A 50 anni dal Concilio Vaticano II il magistero dei Papi continua sulla linea dell’Ad Gentes, senza alcun deviazione, diciamo, a destra o a sinistra. Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI si è proposto “l’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II”, che ha definito “la bussola con cui orientarci nel vasto oceano del terzo millennio”. Il Signore ha dato alla Chiesa un Papa teologo e intellettuale raffinato, con idee chiare, che si esprime con grande semplicità e precisione; un Papa colto e aperto alla modernità, cordiale, trasparente, pronto al dialogo con tutti, ma anche convinto che il Vangelo va bene in tutti i tempi e per tutti i popoli; così come è cosciente della vasta e profonda crisi di fede che l’Europa e l’Occidente cristiano stanno attraversando. Il 1° aprile 2005, nella conferenza a Subiaco su “L’Europa e la crisi delle culture”, Ratzinger diceva: “In Europa si è sviluppata una cultura che costituisce la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell’umanità”. Parole pesanti come pietre tombali: dov’è finita l’eredità cristiana dell’Europa?
L’attuale Pontificato si caratterizza per la lotta contro il “relativismo” (tutto è relativo e cambia con i tempi), che è la morte della fede e della missione alle genti. Il 18 aprile 2005, alla Messa “pro eligendo romano Pontifice”, il card. Ratzinger diceva: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, sbattuta da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale… Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.
La battaglia contro il relativismo è anzitutto interna alla Chiesa, sono gli stessi cristiani a credere che, più o meno, tutte le religioni si equivalgono. Una tesi in vari modi sostenuta anche da teologi. Paul Knitter, teologo americano in istituti cattolici, pubblicato in America e in Italia da editrici cattoliche, ha scritto: “Il presupposto fondamentale del pluralismo che unisce è che tutte le religioni sono o possono essere egualmente valide. Ciò significa che i loro fondatori sono o possono essere egualmente validi. Ciò potrebbe dischiudere la possibilità che Gesù Cristo sia ‘uno fra i tanti’ nel mondo dei salvatori e dei liberatori?”. Altro caso di “relativismo teologico” (ma solo sono esempi) è quanto scrive il teologo indiano Jacob Kavunkal: “Ciò che è necessario con urgenza non è tanto di fare cristiani gli indiani, quanto di cristianizzare l’India nel senso di trasformare la società indiana mediante i valori evangelici…. Il che significa che dobbiamo effettuare uno spostamento non solo dalla Chiesa a Cristo, ma anche da Cristo al Regno che egli ha proclamato”. Insomma, il Regno va bene, ma il Re non lo vogliamo!
E’ molto diffuso, non più solo in campo teologico ma nella pubblicistica, il “relativismo” che assume “i valori evangelici” (amore, pace, perdono, solidarietà, giustizia, eguaglianza, ecc.) dimenticando Cristo; si prende il messaggio ma non il messaggero. Il card. Camillo Ruini ha illustrato la crisi della teologia cattolica, che disorienta il popolo dei credenti (“Teologia e cultura: terre di confine”, 11 maggio 2007 alla Fiera Internazionale del Libro a Torino): “La profonda disillusione prodotta nell’ambito delle teologie della liberazione dal crollo del muro di Berlino (1989) ha spinto vari loro esponenti verso il relativismo. Essi sono confluiti, insieme a non pochi altri teologi, in quell’orientamento che prende il nome di teologia delle religioni, secondo il quale non solo il cristianesimo ma anche le altre religioni del mondo, con i popoli e le culture che ad esse si riferiscono, costituirebbero, accanto al cristianesimo storico, autonome e legittime vie di salvezza. Viene così abbandonata la fondamentale verità della fede, secondo la quale Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo ed è vissuto nella storia, è l’unico Salvatore dell’intero genere umano, anzi di tutto l’universo”.
Nella Messa del 18 aprile 2005 “pro eligendo summo Pontifice” il card. Ratzinger, commentando la parola di Gesù: “Vi ho costituiti perchè andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Giov 15, 16), afferma: “ Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine, di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto al fede per donarla ad altri. E che il nostro frutto rimanga”.
Tanti i testi di Benedetto XVI sulla missione alle genti. Ecco la Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione della Congregazione della Fede, pubblicata il 3 dicembre 2007, festa del missionario per eccellenza San Francesco Saverio, quasi ignorata dalla stampa cattolica e missionaria. All’inizio di questo breve testo, voluto e approvato dal Papa, si legge (n.3): “Si verifica oggi una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato ed inoperante il comando missionario del Signore: “Andate fate diventare miei discepoli tutti gli uomini del mondo, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…” (Mt 28, 19). Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà. Sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo ed alla fede cattolica; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre, alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa. Di fronte a tali problematiche, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario pubblicare la presente Nota”.
