Pregare per le conversioni a Cristo

 

     Benedetto XVI  chiede “slancio missionario”, affinchè la “Nuova Evangelizzazione” porti frutti. Tradotto in termini pastorali significa una fede entusiasta nei pastori e nei fedeli e una varietà di iniziative di Vangelo che possa creare tanti stimoli e occasioni per tornare a Cristo. Mi spiego. Penso che spesso, soprattutto noi sacerdoti anziani, soffriamo di “arteriosclerosi pastorale”, accettiamo difficilmente le novità. Ma la missione e lo spirito missionario sono essenzialmente novità continua, sempre con lo stesso fine, portare le anime a Cristo. Non possiamo essere pessimisti. Visitando tante Chiese locali, in Italia e nelle missioni, ho spesso ringraziato il Signore nel vedere come la Chiesa si rinnova continuamente, ringiovanisce nello spirito e nell’annunzio del Vangelo. Io divento vecchio, la Chiesa no.

     Viene a trovarmi un sacerdote padovano, padre José Stella, in Brasile dal 1963 come missionario comboniano. Negli anni ottanta ha lavorato sette anni in Africa, poi è tornato in Brasile con il compito di suscitare missionari brasiliani e poi sostenerli quando vanno in missione. Racconta: “Ho fatto il lavoro pastorale aiutando a fondare tre parrocchie e impegnandomi anche nell’animazione missionaria. Sono diventato cittadino brasiliano e pregavo il Signore perché mi aiutasse a rinnovare la pastorale e l’animazione missionaria. Nel marzo 1996 Giovanni Paolo II ha chiesto di iniziare dei “Cenacoli missionari di preghiera nelle parrocchie, in armonia con le altre attività pastorali, per dare vigore alla coscienza missionaria di tutti i battezzati”.

     “Quelle parole, dice don José, mi hanno folgorato. Ho capito che la via giusta era la preghiera, non la politicizzazione che allora non pochi animatori e stampe missionarie seguivano e non portava frutti di conversione a Cristo. Il 18 aprile 1996 ho iniziato il primo gruppo di famiglie, con lo scopo di partecipare alla missione della Chiesa, di annunziare e convertire a Cristo tutti gli uomini. L’iniziativa grazie a Dio ha avuto successo e oggi ci sono 500 cenacoli missionari in diverse diocesi del Sud Brasile. Non è poco in una sola piccola parte dell’immenso Brasile.

      “Fin dall’inizio ho capito che doveva essere una iniziativa diocesana. Visito i vescovi e chiedo il permesso di entrare in diocesi. Dico: sono un prete diocesano, vogliamo iniziare cenacoli di famiglie che si inseriscono nella vita parrocchiale e diocesana, in pieno accordo con i parroci. I soldi che si raccolgono vengono messi nella banca della diocesi e a nome della diocesi, che poi li manda a quel missionario che il gruppo ha stabilito. Così il vescovo sa, il vescovo controlla, il vescovo apprezza e consiglia la fondazione di altri gruppi, come aiuto all’evangelizzazione del nostro Brasile e con un’apertura universale.

     La bella sede che abbiamo a San Paolo l’ho comperata con soldi di benefattori, quando il prezzo dei terreni era ancora basso. Abbiamo costruito la sede dell’associazione e oggi c’è anche il Centro missionario diocesano; lì vicino abbiamo comperato un capannone, ristrutturato e dato in affitto perché mantenga l’opera. Io  vado a predicare nelle parrocchie che mi chiamano e parlo della conversione a Cristo, che è lo scopo della Chiesa e il senso della vita cristiana. Poi spiego i Cenacoli missionari e se qualcuno aderisce all’iniziativa, d’accordo col parroco vado a trovare questa famiglia, spiego a loro l’impegno che si prendono e il sostegno che noi possiamo dare. Se iniziano, mandiamo ogni mese il foglio con i racconti di conversioni da leggere quando si riuniscono a pregare.   

