Un prete trentino fra gli aborigeni d'Australia

Nel 2000, la Conferenza episcopale d’Australia pubblicò una lettera che ricordava e chiedeva perdono per le colpe dei cristiani nella vita personale e familiare, ma anche nella società e nello Stato, soprattutto verso i più poveri e discriminati fra gli australiani: gli “aborigeni”, oggi mezzo milione su 23 di australiani, alla fine del 1700 si è calcolato che fossero circa due milioni di individui.

In Australia, i 1.030 “invasori” inglesi che il 28 gennaio 1788 sbarcarono da 11 vascelli per occupare e colonizzare quel “mondo nuovo”, vennero presto in contatto con i primitivi abitatori di quelle terre. Così inizia un lungo periodo storico nel quale gli “emigrati”, prelevati forzosamente dalle galere britanniche e tra le classi più umili e povere del popolo inglese, venivano mandati dal governo di Londra a popolare la colonia australe (nei primi tempi l’Australia era una colonia penale).

Nelle classi evolute d’Europa si discuteva se i primitivi abitatori delle foreste, che le potenze europee andavano scoprendo in Australia e nelle Americhe, avevano un’anima umana come quella degli europei oppure “solo un’anima silvestre”. Erano, insomma, “homines silviculi”, non uomini come i bianchi, ma “uomini della foresta”, una categoria inferiore di creature, a metà strada tra gli uomini redenti da Cristo e gli animali selvatici. Gli stessi “illuministi” del 1700 non avevano idee chiare su questo punto. Basta dire che il grande Voltaire (1694-1778), punta di diamante del pensiero illuminista, investiva i suoi soldi in una società che trasportava gli schiavi neri dall’Africa alle Americhe. In contrasto con la cultura dominante in Europa, i Pontefici romani e i missionari affermavano chiaramente la natura umana di indios americani, neri africani e aborigeni australiani, che andavano trattati da uomini diversi da noi, ma anch’essi facenti parte del genere umano e redenti daCristo.

Anche in Australia, gli inglesi adottarono il “metodo” più facile per entrare in contatto con i primitivi abitanti dell’Australia: lo sterminio degli adulti e la “deportazione” dei bambini strappandoli ai loro genitori e inserendoli forzosamente nella società occidentale, cioè in orfanotrofi statali o religiosi, che tentavano di farne dei perfetti anglosassoni, cancellandone le radici ed eredità culturali. Dopo molte altre correzioni della rotta iniziale, solo nel 1975 il “Racial Discrimination Act” ha posto fine a molte infamie simili ed ha fatto iniziare alla società australiana un cammino contro corrente, che ha portato all’istituzione dell’annuale“Sorry Day” (il giorno del rammarico), che si celebra ogni anno. Oggi il popolo e il governoaustraliano riconoscono i diritti degli aborigeni, ma quel periodo storico di com’è iniziata la colonizzazione dell’Australia non può essere cancellato.

 

Eppure, anche in quel mondo primitivo e disumano erano già presenti i missionari, gli unici che hanno avvicinato gli aborigeni con amore disinteressato e hanno dato la vita per loro. Il Pime, nato nel 1850, dal 1852 al 1855 ha avuto la sua prima missione fra i nativi di due isole, che oggi fanno parte della Papua Nuova Guinea, durata poco meno di tre anni e finita con la morte di fratel Giuseppe Corti a Rook e il martirio del Beato Giovanni Mazzucconi a Woodlark. Era impossibile intendersi e annunziare Cristo a popoli che vivevano nell’epoca della pietra e sempre in guerra fra di loro, non avevano visto nient’altro che il loro piccolo mondo, non pensavano e non capivano altro se non la legge della sopravvivenza.

