La Chiesa è nata per evangelizzare

Leggo sui siti internet cattolici numerosi interventi su Papa Francesco, spesso laudativi, ma anche critici, che esprimono dubbi o incertezze sul cammino della riforma della Chiesa che il Papa argentino sta delineando con le sue parole e i suoi gesti. Richiesto di un parere, debbo dire che vedo e giudico Francesco sulla base dell’obbedienza e fiducia nel Pontefice romano che mi è connaturale, anche per l’appartenenza ad un Istituto missionario nato nel 1850 per ispirazione del beato Pio IX e per il titolo di “pontificio” datoci nel 1926 da Pio XI. La tradizione del Pime è quindi di totale e cordiale obbedienza al “Vicario di Cristo in terra”, anche se non riusciamo a capire e condividere tutto e subito quanto i singoli Pontefici fanno e dicono. Penso che Papa Francesco è davvero provvidenziale anche per la nostra Italia. Nei giorni seguenti il 13 marzo 2013 scrivevo (Blog del 17 marzo): “Papa Francesco ha caratteristiche che piacciono ai missionari. Rappresenta il modello di pastorale e di vita cristiana delle missioni dove nasce la Chiesa, dove lo Spirito soffia forte e compie le meraviglie che leggiamo negli Atti degli Apostoli. Oggi la maggioranza dei cattolici e dei cristiani vivono nel Sud del mondo”.

Due giorni prima di diventare Pontefice della Chiesa universale aveva detto ai 115 cardinali elettori che esistono due Chiese:

1) una Chiesa che esce da se stessa per evangelizzare,

2) una Chiesa chiusa in se stessa che rischia di diventare una “Chiesa mondana”.

Francesco è stato mandato dallo Spirito Santo per stimolare e orientare la Nuova Evangelizzazione delle nostre antiche Chiese d’Europa, cariche di storia, di studi, di esperienze, ma anche ripiegate su se stesse, preoccupate di conservare i fedeli che sono nell’ovile, più che di uscire per annunziare e testimoniare Cristo ai lontani dall’ovile di Cristo. Per questo ripete spesso: “Voglio una Chiesa missionaria”, proiettata verso l’esterno, verso quelli che non credono. Nella Evangelii Gaudium” ha scritto (n. 25): La Chiesa deve uscire da se stessa per evangelizzare, “nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una semplice amministrazione. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato permanente di missione” (n. 25). Espressioni forti: lo scopo della Chiesa è di evangelizzare tutti gli uomini, non solo coltivare quelli già evangelizzati.

Nella nostra Italia, la pastorale di diocesi e parrocchie è rivolta per circa l’80% alla conservazione dei “praticanti” che in chiesa ci vengono. La maggioranza dei battezzati, che si sono allontanati dalla fede e dalla Chiesa, non sono raggiunti se non in casi eccezionali: battesimi, cresime, matrimoni, funerali, benedizione delle case, Natale. Non è colpa di nessuno, questa è la Chiesa italiana ereditata dal passato, quando l’Italia era un paese cattolico, che non si è più evoluta verso una “pastorale missionaria” come spesso la Cei proclama. Nell’Assemblea ecclesiale di Loreto (1985) il card. Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino e presidente della Cei, aveva detto: “Bisogna passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria. Il popolo italiano va rievangelizzato con spirito e metodi missionari”; vent’anni dopo a Verona (2006) in una Nota pastorale della Cei si legge che “dalle giovani comunità cristiane dobbiamo ricevere l’entusiasmo con cui la fede è vissuta in altri continenti. Abbiamo molto da imparare alla scuola della missione”. Sono ottime indicazioni, ma quasi ignorate nel faticoso tran-tran quotidiano di diocesi e parrocchie.