     L’incontro mensile si svolge in una casa privata o in qualche locale della parrocchia. Mettono sul tavolo una carta geografica e un’immagine della Madonna e dicono il Rosario pregando per le conversioni dei pagani o dei cristiani che hanno perso la fede. E si leggono testimonianze di conversioni a Cristo, che comunico con un foglio mensile di esempi. Questi racconti piacciono  e contribuiscono ad aggregare altri fedeli. Cerco testimonianze ma è molto difficile trovare il materiale. Parroci e missionari non tengono nota di queste “meraviglie dello Spirito”, che invece bisogna far conoscere. Ogni mese preparo un foglio con le testimonianze che riesco a raccogliere, le leggono e pregano. Poi raccolgono anche aiuti da mandare ai missionari brasiliani fra i pagani. Ho visto in Africa che i missionari italiani realizzano molte chiese, cappelle, scuole e altre opere, i brasiliani sono in difficoltà perché ricevono pochi aiuti. L’anno scorso abbiamo mandato circa 180.000 Reais (120.000 Euro) soprattutto in Africa, anche al  nostro vescovo missionario brasiliano di Bafatà in Guinea Bissau, mons. Pedro Zilli. I vescovi del Brasile sono d’accordo che i loro gruppi aiutino i missionari in Africa e in Asia tra i pagani. E’ importante perché questa buona abitudine che c’è in Italia attecchisca anche in Brasile”.

     Chiedo a don José a cosa attribuisce il successo dei cenacoli missionari di preghiera. “Anzitutto alla preghiera. Quando chiedi preghiere per uno scopo preciso, la gente risponde. Secondo, all’insistenza sulla conversione a Cristo, oggi non si sa più bene cosa fa la Chiesa: sulla conversione a Cristo sono tutti d’accordo. Terzo, la carta geografica, l’apertura missionaria, la lettura di molti esempi dall’altra parte del mondo”.

                                                                                                     Piero Gheddo

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quale “Nuova Evangelizzazione”?

 

                               

    Leggo su “L’Osservatore Romano” un interessante articolo di mons. Rino Fisichella su “La Nuova Evangelizzazione” (21 gennaio 2011). La finalità di questo “Pontificio Consiglio” è stata ben delineata da Benedetto XVI il 28 giugno scorso quando l’ha istituito: il suo scopo è di “risvegliare la fede nei Paesi di antica tradizione cristiana… e offrire delle risposte adeguate perchè la Chiesa intera si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione”.

     Mons. Fisichella commenta queste parole del Papa indicando orientamenti e speranze del nuovo dicastero. Mi permetto di raccontare l’esempio di un missionario autentico, che può illuminare il modo, il metodo, il linguaggio e i contenuti di questa provvidenziale iniziativa, che deve appassionare tutti i credenti in Cristo.

     Il Venerabile padre Clemente Vismara, non lontano dalla beatificazione, è stato 65 anni in Birmania (1923-1988) ed è morto a 91 anni nel 1988 con una grande fama di santità anche presso i non cristiani. Sono andato a trovarlo nel 1983, aveva 86 anni e tentavo di fargli un’intervista, ma lui non voleva parlare della sua vita avventurosa in una regione forestale e montuosa, fra poveri tribali animisti, villaggi con capanne di fango e paglia, una vita “primitiva” tormentata da bande di guerriglieri e briganti. Mi diceva: “Parliamo invece di quel che farò nei prossimi anni, costruirò scuole e cappelle, prenderò contatto con tribù nuove, battezzerò altri nuovi cristiani, continuerò a raccogliere orfani….”. Aveva 86 anni ed era ancora parroco a Mongpin, il medico più vicino a un centinaio di chilometri (con quelle strade), con una “parrocchia” di circa 9.000 kmq, più del doppio della sua diocesi di Milano. Visitava ancora i suoi villaggi cristiani, si lamentava solo di non poter più andare a cavallo e per salire i ripidi sentieri di montagna veniva portato su una barella da quattro uomini o quattro donne. “Che vergogna, mi diceva, essere portato dalle donne!”.  