Più ancora merita attenzione la missione di un prete nato nel 1813 a Riva del Garda (Trento), don Angelo Confalonieri, che dopo nove anni di ministero sacerdotale in diocesi vuole andare in missione. Nel 1844 il vescovo di Trento lo manda a Propaganda Fide, che lo invia, tutto solo, alla diocesi di Perth in Australia, il cui territorio era esteso una decina di volte la nostra Italia! Parte da Londra il 17 settembre del 1845, con altri 26 religiosi di varie nazionalità trovati dal vescovo mons. Brady per la sua diocesi. Tre mesi e mezzo dopo, l’8 gennaio 1846, don Angelo giunge nella solare Perth. L’Australia finalmente!

Il vescovo di Perth lo destina, con due chierici irlandesi studenti di teologia, James Fagan e Nicholas Hogan, al Nord per stabilirvi al più presto una missione fra gli aborigeni. Ma purtroppo i due irlandesi affogano nel naufragio della nave che li stava portando da Sydney a Essington, nel grande Nord australiano. In quel naufragio, padre Angelo salva la vita ma perde tutto quel che aveva portato per iniziare la missione. Deve quindi affrontare da solo l’avventura della prima missione fra gli aborigeni e prima ancora l’inserimento in una società inglese e anglicana, che non vedeva bene il prete cattolico.

Dopo il naufragio, solo e senza un soldo, padre Angelo è portato nel presidio militare di Essington dove giunge il 13 maggio 1846 e si rende subito conto di quanto deteriorati sono i rapporti fra inglesi ed aborigeni.Poteva rinunziare al progetto di fondare una missione fra gli aborigeni della penisola di Cobourg, fare ritorno a Sydney e probabilmente anche a Perth dal vescovo Brady che l’aveva mandato.

Ma il missionario originario delle Dolomiti rivela tutta la forza della sua fede in Cristo e nella missione. Decide di rimanere sul posto e scrive in una lettera conservata nell’Archivio di Propaganda Fide: “…tuttavia non cesserò, colla grazia ed assistenza del Signore, di tutto sacrificare me stesso a Gloria di Dio, ed a salute di questi miserabilissimi nostri fratelli”. Naturalmente la Provvidenza interviene ad aiutarlo, come testimoniano tante altre situazioni simili nel mondo missionario.

Padre Angelo muore troppo presto, a 35 anni, dopo due soli anni di missione fra gli aborigeni australiani. Ma quel poco che conosciamo di lui lo rende veramente esemplare ed eroico, fino alla morte prematura a 35 anni. Una vita simile a quella del Beato Giovanni Mazzucconi, morto martire nell’isola di Woodlark a 29 anni nel settembre 1855, dopo 5 anni di sacerdozio e tre di missione. E’ stato beatificato da Giovanni Paolo II il 19 febbraio 1984.

Il racconto di questa storia nel romanzo storico di Rolando Pizzini: “Nel Tempo del Sogno” (La Fontana di Siloe, Editrice Lindau, Torino 2012). Con l’aiuto di John McArthur, comandante del presidio militare di Essington, ammirato dalla pietà e bontà del missionario, don Angelo si costruisce una capanna vicino ad un accampamento indigeno e passa poi un anno intero con quei tribali,vivendo con loro e in tutto come loro, conducendo una vita nomade, imparando la loro lingua, abituandosi a mangiare insetti, vermi, lucertole, topi, erbe di foresta commestibili, radici di alberi tritate e bollite, andando a caccia di canguri e di altri animali, pescando nei torrenti e in mare con strumenti primitivi. Insomma, diventando “uno di loro” si conquista una fiducia che nessun altro bianco prima di lui aveva avuto. Compila alcuni lavori: una carta geografica della penisola di Cobourg con segnate le sette tribù che vi abitavano, un dizionarietto inglese-lingua aborigena, la traduzione di alcune preghiere. Muore di febbri malariche e di esaurimento delle forze vitali nella sua capanna di Black Rock il 9 giugno 1848.

