L’Occidente è cristiano o no?

 

                                    

      Caro padre Gheddo,  dal tempo del seminario seguo le missioni e condivido le sue posizioni da quando girava per i villaggi del Vietnam. Così anche la sua visione della missione mi trova in piena sintonia. Il mio intervento riguarda lo speciale di Mondo e Missione su Madre Teresa. Lei scrive che “è un modello per l’Occidente ricco, democratico, evoluto, dove però manca l’amore, perché trionfa il denaro e l’egoismo, stiamo diventando praticamente atei”.

    Sono d’accordo sul praticamente atei ma non sull’egoismo. Anzi la società occidentale si interessa di soccorrere i più deboli, anche al più basso livello della società ci sono  molte iniziative locali, personali: volontari della protezione civile, della croce rossa, medici senza frontiere, donatori di sangue e di organi, SMS per raccolte varie nelle calamità, un gran numero di onlus, in Italia gli stessi alpini e si potrebbe continuare con un lungo elenco.

     È molto diffuso il senso di solidarietà, di “carità”, una carità sempre più laica, atea, una società occidentale generosa e anche efficiente nelle varie emergenze locali e mondiali, molto più generosa di altre ricche di denaro anche più di noi, come il mondo arabo-islamico del petrolio. È un cristianesimo ateo che ha anche buone leggi sociali,ha in parte realizzato delle istanze evangeliche. La mutua per le malattie e la pensione per la vecchiaia non sono in contrasto con la vita cristiana, ma un dono di Dio. Arrivati a questo punto cosa manca ancora, cosa può dare Gesù alla nostra società secolarizzata?  È a questo passo ulteriore che sono chiamate le prossime generazioni, probabilmente il Signore sta già preparando questi missionari del futuro, è lo Spirito che conosce tempi e momenti. Saluti e buon lavoro

                                                                       don Silvano Cuffolo, Oropa

 

     Caro don Silvano, grazie della sua lettera. Distinguiamo due aspetti del problema:

     1)  Senza dubbio i “Valori del Vangelo” sono penetrati nella società occidentale e non da oggi. E’ vero, molti fanno collette per aiutare i più poveri, molte famiglie adottano un bambino, nascono Onlus per opere di bene, di carità, ecc. Visitando le missioni in Africa e Asia, trovo volontari e volontarie italiani e opere varie caritative ed educative costruite con gli aiuti di associazioni italiane o anche di benefattori privati. Però questi aspetti dell’influsso evangelico stanno causando le stesse trasformazioni delle società non cristiane, che rimangono non cristiane. In Giappone il padre Fedele Giannini mi diceva che quando lui era arrivato nel1952, il paese era  distrutto dalla guerra, c’erano molti poveri, bambini orfani, gente che dormiva per strada. La carità privata non esisteva, i missionari si sono presentati facendo asili per i bambini, dispensari per i poveri, ecc. I giapponesi chiedevano: “Perchè fate questo che non vi rende nulla? Il governo pensa a tutto. Noi obbediamo, paghiamo le tasse, il governo fa o farà tutto il necessario”. In Giappone non esisteva “il gratuito”. Oggi, dopo mezzo secolo di missioni cristiane e del Vangelo, spesso il libro più letto dai giapponesi, il Giappone pullula di organismi di volontariato, anzi,volontari giapponesi (non cristiani) lavorano con i missionari del Pime in Cambogia e in Papua Nuova Guinea. La stessa cosa l’ho vista in India, con volontari indù o buddhisti all’opera nella tragedia dello tsunami del 26 dicembre 2004, accanto ai volontari cristiani. Il padre Anthony Thota indiano del Pime, che dirigeva la ricostruzione e la distribuzione degli aiuti, mi diceva: “Trenta-quarant’anni fa l’induismo e il buddhismo non facevano queste cose. E’ un segno di quanto il Vangelo e le missioni cristiane influiscono sul paese”.

     2)  Apprezzo molto quel che fanno le Onlus e le varie associazioni (come gli Alpini) per i poveri e i popoli in difficoltà. Ma il cristianesimo non è solo questo! Il Vangelo non dice solo questo! Cosa manca? Anzitutto, mancano la fede e la preghiera e tutto il resto è una conseguenza. Quante famiglie si sfasciano per egoismo dei coniugi o anche solo di un coniuge! Quanti bambini hanno due papà e due mamme, stanno un po’ in una famiglia e un po’ in un’altra…. Un parroco mi diceva che quest’anno fra i bambini della Prima Comunione solo il 35% circa dei piccoli sono figli di una famiglia regolare. La decadenza della nostra società viene principalmente dalla decadenza dei matrimoni e delle famiglie, dai genitori che sono pronti ad andare con altri se non vanno d’accordo. Viene anche dalla società, per esempio dalla televisione che presenta molti eroi negativi e non educa certo i giovani.

     Non parliamo poi del crimine dell’aborto, dell’idolo che è diventato il denaro, ecc. Insomma, che la società italiana manchi di culle ormai lo sanno tutti. Ricordo il Presidente Ciampi che nel Messaggio per la Festa della Donna nel 2004 aveva scritto: “La più grande disgrazia dell’Italia oggi sono le culle vuote”. E ce ne accorgiamo sempre più che la mancanza di giovani crea pessimismo, solitudine, tristezza, mancanza di cordialità, povertà. Lo so benissimo che un figlio oggi costa molto, ma conosco numerose famiglie cristiane che, proprio perché cristiane, hanno fiducia nella Provvidenza e hanno 4-5-6 e anche più figli. Ed è gente normale, lavoratori e impiegati, che fanno dei sacrifici, i figli sono educati ad una vita austera (in una di queste famiglie ci sono due stanze per i maschi e le femmine, che dormono in letti a castello), ma il Signore li aiuta e i loro figli, mi dicono, crescono bene.

      Insomma, la crisi della società italiana è sotto gli occhi di tutti ed è causata soprattutto dall’ideologia che caratterizza il nostro “mondo moderno”: la secolarizzazione (“vivere come se Dio non esistesse”), il relativismo (“una religione vale l’altra”), la società e la cultura che si allontanano da Dio, la religione che diventa un fatto privato, intimo, un tabù di cui non si parla in pubblico. Tutto questo porta alla perdita di senso della vita, all’individualismo, al consumismo, al nichilismo. Siamo una società senza speranza. Abbiamo tutto ma siamo in crisi! Perché? Si è messo da parte Dio e l’uomo sperimenta che non basta a se stesso.