      Del Venerabile padre Clemente, un suo confratello del Pime padre Angelo Campagnoli, che è stato con lui sei anni, così lo ricorda: “La vita di Vismara è la ripetizione degli stessi gesti per 65 anni. Come ha incominciato, così ha finito: orfani, lebbrosi, oppiomani, poveri affamati, riso, cappelle, scuole, villaggi da visitare, è sempre stata la stessa vita, uguale nella sua ripetitività ma sempre nuova perché Vismara faceva gli stessi gesti con lo stesso entusiasmo della prima volta….Padre Clemente si realizzava prendendosi cura di tutte le miserie che vedeva, di tutti i poveri che gli capitavano a tiro, dava da mangiare anche ai fuggiaschi della guerriglia, ai ladri scacciati dai villaggi, ai lebbrosi che nessuno più voleva vicino alle abitazioni dei sani, alle vedove ed a qualunque tipo di povero. Viveva con 200-250 orfani affidati alle cure della suore di Maria Bambina. Tutti lo entusiasmavano di nuovo, come fosse la prima volta. Dava a tutti come fossero da tanto tempo suoi amici. In quelle situazioni di fame e carestie, il suo vanto era di poter dire: tutti quelli che vengono alla missione mangiano tutti i giorni. Passava parte della notte scrivendo tante lettere agli amici e benefattori”.

     Padre Mario Meda, anche lui nella diocesi di Kengtung per otto anni, aggiunge: “Padre Clemente diceva molti Rosari, secondo il consiglio di mons. Erminio Bonetta, fondatore della nostra diocesi: “Seminiamo molti Rosari nei nostri viaggi e nelle nostre giornate, porteranno molti frutti di conversione”. So che Vismara recitava un Rosario intero tutti i giorni, 150 Ave Maria, e compiva quotidianamente le pratiche di pietà della vecchia tradizione sacerdotale… Questa era la sua regolarità, tutti i giorni della sua vita. Però era anche libero, non formalista, ad esempio era disposto a interrompere la preghiera del Breviario per rispondere a qualcuno e poi riprenderla. Era un uomo libero di spirito, equilibrato in tutto, pieno di buon senso e di amore a Dio e all’uomo. Viveva con fedeltà la sua vocazione, non sognava cose diverse, era libero da ogni complesso, credo non abbia mai avuto problemi di fede o difficoltà ad essere un buon cristiano, prima che un buon prete e missionario”.

      L’esempio di questo Venerabile in attesa di beatificazione, credo illustri bene, in concreto, quello “slancio missionario” che  Papa Benedetto chiede a tutti noi, vescovi, preti e laici cristiani, per riportare il nostro Occidente a Dio ed a Gesù Cristo

                                                                              Piero Gheddo

 

Senza Dio non c'è pace

  

     Ieri sera, venerdì 21 gennaio 2011, ho partecipato alla Marcia per la Pace a Muggiò, in provincia di Monza-Brianza, organizzata dal Decanato di Desio (12 parrocchie). Consola vedere, in una serata di gelo sottozero, tante persone, e anche giovani, che partecipano con fede. Partenza dalla parrocchia periferica di Muggiò (San Carlo) alle 21, con saluto del Sindaco e del Parroco Decano, e poi la marcia con preghiere e canti verso la chiesa centrale di Muggiò (SS. Pietro e Paolo), con la mia testimonianza e poi quella di un sacerdote della Chiesa greco-ortodossa di Grecia, in visita a Milano per la settimana dell’Unità dei cristiani. Nella grande chiesa parrocchiale strapiena abbiamo poi pregato per la pace, l’unità delle Chiese cristiane e che cessino odio e violenze contro i fedeli di Gesù Cristo. Una serata di fede e di riflessione che il Signore benedice.

      Il Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata della Pace del 1° gennaio 2011 (“Libertà religiosa, via per la pace”) non ha nulla di convenzionale, a cominciare da questa constatazione: “I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede”. Un dato di fatto innegabile che tutti ormai conoscono, una denunzia di fronte alla quale sarà più difficile far finta di niente. Infatti, il governo italiano e poi l’Unione Europea si sono mossi, con la proposta: “Niente più aiuti ai paesi che perseguitano i cristiani”.