Saluto gli amici lettori questo Blog, augurando a tutti una buona estate con il Signore Gesù. Ci rivedremo, se Dio vuole, verso la fine di agosto.

 

Piero Gheddo

 

Il valore delle famiglie numerose

L’”Incontro mondiale delle Famiglie” a Milano (30 maggio-3 giugno 1012) ha riportato alla ribalta dell’attualità il ruolo fondamentale che giocano le famiglie nella società italiana. Per pochi giorni però, oggi sui media nazionali (giornali e televisioni) della famiglia non si parla più, esclusi naturalmente quelli cattolici, per i quali la famiglia è sempre di attualità. E’ strano questo fatto. Tutti riconoscono che la crisi economica in cui è precipitata l’Italia (e l’Europa comunitaria) è in buona parte dovuta al crollo demografico dei nostri paesi, noi italiani diminuiamo di più di 100.000 unità l’anno. Mancando i giovani, la nostra è una società di anziani, di vecchi, di pensionati, che non può crescere perchè in ogni settore della vita nazionale prevalgono la conservazione e il pessimismo. Non ci vuole un genio per capire che senza figli il futuro di un popolo volge al peggio.

Eppure, si parla solo e sempre di finanze, Borse, Spread, Bot, mai o quasi mai di problemi della famiglia, matrimoni, divorzi, separazioni, aborti. Nei giornali si trovano più notizie sui “matrimoni gay”, che non delle “famiglie con molti figli” che riescono a tirare avanti con la solidarietà popolare anche in questa disastrosa situazione in cui tutti ci troviamo. Si veda il Sito:www.famiglienumerose.org

Ecco un volumetto contro corrente: Lorenzo Bertocchi, “Dio e Famiglia”, Fede e Cultura, Verona 2012, pagg. 126. Poche pagine ma incisive, a partire dalla Prefazione di mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, dove si legge: “Nella società di oggi non c’è più posto per la Famiglia, come non c’è più posto per la Chiesa. Perché?… La famiglia rende presente un mondo che la mentalità di oggi non riesce più a sopportare. Nel mondo d’oggi domina la cultura della morte… che vuol dire cultura di una vita senza senso, dove l’uomo non ha ragioni per vivere, non è aiutato a scoprire la sua dignità… Perché la famiglia e la Chiesa mettono in crisi la società? Perché la nostra è una società di individui, ciascuno dei quali ha la convinzione di essere il centro del cosmo e della storia… La sua identità si realizza quanto più possiede. E tanto più possiede quanto più realizza il grande istinto che sostiene l’individuo in questa situazione sociale: l’istinto al suo benessere”.

Nelle due parti del libro, Lorenzo Bertocchi (classe 1973, sposato e padre di famiglia) dimostra quanto mons. Negri afferma nella Prefazione.

Nella prima, “Analisi di una dissoluzione”, esamina come la famiglia tradizionale italiana sia giunta, per vari gradi , ad essere quasi un corpo estraneo nella società d’oggi. L’epicentro di questa lotta culturale e legislativa contro la famiglia, è la “rivoluzione sessuale” del Sessantotto e cita gli autori (erano i “profeti” di allora) i quali sostenevano che “la famiglia è quel sistema repressivo che più di ogni altro costringe la libertà sessuale della persona”; e ancora, “attraverso l’assoluta, illimitata libertà sessuale, l’uomo si libererà dalle nevrosi e diventerà pienamente capace di lavoro e di iniziativa”. E’ successo esattamente il contrario, ma nessuno oggi chiede scusa per i danni che ha causato alla società italiana.

Nella seconda parte, “In casa di amici”, Bertocchi prende in esame le sei coppie di coniugi che la Chiesa considera esemplari per come nasce e si sviluppa una famiglia cristiana. Le due coppie di Beati, i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi (beatificati nel 2001), Luigi e Zelia Martin, genitori di Santa Teresa di Lisieux (beatificati nel 2008); e i Servi di Dio Sergio e Domenica Bernardini, Settimio e Licia Manelli, Rosetta e Giovanni Gheddo, Ulisse e Lelia Amendolagine.

