Festa di San Pietro, il primo Papa

San Pietro, l’Apostolo che Gesù ha scelto come suo successore nel dirigere la comunità dei suoi discepoli. Quali sono le qualità umane di Pietro, che hanno convinto Gesù a farne il primo Papa? Pietro era capo di una compagnia di pescatori, un uomo autentico, onesto e trasparente, aveva leadership, bontà naturale, saggezza, prudenza e coraggio, esperienza di vita, buon senso. Però la caratteristicafondamentale della sua vita è l’amore appassionato a Cristo e la fede in Lui. Quanti fatti nella vita di Pietro testimoniano questa fede e amore a Cristo!

Ricordiamo la triplice domanda di Gesù: “Piero, mi ami tu più di costoro?”. E la sua risposta: “Signore, tu sai tutto. Tu sai quanto ti amo!”. Non era una fede intellettuale, nutrita di studi, ma un amore totale alla persona di Cristo.

“E voi, chi dite che io sia?”. Pietro è stato il primo a dare la risposta giusta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.

“Volete andarvene anche voi?”. Pietro risponde: “Da chi andremo Signore?Tu solo hai parole di vita eterna”.

 

La fede e l’amore a Cristo lasciano però a Pietro tutti i suoi limiti e peccati. Si fa dire dal Maestro: “Via da me, o Satana! Tu ragioni come gli uomini, non pensi come Dio”. La notte del Venerdì Santo tradisce Gesù: “Non lo conosco”. E quando Gesù è in agonia appeso in Croce, Pietro non si fa vedere, fugge lontano. Tutto questo avrebbe dovuto scoraggiare Pietro, renderlo pessimista, allontanarlo da Cristo. Invece, da uomo vero, era anche umile, riconosce il suo peccato, piange amaramente, crede dell’amore a Cristo che lo purifica, lo redime, lo rende sempre nuovo nonostante le sue colpe.

Ecco l’esempio più toccante di Pietro. Lo scoprirsi uomo e peccatore (“Allontanati da me – dice a Gesù – che sono un uomo peccatore”) non lo abbatte, sa che l’amore a Cristo vince tutto e riprende il cammino con nuova lena.

Gesù ama le persone autentiche e Pietro lo era. Ritorna sui suoi passi e nel Cenacolo è con Maria e gli altri Apostoli a ricevere lo Spirito Santo. Poi è pieno di coraggio e al Sinedrio, che gli proibiva di parlare ancora di Cristo risponde: “Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini”. Lancia la sfida ed è disposto a ricevere una buona dose di frustate, a farsi incarcerare e poi, alla fine della vita a morire crocifisso come il suo Maestro, addirittura con la testa in basso.

 

Questo San Pietro il primo Papa, che rappresenta non solo l’immagine della fede, ma è anche il primo di una interminabile successione di Papi che ci tengono uniti a Cristo. Negli anni del Sessantotto, quando nella Chiesa si stava “infiltrando un acido spirito di critica e di divisione”, come diceva Paolo VI, la Provvidenza ha dato al nostro istituto, il Pime, un superiore generale che ha tenuto ferma la barra del timone orientato alla venerazione e obbedienza al Papa. E ha governato con paternità e mano ferma l’Istituto, salvandolo da una deriva che a quei tempi pareva quasi inevitabile.

Mons. Aristide Pirovano (1915-1997), fondatore della diocesi di Macapà in Amazzonia brasiliana (1946-1965) e superiore generale del Pime (1965-1977), era un uomo, come si dice, tutto d’un pezzo. Uno dei suoi “chiodi fissi” era l’amore e l’obbedienza a Cristo e al Papa. In tempi didiffusi relativismi e confusione di voci, parlando e scrivendo ai missionari si riferiva spesso al Papa, fino a dire e ripetere questo slogan: “La mia linea è quella di stare sempre col Papa”. Da uomo di fede, semplice e pratico qual era, non si fermava a discutere di temi che riguardavano la fede (lui diceva che la sua fede era quella che gli aveva insegnato la mamma): se il Papa aveva parlato, lui era d’accordo con Paolo VI. E aveva la capacità e il carisma di agire di conseguenza. Ecco alcuni passaggi del suo “Discorso ai missionari partenti”tenuto il 22 settembre 1968 a Milano (si veda la sua biografia: P. Gheddo, “Il vescovo partigiano, mons. Aristide Pirovano”, Emi 2007, pagg. 455):

 

La Chiesa non è certamente nuova alle bufere e ha conosciuto nei secoli lo strazio e le eresie che dilaceravano la veste inconsutile di Gesù… Oggi, purtroppo, cari confratelli, quello che vi aspetta non è un’eresia, uno scisma. A mio modo di vedere è qualcosa di ben più grave, di più pericoloso. Oggi, oserei dire, è la potenza delle tenebre che con un infernale gioco di astuzia e con profonde parvenze di verità e di scienza, tende a trasformarsi in angelo di luce e pretende di insegnare al popolo di Dio, ma specialmente ai leviti e ai sacerdoti, nuovi principi di sociologia, di filosofia e persino di esegesi biblica, di morale e anche di teologia dogmatica. E questa manovra non è una lotta aperta e leale, ma subdola e sottilmente velenosa; si dice di non voler negare la fede ma solo di volerla rendere più comprensibile, più razionale, più facile; si dice di non voler negare la moralema di voler soltanto renderla più personale, più adattata alla cosiddetta personalità umana.