     Ho  raccontato alcuni casi di persecuzione di cui sono stato testimone in Pakistan, Ruanda, Filippine e spiegato il significato profondo del Messaggio papale. Il Papa difende i cristiani nei molti paesi in cui sono perseguitati. Ma non si limita a questo. Benedetto XVI scrive che la libertà religiosa è la base dei diritti umani, “la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani” (n.5). Infatti, i paesi nei quali più si esercita violenza contro la libertà religiosa, sono proprio quelli che violano tutti i diritti umani e creano tensioni che fanno temere possibili guerre: Iran, Nord Corea, Cina, Vietnam, Pakistan, Somalia, Myanmar, Sudan, Egitto.

 

     Perchè il Papa scrive che “la libertà religiosa è una vera arma per la pace” ed è alla base di tutti i diritti umani? Perchè il fondamento della pace è l’amore di Dio Padre per tutti gli uomini e il comandamento che il Figlio di Dio Gesù Cristo dà ai suoi discepoli: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Se dall’orizzonte di un popolo togliamo Dio e il riferimento a Dio (Dio è amore!), inevitabilmente prevalgono l’egoismo, l’odio, la vendetta, l’oppressione delle persone e dei popoli, la guerra.  

     La libertà religiosa non è quindi un problema che interessi solo i cristiani, ma deve appassionare tutti gli uomini di buona volontà, perché è alla base dei diritti umani e della convivenza sociale. La pace nel mondo, e nelle famiglie, è un dono di Dio. I nemici della libertà religiosa, scrive il Papa, sono anche i nemici della pace. In particolare Benedetto XVI ne ricorda due:

          Primo, il fondamentalismo, che strumentalizza una religione “per mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito, l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo, può provocare danni ingentissimi alle società”. Il Papa condanna ancora una volta ogni violenza fatta in nome di Dio, ricordando che la verità si impone con se stessa (n. 7). Evidentemente allude al radicalismo islamico, a quello indù, al terrorismo.

         Secondo, il relativismo, che toglie ogni valore alla religione e la condanna a diventare un “hobby” privato, quindi a non influire sul cammino della società e sulla formazione dei giovani. Benedetto XVI si riferisce al mondo occidentale dove, con la scusa di non offendere le altre religioni, si cancellano i sacri segni cristiani dalla vita pubblica e si costringe al privato l’esperienza religiosa: “Le leggi e le istituzioni di una società – grida il Papa – non possono essere configurate ignorando la dimensione religiosa dei cittadini o in modo da prescinderne del tutto” (n. 8). Gli esempi sono tanti: le leggi contro la vita e la famiglia (aborto, divorzio, unione dei gay equiparata al matrimonio, eutanasia, ecc.).

      Il materialismo vuoto dell’Occidente, che emargina la religione, sta distruggendo lo sviluppo civile creato in due millenni di cristianesimo: a partire dalla famiglia, si stanno sfasciando anche la scuola, la politica, l’economia, la società civile. Il Papa chiede che la legislazione dei vari Paesi tenga conto della legislazione internazionale in fatto di diritti umani e religiosi e propone come simbolo per un futuro di pace l’incontro di Assisi del 1986, dove “i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace” (n.11).

      Nella Giornata per la Pace, che in questo gennaio è celebrata in molte diocesi e città, Benedetto XVI lancia un appello a tutti i cristiani, che “sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con una testimonianza della propria fede e carità, ad offrire un contributo prezioso al faticoso

ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane” (n. 7).

                                                                                        Piero Gheddo

 

Ottobre 2011 – Il Papa e le religioni ad Assisi

 

     Fra i 16 documenti del Concilio Vaticano II (costituzioni, decreti, dichiarazioni) quello che più ha rivoluzionato la missione alle genti non è stato, come si potrebbe immaginare, l’ “Ad Gentes”, ma la “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” (“Nostra Aetate”), il testo più breve (cinque soli numeri), che ha capovolto la mentalità e le prospettive delle giovani Chiese e dei missionari. La storia, specialmente della Chiesa, è guidata dallo Spirito Santo e nulla avviene per caso. A distanza di tempo se ne vedono i risultati.

