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Ci stiamo preparando a celebrare il Santo Natale di Gesù Bambino e giunge la notizia che la Commissione Europea ha stampato più di tre milioni di copie di un diario dell’Unione Europea da distribuire agli studenti delle scuole secondarie, che non contiene nessun riferimento al Natale, ma include festività ebraiche, indù, buddhiste, sikh e musulmane. Circa 330.000 copie sono già state consegnate alle scuole britanniche, scrive il Daily Telegraph, come un omaggio agli allievi da parte della Commissione. La pagina relativa al 25 dicembre è vuota con in calce questo messaggio: “Un vero amico è qualcuno che condivide le tue preoccupazioni e la tua gioia”. Nell’agenda-calendario sono ricordate le feste di tutte le religioni organizzate, meno di quella cristiana, nonostante che gli europei siano in grande maggioranza cristiani. Anche i cartoncini d’augurio della Commissione dicono semplicemente “Auguri di stagione” senza nessun riferimento a feste cristiane, come il Natale. Il Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha dichiarato: “Pubblicare a spese dei contribuenti europei un diario in tre milioni di copie con tutte le feste di tutte le religioni tranne il Natale, è un’indecenza” e ha chiesto al capo della Commissione Barroso di ritirare l’agenda dalle scuole e di conoscere il responsabile. Il portavoce della Commissione UE, affermando che l’obiettivo dell’agenda era proprio quello di far conoscere ai giovani europei le grandi festività delle religioni più diffuse in Europa, ha dichiarato: “Si è trattato di un increscioso e stupido errore”.
Cari amici lettori, sappiamo bene che il nostro Occidente, dopo duemila anni di cristianesimo, sta perdendo la fede in Cristo! Nelle missioni e in paesi non cristiani come l’India, il Giappone e tanti altri anche islamici (Bangladesh, Malesia, Indonesia, Libia), il Natale è festa nazionale ed è il giorno in cui i rappresentanti cristiani vengono chiamati alle televisioni e conquistano le prime pagine dei giornali per raccontare ancora una volta la storia sempre nuova e commovente di Gesù. Il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio alla miseria e alle tragedie dell’umanità che cerca la vera pace. Nel 2010 Papa Benedetto ha fondato e lanciato il “Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione”, affidandolo alla direzione di mons. Rino Fisichella, col compito di riportare alla fede le popolazioni dell’Occidente cristiano; e il “Cortile dei Gentili”, sotto la presidenza del card. Gianfranco Ravasi, per il dialogo con i non credenti. Mete sublimi e di dimensioni gigantesche, che richiedono la condivisione, la preghiera e la collaborazione di tutti i credenti in Cristo. Non chiudiamoci, cari fratelli e sorelle, nella visione pessimistica delle nostre miserie italiane, quasi che questa sia tutta la realtà del mondo. Rischiamo di perdere anche noi la fede nel Bambino Gesù che è venuto a salvare l’umanità. Dobbiamo aprirci agli orizzonti che il Papa ci indica, cioè l’universalità dei popoli a partire da quelli del nostro Occidente cristiano e compresi anche quelli più lontani, dove la Chiesa sta nascendo oggi. Conosco una cara signorina di Genova che nel gennaio 2011 compie i 92 anni e soffre molto per vari malanni (è più facile elencare quelli che non ha, di quelli che ha), ma ha mantenuto una prodigiosa lucidità di mente. Quando vado a trovarla, il suo stato di salute fisica mi commuove, ma molto più il fatto che non si lamenta delle sue sofferenze, anzi mi dice: “Soffro volentieri, padre Piero, per le missioni e i missionari e per la salvezza degli uomini. Ho chiesto a Gesù di venire a prendermi, ma anche di poter soffrire fin che lui vuole perché la Grazia di Dio converta i cuori e porti tutti gli uomini nel beato Paradiso”. Ecco cari amici il mio augurio natalizio. Il Bambino Gesù viene a salvarci e il Papa ci chiede di pregare, soffrire le nostre pene, collaborare con la Chiesa affinchè l’Occidente cristiano ritorni a Dio e a Cristo. Quanto più ci interessiamo e ci doniamo agli altri e tanto più ritorniamo anche noi ad essere cristiani autentici. Che il Bambino Gesù ci porti il dono di una brande fede e la passione di far conoscere la Buona Notizia a tutti gli uomini. E’il miglior augurio di Buon Natale a tutti. Piero Gheddo
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Archivio mensile:Dicembre 2010
Il contributo della Chiesa allo sviluppo dell’Africa
Nei Blog del 12 e 25 novembre ho già scritto dei 50 anni dell’indipendenza africana. Ecco una sintesi di quanto si può dire sul contributo attuale della Chiesa allo sviluppo dell’Africa sotto il deserto del Sahara.
