Se guardo le riviste missionarie di quarant’anni fa, mi accorgo che gli articoli sulla missione, l’evangelizzazione dei popoli, le conversioni, i catecumeni, le novità delle giovani Chiese, l’annunzio di Cristo nelle culture, la presentazione di figure di missionari e delle loro esperienze, erano alla base delle riviste e dei libri missionari, si parlava spesso di vocazione missionaria a vita e ad gentes, proponendola in modo concreto ai giovani.     

     Oggi, se cerco nel volume “Bibliografia missionaria”, edito annualmente dalla Biblioteca della Pontificia Università Urbaniana (la seguo da più di mezzo secolo),  che monitora gli articoli dell’anno precedente, mi accorgo che di anno in anno diminuiscono le voci “missione”, “evangelizzazione”, “vocazione missionaria”; in compenso aumentano quelle che riguardano temi collaterali (pace nel mondo, sviluppo, aiuti internazionali, debito estero, ecc.).

     Ci sono riviste che si dicono “missionarie” e di missionario hanno poco o nulla; “Centri culturali” di istituti missionari che nel corso di un anno organizzano molte conferenze, ma su temi della missione alle genti quasi niente e sui missionari in carne ed ossa nulla; librerie di istituti missionari che si suppone vendano libri missionari al pubblico, che in vetrina mettono tutt’altro; animatori missionari che parlano di “mondialità” e poco o nulla di “missione”; comunità di missionari che hanno perso l’entusiasmo della missione alle genti e la buona abitudine di parlare della loro vocazione, spiazzati dall’indifferenza del mondo moderno. E potrei continuare. E’ una deriva generalizzata della quale non incolpo nessuno, ma che ci ha fatto perdere la nostra identità.

 

     Sono convinto che non esiste nella mentalità comune del popolo italiano una figura più incisiva e più universalmente accolta di quella del missionario e dell’ideale missionario. Ma noi, per timore di essere considerati “intregralisti” e per malinteso senso del “dialogo”, non osiamo più parlare di conversioni a Cristo; mortifichiamo le esperienze missionarie sul campo; riduciamo la missione della Chiesa agli aiuti a lebbrosi e affamati; siamo “a servizio della Chiesa locale” ma dimenticando che questo servizio dovrebbe essere soprattutto di animare missionariamente il gregge di Cristo; pensiamo di fare “animazione missionaria” denunziando e facendo campagne nazionali contro chi produce e vende armi e altri temi certo positivi, ma che non sono “animazione missionaria”; in passato nelle solenni “veglie missionarie” alla vigilia della Giornata missionaria mondiale si sentivano le testimonianze dei missionari sul campo, preti, suore, fratelli, volontari laici, oggi capita di sentire che in alcune “veglie missionarie”, organizzate da “gruppi missionari”, si contesta la produzione delle armi o la privatizzazione delle acque e parlano esperti di questi temi. Ma è possibile che un giovane o una ragazza sentano la voce dello Spirito che li chiama a diventare missionari in marce di protesta come queste?

  

    Indro Montanelli rifletteva bene la mentalità comune del suo tempo, quando mi diceva (collaboravo al suo “Il Giornale” e poi a “La Voce”): “Voi missionari siete tutti eroi”, io gli ribattevo che non è affatto vero, siamo uomini come gli altri con una vocazione particolare nella Chiesa. Ma oggi, quando il buon Dio ci manda dei testimoni autentici, i “santi” del nostro tempo da lanciare come “eroi positivi” per colpire l’immaginazione dell’opinione pubblica, l’animazione missionaria “unitaria” li dimentica per non “creare degli eroi” e non cadere nel “trionfalismo”.

     Mi viene in mente padre Giuseppe Ambrosoli (1923-1987), missionario comboniano medico di una facoltosa famiglia di industriali (l’industria del miele Ambrosoli) che ho visitato all’ospedale di Kalongo nell’Uganda travagliata dalla guerra. Al quale la rivista che dirigevo “Mondo e Missione” ha dedicato un servizio speciale (dicembre 1987, venti pagine) di Roberto Beretta e altri articoli. Una figura meravigliosa sulla quale è stata pubblicata una rapida biografia alla Emi e poco più; penso a Marcello Candia (1915-1983), anche lui figlio di un padre fondatore dell’industria chimica in Lombardia (all’inizio del Novecento), che dopo una vita da manager industriale vende tutto e va con i missionari in Amazzonia dove spende gli ultimi suoi 18 anni vivendo poveramente e costruendo, fra molti contrasti e opposizioni, opere sanitarie ed educative per i lebbrosi, i caboclos e gli indios: quando è morto (1983) le riviste missionarie gli hanno dedicato poco spazio e una ha scritto: “Ha costruito un ospedale in Amazzonia, ma questo è facile per lui che aveva molti soldi”, ignorando tutto della sua vita di autentico “martire della carità”; penso a padre Clemente Vismara (1897-1988), missionario in Birmania per 65 anni, che i vescovi locali hanno definito “il Patriarca della Birmania” (se Dio vuole sarà beatificato l’anno prossimo); e a tanti altri missionari veramente eroici.