     Così, quando Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata per la Pace del 1° gennaio e all’Angelus di quel giorno, ha rivelato che nell’ottobre prossimo ancora ad Assisi si incontrerà con i rappresentanti delle religioni non cristiane, ho ringraziato il Signore per questo rinnovato impulso alla conversione di atteggiamento della Chiesa verso le sterminate popolazioni che non hanno ancora incontrato Cristo, ma che anch’esse sono assistite e ispirate dallo Spirito Santo. Ecco le parole del Papa:

 

    “Nel Messaggio per l’odierna Giornata della Pace ho avuto modo di sottolineare come le grandi religioni possano costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana, ed ho ricordato, a tale proposito, che in questo anno 2011 ricorrerà il 25° anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace che il Venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986. Per questo, nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio Predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio. Vi invito ad accompagnare sin d’ora con la vostra preghiera questa iniziativa”.

 

      Quali sono i risultati della “Nostra Aetate” e del primo incontro ad Assisi del 1986? Le Chiese locali (e naturalmente anche i missionari stranieri) hanno percorso o stanno percorrendo un lungo e faticoso cammino di apertura, di incontro, di accoglienza, di dialogo e di collaborazione con le religioni non cristiane. Nella tradizione missionaria le religioni erano viste come nemiche di Cristo, oggi sono viste come preparazione a Cristo, quasi un “Antico Testamento” in attesa del Nuovo. Il grande Matteo Ricci, cinese con i cinesi, scriveva: “Contro questo mostro dell’idolatria cinese, terribile con le sue tre teste (confucianesimo, taoismo e buddhismo), che tiranneggia da migliaia di anni tanti milioni di anime trascinandole negli abissi dell’inferno, si è levata la nostra Compagnia per fargli la guerra…al fine di liberare le anime disgraziate dalla dannazione eterna”.

     Prima del Vaticano II la mentalità dei missionari e dei giovani cristiani era ancora questa e l’ho sperimentato a quel tempo soprattutto  in Vietnam e in India. Quando Paolo VI venne a Bombay nel novembre 1964 per il Congresso Eucaristico internazionale, il suo incontro con i rappresentanti delle religioni indiane fu aspramente contestato (anche da vescovi) nell’India stessa e in Vietnam nell’ottobre 1966 dovette andare mons. Pignedoli, delegato di Paolo VI, per combinare un inizio di dialogo fra cattolici e buddhisti, anche là avversato da vescovi e missionari. Oggi, negli stessi paesi, la situazione è del tutto diversa e tra i fedeli cattolici e di altre religioni si pratica “il dialogo della vita”, come lo definiva Giovanni Paolo II: non il “dialogo teologico” come si immaginava al tempo del Concilio (rifiutato perché visto come tentativo di “proselitismo”), ma la vita assieme, collaborando per il bene pubblico e la salvaguardia della pace, della giustizia, dell’aiuto ai poveri e della libertà religiosa per tutti. Le Chiese locali e le diocesi partecipano a comitati di dialogo inter-religioso e inter-ecumenico che creano un’atmosfera di conoscenza e stima reciproca, che favorisce la pace.

      Non importa che poi, in India ad esempio, l’estremismo indù, quasi sempre generato e guidato da partiti politici che strumentalizzano le religione nazionale, perseguiti i cristiani, perché questo succederebbe anche senza il dialogo, anzi sarebbe peggio! La grande maggioranza degli indiani apprezzano e stimano il cristianesimo e l’opera sociale della Chiesa. Nel gennaio 2005 sono andato in India, poco dopo lo tsunami che il 26 dicembre 2004 aveva spazzato le coste orientali del paese, con decine di migliaia di morti e milioni di profughi. L’organizzatore degli aiuti ricevuti dalla Chiesa di Chennai (Madras) era il padre Anthony Thota del Pime indiano, che mi ha accompagnato in visita ai “progetti” che si stavano realizzando.

     Gli chiedo se aiuta solo i cattolici o anche gli altri. Risponde: “Aiuto quasi solo solo gli altri, i villaggi e le famiglie indù. I cattolici se la cavano da soli, gli indù invece sono fatalisti e passivi di fronte alla disgrazia. Se non li stimoli con gli aiuti e i controlli, muoiono di inedia”. E aggiungeva: “Però posso dirti che vent’anni fa l’induismo non aveva volontariato. Poi, sull’esempio delle missioni cristiane oggi ci sono numerosi organismi di volontariato indù che lavorano con noi e come noi cattolici e protestanti”. Stando in Italia, è difficile conoscere questi risultati del dialogo. Bisogna fidarsi dello Spirito Santo.

