La fede per uscire dal tunnel della crisi

E’ il pomeriggio di domenica 24 febbraio 2013. Mi accingo a scrivere il Blog per domani lunedì 25. I temi preparati sono tanti, ma prevale in me un sentimento che voglio comunicare agli amici lettori. Oggi a mezzogiorno, Papa Benedetto XVI ha parlato ai fedeli che hanno riempito Piazza San Pietro e Via della Conciliazione quasi fosse il giorno di Pasqua e ha ripetuto in termini molto semplici e umili che ha rinunziato al Pontificato per il maggior bene della Chiesa e per dedicarsi alla preghiera e alla riflessione in tempi così difficili per tutti. Caro grande Papa teologo, in quasi otto anni di Pontificato ha dato tutto se stesso e adesso, sentendosi venir meno le forze fisiche, si ritira in un convento di clausura per assistere con la preghiera la Chiesa, noi tutti e l’umanità intera. Ha detto ai fedeli: “Sarò con voi sempre nella preghiera e nell’amore di Dio”. Anche noi lo ricorderemo e il lunedì 18 marzo (ore 21-22,30) a Radio Maria parlerò dell’eredità che ci lascia Benedetto XVI.

Le sue parole commuovono e sono interrotte da continui applausi e agitare di cartelli di augurio. Guardo fuori dalla finestra del mio studio. A Milano nevica pesantemente, si sta votando per il rinnovo della classe politica italiana e da quanto dicono i sondaggi e i giornali prevarrà un voto di protesta; non una proposta in positivo per tirarci fuori da questa crisi che morde la carne viva di persone e famiglie, ma la protesta contro tutto e tutti. Negli ultimi mesi, nella Lombardia considerata “la locomotiva d’Italia” per lo sviluppo e la buona organizzazione di sanità e assistenza sociale, mi è capitato di incontrare famiglie e amici quasi disperati, che non ce la fanno più. Non erano considerati poveri, ma la perdita del lavoro e l’aumento delle spese per tasse e il cibo quotidiano, li stanno conducendo alla disperazione. Non sanno più a chi credere e mi parlano di altre famiglie che stanno peggio di loro. Come posso dire, io prete in una situazione del genere, una parola di speranza?

Ricordo bene che nell’immediato dopoguerra dal 1945 in avanti, molte famiglie vivevano in una miseria veramente nera. Quando sono entrato nel Pime nel settembre 1945 per fare il liceo avevo 16 anni, Milano era piena di macerie (ho visto nascere la montagnetta di San Siro in prati vicini al Pime con le macerie dei bombardamenti ricoperte di terra). Ho fatto gli otto anni di studio per arrivare al sacerdozio (1946-1953) sempre al freddo: in teologia a Milano, c’era una stanza comune con una stufa a legna al centro, dove andavamo per studiare; anche nei tre anni a Genova il riscaldamento non esisteva. Si mangiava poco e male (a volte si andava a “rubare” il pane o il cibo avanzato perché si aveva sempre fame), la disciplina era severa, si veniva licenziati per poco. Oltre agli studi liceali e di teologia, seguivamo giovedì e sabato le lezioni di medicina all’Università di Milano e le esercitazioni al Policlinico di Milano, per prendere il diploma internazionale di infermiere (che poi è servito a non pochi missionari). Fatiche e sofferenze oggi inimmaginabili per la maggioranza degli italiani.

Eppure c’era in noi, giovani che venivamo in genere dell’Azione cattolica, un grande entusiasmo, la fatica e le sofferenze non contavano perchè l’ideale che ci muoveva era nobile e grande. Questa l’atmosfera che prevaleva in quegli anni di rinascita e in campo missionario a noi giovani aspiranti era viva la coscienza del grande compito che ci attendeva: portare Cristo a tutti i popoli. Mi rendo conto che oggi è inutile raccontare a chi soffre le nostre sofferenze di quel tempo.