Queste sono, nei duemila anni di storia della Chiesa, le prime sei coppie in cammino verso la santità riconosciuta. L’Autore racconta brevemente gli aspetti fondamentali della loro vita: l’incontro e il fidanzamento, il matrimonio e il comune programma di vita, la preghiera in famiglia e la santificazione della festa, il lavoro e i figli: come si accolgono e come si educano trasmettendo la fede nella vita quotidiana. Infine, le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa dei loro figli, la loro santa e serena morte. Questa carrellata su come le sei coppie di coniugi hanno vissuto i momenti importanti nella vita di ogni matrimonio dimostra come la famiglia cristiana, che vive fedelmente il Vangelo, è portatrice di unità, di pace, di speranza, di gioia, di impegno nel lavoro e nella società. Nulla è così profondamente umano come la morale evangelica.

Piero Gheddo

Perchè in Brasile i cattolici diminuiscono?

Il 29 giugno 2012 un comunicato dell’Igbe (Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística) ha suscitato vasta eco sulla stampa brasiliana e internazionale. Secondo il censimento del 2010, la percentuale dei cattolici sui 190 milioni di brasiliani è oggi del 64,6% (123 milioni). Nel primo censimento brasiliano del 1872 i cattolici erano il 99,7%, nel 1972 il 91,8%, nel 2000 il 73,6% e nel 2010 il 64,6%. Il Brasile rischia di lasciare, fra non molti anni, la palma di “primo paese cattolico del mondo” al Messico, che ha 112 milioni di abitanti, l’88% dei quali, nel censimento del 2010, si dichiarano cattolici.