Papa Francesco impersona l’insegnamento che ci viene dalle giovani Chiese. Nell’intervista a padre Spadaro ha detto che la Chiesa deve tenere le porte aperte e ha aggiunto: “Cerchiamo di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio». Ecco lo spirito missionario che deve essere di tutti i credenti in Cristo: il dono della fede che ho ricevuto, debbo trasmetterlo agli altri, anche perché “La fede si rafforza donandola!” (Redemptoris Missio, 2). C’è una bella differenza fra una parrocchia orientata a raggiungere tutti i parrocchiani e quella volta a conservare chi già viene in chiesa. Per capire questo, bisognerebbe vivere e condividere per qualche tempo la vita di una missione fra i non cristiani. Ma chi visita le missioni e ci sta alcuni giorni non si rende conto della differenza. Per questo trovo non pochi missionari reduci e preti “fidei donum” con 10-15 anni in Africa o in America Latina, che in Italia non si trovano più.

Visitando la Chiesa della Corea del Sud (e anche il Borneo), sono stato in parrocchie con 400-500 Battesimi di adulti all’anno, con due-tre preti e alcune suore. Chiedevo com’è possibile battezzare tanti convertiti con così scarsi evangelizzatori. La risposta era sempre la stessa: ”Fanno tutto i laici”. In Corea, il motore della missione è la “Legione di Maria” e altri movimenti integrati nelle parrocchie. Questo è possibile appunto se diocesi e parrocchie entrano in una mentalità missionaria, ma è chiaro che si possono formare laici che siano missionari e non solo “praticanti”.

Nel vedere e giudicare Papa Francesco mi preoccuperei di mettere in risalto l’aspetto che deve contagiare tutta la Chiesa, specialmente i laici che anche qui da noi debbono essere il motore della nuova evangelizzazione. Se non riusciamo, tutti assieme, a fare questo, temo che si verifichi quanto diceva il card. Angelo Scola al suo Consiglio pastorale diocesano: “Abbiamo ancora venti-trent’anni di tempo per evitare che il popolo italiano diventi più pagano che cristiano”.