Nei tempo moderni, la Chiesa nell’Africa neraè stata fondata dai missionari, che fin dall’inizio hanno annunziato Cristo con le opere di carità, di sanità, di educazione. Nel tempo della colonizzazione africana, dalla fine dell’Ottocento al 1960, la scuola era quasi tutta in mano alle Chiese cristiane, per decisione degli stessi governi, che finanziavano l’educazione attraverso le missioni. I primi capi dell’Africa nera che l’hanno guidata all’indipendenza venivano tutti o quasi dalle scuole missionarie.
L’evangelizzazione attraverso la scuola è sempre stata prassi costante nel mondo missionario. Uno slogan spesso citato e usato dai missionari diceva: “Prima costruiamo la scuola e poi la chiesa”. E questo perché la scuola apre le menti e i cuori e poi la Chiesa, il Vangelo e il catechismo spiegano e diffondono i contenuti della fede. In tutti i paesi dell’Africa nera, la scuola moderna era sconosciuta. Le prime scuole le hanno aperte i missionari cristiani.
Kwame Nkrumah, il padre della patria e primo presidente del Ghana, allievo dei missionari e poi insegnante nelle loro scuole, nel 1957 diceva in una conferenza agli studenti in Svizzera: “La persona che mi ha presentato ha ricordato che io sono il responsabile del ridestarsi di questo grande continente. Credo che non sia vero. Se vogliamo considerare la situazione in modo più esatto, debbo dire che i responsabili della presa di coscienza di noi africani sono stati i missionari cristiani con le loro scuole”[1].
Oggi in Africa le scuole sono assolutamente insufficienti ad ospitare tutti i bambini e i ragazzi che vorrebbero studiare. Per molti il diritto all’istruzione è ancora un miraggio. I dati forniti dall’Unesco mostrano un quadro inquietante. L’Africa subsahariana è la zona dove l’emergenza scolastica assume i tratti peggiori. La scolarizzazione raggiunge circa il 70% di tutti i bambini, ma visitando l’Africa rurale si vede come una parte non piccola dei locali usati per l’insegnamento non hanno la dignità di essere definiti “scuole”, mancano i banchi, i quaderni, i libri, il materiale didattico. La carenza di maestri della scuola primaria è diventata cronica. La maggior parte dei paesi sono stati costretti a tagliare le spese per il reclutamento degli insegnanti sotto la pressione dei finanziatori e delle banche che esigono l’attuazione di economie di bilancio. Non pochi insegnanti rimangono in città e non vanno in villaggi dove mancano l’elettricità, la Tv e altre comodità. Nelle campagne,le scuole hanno una media di 60-80 e più alunni per classe (in Italia 25-30).
La Chiesa cattolica in Africa gestisce 67.848 scuole materne frequentate da 6.383.910 alunni; 93.315 scuole primarie per 30.520.238 alunni; 42.234 istituti secondari per 17.758.405 alunni. Inoltre segue 1.968.828 giovani delle scuole superiori e 3.088.208 studenti universitari, mentre gli studenti delle scuole superiori cattoliche sono 68.782 e delle università cattoliche 88.822[2].
I numeri possono anche dire poco, ma visitando numerosi paesi africani ho visto che anche in Africa si ripete (come in India e altrove del resto) quello che sperimentiamo in Italia: le richieste di frequentare le scuole della Chiesa sono di molto superiori alle possibilità concrete di ospitare quei giovani, perché danno più affidamento per una buona educazione.