Ma certamente la parola di speranza che noi cristiani, e specialmente preti e suore, dobbiamo dare a tutti è quella di ritornare alla preghiera e all’amore vivo a Gesù Cristo, che ci aiuta a sacrificarci nel nostro dovere e per gli altri ed a sperare nella Provvidenza di Dio. La società in cui viviamo, secolarizzata e materialista, ha tolto Dio dall’orizzonte dell’uomo e l’uomo da solo non è autosufficiente, non se la cava.

Certo, bisogna darsi da fare, impegnarsi nel sociale e nella politica, nel fare leggi giuste e rispettarle, ma se manca lo spirito che solo la fede in Cristo può dare, tutto il resto non basta. Anche società più ricche di quella italiana, molto meglio organizzate anche nella giustizia sociale, soffrono del nostro stesso male. In Italia bisogna, con l’aiuto di Dio, ricreare una “cultura cristiana” nella società (ecco il famoso “progetto culturale” del card. Ruini), per ridare un’atmosfera di speranza che ci aiuti tutti ad uscire dal tunnel buio e oppressivo che ci circonda.

Piero Gheddo

L’attesa dei tempi nuovi nella Chiesa

Più passano i giorni dall’11 febbraio scorso, quando Benedetto XVI ha compiuto quel gesto umile e coraggioso di rinunzia al Pontificato e più si chiariscono le motivazioni che l‘hanno portato a questa decisione veramente rivoluzionaria in duemila anni di storia della Chiesa. Perché è proprio la prima volta che succede questo. Le poche rinunzie di Papi del lontano passato erano tutte fatte per pressioni e minacce esterne, in tempi non democratici come questi che viviamo nel nostro Occidente. In altre parole, il segno della rinunzia indica che la Chiesa è alla vigilia di una svolta epocale, che non riusciamo ancora a capire quale sia, ma siamo sicuri che il passo indietro del grande Papa teologo è stato fatto per il maggior bene della Chiesa, come lui stesso ha detto l’11 febbraio scorso.

In altre parole, è stato un atto di saggezza ispirato dallo Spirito Santo, perché apre alla Chiesa una via nuova che favorirà l’annunzio della salvezza in Cristo a tutti i popoli e in particolare a quelli dell’Europa cristiana, avanguardia del “mondo d’oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede” e che si stanno allontanando dalla pratica della vita cristiana. Papa Benedetto, “dopo aver ripetutamente esaminato” la sua coscienza davanti a Dio, è pervenuto alla certezza che le sue forze, “per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Così ha rinunziato, “in piena libertà, al ministero di Vescovo di Roma, Successore di Pietro”.

In fondo, nei suoi quasi otto anni di Pontificato, Papa Benedetto ha dato veramente tutto se stesso per la missione della Chiesa e lo scopo primario che si era proposto fin dall’inizio, la “Nuova evangelizzazione” dei popoli cristiani. Le tre encicliche su Fede (questa non pubblicata, ma speriamo che in seguito lo sia come volume del card. Ratzinger), Speranza e Carità e i tre volumi sulla presentazione di Cristo al mondo d’oggi, con i molti altri testi e gesti (il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, il Cortile dei Gentili, fondare la Fede sulla Ragione, la lotta contro il “relativismo”, ecc.), sono l’apice di tutto un magistero che aveva soprattutto lo scopo del dialogo e dell’annunzio della salvezza in Cristo al mondo cattolico e cristiano. Mi sono riletto in questi giorni la “Spe salvi” sulla speranza cristiana, un meraviglioso e gratificante scenario di vita cristiana che avrebbe potuto e dovuto provocare i popoli cristiani d’Europa (della Comunità Europea), in crisi profonda non tanto per il Pil e lo Spred, ma perché stanno perdendo ogni speranza di progresso, di rinascita. “Solo quando il futuro è certo come realtà positiva – si legge al n. 2 – diventa vivibile anche il presente”. Ma se nell’orizzonte dei popoli cristiani non c’è più Dio, il futuro diventa disperante, conduce al nichilismo, al nulla. Queste verità Benedetto XVI le ha proclamate e scritte decine e decine di volte, senza suscitare alcuna reazione degna di nota.