Piero Gheddo

I dieci anni di AsiaNews

Per festeggiare i 10 anni dell’agenzia giornalistica Asia News, il 9 ottobre 2013 si è celebrato a Roma, all’Università Urbaniana di Propaganda Fide, un Simposio internazionale sul tema “Dieci anni dell’Asia, dieci anni della nostra storia”, al quale Papa Francesco ha mandato un messaggio augurale e benedicente attraverso il suo Segretario di Stato card. Tarcisio Bertone e hanno parlato importanti personalità asiatiche. L’Editrice Cantagalli di Siena pubblica ora il volume commemorativo, con  messaggi d’augurio e i ringraziamenti soprattutto da vescovi asiatici, le relazioni tenute al Simposio e una scelta di articoli dell’agenzia, significativi per varie situazioni e avvenimenti asiatici degli ultimi dieci anni; nel complesso, questo volume è un panorama esauriente, aggiornato e competente dell’Asia nei suoi vari aspetti: politico, economico, religioso, culturale e delle giovani Chiese asiatiche: “Asia, la sfida del terzo millennio – I dieci anni di Asia News”, Cantagalli, Siena, pagg. 211, Euro 13,00.
     Il sito è pubblicato in quattro lingue, italiano, inglese, cinese e spagnolo e, se si trovano finanziamenti, anche in arabo, come chiedono con insistenza diversi vescovi cattolici e anche delle Chiese orientali nei paesi dell’islam; e riporta quotidianamente anche notizie e testi del Papa e della Santa Sede. Il direttore di Asia News, padre Bernardo Cervellera del Pime, è stato redattore di “Mondo e Missione” a Milano per undici anni (1978-1989), missionario ad Hong Kong (1989-1995) e docente di storia della civiltà occidentale all’Università Beida di Pechino (1995-1997); direttore dell’agenzia Fides delle Pontificie Opere Missionarie (1997-2003); e infine, nella casa generalizia del Pime a Roma (Via Guerrazzi, 11), direttore dell’agenzia sull’Asia. Che sta avendo un successo davvero mondiale. Basti questo dato: Asianews ha 13-15mila “visitatori unici” al giorno, cioè tutti i giorni 13-15mila computer si collegano con l‘agenzia e questo significa circa circa 5 milioni all’anno.
     Il cui successo è dovuto certamente al fiuto e alle capacità giornalistiche e organizzative di padre Bernardo, ma anche al fatto che Asia News è l’unica agenzia d’ispirazione cristiana specializzata sull’Asia e le grandi religioni, con corrispondenti propri in quasi tutti i paesi asiatici; ed è molto seguita dalle giovani e antiche Chiese asiatiche e poi, nell’edizione cinese, anche dai cristiani di Cina. Perché il Pime pubblica questa agenzia giornalistica sull’Asia? Per due motivi:
      1) Il nostro istituto missionario è presente in Asia dal 1855 (cinque anni dopo la nascita) e ha fondato una trentina di diocesi in India, Bangladesh, Hong Kong, Cina e Birmania, con 17 martiri (più uno in Oceania) e una cinquantina di vescovi; ; oggi è presente anche in altri paesi asiatici e dell’Oceania: Giappone, Filippine, Thailandia, Papua Nuova Guinea, Taiwan  e Cambogia.. Nell’Assemblea generale del Pime per l’aggiornamento post-conciliare (1971-1972), è stata riaffermata la vocazione ad gentes e asiatica dell’Istituto, anche se, dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo accettato dalla Santa Sede altre missioni in Africa, Nord America, America Latina e Oceania (dov’erano andati i primi missionari nel 1952!). Oggi l’impegno più urgente in Asia è di rendere missionarie le giovani comunità asiatiche, che infatti mandano già sacerdoti e suore a servizio di altre Chiese. Asianews on-line è di aiuto per questo.
     2) Nell’Assemblea generale del Pime del 1971-1972 (per l‘aggiornamento post-conciliare) ci siamo resi conto che la Chiesa italiana, nel suo slancio missionario dopo il Vaticano II, era orientata esclusivamente all’Africa e America Latina; l’informazione e i servizi della Chiesa italiana quasi ignoravano il continente asiatico, dove vivono circa il 60% di tutti gli uomini e l’80% di tutti i non cristiani! L’Assemblea ha deciso di impegnare il Pime nel dare informazioni sui paesi, religioni e Chiese dell’Asia. Così nel 1973 è nato a Milano l’ISA (Istituto studi asiatici), che ha prodotto un buon numero di studi, libri, conferenze, corsi di studio per missionari destinati all’Asia, visite in Asia di turisti e monaci cristiani, ecc.; e nel novembre 1986 si potuto pubblicare l’agenzia giornalistica quindicinale su carta “Asia News”, che usciva con due supplementi trimestrali “Cina oggi” e “Islam oggi”, con studi, documenti, esperienze e testimonianze.
    Asia News ha avuto un buon successo anche fra i giornali laici, non solo per notizie di stretta attualità, ma anche per gli articoli di sintesi su avvenimenti e situazioni attuali nei paesi asiatici e delle religioni, dialogo inter-religioso e il cammino missionario delle Chiese in Asia. Finalmente, nel 2003, Padre Cervellera, reduce dall’esperienza in Cina e poi alla Fides, ha portato su internet Asia News che ha raggiunto diffusione e importanza mondiali e nutre la speranza che le sue pagine facciano nascere e crescere in molti il desiderio di dedicare la loro vita a Cristo e all’Asia.

La “guerra dell’odio” affossa il Bangladesh

Da poco meno di due anni il Bangladesh, il terzo paese islamico più popolato dopo Indonesia e Pakistan, è in preda ad una “guerra dell’odio” (com’è stata definita) che sta affossando l’economia e il vivere civile. Non è una guerra di eserciti, ma un susseguirsi di scioperi e manifestazioni spesso violenti, che bloccano i trasporti e paralizzano l’economia di base; scioperi generali di più giorni dalle 6 alle 18 e i veicoli che si muovono rischiano di essere bruciati, i viaggiatori battuti o uccisi. Il Bangla è uno dei paesi più sfortunati e poveri del mondo: 160 milioni di abitanti in un territorio esteso meno di metà dell’Italia, con un reddito medio pro-capite di 678 dollari l’anno (l’Italia 36.250). Due anni di scioperi (hartal) e di scontri stanno riducendo l popolo alla fame e numerose ditte chiudono perché non riescono più a vendere. Ogni giorni i caseifici buttano via circa 500.000 litri di latte invenduto, frutta e verdura marciscono sugli alberi o nei campi, le farmacie non hanno medicine, le ditte straniere che non possono esportare stanno lasciando il paese. La stessa sopravvivenza di un popolo è in pericolo!