Lo stesso si può dire per il reparto sanità e assistenza. In Africa la Chiesa cattolica gestisce: 1.137 ospedali, 5.375 dispensari, 184 lebbrosari, 184 case per anziani, ammalati cronici, handicappati, 1.285 orfanotrofi, 2.037 giardini per l’infanzia, 1.673 consultori matrimoniali, 2.882 centri di educazione sanitaria, 1.364 altre istituzioni di assistenza per i poveri. Anche qui i numeri non dicono molto, ma per capire l’importanza di questa presenza cristiana nella sanità, bisogna vedere sul posto alcuni ospedali civili e altri gestiti da istituzioni cattoliche (o protestanti). Il padre Ermanno Battisti, che ha costruito e diretto l’ospedale cattolico di Bissau, capitale della Guinea-Bissau, mi dice: “Nell’ospedale nazionale cittadino si paga tutto e ci va solo chi ha i soldi necessari, nel nostro chi non ha niente non paga nulla, gli altri danno qualcosa, spesso proprio il minimo, secondo quel che possono dare. Ma la vera differenza sta nel fatto che i nostri medici, infermiere e personale sono motivati perché pagati bene e perché scelti e preparati dalla missione con studi all’estero; il personale dell’ospedale civile non è motivato: sono pagati poco e si fanno pagare tutto, le prestazioni, i medicinali, ecc.
La Chiesa in difesa dei diritti umani
In tutto il continente africano i cattolici sono circa il 17,7% dei 972 milioni di africani, ma nell’Africa sotto il deserto del Sahara arrivano a circa il 23% dei neri e con gli altri cristiani sono più del 40%. La crescita delle comunità cristiane ha avuto effetti benefici sul piano politico ed economico. In diversi paesi i partiti politici si sono rivolti alla Chiesa per avere un sostegno ed hanno chiamato un vescovo a dirigere la “Conferenza nazionale” che ha preparato una nuova Costituzione. E’ successo in Benin, Congo-Kinshasa, Togo, Gabon. In altri paesi sono stati i vescovi che hanno iniziato o guidato i colloqui di pace (Mozambico, Madagascar, Angola, Liberia); in altri ancora l’opposizione della Chiesa a regimi non democratici ha affrettato la loro fine: Sud Africa (per il regime di apartheid), Burundi, Burkina Faso, Zambia, Congo-Kinsasha, Guinea equatoriale e Guinea Bissau, Angola, Mozambico e oggi in Zimbabwe col dittatore Mugabe.
Le comunità cristiane (cattolici e protestanti) si sono affermate in Africa come soggetti che raccolgono ed esprimono, in paesi quasi privi di opinione pubblica e di organizzazioni popolari, l’anelito dei popoli verso la democrazia, la pace, la giustizia sociale, lo sviluppo economico.
Lo sviluppo dei popoli dalla Parola di Dio
I due Sinodi delle Chiese africane a Roma (1994 e 2009) hanno trattato, oltre a problemi più strettamente ecclesiali, temi di grande significato per lo sviluppo dell’Africa: la pace nella giustizia, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, l’educazione e la crisi dell’educazione in Africa, la necessità di una catechesi che influisca sulla vita dei cristiani: “Formare ad una vita cristiana adulta che possa affrontare le difficoltà della loro vita sociale, politica, economica e culturale” dice una delle “proposizioni” nel messaggio finale dell’ultimo Sinodo.
Perché queste decisioni sono importanti? I vescovi sono convinti che lo sviluppo dei popoli africani viene dall’educazione al Vangelo, alla vita cristiana. In altre parole, il Vangelo vissuto favorisce lo sviluppo perché porta il cristiano e il popolo a correggere le tendenze negative del peccato originale che c’è in tutti, cioè sostanzialmente a passare dall’individualismo al senso comunitario della vita, dall’egoismo all’altruismo e all’amore per tutto il prossimo, dalla violenza alla non violenza, dal tribalismo al senso del bene comune della nazione. E’ evidente che molti cattolici sono battezzati però non si lasciano educare dal Vangelo e dalla grazia di Dio. Ma l’azione della Parola di Dio è molto più profonda e incisiva nella cultura generale di un popolo, di quello che possa essere in un singolo battezzato, sempre libero di comportarsi in modo, diciamo, peccaminoso.
Papa Giovanni XXIII diceva che la politica deve farsi guidare “dalla centralità dell’uomo, non dalle ideologie e dai particolarismi”. Il cristianesimo educa all’amore del prossimo e al bene pubblico, al perdono e non alla vendetta, ad una cultura fondata sul rispetto di ogni uomo, sull’uguaglianza e sull’amore. La resistenza al messaggio cristiano viene anche dalla cultura africana tradizionale fondata su altri principi. Il cosiddetto “ritorno all’autenticità africana” è un discorso ambiguo e non porta certo allo sviluppo dell’Africa nel mondo moderno.