I cattolici che lasciano la Chiesa seguono le Chiese storiche protestanti o le varie denominazioni evangeliche, che nel 1980 erano il 6,6% dei brasiliani, nel 1991 il 9,0%, nel 2000 il 15,4 e nel 2010 il 22,2%, per un totale di 42,6 milioni di credenti. Nel mondo “evangelico”  brasiliano le denominazioni “pentecostali” attraggono la maggioranza dei fedeli, circa 25 milioni e sono in forte ascesa. Cresce anche il numero di atei, agnostici e persone senza una religione definita, passati dal 4,7 all’8%, per un totale di circa 15 milioni di persone. Tra questi la stragrande maggioranza si dichiara priva di una religione specifica, mentre gli atei sono 615.096 e gli agnostici 124.436. In calo invece i brasiliani che si dichiarano seguaci della religione “spiritista”, mentre solo lo 0,3% aderiscono a religioni di origine africana come candomblé o umbanda.
Il Brasile ha le dimensioni di un continente, è esteso 27 volte l’Italia ed è l’unico paese del Sud America a non aver conosciuto guerre né guerriglie e nemmeno dittature feroci come tutti gli altri paesi. Inoltre è l’unica potenza economica dell’America Latina, ormai catalogata fra i quattro Grandi di quello che una volta era il “terzo mondo”: i Bics, Brasile, India, Sud Africa e Cina. Inevitabile che abbia registrato immigrazioni di massa dai paesi confinanti e meno fortunati, che, assieme ad altre categorie di popolo povero, caratterizzano la vita brasiliana con una continua migrazione interna.
La Chiesa cattolica non è in grado di assistere religiosamente queste popolazioni, anche se ha una poderosa articolazione sul territorio. Il Brasile aveva una trentina di diocesi all’inizio del 1900, 152 nel 1960 e oggi superano abbondantemente le 300. La sterminata Amazzonia brasiliana (14 volte l’Italia) nel 1900 aveva due diocesi (Belem e Manaus), oggi sono circa quaranta. Ma le persone consacrate (preti, fratelli e suore) non si sono moltiplicati di pari passo, nonostante il forte aiuto dato dai missionari e dai preti e dalle suore stranieri (oggi in rapida diminuzione).
L’ultima volta che sono stato a Manaus nel 1997, il lodigiano padre Piero Vignola del Pime, che negli anni settanta aveva fondato la prima parrocchia alla periferia della capitale amazzonica (Cidade Nova), mi diceva: “A Manaus c’è un flusso ininterrotto di immigrati da ogni parte del Brasile e dagli stati vicini, vivono in baracche, cercano lavoro e hanno bisogno di un conforto religioso. Il territorio della mia parrocchia (San Benedetto) aveva sugli 8.000 abitanti quando è nata con me nel 1973, oggi ne ha circa 90.000, sono nate altre due parrocchie, ma noi preti siamo in tutto solo cinque. Però in questi 24 anni ho visto nascere 4-5 sette protestanti, che poi hanno fatto scuola e si sono moltiplicate per conto loro con elementi brasiliani. La confusione delle voci è enorme. La nostra gente è tutta cattolica, se sono vicini alla parrocchia ci vengono, altrimenti seguono altri predicatori o ciarlatani”.
Nell’ultimo mezzo secolo il Brasile è stato letteralmente invaso dalle Chiese e dalle sette di origine protestante. Il cristianesimo pentecostale-carismatico, come si sperimenta  anche in Asia e Africa, è quello che più attrae anche in America Latina. Per la “nuova evangelizzazione” è una sfida alla Chiesa cattolica e alle Chiese storiche protestanti. Molti si interrogano su questa rapida diffusione di un movimento che si ispira e si identifica con la Pentecoste e molti, giustamente, anche lo criticano. Ricordo quando negli anni 60, 70 e 80 si scrivevano articoli (ne ho scritti anch’io parecchi) intitolati “Impariamo dalle giovani Chiese”, ma nessuno poteva immaginare questa sfida che viene dal Sud del mondo. Lo Spirito Santo aiuti la Chiesa a discernere le vie per riportare a Cristo le popolazioni già battezzate e annunziare Cristo ai non cristiani. Il movimento carismatico-pentecostale, può in qualche modo (ma quale?), aiutare ad una ripresa del fattore religioso nelle società cristiane e non cristiane.

Piero Gheddo

 

Il Beato Clemente presenta fratel Felice

Ho finito di scrivere la biografia del Beato padre Clemente Vismara, leggendo e schedando le 2.300 sue lettere e i circa 700-800 articoli in una dozzina di riviste italiane. Il volume, se Dio vuole, uscirà nell’ottobre prossimo dalla EMI. Nel leggere lettere e articoli di padre Clemente sono saltate fuori autentiche perle. Un suo libro era intitolato “Il bosco delle perle” e Clemente aggiungeva: ”… e la perla sono io”. Ecco cosa Vismara ha scritto del servo di Dio fratel Felice Tantardini (1898-1991), fabbro ferraio della Valsassina che è stato missionario a Toungoo e poi a Taunggyi per 69 anni (Si veda: P.Gheddo,”Il santo col martello”, Emi, 200, pagg.240). La sua causa di canonizzazione è iniziata nel 2001, siamo in attesa del Decreto sulle virtù eroiche del del Servo di Dio. L’articolo del Beato padre Clemente Vismara è intitolato “Fratel Felice” ed è stato pubblicato su “Venga il Tuo Regno” del Pime di Napoli nel novembre 1966.Piero Gheddo

 