 

“Non si nega il Concilio, dice Paolo VI, ma pensandolo già superato e non ritenendo di esso che la spinta riformatrice senza riguardo di ciò che quelle solenni assise della Chiesa hanno stabilito, vorrebbero andare oltre, prospettando non già riforme, ma rivolgimenti che credono da sé autorizzare, e che giudicano tanto più geniali quanto meno fedeli e coerenti con la tradizione, cioè con la vita della Chiesa, e tanto più ispirati quanto meno conformi all’autorità e alla disciplina della Chiesa stessa, ed ancora tanto più plausibili quanto meno differenziati dalla mentalità e dal costume del secolo”. Così dice Paolo VI.

Ma esiste una medicina che garantisce la salute dell’anima, un’arma che garantisce la vittoria, un mezzo che ci rende invincibili. Quale? La roccia su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa: PIETRO, il PAPA. “Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa” (Mt. 16, 18).

E chi è il Papa? Rispondiamo con Paolo VI: “Il Signore stesso ha voluto definire la persona di Colui che Egli sceglieva come primo dei suoi discepoli, dalla missione che gli conferiva: non si sarebbe più chiamato Simone, figlio di Giona, ma Pietro, suo nome d’ufficio; dove è evidente che Gesù dava al suo eletto una virtù particolare, e un ufficio particolare, raffigurati l’uno e l’altro nell’immagine della pietra, della roccia; e cioè la virtù della fermezza, della stabilità, della solidità, dell’immobilità, sia nel tempo che nelle traversie della vita; e l’ufficio di fungere da fondamento, da caposaldo, da sostegno, come Gesù stesso disse nell’ultima cena a Pietro medesimo: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc. 22,32). Pietro doveva essere la base sulla quale tutta la Chiesa del Signore è costruita. Il pensiero di Cristo è chiarissimo”….

 

Ecco, cari confratelli, l’unico parametro a cui tutto riferire: idee, dottrine, teorie, movimenti, tendenze, progetti, per verificare la loro ortodossia e la loro capacità di salvezza e di produzione di grazia. Cari confratelli, solo col Papa e nel Papa si viene ad attuare quella unità, quella comunione con Cristo e con Dio, unità per la quale Gesù rivolse al Padre quella sublime preghiera del Cenacolo; unità che si allarga in giri concentrici da Pietro all’ordine sacerdotale, e da questo a tutto il popolo di Dio.

Obbedienza totale e devota, sincera e fattiva al Santo Padre. Ecco la salvezza nostra e delle anime che saranno a noi affidate.Ho finito, cari confratelli, e termino chiedendo al Signore per me, e per tutti voi che partite, per tutti i membri della nostra famiglia missionaria, per tutto il Clero del mondo intero, la grazia di rimanere fedeli a questa invocazione: “Padre Santo, ecco la nostra docilità in ascoltarvi come Maestro; la nostra prontezza di obbedienza come a Pastore, la nostra generosa tenerezza di amore come a Padre delle anime nostre e di tutto il Popolo di Dio”. La Madonna ci aiuti e ci benedica.

Piero Gheddo

 

San Giovanni Battista il Missionario di Gesù

 

Festa solenne, l’unico santo, con la Madre di Gesù, di cui è festeggiata la nascita (24 giugno) e la morte, la decollazione (29 agosto). La sua testa è conservata nella Moschea madre di Damasco. Oggi si festeggia la nascita, a sei mesi della nascita di Gesù. E’ uno dei santi più popolari in Oriente come in Occidente, quello del quale Gesù ha fatto l’elogio maggiore: “In verità vi dico: fra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista” (Matt, 11, 11). Tre riflessioni:

 

1)E’ il più grande di tutti perché la sua missione era di annunziare prossima la venuta del Redentore, del Messia atteso da secoli dal popolo ebraico. La sua missione era semplicemente di annunziare il Messia e di annunziarlo nel deserto, nelle mortificazioni, nel quadro di una vita fuori dai palazzi dei grandi, fra la gente più povera e peccatrice, quasi a sparigliare le carte di coloro che attendevano un Messia glorioso, potente, capo di un esercito invincibile, che avrebbe fatto rinascere le glorie passate di Israele, popolo eletto.