La Chiesa cattolica non vuole distruggere le tradizioni culturali e religiose africane, anzi fin dall’inizio i missionari sono stati i primi e quasi sempre gli unici che hanno lavorato per alfabetizzare le lingue, conservare le culture, l’arte, i proverbi africani. Oggi, specialmente dopo il Vaticano II, l’inculturazione della fede nelle tradizioni dei popoli, e il dialogo con le religioni non cristiane è diventata uno dei temi fondamentali della missione alle genti.
Piero Gheddo
A cosa serve la fede? Ecco una risposta
“Il bene non fa notizia” è un principio che si impara alla scuola di giornalismo. Infatti giornali e televisioni sono pieni di omicidi, scandali, rapine, furti, processi. Mancano (o sono molto scarse) le buone notizie. Eppure, a me capita spesso, visitando paesi e città per incontri e conferenze, di conoscere le meraviglie che gli italiani riescono a realizzare anche in un tempo di crisi delle famiglie e della società come il nostro. Il 7 dicembre scorso, vigilia dell’Immacolata Concezione, ho parlato di Madre Teresa alla “Scuola professionale Oliver Twist” di Como (si definisce anche “Liceo del Lavoro”), che insegna a 450 ragazzi e ragazze un mestiere, mentre compiono i corsi scolastici medi e superiori, abbinando i programmi tradizionali con l’avviamento ad una professione: falegnameria, restauro, decorazione, tappezzeria, operatore dell’area tessile, del legno e dell’arredamento e dell’alberghiera. Nell’ottobre scorso, ad esempio, ha diplomato 15 ragazzi e ragazze come operatori del settore alberghiero.
Con una nota particolare che rende l’esperienza esemplare: i ragazzi che frequentano questa scuola sono ricuperati da situazioni sociali o familiari difficili, che hanno impedito loro di seguire una scuola normale. Secondo i dati del “Rapporto sulla dispersione scolastica” pubblicato nel 2008 dal “Ministero della Pubblica Istruzione”, ogni anno 47.455 ragazzi lasciano la scuola senza aver raggiunto una qualifica superiore, a volte nemmeno il diploma di media inferiore. Quei minorenni spesso sono preda di un progressivo disimpegno e disinteresse verso qualsiasi forma di apprendimento e di lavoro e vanno ad ingrossare le fila dei disadattati alla società in cui viviamo.
Oliver Twist è il protagonista di un famoso romanzo di Charles Dickens, che, dopo mille difficoltà, grazie all’incontro con una persona che lo accoglie e lo introduce alla vita, ritrova la sua strada e ricomincia a sperare. Così sta facendo il “Liceo del Lavoro” di Como, fondato dalla Comunità Cometa, anche questa una bella realtà generata dalla fede in Cristo.
Tutto nasce da due fratelli comaschi, Erasmo e Innocente Figini, il primo stilista di tessuti e arredatore, il secondo chirurgo oftalmico e primario dell’oculistica all’Ospedale Valduce di Como, che dal 1986, dopo un incontro con Don Luigi Giussani, ospitano nelle loro famiglie i ragazzi meno fortunati. Hanno iniziato con un bambino siero positivo abbandonato dai genitori con problemi di droga. “L’incontro con Don Giussani – dice Erasmo – resta una pietra miliare nella nostra vita. Lui ci ha dato la forza per decidere di intraprendere quel cammino, quando dell’Aids si sapeva poco o nulla”. Unendo le due famiglie, i fratelli Figini comperano una vecchia cascina alle porte di Como (la “Brusada”), la restaurano e iniziano ad accogliere i minorenni affidati loro dalla polizia o dal Tribunale dei minori e con l’aiuto di altri volontari creano l’associazione Cometa che continua nel cammino e attira simpatia e aiuti: il bene “non fa notizia”, ma crea partecipazione e aiuti economici. Si comperano terreni contigui alla cascina, si costruiscono altre case tutte unite fra di loro (in tutto 68 appartamenti), arrivano altre due famiglie che condividono l’esperienza dei Figini e di una comunità femminile dei “Memores Domini” (consacrate a vita di C.L.). Oggi Cometa ha quattro famiglie, una comunità religiosa e e una quarantina di minorenni, tra figli propri e adottati da allevare ed educare.