                                                                                      Piero Gheddo

 

 

 

 

C'è anche di peggio della persecuzione

 

                  

     Nel 2010 l’avvenimento della Chiesa cattolica che più mi ha colpito, non sono state le numerose persecuzioni anticristiane e i martiri che hanno segnato col loro sangue lo svolgersi dei mesi e dei giorni, ma due discorsi di Papa Benedetto, nei passaggi in cui apre uno scenario insolito nel panorama della vita ecclesiale, del quale siamo protagonisti noi tutti credenti in Cristo.

     Giovanni Paolo II, al termine e all’inizio del nuovo millennio, già aveva più volte chiesto perdono per le colpe dei cristiani, suscitando anche contestazioni e incomprensioni nella Chiesa cattolica. Benedetto XVI fa un passo avanti. Il 28 giugno 2010, parlando a 38 cardinali e arcivescovi metropoliti ai quali imponeva il pallio, ha affermato: “Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr Mt 10,16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave. Il danno maggiore, infatti, la Chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto”. Poi il Papa cita la “Seconda Lettera a Timoteo” dove tratta degli atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, eccetera (cfr 3,1-5). La conclusione dell’Apostolo è rassicurante: gli uomini che operano il male – scrive – “non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti” (3,9).

 

    Il 20 dicembre Papa Benedetto, parlando ai cardinali, arcivescovi e vescovi e ai prelati della Curia vaticana per gli auguri natalizi, è tornato sul tema richiamando una mistica tedesca, sant’Ildegarda di Bingen, alla quale in visione è apparsa la Chiesa: “Una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere… Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate”.    

 

    Il Papa poi aggiunge: “Il volto della Chiesa è coperto di polvere, ed è così che noi l’abbiamo visto. Il suo vestito è strappato – per la colpa dei sacerdoti. Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la verità salva. Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere”. Il richiamo ai sacerdoti pedofili è evidente.

 

     Questi due pesanti richiami debbono scuoterci e aprirci gli occhi: il peccato di noi cristiani è oggi il principale ostacolo all’evangelizzazione del mondo! Questo me l’hanno detto spesso nelle missioni tra i non cristiani. Oggi lo dice il Papa e ne parla due volte a vescovi e sacerdoti. Siamo tutti chiamati in causa. Il nostro peccato, oltre agli aspetti negativi personali, ha prodotto la società dell’Occidente, con popoli in maggioranza battezzati che vivono “come se Dio non esistesse”, dove fioriscono tanti costumi e ideologie che di evangelico non hanno assolutamente nulla. Ad esempio, l’ideologia che la religione è un fatto privato, ci si vergogna persino di parlarne in pubblico.

     Ci lamentiamo spesso del nostro tempo, ma siamo noi, adulti e anziani, che l’abbiamo preparato, proprio seguendo le mode correnti. Un piccolo esempio, in passato almeno nelle famiglie credenti si pregava in famiglia: il Rosario alla sera era un costume ampiamente diffuso. Oggi pare scomparso.

     Nel mondo occidentale in cui viviamo, le leggi danno piena libertà di religione, ma la persecuzione viene dalla cultura dominante che ritiene il fatto religioso irrilevante nel cammino della società. Il nostro mondo secolarizzato (nato dalla continua diminuzione della fede e della vita cristiana dei battezzati) tende a ridurre la religione ad un “hobby” personale e privato, che non interessa la politica, la scuola, la famiglia, l’economia, i dibattiti culturali. Ecco la mancanza di libertà: un credente non è più libero di praticare la sua fede, se è considerato un “alieno” negli ambienti di lavoro, specialmente in giornali e televisioni, scuola e università. Conosco giornalisti cattolici che hanno dovuto uscire dalla redazione di importanti giornali nazionali, altri si sono camuffati per poterci restare. Ho sempre pensato che questo avveniva per colpa di altri. Dopo quanto ha detto il Papa, debbo incominciare a pensare che è anche colpa mia.