Il documento cita i testi conciliari e richiama la tradizionale dottrina cattolica, con lo scopo di “chiarire alcuni aspetti del rapporto tra il mandato missionario del Signore ed il rispetto della coscienza e della libertà religiosa di tutti. Si tratta di aspetti che hanno importanti implicazioni antropologiche, ecclesiologiche ed ecumeniche”. La “Nota dottrinale” è un testo che gli Istituti e i Centri missionari diocesani, l’animazione e la stampa missionaria, come i gruppi e associazioni missionarie, dovrebbero conoscere e discutere per avere un preciso punto di riferimento nella temperie di secolarizzazione e relativismo, che rischia di farci perdere la bussola della retta via.
Negli annuali “Messaggi per la Giornata missionaria mondiale”, Benedetto XVI insiste sul dovere e l’urgenza di annunziare Cristo a tutti i popoli. Quelli di Giovanni Paolo II trattavano dei problemi nel campo delle missioni. Benedetto XVI avverte che il dovere stesso per la Chiesa di annunziare Cristo ai non cristiani è meno sentito, ha perso forza e consensi, è contestato o rifiutato. Nel Messaggio del 2007 si legge: “Vorrei invitare l’intero Popolo di Dio – Pastori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici – ad una comune riflessione sull’urgenza e sull’importanza che riveste, anche in questo nostro tempo, l’azione missionaria della Chiesa….“Tutte le Chiese per tutto il mondo”: questo il tema scelto per la prossima Giornata Missionaria Mondiale, che invita le Chiese locali di ogni Continente a una condivisa consapevolezza circa l’urgente necessità di rilanciare l’azione missionaria di fronte alle molteplici e gravi sfide del nostro tempo”.
Nel Messaggio del 2008 si legge: “Vorrei invitarvi a riflettere sull’urgenza di annunciare il Vangelo anche in questo nostro tempo. Il mandato missionario continua ad essere una priorità assoluta per tutti i battezzati…. Cari fratelli Vescovi, seguendo l’esempio di Paolo ognuno si senta “prigioniero di Cristo per i gentili” (Ef 3,1), sapendo di poter contare nelle difficoltà e nelle prove sulla forza che ci viene da Lui. Il Vescovo è consacrato non soltanto per la sua diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo (Redemptoris missio, 63). Come l’apostolo Paolo, è chiamato a protendersi verso i lontani che non conoscono ancora Cristo, o non ne hanno ancora sperimentato l’amore liberante; suo impegno è rendere missionaria tutta la comunità diocesana, contribuendo volentieri, secondo le possibilità, ad inviare presbiteri e laici ad altre Chiese per il servizio di evangelizzazione. La missio ad gentes diventa il principio unificante e convergente dell’intera sua attività pastorale e caritativa. Voi, cari presbiteri, primi collaboratori dei Vescovi, siate generosi pastori ed entusiasti evangelizzatori! Non pochi di voi, in questi decenni, si sono recati nei territori di missione…. Confido che non venga meno questa tensione missionaria nelle Chiese locali, nonostante la scarsità di clero che affligge non poche di esse”.
Nel Messaggio per la Giornata missionaria 2012 Benedetto XVI scrive: “Il mandato missionario che Cristo ha affidato ai suoi discepoli deve essere impegno dell’intero popolo di Dio, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, laici. Anche oggi la missio ad gentes deve essere il costante orizzonte e il paradigma di ogni attività ecclesiale, perché l’identità stessa della Chiesa è costituita dalla fede nel mistero di Dio, che si è rivelato in Cristo per portarci alla salvezza, e dalla missione di testimoniarlo e annunziarlo al mondo, fino al suo ritorno”.
Il 5 febbraio 2006 venne ucciso a Trabzon (Trebisonda) in Turchia don Andrea Santoro, sacerdote romano che era andato in quella città islamica per assistere i pochi cristiani e dare una testimonianza di fraternità e di carità al popolo turco. Un editorialista fra i più noti del Corriere della Sera scriveva: “Tutti condanniamo l’uccisione di don Andrea Santoro, un atto barbarico. Ma perché quel bravo prete è andato in una città dove non lo volevano? Non poteva starsene tranquillo nella sua Roma cristiana?”. E’ uno dei tanti esempi possibili che rivelano un’altra tendenza contraria alla “missio ad gentes”. La crisi della fede porta alla crisi della missione alle genti. Anche non pochi cristiani, fra quelli che vengono in chiesa, si sentono assediati e minacciati da un mondo estraneo, si chiudono in difesa della propria fede, si lamentano dei tempi cattivi, rifiutano e demonizzano l’islam e i musulmani. Non pensano che il vero cristiano, fiducioso nella promessa di Cristo (“Io sarò sempre con voi tutti i giorni fino alla fine dei secoli”, Matt 28,20), seguendo il consiglio di Giovanni Paolo II (“La fede si rafforza donandola!”, R.M. 2), si offre lui stesso, per quanto gli è possibile, per testimoniare la carità di Cristo fra i musulmani, là nelle missioni o anche nella nostra Italia. Quanto bisogno di volontari hanno le nostre parrocchie, le Caritas, i Centri missionari diocesani!
Piero Gheddo