No, Giovanni predica nel deserto, promette un Messia umile e nascosto, tuona contro le passioni e le infedeltà del popolo d’Israele. Insomma, dava fastidio a tutti: da un lato dava segni indubbi di essere mandato da Dio, la gente lo riteneva un santo; dall’altro predicava un Messia diverso da quello atteso e le autorità anche religiose del popolo ebraico non gli credono, come non hanno creduto a tanti altri profeti mandati da Dio in passato e come non crederanno allo stesso Gesù.

Anche noi siamo annunziatori di Cristo in un mondo che non lo vuole, perché dà fastidio. Anche la nostra missione di cristiani e di persone consacrate è questa: annunziare Cristo, unico Salvatore dell’uomo, che è già in mezzo a noi. Anche per noi la missione è sacrificio, rinunzia, deserto, mortificazione, umile servizio al popolo, nascondimento. E’ l’unico scopo della nostra vita, non possiamo fallirlo.

 

2) Il grande Giovanni non entra nel numero dei discepoli e degli Apostoli di Cristo. Annunzia Cristo e poi scompare. Gesù ha detto che non c’è un santo così grande come Giovanni il Battista, ma poi aggiunge: “Il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui”. Perché questa specie di contraddizione?

Il giudaismo non poteva produrre un santo più grande, più nobile, più saggio del Battista; ma la Chiesa, l’Alleanza del Nuovo Testamento, ogni vita cristiana (anche la nostra) sono di un ordine superiore perchè vengono dal sacrificio di Cristo sulla Croce. Ecco la grandezza della vita cristiana e più ancora della nostra di consacrati.

Giovanni è stato incarcerato e poi ucciso, proprio mentre Gesù inizia il suo ministero e gira i villaggi facendo miracoli e predicando che il Regno di Dio è vicino.

Possiamo immaginare quanto è stato penoso per Giovanni essere in carcere mentre i suoi discepoli venivano a dirgli di Gesù che predicava, compiva miracoli. Nelle sue catene doveva limitarsi a immaginare il Cristo e ascoltare da lontano gli echi delle meraviglie da Lui compiute. Ma lui aveva la sua missione e quando Gesù compare in scena, ha accettato di scomparire. Dice: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete… Bisogna che egli cresca e io diminuisca”.

Mons. Aristide Pirovano diceva ai missionari partenti: “Voi portate Cristo ai popoli, non portate voi stessi! Quanto più siete vicini a Cristo e rappresentate Cristo nella vostra vita, tanto più la vostra missione sarà benedetta ed efficace”.

Giovanni ha accettato i limiti della sua missione: annunziare Cristo, non partecipare alla gloria di Cristo quando era accolto nei villaggi e faceva miracoli e tutti lo acclamavano Re e Messia. Allora Giovanni non c’è più.

 

Ciascuno di noi ha la sua vita, la sua missione, il suo tempo di vivere e il tempo di accettare la decadenza e la morte. La missione non è nostra, ma di Cristo, noi siamo “servi inutili”. Essere attaccati al compito, al posto, al nido che ci siamo creati non è secondo il volere di Dio. Siamo a servizio della missione, non la missione alnostro servizio. Dobbiamo chiedere al Signore la grazia di rimanere staccati da tutto, dai soldi, dal posto, da quel che facciamo. Liberi per amare di più il Signore, perché tutto è strumento per giungere a Dio, non scopo e fine della nostra vita. Lo scopo, il fine è il Paradiso, la vita eterna con Dio! Il beato Clemente Vismara, con la solita ironia scriveva: “La morte non mi spaventa, anzi quando Dio vorrà sarò contento di morire, perché andrò in Paradiso, dove c’è tutta gente per bene e che ti vuol bene”.

 

3)Giovanni Battista è stato il primo e grande missionario di Gesù, ha dato testimonianza del Messia con la sua vita fino alla morte: preghiera, mortificazione, deserto (cioè il distacco dalle cose umane).

Anche noi siamo testimoni di Cristo con la nostra vita, prima che con le parole e con gli scritti. Anche noi oggi viviamo la situazione di Giovanni Battista. La crisi che stiamo attraversando fa sentire a molti, più di prima, la necessità di un Salvatore.

Il cristiano, come cristiano, non va mai in pensione, meno ancora il missionario! In qualsiasi situazione noi siamo, di età, di salute, di lavoro, siamo sempre in piena attività come missionari. Possiamo sempre almeno pregare e offrire le nostre sofferenze per il nostro prossimo in difficoltà.

Pensiamo a quante sofferenze oggi tra la gente più vicina a ciascuno di noi. Lo sfascio delle famiglie, mogli abbandonate, mariti lasciati dalla moglie, giovani sbandati, anziani soli, disoccupati… Per tutte queste situazioni che Dio mette sulla nostra strada, noi siamo Giovanni Battista che annunzia la presenza di Cristo anche in quelle vite! Guai se noi dicessimo: questo non mi riguarda, non è colpa mia, non posso farci nulla. Come missionari non andiamo mai in pensione.