Fratel Felice

Il nome è appropriato. In qualunque tempo, in qualunque luogo e circostanza voi incontrate Fratel Felice, vedrete sempre affiorare sul suo labbro un sorriso sereno, pacato, spontaneo come di chi è amico di Dio, amico degli uomini e nemico di nessuno. E’ nato tra i monti della Valsassina. Esteticamente non è un bell’uomo. Forse il continuo pesante lavoro di fabbro ferraio e più di tutto i settanta soli passati sul suo capo arruffato lo hanno un po’ incurvato, ma a tutto questo supplisce il suo franco sorriso di galantuomo. Con fratello Felice vien pure a noi spontaneo il sorriso e ci sentiamo felici. La sua felicità è il lavoro. Voi non lo troverete mai colle mani in mano; nessun lavoro gli è estraneo, vuole e chiede anzi, che, terminata un’opera, subito gliene indichiate un’altra. Dove lo chiamano va, senza rivolgersi indietro, né chiede spiegazioni. Lavora in silenzio, lavora con passione, lavora forte, lavora sempre.

Il mondo si evolve. Fu detto, anche da persone di senno, che ormai è passato il tempo di Fratelli Coadiutori di pochi ed umili talenti. Oggi – si dice – anche i Fratelli devono essere persone qualificate, istruite, che sanno il fatto loro. Non più Fratelli che scopano la casa, o insegnano la dottrinetta, o simili. Via, non esageriamo; l’umile è sempre fattivo, e soprattutto lascia sempre l’impronta di essere vissuto. Tra un Fratello Coadiutore (una volta si chiamavano Catechisti) ingegnere, professore, architetto, e via dicendo, io missionario di lungo corso voglio e preferisco il Fratel Felice, fabbro ferraio. La preferenza verso l’umile fabbro è dovuta al fatto che noi viviamo fra gente povera, gente che non sa se domani potrà sfamarsi; e questa povertà non è dovuta a natura ingrata, che non rende, ma è dovuta a mancanza di educazione e formazione al lavoro. No, no, per la Birmania occorrono Fratelli come Felice: buono, ubbidiente, umile e laborioso; ad altri lidi e in altre contrade Fratelli qualificati, specializzati, scienziati.

Tutte le stazioni missionarie della Diocesi di Taunggyi e di Toungoo, nessuna esclusa, furono bagnate dal sudore di Fratel Felice, ed il suo zampino arrivò anche nella Diocesi di Kengtung, Prome e Bhamo. I Padri hanno dimora fissa, un campo di lavoro determinato, Fratel Felice, invece, abita dove c’èlavoro, non ha un focolare proprio, cambia casa, letto, cucina, ma non cambia l’incudine ed il martello.

E di questo laborioso vagabondaggio quale la ricompensa? Di danaro non ne parliamo neanche: Fratel Felice è un signore, non ne sente il bisogno.

– Che ne devo fare? Non ho bisogno di nulla. – Gli necessita solo il lavoro che protrae fino al tramonto. Se avesse denaro lo dimenticherebbe sul posto del lavoro. Il debole di Fratel Felice è la pipa; tranne il tempo della preghiera ed il tempo che mastica cibo, la pipa è sempre in bocca. Tutti i padri gli regalano tabacco, e del migliore; luinon fa in tempo a consumarlo tutto.

– La corona e la pipa sono sempre state le mie indivisibili compagne – confessa candidamente.

– Ma non è, questa, una mancanza contro lo spirito di mortificazione?

– Felice, tu non potrai essere canonizzato, proprio a causa di questo attaccamento alla pipa.

– Tanto meglio! risponde lui. E vi tira fuori la storiella (vera, neh!) di quel Beato martire, che prima di essere messo a morte chiese ed ottenne dai carnefici tre piccole grazie: bere un ultimo sorso di birra, farsi ancora una fumatina e raccomandarsi l’anima a Dio.

“Il buon Dio, commenta il biografo, ha creato le cose buone per la buona gente”.