Allo stesso modo, il Papa ha continuato il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II quando si è dimostrato convinto assertore della razionalità dell’antropologia cristiana, quasi codificando “i valori irrinunciabili” della Chiesa (“Caritas in Veritate”, nn. 28, 44, 75), rilanciati più volte dalla Cei, e poi vede che anche i paesi cattolici vanno dritti per la strada che porta alla rovina della famiglia naturale e del valore assoluto della vita umana dal concepimento alla morte naturale; insomma, quando il Papa condanna la guerra o il razzismo, tutti d’accordo, ma quando parla di matrimonio tra uomo e donna e contro l’aborto e l’eutanasia, allora diventa un conservatore dogmatico e reazionario. E questo senza nessun serio dibattito razionale su questi temi fondamentali nell’ottica evangelica.

Ecco, Papa Benedetto, avendo dato tutto e sentendosi venir meno le energie per l’età, ha fatto il grande gesto, richiamando ancora una volta (nel discorso ai parroci romani del 14 febbraio) il dovere di purificazione nella Chiesa da tutti gli scandali, le divisioni, i giochi di potere, le calunnie; insomma da tutti i peccati personali e comunitari che appannano la santità immacolata della Chiesa e tolgono efficacia all’annunzio della salvezza in Cristo. Oggi per noi è il tempo della preghiera e di ringraziare Dio per il Papa che ci ha dato e per questa sua rinunzia al Pontificato, che apre alla Chiesa prospettive nuove. Come già nel recente passato, il passaggio da un Pontefice all’altro (ad esempio da Pio XII e Giovanni XXIII e a Paolo VI), la Chiesa non è più quella di prima, appunto perché cambiano i tempi e anche l’annunzio di Cristo dev’essere adeguato all’uomo d’oggi. La stessa verità di sempre, ma espressa e vissuta in modo nuovo. Quindi, non è importante ipotizzare e discutere su chi sarà il prossimo Papa, poiché siamo già sicuri che sarà il Papa migliore per la Chiesa d’oggi; è invece importante che tutta la Chiesa, tutti i credenti, chiedano allo Spirito Santo la grazia di accettarlo e di seguirlo con la preghiera e l’obbedienza alle indicazioni che darà sulle vie da prendere per rendere Gesù Cristo più vicino all’uomo d’oggi, soprattutto a quello che lo conosce ma lo rifiuta. Impresa titanica che solo con la fede entusiasta della missione della Chiesa, la preghiera e la testimonianza della vita cristiana, siamo sicuri che porterà i suoi frutti.

Piero Gheddo

 

Signore, aumenta la mia fede!

Questa mattina ho celebrato la S. Messa per Papa Benedetto e la Chiesa e per tutti noi, credenti in Cristo, che siamo stati colpiti e turbati dall’annunzio che il nostro grande Papa Benedetto, guida sicura nelle tempeste del nostro tempo, si ritira, perché non si sente più in grado di portare il peso del servizio alla Chiesa e all’umanità come rappresentante di Gesù Cristo in terra. La preghiera d’inizio del Santo Sacrificio dice:

“Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazie che viene da Te, aiutaci sempre con la Tua protezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo Tuo Figlio che è Dio e vive e regna con Te e con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen”.