      Mi scusi caro amico questa lunga chiacchierata. La saluto cordialmente e Dio ci benedica tutti. Suo padre Piero Gheddo

"Di questa Tivu non se ne può più"

 

 

Caro don Piero, ti scrivo così, d’impeto, perchè mi sembra troppo esagerato che in  tutti i telegiornali e in tante altre trasmissioni si parli del caso di quella povera ragazzina, Sara, uccisa dallo zio o da un’altro familiare ad Avetrana (Taranto) e che i giornali “laici” seguano questo andazzo verso “il sempre peggio sempre meglio”. E’ il dramma di una, anzi, di due famiglie e trovo vergognoso che i giornalisti si accaniscano nel seguire giorno per giorno questa vicenda e voler a tutti i costi conoscere la verità che…forse… non si saprà mai. L’unica cosa certa è che la ragazzina è morta lasciando dolore, sgomento, rabbia.

    Ma, perchè non c’è pietà per quanto è accaduto? Perchè voler mettere in primo piano fatti di cronaca di questo genere e non piuttosto esaltare chi, con umiltà, con dedizione, si prodiga per il bene di tanti bambini che giornalmente muoiono di fame, di stenti, di malattie perchè ci sono altre persone che si arricchiscono alle spalle di questi poveri innocenti e indifesi? Perchè è tanto importante far conoscere all’opinione pubblica i risvolti di queste indagini, solo per il gusto di portare alla pubblica vergogna chi ha commesso il fatto o, forse, per arricchire le proprie tasche per essere arrivato prima di altri a scoprire ciò che dovrebbe essere taciuto per pietà e per rispetto di chi soffre e, soprattutto, di chi non c’è più?

     Insomma, di questa televisione non se ne può più! Mi sembra che, dietro al “dovere di fare cronaca” e alla sacrosanta ”libertà di stampa e di opinione”, si nasconde il desiderio di demolire non di costruire, la malvagia volontà di usare i fatti scandalosi, vergognosi, osceni, per aumentare i telespettatori e, per i giornali, i lettori. Ma i giornalisti e i conduttori di televisioni hanno un minimo di moralità o sono il peggio che il paese Italia può produrre? Scusami il tono perchè anche tu sei giornalista, ma ti scrivo perché sono in posizione di sentire molta gente e vedo che si esprimono in questo tono. Credimi tuo

                                                                                        S.N. Firenze

 

     L’amico vuole conservare l’anonimato e lo accontento. Sono d’accordo al cento per cento con le sue riflessioni. Non sono sicuro che i giornalisti siano il peggio che l’Italia produce, ma certo giornali e Tv creano un’atmosfera pessimistica che influenza soprattutto i giovani, stimolandoli al cinismo, alla durezza di cuore, al non saper più dov’è il bene e dove il male. Però diciamoci la verità. L’unico o uno dei pochi quotidiani che in Italia non segue questa tendenza è “Avvenire” (e altri quotidiani cattolici), giornale povero di colori e di scandalismi, ma molto ben informato, specialmente sui continenti e paesi extra-europei. Ebbene, come mai Avvenire non riesce ad affermarsi? Lo stesso si può dire delle Televisioni cattoliche, TV 2000, Telepace e altre. Come mai anche loro rimangono nel limbo dei media di nicchia, come si dice, cioè visti da una minoranza di lettori e telespettatori che preferiscono leggere le storie poco edificanti di Avetrana.

     Un po’ di anni fa, all’inizio degli anni novanta, sono stato una settimana a Madrid ospite dei Salesiani e tutte le sere vedevamo il telegiornale spagnolo. Ricordo bene che, dopo la politica e l’economia, c’era una breve sintesi dei fatti luttuosi della giornata, rapine, furti, scandali (3-4 minuti in tutto), poi la seconda metà del Tg era occupata da servizi giornalistici su problemi e situazioni nazionali e internazionali. Ricordo che una sera c’era una lunga trasmissione dedicata alla Cambogia, nella quale avevano intervistato padre Toni Vendramin, missionario del Pime anche oggi in Cambogia. Nei Tg italiani questo non succede mai!  

                                                                     Piero Gheddo

 

Perchè dobbiamo ritornare a Cristo

 

 

     Quando nel periodo natalizio il servo di Dio Marcello Candia (1915-1983) dall’Amazzonia ritornava in Italia, era spesso invitato a parlare alla televisione italiana. A Milano abitava con noi nel nostro Centro missionario e io lo accompagnavo in questi incontri e interviste. Una volta, alla TV della Rai il giornalista che lo presenta dice: “Ecco l’industriale Marcello Candia, che ha consacrato la sua vita ai poveri e ai lebbrosi, ha venduto le sue industrie ed è andato in missione per aiutarli”. Il grande amico Marcello sorridendo aggiunge: “Sono andato in Amazzonia per amore di Cristo, mi sono consacrato a Cristo: poi per amore di  Lui, amo tutti i poveri e i lebbrosi che incontro”.

     Può sembrare un aneddoto di scarso valore attuale. Invece sintetizza bene il significato della Giornata missionaria mondiale (domenica 24 ottobre), che ogni anno ci ricorda la “missione alle genti”, cioè ai non cristiani, finalità primaria della Chiesa fondata da Cristo: l’annunzio della salvezza in Cristo. Questo scopo è ben noto fin dal tempo degli Apostoli, però è urgente e importante richiamare questa verità, perché è facile che si passi dalla finalità religiosa della missione ad un’altra di carattere sociale e umanitario. Questo perché nel nostro tempo è Cristo che dà fastidio, non il suo messaggio di amore, di pace, di fratellanza e solidarietà umana.

     Una certa corrente di pensiero teologico sulla missione alle genti è dimostrata da quanto scrive, ad esempio, un teologo cattolico indiano: “Ciò che è necessario con urgenza non è tanto di fare cristiani gli indiani, quanto di cristianizzare l’India nel senso di trasformare la società indiana in generale mediante i valori evangelici…. Il che significa che dobbiamo effettuare uno spostamento non solo dalla Chiesa a Cristo, ma anche da Cristo al Regno che egli ha proclamato”. Insomma, dov’è la logica? Il Regno va bene, ma il Re non lo vogliamo!