Il servo di Dio Felice Tantardini, quando a 85 anni non ci vedeva quasi più e il vescovo gli proibisce di fare ancora il fabbro per la missione, lui obbediva e passava tutto il giorno in chiesa. L’unica missione che gli era possibile era quella e lui la compiva ancora con lo stesso entusiasmo. E quando lo mandano in Italia per curarsi perché quasi non camminava più, il vescovo mons. Gobbato scrive al superiore regionale del Pime a Milano: “Con le gambe o senza gambe, rimandatemi indietro fratel Felice. Qui è indispensabile”.

Piero Gheddo alle Missionarie dell’Immacolata, Milano

 

Il buon esempio delle famiglie oggi: fare molti figli

La “Festa della Famiglia 2012” a Milano (30 maggio – 3 giugno 2012) ha lasciato non solo un generico buon ricordo, ma anche una forte impressione di rinascita della famiglia cristiana. Mai si erano viste in giro, per le vie di Milano e alla Messa del Papa al Parco di Bresso del 3 giugno, tante famiglie con tre o più figli al seguito, mai tanti lattanti e bambini trotterellanti, tanti poppanti in carrozzina o in braccio a mamme e papà, mai tanti giovani e ragazze. Uno spettacolo di giovinezza e di gioia. Erano famiglie da ogni parte del mondo, di molte etnie e lingue. Papa Benedetto ha augurato agli sposi cristiani: “Il vostro matrimonio sia fecondo per voi stessi, perchè desiderate e realizzate il bene vostro e dell’altro… e poi fecondo nella procreazione generosa e responsabile dei figli”.

E’ l’augurio che facciamo tutti perchè questa è la realtà che tutti o quasi riconoscono (anche se quasi non se ne parla): la crisi di cui soffre l’Italia non è anzitutto politica o economica, ma crisi della famiglia. Quando ci allontaniamo da Cristo e dalla morale cristiana e non ci fidiamo più della Provvidenza, è inevitabile che la famiglia e la società vanno in crisi. Nulla è più razionale e umano che il principio della morale cattolica: non bisogna negare o uccidere la vita dei bambini che Dio manda. La complessiva diminuzione dei figli è il segno evidente di come negare la vita significa affossare l’economia e precipitare la società in un groviglio di contraddizioni, semplicemente perché mancano i giovani e un paese senza giovani si autosuicida.

Secondo i dati Istat del gennaio 2011, gli italiani di 65 e più anni sono il 20% degli italiani, i giovani con meno di 15 anni solo il 14%, rispetto al 18,5% del 1995! Le donne in età fertile dovrebbero avere in media 2,1 figli per equilibrare il numero delle morti, mentre in Italia siamo all’1,33% in media. Siamo una società di vecchi e di pensionati, il popoloitaliano diminuisce di più di 100.000 individui all’anno. Gli stranieri legalmente residenti in Italia, sempre all’inizio del 2011, erano 4 milioni e 563mila, tre volte più di dieci anni prima, nel 2001! Da un milione e 200mila sono aumentati a 4 milioni e 564mila. Dove c’è richiesta di mano d’opera perché mancano i giovani è logico che gli straneri poveri vengono a riempire questi vuoti. E meno male, altrimenti l’Italia si bloccherebbe in ogni senso e settore di vita.

Dopo“Festa della Famiglia 2012”, ho letto non pochi commenti, riflessioni, testimonianze. Credo si debba dire con chiarezza alle giovani famiglie cristiane: la miglior testimonianza di fede e di vita cristiana che potete dare è di fare moli figli, tutti quelli che Dio mandaal vostro amore. Non abbiate paura! Dio non vi abbandona! Temo invece che troppo spesso si parta già col progetto di un figlio o al massimo due e poi basta. Negli anni trenta del Novecento l’Azione Cattolica proclamava questo slogan: “Fate molti figli, educateli bene e date buoni cristiani alla Chiesa e alla Patria”. Rosetta e Giovanni, i servi di Dio miei genitori, chiedevano a Dio di concedere loro 12 figli, poi la mamma è morta dopo sei anni di matrimonio con tre bambini vivi e due gemellini morti con lei. Ma anche oggi conosco non poche famiglie di gente comune che hanno quattro, cinque e più figli. Cristiani del nostro tempo che si sono fidati della Provvidenza. I coniugi Anna e Nicola Celora di Meda (Milano), insegnanti di scuola media, si sono sposati nel 1993 e hanno avuto otto figli (l’ultimo nato nel 2007), di cui sette viventi. I coniugi Susanna e Michele Rizza della parrocchia di Niguarda, impiegati al catasto di Milano, si sono sposati nel 1969 e hanno avuto sette figli e 21 nipoti, ma altri sono ancora in arrivo. La signora mi dice: “Quando ho avuto i figli uno dopo l’altro, le amiche mi dicevano: “Poverina!”, nessuna diceva: “Che bello!”. Adesso tutte dicono: “Siete stati fortunati! I molti figli vi hanno mantenuti giovani. Certo abbiamo fatto una vita austera, ma i figli si educano molto meglio se sono tanti e si abituano a fare a meno di tante cose”.