Da questo inizio, nasce la Scuola Oliver Twist, che oggi insegna a 450 ragazzi un mestiere artigianale aiutandoli a terminare gli studi superiori. Un edificio modernissimo con tutta l’attrezzatura di laboratorio necessaria. E poi 250 imprese del territorio comasco accettano gli studenti della Oliver Twist per un periodo di ”stage” o vengono assunti direttamente quando diplomati. Risultato: ragazzi che avevano rifiutato o erano stati espulsi dalla scuola, rientrano nei percorsi formativi istituzionali, imparano la passione per il lavoro e stipulano contatti di lavoro. Ho chiesto da dove vengono tutti questi soldi e mi spiegano che, oltre agli aiuti statali (della Regione Lombardia e della provincia e città di Como), molti privati aiutano l’associazione: Leonardo Del Vecchio, presidente di Luxottica, Vittorio Colao Ceo di Vodafon, il maestro Riccardo Muti, che nel novembre 2009 ha tenuto un concerto a Como ed ha voluto sul palco i ragazzi e i genitori della Cometa; e poi tanti altri amici che continuano ad aiutare secondo le proprie possibilità.
Ho partecipato alla cena della comunità, sul muro una frase del Vangelo di Giovanni: “Senza di me non potete fare nulla”. Una cinquantina di persone, in un’atmosfera di gioia e di condivisione che non né facile trovare altrove. Durante la cena ho anche parlato al microfono raccontando in breve la storia di Marcello Candia e dei miei genitori servi di Dio Rosetta e Giovanni. Poi la conferenza su Madre Teresa a 250 comaschi nel salone della Scuola attigua alla comunità e il ritorno a Milano nella notte. Grazie, Signore, i tuoi miracoli sono ancora tra noi, dobbiamo saperli vedere per ringraziarti.
Gheddo Piero
La nostra vita cristiana non mondana
Il tempo dell’Avvento che stiamo vivendo ci prepara al Natale di Gesù, la seconda persona della SS. Trinità che si fa uomo per liberarci dal peccato e dalla morte eterna. La figura dominante in questo tempo liturgico è Giovanni Battista, l’ultimo grande profeta che viveva e predicava nel deserto, dormiva nelle grotte. Il Vangelo di S. Matteo dice: “Giovanni portava un vestito di peli di cammello con una cintura di pelle attorno ai fianchi; suo cibo erano le locuste (le cavallette) e il miele selvatico. Accorrevano a lui da Gerusalemme e da tutta la Giudea e si facevano battezzare nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”.
Giovanni predicava la conversione a Dio e il perdono dei peccati, cioè un cambiamento radicale di vita. Aveva una voce tonante e: “Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, diceva loro: razza di vipere! Chi vi ha detto che scamperete all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non crediate di dire in voi stessi: “Abbiamo Abramo per padre”, perché io vi dico che Dio può far sorgere dei figli di Abramo da queste pietre… Ogni albero che non produce frutti buoni sarà reciso e gettato nel fuoco”.
Il Battista era venerato da tutti come un uomo di Dio e quando tuonava con la sua grande voce era credibile perchè la sua vita mortificata e tutta consacrata a Dio parlava per lui. Predicava usando parole di fuoco, gridava contro i rappresentanti del mondo ebraico nel quale doveva nascere Gesù, scuoteva i suoi ascoltatori facendoli riflettere. Chiedeva non qualche aggiustamento o ritocco dei costumi del tempo, ma un radicale cambiamento di vita. Perché questa violenza e queste accuse dirette? Giovanni era stato santificato fin dal seno di sua madre Elisabetta, cioè aveva fatto l’esperienza della santità di Dio e di conseguenza aveva un senso drammatico del peccato e della penitenza. Tre riflessioni:
1) – L’Avvento ci chiama a convertirci a Cristo, a vivere una vita di amore a Dio e al prossimo, ispirata al modello di Gesù, in contrapposizione alle mode del mondo. La fede non significa solo dichiararsi cristiani, ma vivere da cristiani, cioè da persone che sinceramente accettano e tendono a imitare l’esempio e la parola di Gesù. Il cristiano e le comunità cristiane dovrebbero dare modelli di comportamento diversi da quelli del mondo. Se nel mondo c’è l’egoismo, noi dovremmo dare l’esempio di altruismo, se nel mondo c’è tristezza e pessimismo, noi dovremmo essere ottimisti e gioiosi perché ci fidiamo di Dio nostro Padre misericordioso.