     E’ una mentalità diffusa sia fra i non cristiani che fra i cristiani. I valori del Vangelo sono  diventati patrimonio comune e almeno in teoria recepiti da tutti: chi oggi dice di volere la guerra? Nessuno. Chi dichiara di volere la violenza sull’uomo, la rivoluzione violenta, il terrorismo? Nessuno. Chi vuole l’ingiustizia sociale e l’oppressione dei poveri? Nessuno o, per lo meno, nessuno lo dice, segno che la cultura comune del popolo italiano ha metabolizzato “i valori del Vangelo”. Ma Gesù ha dichiarato che tutto questo è un dono di Dio e si può realizzare solo nell’amore e nell’obbedienza a Dio, nell’osservanza dei suoi Comandamenti, secondo l’esempio che lui ci ha dato. Questo dà fastidio. Nel nostro mondo secolarizzato, c’è stata anche la “secolarizzazione della salvezza”. Per cui si accetta il messaggio, ma non il messaggero; si accettano i “valori” del Vangelo, ma non il Vangelo nella sua interezza.

     Il tentativo di evangelizzare senza Cristo lo fece Paolo ad Atene proclamando il Dio sconosciuto (At. 17, 16-34). Ma una volta sola, poi decise di predicare solo Cristo crocifisso: “Gli ebrei vorrebbero miracoli, i greci si fidano solo della ragione, noi invece annunziamo Cristo crocifisso” (1 Cor 1, 22-23).

      Nella prossima Giornata missionaria mondiale (domenica 24 ottobre) va rilanciato il messaggio del Papa, che richiama “la richiesta che alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all’apostolo Filippo: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12, 21)”. E Papa Benedetto continua scrivendo: “Anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di “parlare” di Gesù, ma di “far vedere Gesù”.

    E’ più facile interessare gli uomini del nostro tempo (e raccogliere offerte) parlando delle opere caritative e sociali delle missioni, che far riflettere sull’urgenza di portare a tutti la Buona Notizia di Gesù morto e risorto. Eppure il messaggio della Giornata missionaria è proprio questo. Tutti gli uomini e tutti i popoli hanno bisogno di Gesù Cristo, Salvatore del’uomo e dell’umanità. La missione alle genti è fondata sulla fede: se la fede è forte la missione è sentita; quando la fede si indebolisce, la vitalità della missione svanisce.

                                                                                   Piero Gheddo

Perché la “Giornata missionaria mondiale”

          

 

    Come ogni anno dal 1926, nella penultima domenica di ottobre si celebra nel mondo cattolico la “Giornata missionaria mondiale” (quest’anno domenica prossima 24 ottobre). Papa Benedetto ha pubblicato il suo messaggio sul tema “La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione”, che incomincia così: “Cari fratelli e sorelle, il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all’intero Popolo di Dio, l’occasione per rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario”.

     Quante volte a me missionario qualcuno chiede: “Perché parlare ancora di missioni, di mandare personale e aiuti in Africa, in Asia, in Oceania, quando qui in Italia stiamo perdendo la fede? C’è bisogno di missionari qui da noi”.

     Il messaggio del Papa risponde a questa domanda. La missione ha un significato ben più ampio di quanto normalmente si crede. Certo, lo scopo primo è di ricordare ai fedeli la “missione alle genti”, cioè l’annunzio di Cristo ai popoli che ancora non hanno ricevuto la “ Buona Notizia” del Vangelo;  e di invitare i fedeli a pregare e ad aiutare i missionari fra i non cristiani. Ma la Giornata missionaria ha un significato più ampio e profondo: tutte le comunità cristiane (famiglie, parrocchie, istituti religiosi, movimenti e associazione laicali), debbono essere “missionarie”. Perché “la Chiesa è per natura sua missionaria” (Ad gentes, 2).  Cristo l’ha creata  così e se non fosse più missionaria non sarebbe più la Chiesa di Cristo. Marcello Candia diceva spesso: “Io sono missionario in forza del mio Battesimo”.

     In altre parole, missione alle genti e nuova evangelizzazione dei popoli cristiani sono strettamente collegate, l’una non sta senza l’altra, l’una riceve forza e motivazioni nuove dall’altra. C’è un passo del Vangelo che spiega bene questa verità difficile da capire e da credere: infatti si pensa che, proprio perché qui da noi diminuisce la fede e la vita cristiana, bisogna concentrare tutte le nostre forze ecclesiali sul popolo italiano, per riportarlo alla fede. Gesù non la pensava così. Poco prima di salire al Cielo, “Gesù apparve agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che l’avevo visto risuscitato. Poi disse: “Andate in tutto il mondo e portate il Vangelo a tutti gli uomini. Chi crederà e sarà battezzato, chi non crederà sarà condannato” (Mc . 16, 14-16).

     Ma come?! Gesù rimprovera gli undici di aver poca fede e di non credere nemmeno nella sua Risurrezione. Poi dice: “Andate in tutto il mondo e portate il Vangelo a tutti gli uomini”. Come fanno ad annunziare il Vangelo se non credono che Cristo è risorto dalla morte? Non sarebbe stato meglio se si fermavano tutti assieme a Gerusalemme, fortificando la loro fede con la preghiera e lo studio? La risposta la dà Giovanni Paolo II: “La missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale” (Redemptoris Missio, 2).

      La missione cambia continuamente perché cambiano le situazioni. Dal punto di vista missionario, il nostro tempo è affascinante: apre strade nuove, sempre fondate sulla fede, l’amore personale a Cristo, l’obbedienza alla Chiesa universale e locale, ma nuove di metodi, di linguaggi, anche di contenuti. La dibattuta questione dell’”inculturazione del messaggio” nelle culture non cristiane presenta questo vantaggio pastorale. Visitando le “giovani Chiese” di missione, si vede spesso come i giovani cristiani, pur poco istruiti nella fede, apprezzano il dono della fede e manifestano l’entusiasmo di essere cristiani diventando essi stessi missionari. La missione oggi deve essere continuamente inventata anche nei metodi pastorali, nella predicazione, nell’annunzio. Noi in Italia andiamo avanti con strutture e schemi consolidati, che andavano bene forse nel passato. In una Chiesa che sta nascendo, c’è più flessibilità, libertà, inventiva anche nei cristiani comuni.

