Le testimonianze che vengono dalle missioni a volte sono veramente belle e commoventi. Un giovane missionario del Pime in Cambogia da dieci anni, padre Alberto Caccaro, mi manda questo racconto di vita vissuta. Ci fa bene ricordare com’eravamo anche noi in tempi non troppo lontani. Lo pubblico volentieri e ringrazio l’amico Alberto. Piero Gheddo.
“Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate;
accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza”[1].
Due giorni fa è venuta una mamma, vedova. Voleva iscrivere la figlia adolescente alla nostra scuola. L’ho vista entrare alla guida di una motoretta scassata, claudicante, ma in movimento. Erano in tre, sulla moto. Con la figlia si portava anche una nipote, sempre da iscrivere a scuola. Venivano da un villaggio non lontano, ma difficile da raggiungere per via della strada alquanto dissestata. Gli occhiali da sole che indossava, vecchi come la moto, servivano a nascondere una menomazione all’occhio sinistro. Me ne sono accorto solo dopo la chiacchierata. Pian piano mi raccontava che per venire fino a scuola aveva dovuto chiedere la moto in prestito ad un vicino. E siccome la moto era senza targa, aveva dovuto chiedere in prestito la targa ad un secondo vicino. Una targa che avesse i fori al posto giusto per essere attaccata all’apposita sede ed evitare di essere fermata dalla polizia stradale. E siccome non aveva il casco, ormai d’obbligo anche in campagna, aveva dovuto chiederlo in prestito ad un terzo vicino … Per non chiedere tutto ad uno solo, aveva preferito confondere la propria indigenza rivolgendosi a tre vicini diversi.
Alla fine, completa di tutto, di moto, di targa e di casco, aveva accompagnato le due ragazze fino a scuola. Di fronte a me, mentre mi parlava, come sfondo alle sue parole, vedevo gli unici due denti dell’arcata superiore ed uno dell’arcata inferiore. Niente più. Ma mi parlava con tanta passione di sua figlia, di sua nipote e della loro voglia di studiare che, in tutta quella mancanza, ho visto una pienezza. Un senso compiuto alle cose. E’ vero quello che dice Rainer Maria Rilke: dobbiamo saper evocare la ricchezza di ciò che altrimenti sembrerebbe e rimarrebbe povero. Ho capito che sono a Prey Veng non per fare grandi cose. Devo solo osservare ed e-vocare, nominare la ricchezza che si nasconde nel cuore di tante madri, povere e un po’ svirgole … ma in movimento, sempre. Nominare fino ad e-vocare[2], e così sottrarre all’oblio. Le mamme salvano il mondo …
Hang ha avuto il suo primo figlio due mesi fa. Sposata da circa un anno, è diventata madre di un bellissimo bambino. Da quando ha partorito il piccolo, non è più venuta alla Messa. Finalmente qualche giorno fa l’ho incontrata. Mi ha spiegato che suo marito, non cattolico, è spesso fuori casa. Il lavoro lo trattiene lontano e non potrà nemmeno partecipare al battesimo del piccolo, il giorno dell’Assunta. Mi racconta che il bambino piange spesso la notte e nessuno riesce a dormire. Il marito lontano, torna ogni tanto per visite brevi, al massimo una notte, poi se ne và. Anche il giorno del parto continuavano a chiamarlo perché tornasse al lavoro. Poi la nascita e le notti insonni …
Ha però notato una cosa: quando il papà torna e dorme una notte a casa, anche il bimbo dorme tranquillo. Allora, una notte, l’ennesima notte senza papà, impotente di fronte al pianto del bambino, ha preso una camicia di suo marito e ha avvolto il corpicino del piccolo. Dopo qualche istante il bimbo ha smesso di piangere. “Forse – mi dice questa giovane mamma – il mio bambino riconosce l’odore del suo papà e si calma, pensa che il papà sia lì”. Ha riprovato più volte e ha funzionato. Mi ha commosso pensare che un bimbo di due mesi possa riconoscere l’assenza e la presenza, e possa dire la sua, piangendo. Ho detto alla mamma di fare presente a suo marito che il lavoro, per quanto necessario, non può diventare un alibi per sottrarsi a suo figlio. Non so come andranno a finire le cose, ma quel piccolo principe piange se il suo papà si sottrae e la casa diventa un insieme di mura disabitate.
Pensando a queste due mamme ho ripreso le parole di un poeta contemporaneo: “Il mondo lo salvano le madri. Certo, i padri lo lavorano, i figli lo fanno avventuroso e lo rinnovano. Ma lo salvano le madri. Lo si capisce quando il tempo si fa duro. Quando i conflitti esplodono. E non si sa come fare. Allora le madri, certe madri, lo salvano. La loro semina paziente, la loro forza segreta lo custodisce e lo rinfranca”.[3]
Alberto Caccaro,
missionario del Pime in Cambogia