 

      Ma l’”animazione missionaria” non si accorge quasi nemmeno che questi santi del nostro tempo sono tra noi. Ripeto: non accuso nessuno, non è colpa di nesuno in particolare, è una deriva abbastanza generale (contro la quale però bisognerebbe reagire) che spiega molto bene perché il missionario sta perdendo la sua identità e la sua capacità di attrarre giovani e ragazze generosi, innamorati di Cristo, che danno la vita per portare Gesù ai popoli non cristiani. Ma noi missionari ci crediamo ancora davvero al nostro carisma? E dov’è l’entusiasmo per la nostra vocazione carismatica?                                                                             

                                                                Piero Gheddo

Undici nuovi preti, nessun italiano!

 

  

     Nei mesi di giugno e luglio 2010 saranno ordinati 11 sacerdoti missionari del Pime. Quattro brasiliani, tre indiani, tre birmani, uno della Guinea Bissau. Nessun italiano! E’ la prima volta che succede, ma è indicativo di una realtà che tutti conosciamo e lamentiamo: la decadenza della famiglia e della società italiane, che non producono più bambini e nemmeno preti. Il 25 maggio 2010, il cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, aprendo a Roma l’Assemblea generale della CEI di cui è Presidente, ha parlato della famiglia dicendo fra l’altro: “L’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico. Oltre il cinquanta per cento della famiglie oggi è senza figli e tra quelle che ne hanno quasi la metà ne contemplano uno solo, il resto due e solo il 5,1% delle famiglia ha tre o più figli”.

 

     La conseguenza è che diminuiscono drammaticamente anche i sacerdoti. Nel 1990, vent’anni fa, un prete straniero in servizio nelle nostre parrocchie era una eccezione assoluta che attirava l’attenzione. Oggi i preti non italiani nelle nostre parrocchie (parroci o viceparroci) sono più di duemila e si avvicinano ai tremila tutti giovani natuiralmente (su 32.000 sacerdoti diocesani italiani)  e ogni anno aumentano, mentre i preti italiani diminuiscono. Il vescovo di una diocesi del centro Italia mi diceva pochi anni fa: “Più di metà dei miei preti diocesani non sono nati in diocesi e sono i più giovani. Vengono da varie parti, non più dalle famiglie e parrocchie  della diocesi”.

    Un altro vescovo, sempre del centro Italia: “Se non avessi trovato a Roma un po’ di sacerdoti polacchi, indiani, latino-americani, africani, dichiarerei il fallimento della mia diocesi, perché negli ultimi vent’anni non abbiamo avuto nemmeno un nuovo prete diocesano e oggi ci sono due nostri seminaristi che studiano. In diocesi c’erano cinque ordini religiosi che avevano una parrocchia, ne sono rimasti due, gli altri tre si sono ritirati per mancanza di vocazioni”. E non si tratta di due diocesi minime, ma di una certa consistenza numerica di abitanti, nella quasi totalità battezzati nella Chiesa cattolica.

 

     Impegnato da quasi sessant’anni nella stampa e animazione missionaria, questo è un fatto che mi addolora molto. Ringrazio il Signore che nell’Assemblea generale del 1989, celebrata a Tagaytay nelle Filippine, il Pime ha deciso di diventare internazionale, contro il parere di molti che ci volevano solo italiani come all’origine. Personalmente ho sempre sostenuto la via dell’internazionalità, fin dall’Assemblea generale del 1965 a cui ho partecipato: mi pareva assurdo che un istituto missionario, aperto a tutto il mondo, fosse solo composto da italiani! Ma poi, +grazie a Dio ed a diverse richieste di vescovi locali delle missioni, l’Istituto è diventato internazionale.

      Però mi pongo anche questa domanda: come mai, fra i giovani italiani, e anche fra le ragazze, pochissimi rispondono bussano alla porta degli istituti missionari maschili e femminili, per chiedere di consacrare la vita all’annunzio del Vangelo fra i non cristiani? Perchè la figura del missionario, affascinante fino a un 30-40 anni fa, è molto decaduta nella cultura del nostro tempo e ben poco presente nei mass media d’oggi?

 

     Le risposte sono molte, ma sostanzialmente a me pare che gli istituti missionari, noi missionari in Italia, lo stesso “movimento missionario italiano” abbiamo perso buona parte della nostra identità e del nostro fascino. Il perché lo spiegherò meglio in un prossimo Blog.