Oggi il nostro pericolo è di lasciarci omologare al mondo e alla società in cui viviamo, che spesso sono l’opposto del Vangelo e delle Beatitudini. Quando meditiamo il Vangelo e le Beatitudini, ci accorgiamo di quanto distanti siamo dal modello di Cristo e dei suoi Santi. Chiediamo al Signore la grazia di darci il senso drammatico del nostro peccato e di quello che ci manca per essere autentici seguaci di Gesù Cristo.
2) – Mi chiedo se noi preti siamo ancora capaci di scuotere chi ci ascolta, di mettere in crisi noi stessi e i cristiani del nostro tempo. Spesso ci accontentiamo di leggere il Vangelo edulcorandolo, di perderci in spiegazioni esegetiche e culturali, di predicare in modo accomodante in cui tutti si ritrovano.
Una delle mentalità più comuni nel nostro tempo è di lamentarci delle situazioni in cui viviamo, accusando gli altri, cioè non mettendo in questione noi stessi. I nostri discorsi sono spesso pessimisti, come i nostri giornali e telegiornali. Leggiamo e parliamo di corruzione, rapine, furti, ci formiamo l’idea che attorno a noi ci sono tanti malfattori, ladri e farabutti. Noi ci tiriamo fuori, la colpa è sempre degli altri. E’ un’immagine sbagliata: non ci sono i malvagi e i delinquenti in modo assoluto, come non ci sono i santi in senso assoluto. Siamo tutti un po’ santi e un po’ briganti, in modo diverso si capisce, ma solo Dio giudica conoscendo a fondo le singole persone.
Giorni fa vado dal parrucchiere. Ci sono alcuni uomini che aspettano, io leggo il giornale e sento che stanno parlando in questo senso: le cose vanno male, l’Italia è diventata invivibile per colpa del governo, dei sindacati, degli evasori fiscali, dei giornalisti, della mafia e della camorra che sono giunte anche a Milano. Poi il parrucchiere mi taglia i capelli, pago il servizio e chiedo: “Mi dà lo scontrino fiscale?” e lui dice: “Ma non è necessario, padre, lei è venuto a trovare un amico… “. Condannava gli evasori fiscali e non si accorgeva di essere anche lui uno dei tanti.
Oggi Giovanni Battista chiede a ciascuno di noi di ripensare alla nostra vita, di convertirci dei nostri peccati e comportamenti sbagliati secondo il Vangelo e le Beatitudini. Confessare i nostri peccati, non quelli degli altri.
3) – Il Battista, prima di predicare la conversione, si era messo lui stesso sulla via della conversione e raccomandava la penitenza. Viveva una vita austera, mortificata, nel silenzio e nell’isolamento del deserto.
Il mondo rifiuta il sacrificio, la rinunzia, la mortificazione, la sofferenza. Il cristiano sa che non c’è salvezza senza la Croce. Cari fratelli e sorelle, dobbiamo metterci anche noi in questa via di mortificazione e di conversione. Non possiamo andare nel deserto, non possiamo mangiare cavallette e miele selvatico, né vestire una pelle di cammello.
Ma possiamo e dobbiamo fare un po’ di silenzio nella nostra vita: ad esempio rinunziare a qualche chiacchiera inutile, a qualche distrazione televisiva. La tradizione cristiana nella quale siamo stati educati, ci ha lasciato la formula del “fioretto”, cioè la rinunzia volontaria a qualcosa che piace e che potremmo facilmente concederci, per mortificare il nostro corpo. Un santo ha scritto: “Dobbiamo mortificarci nelle cose piccole, per poter accettare gioiosamente le grandi rinunzie e sofferenze a cui la vita cristiana ci chiama”. Il rinnovamento della vita e il ringiovanimento dello spirito vengono da questa disponibilità alla voce del Battista che grida anche a noi: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sia riempito, ogni colle sia abbassato, le vie tortuose siano raddrizzate e le aspre diventino piane. Così ogni carne vedrà la salvezza di Dio!”.
Piero Gheddo
Quali sono i semi del Verbo?