     Questa la radice del rinnovamento anche pastorale  che le giovani Chiese testimoniano. Il vescovo di Vanimo in Papua Nuova Guinea, mons. Cesare Bonivento, mi diceva: “Nella mia diocesi le molte conversioni vengono dai giovani cristiani. Sanno ancora pochissimo di Gesù e della fede cristiana, ma spontaneamente vanno in giro a parlarne. Non so cosa dicono, tutta la mia opera di vescovo è di dare loro una sufficiente istruzione religiosa, ma ho poco personale missionario. Spesso prego lo Spirito Santo e gli dico: La missione è tua, pensaci tu”.

 

                                                                 Piero Gheddo

                                                     

 

Il Sinodo del Medio Oriente interessa anche noi

 

 

      Il Sinodo dei vescovi del Medio Oriente a Roma (10-24 ottobre) merita tutta l’attenzione di noi cristiani d’Italia e d’Europa. Siamo anche noi, anche se in misura minore, messi a confronto con l’islam, che si delinea sempre più uno dei due massimi problemi che la Chiesa universale è chiamata ad affrontare e risolvere nella nostra epoca, con la forza della fede. L’altro problema è senza dubbio il fenomeno della secolarizzazione (o anche relativismo) che mina alla base la fede e la pratica della vita cristiana anche nei nostri popoli evangelizzati da duemila anni.

     Il Medio Oriente presenta oggi molte situazioni difficili, che non favoriscono la sopravvivenza delle numerose e piccole minoranze cristiane. La situazione in Europa grazie a Dio è diversa, ma sono scenari che dobbiamo conoscere, il M.O. non è troppo lontano da noi. Un elenco sommario deve ricordare:

         il conflitto fra Israele e Palestina che continua da più di sessant’anni;

         la rivoluzione in Iran nel 1979 che portò al potere Khomeini e il clero sciita, dando origine ad uno stato teocratico che sta dotandosi della bomba atomica;

         la nascita in Iran del “terrorismo islamico” che dai paesi del Medio oriente si     

         diffonde in tutto il mondo;

         la guerra in Iraq, che non si sa ancora se si concluderà con la nascita di un paese democratico o di un altro paese teocratico;

         la guerra in Afghanistan  dove potrebbe rinascere (se la Nato si ritira) uno stato talebano, cioè di estremisti islamici votati alla”guerra santa” contro l’Occidente cristiano;

         la crescita del fondamentalista islamico, che ormai sta conquistando molti musulmani in tutto il mondo, attraverso i partiti politici islamici, la scuola statale e la “scuola coranica”, la predicazione nelle moschee e altri strumenti;

         preoccupante è l’avanzata dell’estremismo islamico anche in paesi dove lo stato trent’anni fa era laico, ad esempio Turchia, Iraq, Malesia, Egitto, Algeria, Iran, Pakistan, Indonesia….

         La crescita del fondamentalismo islamico in alcuni paesi ha favorito l’adozione della sharia (la legge islamica) o di parte della sharia. Questo ha una forte influenza sulla vita dei cristiani, che sono costretti a comportarsi in modo “più islamico” e favorisce la loro fuga dai paesi dell’islam.

         l’Occidente cristiano (specialmente gli Stati Uniti e l’Europa) è spesso  presentato (anche nei testi scolastici di paesi islamici) come il nemico storico e attuale dell’islam, da combattere e nei tempi lunghi “riportare a Dio” attraverso l’immigrazione e l’alto tasso di fertilità dei popoli musulmani;

         anche nello stato palestinese e a Gaza la tendenza fondamentalista è molto cresciuta, la libertà religiosa diminuita, rendendo molto più difficile un accordo e la pace con Israele.

 

      Il Medio Oriente (dallo Yemen alla Turchia, dall’Iran all’Egitto) conta 356 milioni di abitanti in grandissima maggioranza musulmani. I cattolici sono 5.707.000 e rappresentano l’1,6% dei 256 milioni di mediorientali; tutti i cristiani sono circa 20,6 milioni (5,62%), la maggioranza dei quali in Egitto (copti, 8 milioni), nella penisola arabica 3,5 milioni (in genere cattolici immigrati da Filippine, India, Bangladesh), 1,5 milioni in Siria e 1,4 in Libano (maroniti cattolici e altri).

 

      Gli scopi del Sinodo per il Medio Oriente sono indicati dal titolo del Sinodo stesso: “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza”. In altre parole: cercare la comunione e l’unità fra le molte Chiese cristiane e presentare ai popoli islamici la testimonianza di fede e di vita cristiana. Tre le situazioni che il Sinodo deve affrontare

1)     Il pericolo che l’emigrazione azzeri la presenza cristiana in Medio Oriente.

2)     L’unità della Chiesa e il dialogo ecumenico.

3)     La convivenza e il dialogo con l’islam.

 

     Il Medio Oriente è la regione in cui sono nati il cristianesimo e le prime comunità cristiane. Tutta la regione del M.O. era cristiana prima della nascita dell’islam e delle conquiste islamiche (sec. VII dopo Cristo) ed ha maturato e tramandato tanti documenti e tradizioni apostoliche. Le Chiese cristiane locali sono quindi depositarie di un prezioso tesoro cristiano e culturale che, se continua l’attuale tendenza dei cristiani all’emigrazione verso i paesi dell’Occidente (Europa, Americhe, Australia) andrà inevitabilmente perduto. Dalla fine della seconda guerra mondiale si calcola che dai paesi del Medio Oriente siano emigrati verso l‘Occidente circa 10 milioni di cristiani.

      Ma questa fuga è iniziata molto prima. Ad esempio, in Turchia all’inizio del Novecento c’erano circa 2 milioni di cristiani su 18 milioni di turchi, oggi, dopo il genocidio degli armeni e la nascita di Israele, sono meno di 100.000 su 72 milioni! In Turchia, i cristiani ortodossi che fanno riferimento al Patriarca di Costantinopoli sono quasi un  milione nelle Americhe e poche migliaia in Turchia! Dal 1840 il Libano ha registrato quattro guerre intestine a sfondo religioso e ha visto crollare il numero dei cristiani dal 55% nell’anno dell’indipendenza (1932) al 35% oggi. In Egitto i copti erano circa il 19-20% degli egiziani dopo la seconda guerra mondiale, oggi sono l’8-9%.