Gli esempi sono tanti e dimostrano che anche nella nostra società consumistica, nella quale il cristiano, se vuole vivere da cristiano deve andare contro corrente, è possibile avere più di uno o al massimo due figli. E’ vero che poi bisogna insistere affinchè lo stato assista le famiglie numerose, ma è chiaro che i coniugi cristiani, che si fidano della Provvidenza, i figli li producono anche nella situazione attuale e non solo sopravvivono, ma vivono meglio di altre famiglie, danno una forte testimonianza di vita cristiana e rendono un servizio all’Italia. PapaBenedetto XVI, al termine di una lunga disamina del problema scrive : “L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo” (n. 28 della “Caritas in Veritate”).

Piero Gheddo

L’Eucarestia nella mia vita di battezzato

La festa del Corpus Domini ci invita a riflettere sul Sacramento dell’Eucarestia. . Quando Gesù cenava in quell’Ultima Cena con i suoi Apostoli, sapeva che poco dopo sarebbe incominciata la sua Passione, Crocifissione, Morte e Risurrezione. L’ultimo suo dono all’umanità e alla comunità dei credenti è l’Eucarestia. “Questo è il mio Corpo…questo il mio Sangue…Fate questo in memoria di me”.

E noi, duemila anni dopo, siamo ancor qui a celebrare questo Atto di amore con la Santa Messa. Gesù istituisce l’Eucarestia, il sacramento del suo corpo e del suo sangue che si dà in cibo agli uomini per la vita eterna. Crea il sacerdozio cristiano che celebra il Santo Sacrificio e crea l’Eucarestia che “costituisce l’anima di tutta la vita cristiana, perché è il segno dell’amore di Dio e insieme realizza in noi la capacità di amare. Il culto eucaristico è l’autentica e più profonda caratteristica della vita cristiana. Scaturisce dall’Amore e serve all’amore, al quale tutti noi siamo chiamati in Gesù Cristo” (Giovanni Paolo II in “Dominicae Coenae” del 1980).

Cos’è l’Eucarestia? Tre cose:

– il Sacrificio che ci salva;

– il Culto che ci unisce in Chiesa, in comunità;

– la Presenza che ci conforta e ci sostiene per tutta la vita.

1) L’Eucarestia è Sacrificio, perché attualizza l’unico Sacrificio di Cristo, il Sacrificio della Croce e Risurrezione che ci salva. Nella Messa si celebra ancora una volta, fino alla fine del mondo, il Sacrificio che ci libera dal peccato e ci dà la grazia di Dio per la Vita Eterna. Nella Messa noi veniamo messi di fronte a Gesù morto per i nostri peccati, a Gesù che ha dato la vita perché potessimo avere la vita eterna. “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici” e questo il Signore Gesù l’ha fatto morendo in Croce per noi e nella Messa noi ricelebriamo in modo mistico il suo Sacrificio e quindi il ricordo della nostra Salvezza.

Dobbiamo sempre ricordare Gesù che è morto per i nostri peccati, la Chiesa che si offre anche lei nella Messa per i peccati dell’uomo, noi stessi che partecipiamo all’Eucarestia non in modo passivo come spettatori, ma come protagonisti, che ci offriamo con Gesù e la Chiesa per la salvezza dell’umanità.

Quando all’inizio della Messa chiediamo perdono per i nostri peccati, ci purifichiamo per essere un sacrificio a Dio gradito; e quando la nostra vita ci porta sofferenze, malattie, incomprensioni, fallimenti, amarezze, portiamo tutto con noi nella Messa per offrire a Dio le nostre piccole debolezze e sofferenze

Nella mia prima S. Messa ero talmente commosso a pensare a quel che stava avvenendo in me, sacerdote di Cristo in eterno, che piangevo lacrime di gioia e di consolazione. Il parroco mi diceva: “Piero, smettila di piangere, piangerai dopo, adesso vai avanti con la Messa”. Ricordo spesso quei momenti e quella scena.Ho preso l’abitudine, prima di celebrare la S. Messa, di pregare così: “Signore, ridammi l’entusiasmo e la commozione della mia prima Santa Messa!”.

2) L’Eucarestia è Cena, è Comunione con Gesù, è nascita della Chiesa.

La Chiesa nasce dall’Eucarestia e l’Eucarestia crea la Chiesa.v Nell’ultima Cena Gesù ha fondato la sua Chiesa, La Messa è comunione con Gesù, ma anche con i membri della comunità Chiesa, la parrocchia, la comunità religiosa; ed è missione.

L’Eucarestia comunità può avere molte applicazioni pratiche. Gesù ha fondato la Chiesa, perché le fede è un camminare assieme, pregando assieme, aiutandoci a vicenda nella piccola o grande comunità di credenti in Cristo: la grande Chiesa cattolica universale e poi la diocesi, la parrocchia, la famiglia, la comunità in cui viviamo, il nostro istituto o congregazione.