Caro Fratel Felice, voglia il buon Dio mandarci tanti fratelli come te, che non meritino altro rimprovero se non quello di essere attaccati ad una pipa!

padre CLEMENTE VISMARA

Il memoriale di Rosetta e Giovanni Gheddo a Tronzano

Sabato 30 giugno scorso, dopo la S. Messa pre-festiva nella chiesa parrocchiale celebrata da padre Piero Gheddo, nel piazzale antistante il Cimitero è stato inaugurato un memoriale dei servi di Dio coniugi Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo. L’iniziativa dell’amministrazione comunale è stata realizzata assieme al restauro dell’antica chiesa San Pietro del Cimitero, prima parrocchiale di Tronzano, nelle sue forme originali dell’XI° secolo, una delle chiese romaniche più importanti e più belle del Vercellese con il suo maestoso campanile. Tronzano è nato attorno alla chiesa ed era un punto di riferimento per uno dei rami della “Via Francigena”, che percorrevano le carovane di pellegrini verso Roma o la Terra Santa. Il sindaco, dott. Andrea Chemello, ha detto: “Abbiamo voluto qui il memoriale dei Servi di Dio coniugi Gheddo per dare a loro la dignità più alta, perchè qui sono le nostre origini, perchè qui vive la memoria storica e umana di tutti i tronzanesi”.

Nel piazzale antistante il Cimitero e la chiesa romanica di San Pietro vi è il monumento con tutti i nomi dei militari tronzanesi che hanno dato la vita per la patria nelle guerre del secolo XX e di fianco un’aiuola di piante e fiori con una colonna antica che risale alla costruzione della chiesa attorno alla quale è sorta (nel 1256) la Tronzano d’oggi, quella di San Martino,e il memoriale che consiste in due elementi: una targa di bronzo con questa scritta: “Memoriale – dei coniugi Servi di Dio – Rosetta Franzi (1902-1934) – Giovanni Gheddo (1900-1942) – In devoto ricordo i tronzanesi dedicano” e una stele con una grande placca in plexiglàs, che illustra in sintesi la vita dei Servi di Dio e ne trasmette le immagini fotografiche più significative.

Il sindaco Chemello ha concluso dicendo: “Speriamo che quanto realizzato sia degno dell’amore e della straordinaria testimonianza di fede cristiana che Giovanni e Rosetta nel corso della loro vita hanno donato ai Tronzanesi”. Il parroco don Guido Bobba ha poi benedetto il memoriale e ringraziato l’amministrazione comunale per questa iniziativa, che richiama bene l’importanza di come vita civile e vita religiosa di una popolazione debbono integrarsi, com’è avvenuto per Rosetta e Giovanni Gheddo, per comune vantaggio e benessere del paese.

Padre Gheddo ha concluso raccontando che la causa di beatificazione di Rosetta e Giovanni è nata dalla pubblicazione (nel 2002) delle lettere di papà Giovanni dall’Urss durante l’ultima guerra mondiale (“Il testamento del capitano”), che hanno suscitato interesse e tante lettere di persone che si dicevano commosse dalla santità di questi giovani sposi e qualcuno aggiungeva che sono queste le coppie da santificare come modello agli sposi di oggi. Il 14 gennaio 2004 le suore di clausura Redentoriste di Magliano Sabina (Rieti), scrivevano di aver pregato Rosetta e Giovanni ottenendo delle grazie. E proponevano di iniziarne la causa di beatificazione.

L’Arcivescovo di Vercelli, mons. Enrico Masseroni, che aveva già letto il volume, ha assunto informazioni e il 18 febbraio 2006 ha istituito nella chiesa parrocchiale di Tronzano il tribunale diocesano per il processo informativo, che ha interrogato i testimoni ed esaminato i documenti con risultati positivi. Il 17 giugno 2007 l‘arcivescovo ha chiuso a Vercelli il processo diocesano e tutto il materiale raccolto è andato alla Congregazione delle Cause dei Santi a Roma.