       Essere cristiani oggi nei paesi del Medio Oriente richiede grande fede e molto coraggio. Rodolfo Casadei, che ha fatto un’inchiesta approfondita in quattro paesi medio orientali (“Il sangue dell’agnello”, Guerini e associati, Milano 2008, pagg. 206), scrive: “Quel che colpisce nei cristiani d’Oriente è la convivenza tra la ferialità della vita – secolare come quella di noi europei – ed eroicità della fede, alla quale quasi nessuno è disposto a rinunziare, anche se dovesse costare la vita o, più spesso, l’abbandono della casa e del paese natio”. I martiri cristiani nel Medio Oriente d’oggi sono molti, anche se noi ricordiamo quasi solo gli italiani come don Andrea Santoro e mons. Luigi Padovese, suor  Leonella Sgorbati, Annalena Tonelli e Luciana Semprini in Somalia  (le prime due le ho conosciute bene sul posto).

 

     Ma i cristiani hanno ancora una missione specifica in Medio Oriente? Senza dubbio sì: la fine delle Chiese dell’Oriente sarebbe una grave perdita per la Chiesa universale e per le stesse popolazioni islamiche. La minoranza cristiana in M.O. rappresenta un modo di vivere e una cultura diversi, stimolanti, aperti al mondo occidentale e cristiano, che arricchiscono le società islamiche (e anche Israele). Se queste piccole comunità vengono azzerate dall’intolleranza delle popolazioni maggioritarie, gran parte della tradizione e del pensiero delle Chiese d’Oriente andrebbe essere perso per sempre e nulla potrebbe sostituirlo. E sarebbe anche una grave perdita per la Chiesa universale.

 

    Lo scopo del Sinodo è di fare il punto per  vedere che futuro hanno i cristiani in Medio Oriente, rafforzare la coscienza della loro missione ed esortarli a superare i particolarismi ed a camminare verso l’unità delle Chiese cristiane. Ma ha anche lo scopo di richiamare la nostra attenzione, di noi cristiani d’Italia e d’Occidente, per interessarci maggiormente dei nostri fratelli di fede in pericolo di estinzione e per aiutarli come possiamo col sostegno economico e con la preghiera. Ma i fratelli di fede del Medio Oriente possono anche insegnare molto a noi cristiani d’Italia e d’Europa. Soprattutto come porci di fronte all’islam, come dialogare con i popoli islamici, così profondamente diversi da noi. Con i quali, però, dobbiamo inevitabilmente capirci, intenderci, accordarci, se vogliamo costruire un futuro migliore per noi e per tutta l’umanità, evitando di cadere nel baratro di uno scontro, che non avrebbe vincitori ma solo vinti.

 

                                                                                  Piero Gheddo

Voloontari laici con i missionari

   

 

                

     Nel 2010 il Pime festeggia i vent’anni dell’Alp (Associazione Laici Pime). Ecco la testimonianza di Michela Nolli di Casale Corte Cerro (Verbania), che prossimamente parte per la Costa d’Avorio.

 

     Ciao a tutti! Dopo i due anni di formazione con l’Alp, eccomi a scrivere due righe sulla mia visita in Costa d’Avorio, dopo la quale ho deciso che partirò per un periodo  di tre anni. Beh, debbo dirvi che sono partita senza grandi aspettative, era la prima volta che andavo in Africa e vedere sotto di me, dall’aereo, lo stretto di Gibilterra ha significato davvero lasciare l’Europa per un continente sconosciuto. Ma che già mi sembrava affascinante. Io che amo la natura in qualsiasi forma (monti, colline, mare, fiumi, animali, fiori, foreste, cielo….), sono tornata a casa col mal d’Africa per gli africani. Ho trovato degli educatori africani disponibili ed entusiasti del loro lavoro, preti locali simpatici e scherzosi, donne del villaggio premurose come mamme, bimbi sorridenti e pieni di gioia nel vedere i loro volti impressi su una fotocamera digitale. Ovviamente non è mancato anche qualche lato negativo!

    A cucire le fila di queste diverse realtà c’era padre Dino in Costa d’Avorio da tanti anni, che ci spiegava le loro usanze, i problemi, i conflitti, gli aspetti positivi e quelli negativi: così tutto aveva un suo senso, anche l’energia elettrica alternativa.

    Da quando sono tornata in Italia, ho cominciato a riflettere su cosa fare di questa visita e del mio futuro. Non sempre è facile lasciare le persone a cui vuoi bene, il lavoro che ti piace… persino accettare che il mondo in cui vivi ti sta stretto può essere faticoso. Eppure, questi due anni di formazione con l’Alp, e la successiva visita in Africa, hanno confermato e consolidato il mio desiderio di partire, di andare a vivere la mia vita con loro, di provare con semplicità a testimoniare la mia fede cristiana non a parole, ma con i gesti. Non mi restava che dare la notizia a parenti, amici e colleghi. Le reazioni sono state le più varie e non tutte accomodanti.

     “Per quanti giorni stai via?”. Per tre anni. “Ah!”! e poi silenzio. “Ma tu sei matta!”. “Che coraggio!”. “Invece di andare fra i bambini africani, ti diamo il nostro da curare per tre anni. Tu che ci vai a fare?”. “Lo sai che sarò preoccupata per te! Ma se è una tua scelta….”. “Se non fossi sposata, verrei con te!”….

     So che chi mi conosce davvero soffre un po’, perché la lontananza non è mai facile. Ma mi capisce e prega per me, e questa è la cosa veramente importante. Vuol dire che proverò a sperimentare la comunione, che funziona dicono ovunque noi siamo. Forse da lontano è più facile da sentire, che non da qui. Buon esperimento a tutti e mettetecela tutta, perché dovete farmi sentire  che ci siete!

                                    

                                                                        Michela Nolli,

                                                                Casale Corte Cerro (VB)

 

 

     Nel 2010 Il Pime celebrai vent’anni dalla nascita dell’ALP  (Associazione Laici Pime), decisa dall’Assemblea generale del Pime nel 1989 a Tagaytay (Filippine) e nata nel 1990 a Milano, per offrire a giovani e adulti l’opportunità di vivere un momento forte di condivisione della propria vita e del proprio cammino di fede insieme ai missionari, nei Paesi in cui l’Istituto è presente. L’ALP ha la finalità primaria della Missione, che si realizza nella testimonianza del Vangelo attraverso la propria vita e la propria professione. Dipende dal Superiore della Regione Pime in Italia, e con un direttivo composto da 5 membri in carica per 2 anni; cinque laici e un assistente spirituale, il padre Giovanni Gadda, già missionario in Amazzonia brasiliana. La segretaria dell’ALP, Nicoletta Maffazioni, è stata missionaria in Guinea-Bissau.