Che bella preghiera,cari amici di questo Sito dei missionari del Pime! Rileggiamola e preghiamola con calma, ci dona serenità e speranza.  Marcello Candia ripeteva spesso questa invocazione: “Signore, aumenta la mia fede!”. Siamo nell’Anno della Fede e il ritiro di Benedetto XVI mette alla prova la nostra piccola e povera fede. Dobbiamo però ringraziare l’onestà e l’umiltà di Papa Benedetto per questo gesto umanamente comprensibile, di ritirarsi nella preghiera e passare l’ufficio di rappresentante di Cristo ad un altro Papa più giovane e con maggiori forze delle sue. Spiace davvero perché Papa Ratzinger è stato il Papa che ci ha illuminato e sostenuto in questi anni con la chiarezza e forza dei suoi testi, discorsi, gesti e opere. Ringraziamo intanto il buon Dio che ce lo ha dato, preghiamo per lui e ricordiamo i suoi insegnamenti, sempre validi anche nel futuro.

E abbiamo fiducia. Adesso si scatena il “Toto Papa”, ma noi sappiamo che lo Spirito Santo sceglierà il miglior Papa per questo nostro tempo. Questa la nostra fede e la nostra speranza, qualsiasi Papa esca dal Conclave della Cappella Sistina, bianco o nero, straniero o italiano, giovane o anziano, progressista o conservatore (secondo il parere dei giornali!), non importa!

Ecco un ricordo dell’ottobre 1958, quando morì Pio XII, un formidabile e grandissimo Papa, alto e austero, solenne, direi maestoso e sacrale nella sua stessa persona e nei suoi discorsi, con quella voce ferma, forte e affilata come la lama di coltello.  In tempi certamente molto ma molto più difficili del nostro, questa l’immagine del Papa che aveva affascinato ed entusiasmato noi giovani di allora e non solo. Tutti aspettavamo un altro Papa come Pio XII invece è venuto fuori, imprevisto, Papa Roncalli. Noi del Pime lo conoscevamo bene perché pochi mesi prima aveva portato da Venezia a Milano la salma le nostro Fondatore, mons. Angelo Ramazzotti, suo predecessore come Patriarca di Venezia. Si è fermato una giornata nella casa del Pime di via Monterosa, paterno, cordiale, semplice, spontaneo, insomma un buon parroco della campagna bergamasca e ricordo anche aneddoti gustosi su di lui.

Abbiamo seguito l’elezione del nuovo Papa davanti ad un piccolo televisore in bianco e nero e quando al balcone di San Pietro si presenta Papa Giovanni XXIII, piccolotto, grassotto, trotterellante, ricordo bene che per noi è stata una delusione, ci siamo messi le mani nei capelli: “Ma per carità! Il nostro caro Roncalli Papa! Signore Gesù, aiutaci tu!”. Invece, cari amici, che Papa grandioso e provvidenziale abbiamo avuto! Non perché Pio XII non fosse grande e provvidenziale anche lui, semplicemente perché, ripeto, lo Spirito Santo sceglie il Papa migliore per ogni tempo storico. Questa la nostra fede e la nostra serenità di vita cristiana.

Domani inizia la Quaresima. E’ tempo di preghiera, di penitenza, di confessione dei nostri peccati, di riprendere con gioia il nostro cammino nell’amore e nell’imitazione di Cristo, che è il significato vero e ultimo dell’essere cristiani. Auguri di Buona Quaresima a tutti.

Piero Gheddo

Tunisia nel caos: perché si tace sull’islam?

Il 6 febbraio scorso, l’assassinio di Chokry Belaid, avvocato che protestava per i diritti dell’uomo violati del governo, ha provocato una rivolta di una parte del popolo tunisino, che teme una dittatura islamica e vorrebbe un governo democratico e laico. Il quadro della “primavera araba” nei paesi sunniti diventa sempre più indecifrabile, pare si ritorni all’autunno e all’inverno della democrazia nei paesi islamici. La situazione oggi è questa:

– nessun paese a maggioranza islamica (e sono più di trenta) ha un governo passabilmente democratico, non pochi di questi sono in uno stato di guerra civile: Siria, Egitto, Tunisia, Afghanistan, Pakistan, Mali, Nigeria, Yemen, Sudan, Somalia;

– in nessun paese a maggioranza islamica c’è piena libertà religiosa per i cristiani e le altre religioni;

– in alcuni paesi nei quali i fedeli del Corano sono minoranza consistente, ci sono guerriglie e terrorismi separatisti: Filippine, Thailandia, India, Cina, Birmania, Indonesia.