Padre Silvano Zoccarato, dopo più di trent’anni di missione nel Nord Camerun, è stato mandato dal Pime (con altri due confratelli), per rispondere all’invito del vescovo di Laghouat-Ghardaia nel deserto del Sahara, mons. Clude Rault dei Padri Bianchi. Dal 2006 è titolare della comunità cristiana a Touggourt. La sua parrocchia è la più estesa del mondo, circa due milioni di kmq. Ecco una sua “cartolina dell’Algeria”.
Piero Gheddo
Quali sono i semi del Verbo che il Concilio riconosce presenti nelle varie religioni e culture? Giovanni Paolo II ad Assisi li ha ricordati e ne ha precisato uno, quello della preghiera: “Tra questi semi del Verbo e i raggi della sua verità si trova senz’altro la preghiera, spesso accompagnata dal digiuno, da altre penitenze e dal pellegrinaggio ai luoghi sacri, circondati di grande venerazione”.
Anche il card. Martini scrive: “Questi accenti di fede e di profonda umanità, ampiamente diffusi nei testi sacri delle religioni del mondo, possono farci pensare a quel “libro dei popoli” di cui parla la Bibbia (cfr. Salmo 87,6): un libro celeste, nel quale Dio stesso scrive, ma le cui pagine trovano riferimento anche nei libri dei popoli del mondo”.
Nella mia vita di missionario, prima nel Nord Camerun e adesso in Algeria, a contatto con tanta gente di culture e religioni diverse, me lo sono chiesto continuamente e me lo chiedo ancora.
Il primo che ho trovato ovunque è il senso di Dio. Ricordo l’emozione avuta dopo aver accompagnato a casa un camerunese che ritornava da sua madre dopo anni di vita in Gabon. Nel totale silenzio, la madre si stende a terra, e alza per tre volte le mani verso cielo, pregando e ringraziando Dio.
Come il padre del bambino appena nato che secondo la sua tradizione, per tre giorni, mattina, mezzogiorno e sera si reca su un’altura e presenta il bimbo al cielo. O la gente che in momenti forti come trovando l’acqua, o dopo un fulmine, o alla nascita di un figlio, grida: “Bosa, bosa, bosa” per dire: “Sei tu che fai, sei tu”.
Il senso della presenza e dell’azione del trascendente accompagna e riempie ancora tutta l’esistenza di molti popoli e questo diventa una testimonianza. Benedetto XVI dice con coraggio: “Le religioni del mondo, per quanto si può vedere, hanno sempre saputo, che in realtà, non c’è che un solo Dio”.
Il secondo è il senso della vita che esplode in danze frenetiche nelle feste del matrimonio, della nascita e perfino nella “festa della morte”. Molti popoli soffrono ancora per la povertà, le calamità, e le ingiustizie, ma continuano a credere nella forza e nella gioia della vita. Davanti a certe mamme, mi chiedo dove trovino ancora la pazienza e la fiducia.
Il terzo è il senso dell’altro vissuto nell’ospitalità abrahamitica e nella condivisione con l’altro. Si sa che sono i poveri che condividono e tutti possiamo raccontare esempi di aiuto tra vicini e tra parenti anche in situazioni di grave disagio. Io lo vedo continuamente nella mia gente.
E’ vero che tutto è avvenuto e avviene soprattutto tra gente di religioni e culture che qualcuno definisce come primitive. Sta di fatto che questi sono i “sensi” essenziali che hanno permesso a loro di vivere.
Se si riflette bene, potremmo definire questi tre segni con le categorie a noi familiari di Virtù della fede, della speranza e della carità. Questi semi del Verbo, col tempo, o si seccano o si sviluppano. Si seccano quando l’uomo non sente più il bisogno di Dio e dell’ Altro. Si sviluppano quando l’uomo riconosce i suoi valori vitali e li mantiene vivi. Si deteriorano quando un gruppo etnico vive isolato, come in prigione di se stesso o dentro una bolla, preoccupato solo di difendersi. E allora vanno rivitalizzati, purificati, aperti…
Giovanni Paolo II ha detto che in ogni preghiera autentica lo Spirito Santo prega. Dobbiamo credere che lo Spirito stia fecondando quei semi e stia facendo crescere anche in loro l’albero, sì, l’albero della croce di Gesù, l’unico che ha espresso ed esprime pienamente, ancora, fede, speranza e carità.
Padre Silvano Zoccarato
Missionario del Pime in Algeria