    Le funzioni del direttivo consistono nel programmare e organizzare i percorsi formativi, nel valutare le richieste e i progetti proposti dai missionari, nell’individuare i laici adeguati e proporli alla Direzione Generale dell’Istituto che dà la destinazione alla missione.  I laici appartenenti all’ALP prestano un servizio qualificato nelle terre di missione (Asia, Africa, America latina e Oceania) per alcuni anni, e si occupano soprattutto di progetti di promozione umana in campo sociale, educativo, tecnico, sanitario e agricolo, e collaborano nelle attività parrocchiali in ambito pastorale. I criteri ed i valori su cui l’ Associazione si fonda sono la conoscenza, il rispetto e la valorizzazione della cultura, della lingua e delle tradizioni locali, la condivisione delle  conoscenze e capacità professionali, la collaborazione con missionari e volontari operanti sul territorio.

     L’Alp propone un percorso di formazione per verificare le motivazioni del partire e per approfondire il ruolo del laico e il tipo di servizio da realizzare in missione.

In missione i laici si inseriscono nelle attività dei Missionari del Pime e al ritorno portano la loro testimonianza nelle comunità di origine evidenziando i valori della vita cristiana vissuta nella gratuità e nell’attenzione verso tutti i fratelli.

     La preparazione prevede un corso biennale da settembre a giugno nella casa S. Alberico – PIME – di Busto Arsizio (Va), organizzato in vari incontri a cadenza mensile durante i fine settimana. Inoltre sono necessari incontri personali di conoscenza e di discernimento, con i membri del Consiglio Direttivo dell’Associazione, per poter valutare le attitudini, le capacità e le aspettative dei candidati, per poterli indirizzare verso un progetto adeguato e presentarli alla Direzione Generale del PIME per una destinazione in missione.

     Durante la formazione il partecipante effettua una visita di almeno un mese nella missione di destinazione al fine di conoscere il progetto, i luoghi e le persone con le quali condividere gli anni di servizio missionario.

     Attualmente l’Alp è presente in Bangladesh, Thailandia, Cambogia, Camerun, Guinea Bissau, Costa d’Avorio. I laici partiti finora per le missioni con un contratto per un  certo numero di anni di impegno (5 per l’Asia, 3 per gli altri continenti)  sono 52 e altri tre partono quest’anno per Guinea-Bissau, Costa d’Avorio e Bangladesh.

     ALP – Associazione Laici Pime Via Mosè Bianchi, 94 -20149 Milano – Ufficio, Nicoletta Maffazioli: 02.43.82,23.74. Email: alp@pimemilano.com. – Sito: www.pimemilano.com  (cliccare su “laici”).

     Sede missionari laici dell’Alp: Pime , Via Lega Lombarda, 20, 21052 Busto Arsizio (Va) – Tel. 0331.350.833  – P. Giovanni Gadda. Email: gadda.giovanni@pime.org.

 

                                                                            Piero Gheddo

 

le mamme salvano il mondo 7 ott 2010

 

 

 

     Le testimonianze che vengono dalle missioni a volte sono veramente belle e commoventi. Un giovane missionario del Pime in Cambogia da dieci anni, padre Alberto Caccaro, mi manda questo racconto di vita vissuta. Ci fa bene ricordare com’eravamo anche noi in tempi non lontani. Lo pubblico volentieri e ringrazio l’amico Alberto.  Piero Gheddo.

 

Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate;

accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza[1].

 

      Due giorni fa è venuta una mamma, vedova. Voleva iscrivere la figlia adolescente alla nostra scuola. L’ho vista entrare alla guida di una motoretta scassata, claudicante, ma in movimento. Erano in tre, sulla moto. Con la figlia si portava anche una nipote, sempre da iscrivere a scuola. Venivano da un villaggio non lontano, ma difficile da raggiungere per via della strada alquanto dissestata. Gli occhiali da sole che indossava, vecchi come la moto, servivano a nascondere una menomazione all’occhio sinistro. Me ne sono accorto solo dopo la chiacchierata. Pian piano mi raccontava che per venire fino a scuola aveva dovuto chiedere la moto in prestito ad un vicino. E siccome la moto era senza targa, aveva dovuto chiedere in prestito la targa ad un secondo vicino. Una targa che avesse i fori al posto giusto per essere attaccata all’apposita sede ed evitare di essere fermata dalla polizia stradale. E siccome non aveva il casco, ormai d’obbligo anche in campagna, aveva dovuto chiederlo in prestito ad un terzo vicino …  Per non chiedere tutto ad uno solo, aveva preferito confondere la propria indigenza rivolgendosi a tre vicini diversi.

      Alla fine, completa di tutto, di moto, di targa e di casco, aveva accompagnato le due ragazze fino a scuola. Di fronte a me, mentre mi parlava, come sfondo alle sue parole, vedevo gli unici due denti dell’arcata superiore ed uno dell’arcata inferiore. Niente più. Ma mi parlava con tanta passione di sua figlia, di sua nipote e della loro voglia di studiare che, in tutta quella mancanza, ho visto una pienezza. Un senso compiuto alle cose. E’ vero quello che dice Rainer Maria Rilke: dobbiamo saper evocare la ricchezza di ciò che altrimenti sembrerebbe e rimarrebbe povero. Ho capito che sono a Prey Veng non per fare grandi cose. Devo solo osservare ed e-vocare, nominare la ricchezza che si nasconde nel cuore di tante madri, povere e un po’ svirgole … ma in movimento, sempre. Nominare fino ad e-vocare[2], e così sottrarre all’oblio. Le mamme salvano il mondo …

 

     Hang ha avuto il suo primo figlio due mesi fa. Sposata da circa un anno, è diventata madre di un bellissimo bambino. Da quando ha partorito il piccolo, non è più venuta alla Messa. Finalmente qualche giorno fa l’ho incontrata. Mi ha spiegato che suo marito, non cattolico, è spesso fuori casa. Il lavoro lo trattiene lontano e non potrà nemmeno partecipare al battesimo del piccolo, il giorno dell’Assunta. Mi racconta che il bambino piange spesso la notte e nessuno riesce a dormire. Il marito lontano, torna ogni tanto per visite brevi, al massimo una notte, poi se ne và. Anche il giorno del parto continuavano a chiamarlo perché tornasse al lavoro. Poi la nascita e le notti insonni …