Conosciamo tutti le notizie d’attualità, gli avvenimenti che giorno per giorno confermano questa situazione. Stupisce invece il fatto che l’Occidente non si interroga, non discute da dove nasce e come si propaga questa instabilità del modo islamico, queste rivolte, guerriglie, terrorismi che scoppiano tutte o quasi nei paesi islamici e cosa si può fare per andare alla radice di questo estremismo violento, mina vagante che minaccia la pace mondiale. Quando il nazismo, prima della II guerra mondiale, era già una potenza in espansione, il mondo libero ne discuteva a livello popolare, studiava l’ideologia e visitava la Germania, cercava di fare accordi, si convocavano conferenze internazionali per la pace nel mondo. Dopo la II guerra mondiale, quando il comunismo internazionale era in fase espansiva, dagli anni quaranta al 1989, si avvertiva il pericolo di un contagio, si discuteva su come prendere provvedimenti per arginare la diffusione di questa ideologia-religione, si studiavano le radici del marxismo-leninismo e cosa fare per contrastarne la diffusione nel mondo libero. Il comunismo era un pericolo, se ne parlava molto.

Lo stesso non succede con l‘estremismo islamico, condannato da tutti ma che rimane come un oggetto misterioso. Non lo dico per avversione all’islam e meno ancora ai musulmani. Sono convinto che l’islam è una grande religione ed ha avuto il merito storico impagabile di portare molti popoli dal politeismo al monoteismo di Abramo padre di tutti i credenti e dal tribalismo all’unità nella fede: ha dato a popoli divisi e nemici un Libro, una Legge e una Comunità che li hanno uniti e resi solidali. Oggi però l’estremismo islamico ha preso il sopravvento sulla grandissima maggioranza dei fedeli dell’islam e rappresenta un nuovo pericolo per l’umanità e il nostro Occidente, demonizzato dal “grande Sanata americano” in giù, di cui si dichiara nemico giurato. Insomma, dell’islam non si parla. Si lamentano le guerre, le rivolte, i terrorismi, le dittature, ma della radice di tutto questo silenzio assoluto sulla stampa occidentale e negli incontri e dibattiti culturali. Un argomento tabù. Al massimo si maschera il problema scrivendo, ad esempio, che la persecuzione dei salafiti contro i cristiani in Egitto, in Sudan e in Nigeria “non viene da una motivazione religiosa, ma da interessi economici”, mezza verità a cui non crede nessuno.

Cosa possiamo fare? Tante cose, ma penso che in Italia ci sono due milioni circa di lavoratori e studenti musulmani, in genere brave persone che cercano solo lavoro, casa, cordialità di rapporti, sicurezza, pace sociale, benessere. Il tema delle radici dell’estremismo islamico va pubblicizzato, discusso, dibattuto, portato a livello popolare, per coinvolgere la gente comune e gli ospiti musulmani, in un clima di rispetto e di fraternità fattiva. Nella “lectio magistralis” a Ratisbona (12 settembre 2006) Benedetto XVI aveva detto con chiarezza che l’islam deve confrontarsi con la ragione umana, secondo la quale la “violenza per Dio non esiste”. Al Papa risposero poco meno di 200 imam e docenti universitari islamici dicendosi d’accordo e avviando un dialogo su questo tema fondamentale per l’islam oggi.