A Roma le autorità della Congregazione dei Santi mi hanno detto più volte che questa Causa di beatificazione è utile e opportuna perché i due coniugi erano persone comuni che hanno dato grandi esempi di santità. Però mancano documenti scritti del loro tempo sulla loro santità. Per cui la Causa è in attesa di nuova documentazione che si sta ricercando negli archivi vercellesi. Ma l’arcivescovo di Vercelli e il Pontificio Consiglio per la Famiglia di Roma incoraggiano a continuare il bollettino che pubblica la diocesi di Vercelli, per diffondere la conoscenza, la devozione e l’imitazione dei due Servi di Dio, che già possono essere venerati e pregati. Il Signore Gesù, se vuole, può far superare le difficoltà attuali, che non riguardano la santità di Rosetta e Giovanni, ma unicamente la mancanza di documenti scritti su questa santità nel tempo della loro vita. Per le “Cause storiche” infatti, non bastano le testimonianze orali, ma ci vogliono documenti scritti di quel tempo. Ma Rosetta e Giovanni erano persone umili e di paese, non interessavano certo i giornali o le autorità di quel tempo.

Nella Lettera pastorale per l’anno 2006-2007 su “La buona notizia della Famiglia”, l’arcivescovo di Vercelli mons. Enrico Masseroni ha scritto: “Sono grato a Dio che ci ha consentito di avviare nella nostra Chiesa eusebiana la causa di beatificazione dei coniugi Gheddo, che hanno scalato la vetta della santità attraverso la strada di una vita familiare vissuta con il Vangelo in mano, anzi, con il Vangelo nel cuore. Pare di vedere in questi genitori santi la figura di tanti altri padri e madri che all’ombra delle nostre case e nella storia discreta di un amore fedele e fecondo, alla santità ancora credono”. In Italia e nella Chiesa italiana si sta riscoprendo il valore educativo e culturale della famiglia, perché la società in cui viviamo ha mortificato la vita coniugale e familiare fondata sul matrimonio fra uomo e donna ed ha portato i giovani ad essere sempre più fragili e privi di ideali e la vita moderna sempre più disumana.

L’inizio del movimento di devozione e di preghiera per la Beatificazione di mamma Rosetta e di papà Giovanni è un aiuto nella nuova evangelizzazione del nostro popolo. Il fatto che appartenevano entrambi all’Azione cattolica (a quel tempo definita “una scuola di santità per i laici”) può stimolare i membri di questa gloriosa associazione a ricuperare lo spirito di fede e di santità che ha formato in passato tanti autentici cristiani.

A Vercelli si pubblica il bollettino quadrimestrale “Lettera agli Amici di Rosetta e Giovanni”, mandato in omaggio a chi lo chiede e oggi inviato a 9.350 indirizzi in tutta Italia e anche all’estero perché la devozione a Rosetta e Giovanni si è diffusa (con la traduzione dei volumi, di articoli e delle immaginette) in Polonia, Ungheria, Francia, Stati Uniti. E ci sono già stati pellegrini da ogni parte d’Italia e dall’estero al Cimitero di Tronzano dov’è conservata la salma di Rosetta.

Tronzano ha una grande tradizione di religiosità popolare che va ripresa e rafforzata per aiutare in questa crisi non solo economico-politica, ma religiosa e morale, che sta tormentando il popolo italiano. Quand’ero in seminario a Moncrivello, ricordo che i preti vercellesi mi dicevano: “Fortunato tu che sei di Tronzano, che è uno dei migliori paesi della diocesi”. Ricordo l’Azione cattolica, le confraternite, le processioni, le cerimonie religiose e le molte iniziative di fede e di vita cristiana. Ad esempio, il pellegrinaggio annuale, a piedi durante tutta la notte, al Santuario della Madonna di Oropa.

Auguro che questo memoriale a due coniugi e genitori, che hanno lasciato un grande ricordo di bontà nel nostro paese, diventi un seme deposto in terra buona, che possa produrre a Tronzano una nuova primavera di unità, di speranza e di vita sociale e cristiana benefica per tutti.

Padre Piero Gheddo,

missionario del Pime, Milano