      Ha però notato una cosa: quando il papà torna e dorme una notte a casa, anche il bimbo dorme tranquillo. Allora, una notte, l’ennesima notte senza papà, impotente di fronte al pianto del bambino, ha preso una camicia di suo marito e ha avvolto il corpicino del piccolo. Dopo qualche istante il bimbo ha smesso di piangere. “Forse – mi dice questa giovane mamma – il mio bambino riconosce l’odore del suo papà e si calma, pensa che il papà sia lì”. Ha riprovato più volte e ha funzionato. Mi ha commosso pensare che un bimbo di due mesi possa riconoscere l’assenza e la presenza, e possa dire la sua, piangendo. Ho detto alla mamma di fare presente a suo marito che il lavoro, per quanto necessario, non può diventare un alibi per sottrarsi a suo figlio. Non so come andranno a finire le cose, ma quel piccolo principe piange se il suo papà si sottrae e la casa diventa un insieme di mura disabitate.

      Pensando a queste due mamme ho ripreso le parole di un poeta contemporaneo: “Il mondo lo salvano le madri. Certo, i padri lo lavorano, i figli lo fanno avventuroso e lo rinnovano. Ma lo salvano le madri. Lo si capisce quando il tempo si fa duro. Quando i conflitti esplodono. E non si sa come fare. Allora le madri, certe madri, lo salvano. La loro semina paziente, la loro forza segreta lo custodisce e lo rinfranca”.[3]

 

                                                                    Alberto Caccaro,

                                                         missionario del Pime in Cambogia

 


[1] Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Milano 1997, p. 15.

[2] Secondo il mio vecchio dizionario di italiano, il famoso Devoto – Oli, evocare significa “chiamare dal mondo del mistero a quello dell’esperienza sensibile”.

[3] Testo di Davide Rondoni.

Le mamme salvano il mondo

 

 

 

     Le testimonianze che vengono dalle missioni a volte sono veramente belle e commoventi. Un giovane missionario del Pime in Cambogia da dieci anni, padre Alberto Caccaro, mi manda questo racconto di vita vissuta. Ci fa bene ricordare com’eravamo anche noi in tempi non troppo lontani. Lo pubblico volentieri e ringrazio l’amico Alberto.  Piero Gheddo.

 

Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate;

accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza[1].

 

      Due giorni fa è venuta una mamma, vedova. Voleva iscrivere la figlia adolescente alla nostra scuola. L’ho vista entrare alla guida di una motoretta scassata, claudicante, ma in movimento. Erano in tre, sulla moto. Con la figlia si portava anche una nipote, sempre da iscrivere a scuola. Venivano da un villaggio non lontano, ma difficile da raggiungere per via della strada alquanto dissestata. Gli occhiali da sole che indossava, vecchi come la moto, servivano a nascondere una menomazione all’occhio sinistro. Me ne sono accorto solo dopo la chiacchierata. Pian piano mi raccontava che per venire fino a scuola aveva dovuto chiedere la moto in prestito ad un vicino. E siccome la moto era senza targa, aveva dovuto chiedere in prestito la targa ad un secondo vicino. Una targa che avesse i fori al posto giusto per essere attaccata all’apposita sede ed evitare di essere fermata dalla polizia stradale. E siccome non aveva il casco, ormai d’obbligo anche in campagna, aveva dovuto chiederlo in prestito ad un terzo vicino …  Per non chiedere tutto ad uno solo, aveva preferito confondere la propria indigenza rivolgendosi a tre vicini diversi.

      Alla fine, completa di tutto, di moto, di targa e di casco, aveva accompagnato le due ragazze fino a scuola. Di fronte a me, mentre mi parlava, come sfondo alle sue parole, vedevo gli unici due denti dell’arcata superiore ed uno dell’arcata inferiore. Niente più. Ma mi parlava con tanta passione di sua figlia, di sua nipote e della loro voglia di studiare che, in tutta quella mancanza, ho visto una pienezza. Un senso compiuto alle cose. E’ vero quello che dice Rainer Maria Rilke: dobbiamo saper evocare la ricchezza di ciò che altrimenti sembrerebbe e rimarrebbe povero. Ho capito che sono a Prey Veng non per fare grandi cose. Devo solo osservare ed e-vocare, nominare la ricchezza che si nasconde nel cuore di tante madri, povere e un po’ svirgole … ma in movimento, sempre. Nominare fino ad e-vocare[2], e così sottrarre all’oblio. Le mamme salvano il mondo …

 

     Hang ha avuto il suo primo figlio due mesi fa. Sposata da circa un anno, è diventata madre di un bellissimo bambino. Da quando ha partorito il piccolo, non è più venuta alla Messa. Finalmente qualche giorno fa l’ho incontrata. Mi ha spiegato che suo marito, non cattolico, è spesso fuori casa. Il lavoro lo trattiene lontano e non potrà nemmeno partecipare al battesimo del piccolo, il giorno dell’Assunta. Mi racconta che il bambino piange spesso la notte e nessuno riesce a dormire. Il marito lontano, torna ogni tanto per visite brevi, al massimo una notte, poi se ne và. Anche il giorno del parto continuavano a chiamarlo perché tornasse al lavoro. Poi la nascita e le notti insonni …

      Ha però notato una cosa: quando il papà torna e dorme una notte a casa, anche il bimbo dorme tranquillo. Allora, una notte, l’ennesima notte senza papà, impotente di fronte al pianto del bambino, ha preso una camicia di suo marito e ha avvolto il corpicino del piccolo. Dopo qualche istante il bimbo ha smesso di piangere. “Forse – mi dice questa giovane mamma – il mio bambino riconosce l’odore del suo papà e si calma, pensa che il papà sia lì”. Ha riprovato più volte e ha funzionato. Mi ha commosso pensare che un bimbo di due mesi possa riconoscere l’assenza e la presenza, e possa dire la sua, piangendo. Ho detto alla mamma di fare presente a suo marito che il lavoro, per quanto necessario, non può diventare un alibi per sottrarsi a suo figlio. Non so come andranno a finire le cose, ma quel piccolo principe piange se il suo papà si sottrae e la casa diventa un insieme di mura disabitate.