Il Pime si definiva “Famiglia di apostoli”, che è una bella definizione. E’ la nostra piccola Chiesa, la nostra madre: noi missionari dl Pime dobbiamo sentire il vincolo di appartenenza, quindi non parlar male della nostra famiglia, quindi aiutare e sostenere la nostra famiglia, quindi volerci bene, sopportarci, aiutarci a migliorare, ecc.

Padre Franco Cagnasso, il superiore generale (1989-2001) ha precisato le quattro caratteristiche del carisma del Pime: ad gentes, per sempre, ad extra e insieme. Ad extra voleva dire fuori della propria patria, cultura, lingua. Insieme vuol dire non vivere necessariamente insieme, cosa che nelle missioni è quasi impossibile; ma vuol dire che ciascuno di noi realizza per quanto può la missione affidata dalla Chiesa al Pime, non fa una propria missione.

3) L’Eucarestia è Presenza e Adorazione. Il Signore rimane sempre con noi. Ecco perché l’ora di adorazione, la visita al SS. Sacramento, le comunioni spirituali: perché la Presenza di Dio nella nostra vita è costante, continua, non finisce mai e dobbiamo spesso ricordarla per vivere in questa atmosfera gioiosa che Dio e in noi.

Nella processione del Corpus Domini di quest’anno, giovedì 6 giugno a Roma, Benedetto XVI ha lamentato che l’insistenza sulla frequenza alla S. Messa domenicale ha quasi “penalizzato” l’adorazione eucaristica e la presenza continua di Gesù in noi e nelle chiese, “restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio… In questo caso, l’accentuazione posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana”.

L’Eucarestia è la presenza di Dio con noi: visita al SS. Comunioni spirituali, giaculatorie e altre forme devozionali ci aiutano a vivere alla presenza di Dio. Le distrazioni sono molte, ma se abbiamo sempre Gesù nella mente e nel cuore, possiamo vivere sereni e gioiosi anche nei momenti più difficili.

Piero Gheddo

La Chiesa di Cina cattolica o patriottica

Il 24 maggio scorso, festa di Maria Ausiliatrice (Maria aiuto dei cristiani) nelle chiese cattoliche di tutto il mondo si è pregato per la Chiesa di Cina, che corre il pericolo di dividersi e di cadere in uno “scisma”, una parola drammatica che ricorda altri tristi tempi nella storia millenaria della Chiesa di Cristo. Benedetto XVI aveva fissato per quella festa della Madonna la data delle preghiere per la Cina.

LO SCISMA significa rottura della comunione ecclesiale per dissensi di carattere disciplinare o dottrinario.

L’ERESIA invece è una precisa presa di posizione in chiaro contrasto con l’autentica dottrina ispirata da Cristo e formulata dalla tradizione ecclesiale.

Sono ambedue gravi ferite al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma chiaramente lo scisma è (o può essere) il passo decisivo per il distacco di una Chiesa locale dall’obbedienza al Papa, che poi continua nel tempo e non è facile da sanare. Infatti nell’ultimo mezzo secolo, nonostante i significativi sviluppi dell’Ecumenismo cristiano, vediamo quanto è difficile riportare all’unità della Chiesa le separazioni scismatiche avvenute nel corso dei secoli.

E qui si tratta della Chiesa di Cina, che oggi è una bella speranza per la Chiesa universale e soprattutto per la missione in Asia, il continente in cui vivono l’80-82%  dei non cristiani di tutto il mondo! Quando il 1° ottobre 1949 Mao Tze Tung divenne il capo indiscusso del continente Cina, i cattolici cinesi battezzati erano esattamente 3 milioni e 750mila. Poi ci sono stati 37 anni di persecuzione violenta e specialmente nel periodo della “Rivoluzione culturale” (1966-1976) in Cina non esisteva più nessuna chiesa aperta, nessun vescovo o prete in libertà, nessuna casa religiosa.

Ebbene, dopo la morte di Mao (9 settembre 1976), la Cina è stata ancora rivoluzionata. Pur rimanendo il regime comunista al potere, i nuovi governanti hanno dato ai cinesi la libertà economica, mantenendo però il ferreo controllo del partito su ogni opposizione e religione. La Cina si è quindi sviluppata economicamente con un aumento del Pil dell’8-9% l’anno in media e oggi è la seconda potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti e prima del Giappone. Però è uno degli ultimi paesi nella graduatoria di quelli che non rispettano i diritti dell’uomo e la libertà religiosa. Un italiano che lavorava in Cina da 15 anni, incontrato a Canton (Guangzhou) nel 2000, mi diceva: “Credo che oggi non esista al mondo un paese così selvaggiamente capitalista come la Cina. L’imperativo prioritario è arricchirsi, i diritti umani semplicemente non esistono”.