                                                                             Piero Gheddo

 

"E' inevitabile che avvengano scandali" (Luc. 17,1)

 

 

    Caro don Piero, sono veramente disgustata e anche amareggiata. Non è possibile che a qualunque ora e su qualunque canale su tutti i telegiornali, non si parli che di pedofilia e di preti pedofili. Mi sembra ieri, guardavo una trasmissione su Rai tre, non si è parlato d’altro che di pedofilia. Oggi, sempre su Rai tre c’era una trasmissione tutta contro l’otto per mille alla chiesa cattolica e interviste varie dove anche sacerdoti si dichiaravano quasi contro questo sistema dell’otto per mille. Che forse e, dico forse, non sempre l’uso sia stato fatto bene, potrei anche discutere, ma questo accanimento mi dà proprio fastidio. Si cerca di trovare su tutti gli argomenti possibili qualcosa che sia contro la Chiesa, qualcosa che infanghi la Chiesa. Mi ha fatto sorridere, ma non troppo la risposta di un cardinale (non ricordo il nome) che ha detto che anche tra gli apostoli, chi amministrava era Giuda, quasi a giustificare che in fondo nulla è cambiato. Certe volte anche i sacerdoti dovrebbero imparare a tacere o a non dare rinforzo a certe notizie, che potrebbero anche non essere vere. E i media godono!!! e il popolo… li segue. Non c’è più religione, non c’è più fede, non c’è più umiltà. Lei cosa ne pensa? Grazie per la sua risposta. Che il Signore La protegga sempre. Ora ci avviamo al mese di Giugno, dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Affidiamoci a quel Sacro e Buon Cuore. Vicina a Lei nella preghiera. Ardea Zoli, Trieste

 

    Cara signora Ardea, grazie della lettera. Non seguo molto la televisione, ma immagino leggendo i giornali. Comunque sono perfettamente d’accordo con lei. Ma è inutile che ci meravigliamo. I preti pedofili sono uno dei tanti spunti che la “lobby” anticlericale usa e abusa per attaccare la Chiesa e il Papa. Quando questo tema si sarà esaurito, vedrà che ne spunterà un altro.

     Il cristianesimo e i cristiani danno fastidio. Non si capisce perché, ma è così. Comunque credo che anche questa è un’opportunità che la storia, lo Spirito ci offrono, come Chiesa, per dirci che per noi la via per testimoniare bene il Signore nel mondo moderno è ancora lunga e ardua.    

     Ed è bene che sia così. In un popolo più semplice e meno istruito, com’era il nostro italiano mezzo secolo fa, il prete dava la sua testimonianza predicando la Parola di Dio, esercitando il ministero sacerdotale con  fedeltà e puntualità.  La sua vita privata, personale era più nascosta, meno sotto gli occhi di tutti. Se aveva difetti o peccati nascosti nessuno o quasi veniva a saperlo. E quei pochi che sapevano, tacevano. Era forse sufficiente davanti agli uomini, assolutamente deficiente davanti a Dio.

      Oggi ci rendiamo conto, noi preti dico, ma questo vale per tutti i credenti in Cristo, che se la mia vita personale, intima, profonda, non corrisponde alla volontà di Dio, sono un prete fallito ed è inutile che mi appelli alla mia scienza teologica e alle mie capacità di trasmettere il Vangelo: bisogna che mi converta davvero a Cristo. Una norma morale del passato diceva: “Bonum ex integra causa, malum ex quacumque defectu”. Che tradotto in termini attuali suona così: la tua vita di prete (di cristiano) è positiva agli occhi degli uomini (oltre che di Dio) se quel che vivi corrisponde a quel che predichi. Altrimenti scandalizzi e sei giudicato in modo negativo e la tua vita diventa una contro-testimonianza, nonostante tutte le cose buone che hai fatto e che fai.

     Per cui sono convinto, come il Papa e il card. Bagnasco ripetono in questi giorni, che questi scandali, di per sé negativi, possono però diventare per noi positivi se ci stimolano alla conversione autentica della nostra vita. Lo stesso vale anche per l’uso del denaro che la Provvidenza e la buona gente che ha fede e stima la Chiesa ci danno. Anche in questo campo, come Chiesa e come preti, dobbiamo non avere nulla da nascondere, dare resoconto di tutto quel che spendiamo e di come lo spendiamo. Cioè essere trasparenti in tutto. Grazie ancora e preghiamo per i “preti pedofili”: solo Dio può giudicarli. La giustizia dello stato deve fare il suo corso, ma noi sappiamo che l’unico e vero Giudice è Dio. Per cui preghiamo anche per i confratelli che sbagliano. Ricordiamoci nelle preghiere. Grazie ancora e cordiali saluti dal suo

                                      Piero Gheddo