Nel viaggio in Terrasanta come “pellegrino di pace” (8-15 maggio 2009), Benedetto XVI ha ripreso il tema quando ha dato la chiara indicazione del come andare d’accordo fra i fedeli delle tre religioni monoteiste, ebrei, cristiani e musulmani. Sull’aereo che lo portava in Giordania ha detto che la chiave dell’andare d’accordo è “parlare alla ragione e appoggiare le posizioni realmente ragionevoli”. E poi, negli incontri con i musulmani in Giordania ha insistito su questo: la religione è ragionevolmente contro la violenza sull’uomo. Questa visione della religione, ha aggiunto, “rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione”. La ragione spinge a servire “il bene comune, a rispettare la dignità dell’uomo, che dà origine ai diritti umani universali”.

Ma in seguito non si è più parlato né discusso di questo, anche nelle democrazie occidentali dove vivono milioni di musulmani e c’è libertà di pensiero e di stampa. In un paese democratico e di libertà come il nostro, temi tabù non dovrebbero esserci, perché non producono nulla di buono.

Piero Gheddo

Veri e falsi profeti

La liturgia di questa domenica IV del tempo ordinario parla del rapporto di Dio con l’uomo attraverso i profeti, che hanno ricevuto il compito di trasmettere la parola e la volontà di Dio a Israele e poi a tutti gli uomini. La prima lettura è del profeta Geremia, formato e consacrato fin dal seno materno, che nel 650 prima di Cristo aveva predetto l’esilio del popolo in Babilonia, poi è incarcerato e battuto, deve scappare in Egitto e in seguito viene ucciso. Non era creduto. Lo stesso è poi successo a Gesù, il Figlio di Dio e massimo profeta. Il Vangelo riferisce cosa dicevano di Gesù: non è il figlio di Giuseppe, cioè di un falegname? Quello che hai fatto a Cafarnao fallo anche qui e ti crediamo… Anche lui non era creduto. Gesù aggiunge: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.

1) Chi è il profeta? Non colui che predice il futuro come fanno gli indovini, i cartomanti e quelli che leggono le stelle e predicono il futuro con gli oroscopi. Per la Bibbia il profeta è chi parla in nome di Dio, che annunzia la verità che viene da Dio.

Dio ha voluto servirsi degli uomini per trasmettere i suoi messaggi, la sua volontà, non solo nell’Antico Testamento, ma anche nel Nuovo. Gesù si è fatto uomo per farci conoscere il volto di Dio, per trasmettere la volontà di Dio e dopo di lui i Papi, i vescovi e tutti quelli che nella Chiesa parlano in nome di Dio.

Ma solo l’uomo Gesù Cristo era perfetto, tutti gli altri dopo di lui sono imperfetti, deboli, peccatori. Noi preti parliamo dal pulpito, abbiamo l’autorità di parlare in nome di Dio, ma per carità, come uomini non siamo credibili, specialmente quando diciamo cose che vanno contro corrente e richiedono la conversione. Anche i santi riconosciuti dalla Chiesa avevano i loro difetti e a volte non erano creduti. Spesso si crede di più ai falsi profeti, che non a quelli autentici mandati da Dio.

2) Perché Dio ha voluto servirsi degli uomini e non degli angeli? Il motivo è facile da capire. La fede è un dono di Dio ma è anche libera scelta dell’uomo, perché Dio ci dà tanti motivi per credere e tanti motivi per non credere. Siamo sempre liberi di credere o non credere. Noi dobbiamo credere al Vangelo, al Papa e ai vescovi che parlano in nome di Dio, di Gesù Cristo e con l’assistenza dello Spirito Santo.

Oggi è la ”Giornata della Vita” col titolo “Generare la vita vince la crisi”. L’Italia soffre per le poche nascite, perché non hanno creduto a Paolo VI che profetizzava in nome di Dio.