La persecuzione è continuata a fasi alterne e il PCC (Partito comunista cinese) ha promosso la “Associazione dei cattolici patriottici” che tenta di staccare i cattolici cinesi dal Papa. La storia di questo tentativo inizia già negli anni cinquanta del Novecento e continua tuttora con forme nuove di rottura con il Papa e di ricatto verso i vescovi, i preti e cattolici cinesi. Oggi però si calcola che in Cina i cristiani sono circa 40-50 milioni, i cattolici da 12 a 15 milioni, un autentico miracolo dello Spirito Santo perchè nel 1949 erano meno di 4 milioni. La Chiesa è rinata in Cina dal seme dei suoi martiri, come ha detto Gesù: “Se il chicco di grano caduto in terra marcisce e muore, porta molto frutto” (Gv. 12,24).

Due volumi recenti informano su questo tema. Uno è di padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime ad Hong Kong, che da un trentina d’anni visita le comunità cristiane in Cina: “Quale futuro per la Chiesa in Cina?” (Emi 2012, pagg 157, 11 Euro). Padre Angelo fa una drammatica ricostruzione della crisi che mette a rischio la vita stessa della Chiesa in quel grande paese, dove il regime vuole creare una “Chiesa cattolica indipendente” dal Papa e sottomessa al Partito. Analizzando la politica religiosa perseguita dal regime negli ultimi decenni, evidenzia anche la provvidenziale crescita della piccola comunità cattolica (ancor oggi ricca di conversioni e di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata), pur fra le molteplici difficoltà in cui si dibatte. Padre Lazzarotto offre anche proposte costruttive e coraggiose per aiutare quei nostri fratelli di fede e per favorire la riapertura del dialogo fra Pechino e Roma.

Il secondo volume è a cura di Francesca Romana Poleggi, “La persecuzione dei cattolici in Cina, L’agnello e il dragone”, Sugarco Edizioni, 2012, pagg. 137, 12,50 Euro), promosso dalla “Laogai Research Foundation Italia” (Laogai sono i campi di lavoro forzato della Cina, come i lager nazisti e i gulag del comunismo sovietico). E’ un volume anche questo ben documentato sulla storia della Chiesa in Cina, centrando l’attenzione sui martiri, più che sulla crescita del cattolicesimo in Cina, che anche durante la persecuzione è aumentato come numero e maturità dei fedeli. Cita i molti sacrifici ed eroismi affrontati per rimanere fedeli al Papa, racconta le vicende dei martiri, riporta testi dei Papi e dei vescovi cinesi, usando però la terminologia “Chiesa clandestina” (o sotterranea), che nei documenti ecclesiali non è mai usata, in quanto la Chiesa di Cina rimane una sola, anche se un certo numero (molto minoritario) di vescovi almeno formalmente possono dar l’idea di obbedire al Partito.

Sono due volumi validi che si completano bene a vicenda, necessari per avere un quadro più completo della situazione che va seguita attentamente per capire la complessità delle situazioni e l’importanza ed esemplarità della Chiesa di Cina, stretta nella tenaglia tra patriottismo e fedeltà al Papa, per tutto l continente asiatico.

Piero Gheddo

Le festose giornate delle famiglie a Milano

Ho seguito con interesse, preghiera e partecipazione diretta “le cinque giornate di Milano”, non quelle del Risorgimento (18-22 marzo1848), ma la Festa della Famiglia che si è svolta dal 30 maggio al 3 giugno nella capitale lombarda, il primo convegno ecclesiale mondiale in Italia, dopo quelli della capitale del cristianesimo. Mi è capitato spesso di pensare: ma guarda che bello pensare alla famiglia, vedere in giro tanti bambini e tanti giovani da ogni parte del mondo, tanti sposi che si tengono per mano, tanta gioia, tanti canti, tanto entusiasmo e anche commozione. Mi sono sentito parte della “grande famiglia” che è l’umanità ed è la Chiesa, da sempre preoccupata di sostenere la famiglia, cellula fondamentale della società, che nel 1994 con Giovanni Paolo II istituì (e si celebra ogni tre anni) questo Incontro mondiale per riaffermare il valore sociale e religioso della Famiglia e chiedere a Dio la grazia che i credenti in Cristo si ispirino sempre più al modello proposto dal Vangelo e dalla Sacra Famiglia di Nazaret.

Ho partecipato all’incontro con Benedetto XVI in un Duomo strapieno di preti, suore e persone consacrate al mattino di sabato 2 giugno. Dopo tanto parlare di “crisi delle vocazioni”, ti ritrovi nel Duomo di Milano con centinaia e migliaia di preti, di suore, di diaconi, di membri delle famiglie religiose. Un’atmosfera di gioia, di famiglia, nel ritrovarci assieme in attesa del Padre comune della nostra fede. La crisi delle vocazioni c‘è perchè c’è la crisi delle famiglie cristiane, lo sappiamo tutti e ce lo diciamo, ma il Papa viene per farci riflettere sulla nostra vita di consacrati e per dirci, in sostanza, che non importa il numero, se noi che siamo stati scelti da Cristo lo rappresentiamo in modo autentico e trasparente agli uomini. Gesù ha bisogno di noi, ha bisogno di me, ed è bello sentircelo dire dal Papa, suo Vicario in terra.

