Speranza, ottimismo e gioia nel beato Clemente

 

  

     L’amico Massimo mi scrive: “Leggo la
bella biografia di padre Clemente: mi sono commosso parecchie volte, le vicende
di questo Beato raccontate nei suoi scritti toccano il cuore. Però le chiedo: cosa
insegna a me, padre di famiglia e impegnato a fondo nel mio lavoro, la vita di
padre Vismara? Mi ha dato alcune ore di serenità, di avventura, di poesia; ho
imparato da lui l’amore agli altri, la dedizione e il sacrificio, lo spirito di
preghiera. Ma la mia vita è così diversa e lontana dalla sua…”.

    Caro
amico, il Beato Clemente insegna a noi tutti almeno una cosa: dobbiamo vivere
la nostra vita, qualunque essa sia, non guardandola con occhi umani, ma con gli
occhi di Dio. Allora troviamo forza, serenità, gioia, coraggio, ottimismo.
Vismara viveva di fede e questo trasfigurava la realtà nella quale ha passato
65 anni. Per lui tutto era poetico e gioioso, mentre in realtà era banale e a volte
disumana. Il popolo tribale poverissimo e “primitivo” per il quale ha dato
tutta la vita avrebbe potuto renderlo pessimista, arido, triste. Invece
Clemente potrebbe essere definito “il santo della gioia”, trasmetteva la gioia di
vivere e la speranza di un futuro migliore.

     Il suo ottimismo, che veniva dalla fede e
dalla molta preghiera, gli ha dato il coraggio e la forza di trasformare il suo
popolo. Quando sono andato a trovarlo nel febbraio 1983, aveva 86 anni ed era
ancora parroco a Mong Ping, con un giovane coadiutore birmano del quale diceva
solo bene. Gli ho chiesto se era contento dei suoi cristiani e mi risponde: “Contentissimo!
Vorrei tanto che voi in Italia prendeste esempio da loro: dalla loro fedeltà
alla preghiera, alla Chiesa e ai Comandamenti di Dio, all’amore del prossimo.
Danno buon esempio anche a me… Io sono convinto che, quando tornerà la pace, su
queste montagne e tra queste foreste vi sarà una primavera cristiana che
stupirà il mondo. Spero di esserci ancora a quel tempo”.

 

     Ecco l’ottimismo di  Clemente Vismara, che non corrispondeva alla
realtà dei fatti visti con gli occhi umani (come la vedevo io), ma certamente
corrispondeva alla visione che Dio aveva di quel popolo. Clemente non era assolutamente
un ingenuo, ma era un “santo” e anche attraverso la sua dedizione e il suo
esempio, oggi abbiamo una Chiesa birmana, nata dagli “ultimi”, oggi veramente esemplare.
Se Clemente fosse stato scoraggiato e pessimista, avrebbe combinato poco o nulla.
Era entusiasta della sua vocazione e i risultati oggi si vedono.

    Per questo, quando parlo sul tema
missionario, dico sempre che il primo dono da fare ai missionari non sono i
soldi, ma la preghiera. I soldi ci vogliono, ma vengono dopo: prima serve la
preghiera. Per un motivo molto semplice: la vita missionaria è fondata sulla
fede. Se il missionario vive di fede, la sua vita è bellissima; quando invece
la fede si indebolisce, anche la vita missionaria diventa difficile, insulsa,
insopportabile. Ma questo, caro amico, vale non solo per i missionari: vale per
tutti i cristiani! Le nostre vite sono tutte difficili, diventano belle ed
entusiasmanti solo se viste con gli occhi di Dio.

    La biografia di Clemente, spogliata dei
toni epici e avventurosi, mette bene in risalto che questo santo missionario
viveva in una realtà miserabile: isolamento, mancanza di ogni comodità,
villaggi di paglia e fango, guerriglia, briganti, orfani, vedove, lebbrosi,
oppiomani, miseria, fame, ignoranza, malattie epidemiche… Non solo, ma le sue
lettere (ne abbiamo raccolte ormai più di duemila!), sono in fondo ripetitive
quanto mai. Parla sempre di orfani, sacchi di riso, capanne in cui piove
dentro, cavalli, foreste, malattie, guerre, feste (“festoni” diceva
lui, per indicare che erano feste grandi) di povera gente affamata, nelle quali
si ammazzava un bue, due maiali e cinque capre e alla fine della festa
“non si avanzava manco la coda”. Perchè fare festa là vuol dire
soprattutto mangiare a crepapelle.

    Perchè queste lettere divertono, piacciono
a decenni di distanza? Perchè dicono cose interessanti? Nemmeno per sogno.
Perchè ci vedi dietro un uomo realizzato, felice pur in una situazione
miserabile.

    Cosa insegna la vita di padre Clemente? Se
noi fossimo capaci, come lui, di trasfigurare con la fede le nostre giornate, i
nostri problemi e le nostre sventure, saremmo le persone più felici di questo
mondo. Perchè, oggettivamente, viviamo in condizioni cento volte migliori delle
sue. Ci manca la fede. O meglio, non ne abbiamo abbastanza. E’ un dono che
dobbiamo chiedere a Dio, per intercessione del beato Clemente Vismara.  

 

                                               
Padre Piero Gheddo