      Pensando a queste due mamme ho ripreso le parole di un poeta contemporaneo: “Il mondo lo salvano le madri. Certo, i padri lo lavorano, i figli lo fanno avventuroso e lo rinnovano. Ma lo salvano le madri. Lo si capisce quando il tempo si fa duro. Quando i conflitti esplodono. E non si sa come fare. Allora le madri, certe madri, lo salvano. La loro semina paziente, la loro forza segreta lo custodisce e lo rinfranca”.[3]

 

                                                                    Alberto Caccaro,

                                                         missionario del Pime in Cambogia

 

 

 


[1] Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Milano 1997, p. 15.

[2] Secondo il mio vecchio dizionario di italiano, il famoso Devoto – Oli, evocare significa “chiamare dal mondo del mistero a quello dell’esperienza sensibile”.

[3] Testo di Davide Rondoni.

L'Africa nera secondo Naipaul

 

                 

     Non abbiamo mai finito di comprendere gli altri popoli, le altre culture e religioni.   

L’Africa nera torna ogni tanto alla ribalta dell’attualità, purtroppo quasi sempre per avvenimenti negativi, carestie, guerre tribali, dittature, immigrazioni clandestine verso l’Italia. Si dice che bisogna dare a quei popoli maggiori finanziamenti, aiutarli a svilupparsi in casa loro, smetterla di rapinare l’Africa delle sue ricchezze naturali, ecc. Da mezzo secolo siamo abituati a questi ritornelli e molti non capiscono come mai l’Africa nera non si sviluppa. Poi arriva un Premio Nobel della Letteratura (nel 2001), Vidia Naipaul, indiano dei Caraibi, con un libro che capovolge tutte le nostre conoscenze e credenze: “La maschera dell’Africa” (Adelphi 2010, pagg. 290).

     Un libro contro corrente, attaccato e censurato dall’intellighenzia “liberal” e progressista, che accusa l’Autore di aver dato una visione razzista degli africani, raccontandolo come un mondo primitivo e violento, dove sopravvivono in modo massiccio riti religiosi ancestrali basati su sacrifici, magia, stregoneria. Lui risponde: “Scrivo la verità, chi mi accusa di razzismo è un terzomondista in malafede”.

     Il volume è la cronaca meticolosa di una sua recente visita-inchiesta in Africa (dal marzo 2008 al settembre 2009), alla ricerca delle radici religiose e culturali dell’Africa nera. Vuol capire meglio l’Africa e pensa, a ragione, che la religione tradizionale sia la chiave per entrare nella cultura e mentalità degli africani. Visita vari paesi: Uganda, Ghana, Nigeria. Costa d’Avorio, Gabon e Sud Africa e scrive: “Ero convinto che nell’immensa vastità dell’Africa le pratiche magiche non fossero diffuse in maniera uniforme. Ho dovuto ricredermi. Ovunque ho incontrato indovini che ‘gettavano le ossa’ per leggere il futuro e ovunque ho ritrovato la stessa idea di una ‘energia’ da imbrigliare attraverso il sacrificio rituale”.

     Naipaul non solo racconta in modo preciso fatti che ha visto e che già conosciamo, la magia, la stregoneria, la credenza negli spiriti, i sacrifici di animali, ma dice che ha sentito il bisogno, “da non credente quale sono, di andare al cuore delle cose, di avvicinarmi ancora di più all’ Africa, attraverso le credenze”. E ha scoperto quanto gli studiosi dell’Africa già sanno. Con una differenza. Chi studia l’Africa legge di riti e magie in un modo, come dire, distaccato, pensando che la vita oggi è molto cambiata e tutto si riferisce ad un lontano passato. Naipaul invece incontra e parla con scrittori, uomini politici, professori universitari, giornalisti  e molta gente comune e documenta come proprio quelle credenze sono radicate nella cultura e mentalità di molti, rappresentano un punto di riferimento diffuso e sono, in fondo, un forte ostacolo allo sviluppo. “L’africano medio – scrive – ha molta paura della religione pagana e questa resiste” (pag. 93). L’africano medio, in fondo, vive una schizofrenia profonda: da un lato accetta e desidera di entrare nell’attualità del mondo moderno, dall’altro la sua cultura tradizionale lo riporta al passato da cui non vuole e non può staccarsi.

     “La maschera dell’Africa” spiazza un po’ tutti proprio per questo. Ci rivela un’Africa quasi sconosciuta che sopravvive e influisce ancora perché “le credenze religiose e le pratiche culturali sono strettamente legate: le credenze religiose determinano la cultura” (pag. 151). Naipaul scrive che “a parte la sua componente islamica, l’Africa si considera cristiana”,  poi subito aggiunge che “al di sotto scorrono antiche correnti di pensiero, di fede, di costumi” (pag. 88).

     “La maschera africana” non è un libro facile perché porta continuamente  l’attenzione su situazioni africane alle quali non siamo abituati, la magia, il boschetto sacro, il malocchio, violenze e crudeltà, sacrifici cruenti e orridi: “Si fanno molti sacrifici rituali…. Succede tutti i giorni” (pag. 206). Realtà tabù che non si vorrebbe nemmeno conoscere. Eppure non è un libro a tesi. Il Premio Nobel ha passato un anno e mezzo in Africa e racconta semplicemente quanto ha visto e sentito senza quasi alcun commento.

    Al termine della lettura, mi viene in mente quanto mi diceva anni fa un missionario cappuccino in Angola, padre Flaviano Petterlini, mentre visitavo con lui il nord e il centro del paese: “Gli africani sono giovani, pieni di vita e di buona volontà e hanno immense potenzialità di sviluppo e di bene. Ma la loro più grande povertà è che non conoscono o conoscono poco Cristo, l’unico che può liberarli dalle potenze del male”.

    Il 21 marzo 2009, in Angola il Papa ha detto ai vescovi angolani: “Tanti dei vostri concittadini vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini di strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni”.

     Il Papa continua dicendo che “qualcuno obietta: «Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità». “Ma, continua il Papa, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che senza Cristo la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale – dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna”.

    E’ la prima volta che una personalità non africana a livello mondiale ricorda questa radice superstiziosa e culturale che impedisce lo sviluppo degli africani e dell’Africa. E il Papa non lo fa per giudicare o condannare, ma per aiutare, come padre e messaggero del Vangelo di libertà, gli africani a liberarsi da una pesantissima eredià religioso-culturale-storica.

                                                                   Piero Gheddo