Quando Papa Benedetto entra in Duomo, scrosciano gli applausi, i flash fotografici, la commozione ci tocca nel profondo, tanti i tentativi di elevarsi sopra la propria altezza per vedere il corteo papale che scorre al centro della maestosa Cattedrale. Il Papa riscalda i nostri cuori quando parla della felicità della persona consacrata, dicendo che “non c’è opposizione tra il bene della persona del sacerdote e la sua missione; anzi, la carità pastorale è l’elemento unificante di vita, che parte da un rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera, per vivere il dono totale di se stesso per il gregge”. E dedica una parte della sua meditazione alla vocazione consacrata, sottolineando parole come “celibato”, “celibe”, “verginità”, “vergine”, “donazione totale”, ripetute per decine di volte in un breve discorso, perchè sono “il segno luminoso della carità pastorale e di un cuore indiviso”. E ancora: “Se Cristo, per edificare la sua Chiesa, si consegna nelle mani del sacerdote, questi a sua volta si deve affidare a Lui senza riserve: l’amore per il Signore Gesù è l’anima e la ragione del ministero sacerdotale, come fu la premessa perché Egli assegnasse a Pietro la missione di pascere il proprio gregge: «Simone …, mi ami più di costoro? … Pasci i miei agnelli (Gv 21,15)»; la testimonianza delle persone consacrate” mostra “al mondo la bellezza della donazione a Cristo e alla Chiesa” e rinnova “le famiglie cristiane secondo il disegno di Dio, perché siano luoghi di grazia e di santità, terreno fertile per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata”.

Papa Benedetto cita una schiera di “sacerdoti ambrosiani, di religiosi e religiose che hanno speso le loro energie al servizio del Vangelo, giungendo talvolta fino al supremo sacrificio della vita”. Fra essi egli elenca i beati sacerdoti Luigi Talamoni, Luigi Biraghi, Carlo Gnocchi, Serafino Morazzone, Luigi Monti e le religiose Maria Anna Sala ed Enrichetta Alfieri; e cita anche  i beati Giovanni Mazzucconi e Clemente Vismara, due sacerdoti del Pime, il primo martire in Oceania (Papua Nuova Guinea), l’altro missionario in Birmania (l’attuale Myanmar).

Nei primi due giorni dell’Incontro, il Congresso teologico-pastorale ha studiato e approfondito il tema della famiglia “quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura dell’uomo”, come ha detto Papa Benedetto; alla sera di venerdì, le note festose dell’”Inno alla gioia” di Beethoven sono risuonate solenni e gioiose alla Scala e il mattino di sabato, nello stadio di San Siro, la festa dei cresimandi e molti altri giovani, che hanno dato il benvenuto al Papa in una fantastica festa coreografica coinvolgente, ricca di colori, di canti, di movimento (persino la “ola” nel tempio del calcio e dei concerti rock). Il nostro caro Papa, che tra l’altro ha il pregio della chiarezza e delle parole che diventano facilmente slogan, ha risposto: “Cari ragazzi, puntate in alto! Siate santi, perchè la santità è la via normale del cristiano”.

Tutto questo è solo un assaggio di queste giornate, che hanno lasciato nei cuori la gioia e la speranza di un futuro migliore per tutti, anche per chi le ha seguite solo in televisione, con quella sfilata continua e commovente, di lattanti, di bambini trotterellanti, di ragazzini e ragazzine, di giovani, di mamme e papà. Che spettacolo, che gioia, mai se ne sono visti tanti nelle nostre città, nelle nostre società e televisioni. E non si è mai visto tanto interesse per la famiglia sui nostri giornali, con qualche eccezione incomprensibile e assurda: un quotidiano nazionale come “La Repubblica”, domenica 3 giugno ha dedicato due pagine ai “corvi” del Vaticano e solo mezza pagina (su 62 del giornale nazionale) alla Festa della Famiglia a Milano, tra l’altro con la foto di un contestatore in Piazza Duomo con una specie di copricapo da clown con su scritto: “Inquisizione”! Cari amici lettori, inutile lamentarsi, ma mi sono chiesto com’è possibile che tanti cattolici continuino a comperare un giornale come questo!

La Festa della Famiglia si è chiusa con la S. Messa al Parco Nord di domenica mattino 3 giugno. A più d’un milione di fedeli il Papa ha detto fra l’altro queste parole memorabili: “«Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. È fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. È fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione». «Cari sposi – ha proseguito – abbiate cura dei vostri figli e trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e sostenendoli nelle fragilità».

Piero Gheddo