                                                                         Piero Gheddo

Buon Anno: la forza dell'amore

 

 

      Cari amici del Blog “Armagheddo”, vi chiedo scusa del lungo silenzio, per i troppi impegni nelle “feste natalizie”. Auguro a tutti Buon Anno, con una “buona notizia” che viene da lontano. Lo Spirito Santo lavora sempre, non dorme mai, non va mai in pensione e ogni tanto ci dà questi segni di ottimismo nella forza dell’amore e della Grazia di Dio. Padre Paolo Ballan è parroco a Mirpur, una delle 9 parrocchie di Dakha, la capitale del Bangladesh che conta dai 10 ai 12 milioni di abitanti, quasi tutti musulmani. I cattolici sono circa 80.000, dispersi in questo mare islamico quasi sempre calmo, dove, come cristiani, si naviga senza pericoli di persecuzione o discriminazione.

                                                                          Piero Gheddo

 

 

04 gennaio 2011

Carissimi, siamo quasi alla fine del tempo di Natale, ma voglio comunicarvi, come storia natalizia, un fatto realmente accaduto anche se può sembrare una fiaba. Si potrebbe intitolare “La forza dell’amore”.  Prima di Natale si presenta un cattolico trentenne che abita a Mirpur da più di dieci anni, ma che fino ad allora non si era mai fatto vedere, per questo motivo. Il ragazzo era stato nel seminario minore fino all’età di diciotto anni. Poi era uscito perché innamoratosi di una giovane musulmana. L’amore per lei non solo lo aveva fatto uscire dal seminario, ma per poterla sposare aveva rotto i rapporti con la sua famiglia e, acconsentendo al ricco suocero, si era fatto musulmano abiurando la fede cristiano-cattolica.

         Passano gli anni, nascono alla coppia due figli, ma nel cuore del giovane la fede musulmana non è mai attecchita, nel suo cuore l’amore per Gesù non è mai venuto meno, anche se per amore della sposa e per timore del suocero, il tutto è rimasto dentro, nel suo intimo. Il tempo passa fino a quando non trova il coraggio di confidare alla moglie il desiderio di riabbracciare anche formalmente la fede cristiana e celebrare le nozze secondo il rito cristiano. La moglie, ormai certa dell’amore del marito e per amore di lui, si rende disponibile ad esaudire questo desiderio. L’ostacolo resta il suocero, il quale mai accetterebbe che la figlia sia sposa di un cristiano.

         La coppia si rivolge ad un prete amico del ragazzo, il quale gli  consiglia di andare in Corte a fare la dichiarazione di cambio di religione, da musulmana a cristiana, e poi di rivolgersi al parroco di Mirpur per chiedere se può celebrare il matrimonio in modo riservato. Così la coppia si presenta da me, preceduti da una telefonata del loro prete amico e accompagnati da una sua lettera che spiega la loro storia, con la preghiera di aiutarli a sposarsi in modo cristiano.

         Dopo aver ascoltato direttamente dalla loro voce la loro vicenda, si decide di celebrare  in modo riservato un matrimonio con disparità di culto chiedendo il permesso (dispensa) al Vescovo. Così dopo Natale, la coppia si presenta in chiesa a celebrare il loro amore davanti al Signore  e ottenere la Benedizione del Dio Padre di tutti e di Gesù. Il quale pur chiamato con nomi diversi e spesso amato con culti e comprensioni diverse, ora ha potuto benedire in pienezza le loro nozze, già celebrate nel nome di Allah, ed ora celebrate anche nel nome del Signore Gesù. 

         L’Amore che ha unito quella coppia, L’Amore per  Dio che ha rischiato di separare quella coppia e che ora nel reciproco rispetto ha rinforzato la loro unione, è stato capace di vincere le incomprensioni umane e le divisione religiose. Sia questo Amore, nato a Natale in mezzo a noi ad abitare nei nostri cuori e nelle nostre case. Buon Natale e Buon anno da Mirpur

                                                               Padre Paolo Ballan,

                                                              missionario del Pime