Nel 1950, Pio XII pubblicò l’enciclica “Humani generis”che parlava del monogenismo: gli uomini discendono tutti dall’unica prima coppia Adamo ed Eva, e condannava il “poligenismo”, cioè la teoria che gli uomini vengono da molti progenitori: quindi il “peccato originale” non ha senso. Pio XII parlava in nome di Dio, ma non fu creduto. Oggi il peccato originale è considerato da molti una favola, un mito del passato, in molti si è affermata l’idea dell’Illuminismo, che distrugge lala base la Redenzione portata da Cristo: l’uomo nasce buono, lo corrompe la società.

Nel 1968 Paolo VI nel 1968 pubblicò l’enciclica “Humanae Vitae” “sulla regolazione della natalità e sulla procreazione responsabile”. In sintesi Paolo VI affermava che “qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (n. 11) e condannava, oltre all’aborto e alla sterilizzazione, “ogni azione coniugale…che si proponga come mezzo per impedire la procreazione” (n. 14): in pratica ogni metodo o mezzo contraccettivo artificiale. Paolo VI proponeva come soluzione la “procreazione responsabile” e affermava che quell’enciclica “vuole contribuire all’instaurazione di una civiltà veramente umana” (n. 18).

Era un messaggio forte e contro corrente rispetto alla cultura di quel tempo, infatti non venne accettato e fu contestato da un pochi cattolici. Mezzo secolo dopo, tutti quelli che scrivevano della “bomba atomica demografica” e lanciavano lo slogan “Il mondo scoppia per le troppe nascite”, scrivono che l’Italia deve produrre più bambini, altrimenti va male anche l’economia, il welfare e il benessere.

3) Anche oggi, in prossimità delle elezioni politiche, la Chiesa si interessa di bioetica. La Cei ha pubblicato un appello per questa “Giornata della vita”, dove si legge: “Il momento che stiamo vivendo pone domande serie sullo stile di vita e sulla gerarchia dei valori che emerge dalla cultura diffusa. Abbiamo bisogno di riconfermare il valore fondamentale della vita”. Avvenire sta iniziando una serie di articoli per rispiegare quali sono i “valori irrinunciabili” che Papa Benedetto XVI e la Cei ripetono ormai da anni e che il credente deve tenerli come criterio primario per la scelta del voto.

L’enciclica Caritas in Veritate (Cv) di Benedetto XVI (2009) congiunge il diritto alla vita allo sviluppo di ogni popolo e dell’umanità (n. 28). La “questione antropologica”, su cui tanto insistono la Santa Sede e la Conferenza episcopale italiana, diventa a pieno titolo “questione sociale” (nn. 28, 44, 75). Nella Cv i temi di bioetica sono letti in relazione allo sviluppo dei popoli. Il controllo delle nascite, l’aborto, le sterilizzazioni, l’eutanasia, le manipolazioni dell’identità umana e la selezione eugenetica sono condannati (sono “valori irrinunciabili” n.d.r.) per la loro intrinseca immoralità, ma soprattutto per la loro capacità di lacerare e degradare il tessuto sociale, corrodere la famiglia (il matrimonio è solo tra un uomo e una donna!) e rendere difficile l’accoglienza dei più deboli e innocenti. “Nei paesi sviluppati – scrive Benedetto XVI (Cv 28) – le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi. L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo…” L’enciclica spiega che per lo sviluppo dell’economia e della società è indispensabile tenere “sistematicamente conto della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito”.

L’insistenza del Papa e dei vescovi, dalla Humanae Vitae di Paolo VI (1968) ad oggi, non è compresa nemmeno dai cattolici, una parte dei quali pensano che la difesa della vita e della famiglia passa in secondo piano di fronte alle drammatiche urgenze della fame, della miseria disumana, delle ingiustizie a livello mondiale e nazionale. Non capiscono il valore profetico di quanto dicono il Papa e i vescovi, che vedono nella cultura che rifiuta la vita la rottura sostanziale fra l’uomo e la Legge di Dio, con conseguenze nefaste anche per la soluzione dei problemi sociali.

Piero Gheddo