Tutto nasce dalla guerra per l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, condotta dalla Awami League, moderata, laica e socialista, il cui capo Mujibur Rahman diventa il primo Presidente, con un popolo festante e unito contro le prepotenze dei pakistani. L’Occidente salutava il primo paese islamico con libertà politica, religiosa e di stampa. Nel 1975 Mujibur Rahman è ucciso e seguono lunghi anni di dittature militari, che favoriscono l’islam e l’entrata in scena dei partiti islamisti. Il Bnp (Bangladesh National Party) all’opposizione li accoglie, specialmente la Jamaat-islam, poichè il popolo è contrario al laicismo e a forme di modernità e di libertà non secondo la tradizione islamica. Si formano così due coalizioni di partiti, la Awami Leage capeggiata da Sheik Hasina (figlia del padre della patria Mjibur Rahman) e il Bnp di Begum Khaleda Zia (figlia del primo dittatore militare Zia-ur Rahman), due donne che si fronteggiano da venti e più anni, nemiche irriducibili e mortali (“si odiano cordialmente” dice la gente).

Le elezioni del 1991 sanciscono il ritorno alla legalità costituzionale e si alternano al potere le coalizioni del BNP e dell’Awami League (AL). Intanto, arrivano copiosi e continui finanziamenti dai paesi del petrolio (Arabia, Kuwait, Qatar, ecc.), nascono piccole moschee in ogni angolo del paese e in ogni via cittadina, crescono le scuole coraniche, gli imam che guidano la preghiera del venerdì martellano sul concetto che l’unica soluzione alla crisi è un ritorno all’islam duro e puro dei tempi di Maometto, con i costumi di allora, lapidazione, taglio della mano, fustigazioni, la condizione della donna oggi inaccettabile. Nel 2008 la coalizione dell’AL stravince le elezioni e conquista tre quarti dei seggi parlamentari. Seguono anni di dominio indisturbato e occupazione dilagante degli spazi politici, amministrativi, giudiziari ed economici da parte dell’AL e dei suoi alleati. Errore fondamentale: il governo AL avvia processi a personalità dell’islam, accusate di crimini nella guerra del 1971; tutto lo stato maggiore del Jamaat-islam e di qualche pezzo grosso del Bnp finiscono in carcere, avanzano le proposte di condanne a morte, il predicatore più popolare del Jamaat è condannato all’ergastolo. I partiti islamisti organizzano manifestazioni e scioperi di protesta, il governo risponde con durezza e prepara la messa al bando dei partiti islamici, vuol cambiare la Costituzione e la scadenza elettorale a proprio favore. Il Bnp segue la corrente del Jamaat e degli altri partiti islamici della coalizione, facendo leva sulla corruzione dei quadri dell’AL.

Questa sceneggiata avviene soprattutto nelle città, il popolo dei campi subisce ma, vivendo nella miseria e nell’analfabetismo (43% dei bangladeshi), è anche pronto a seguire la corrente islamica, gli imam dei villaggi hanno importanza decisiva, i giovani conoscono solo l’islam imparato nelle madrasse. I moderati, studenti, intellettuali e classe media, organizzano anche loro proteste e scioperi, chiedono la condanna a morte di tutti i criminali di guerra, la messa al bando del Jamaat e degli altri partiti islamisti, il ripristino della Costituzione con la quale è nato il Bangladesh, secondo la quale il Bangla è un paese laico che gode di libertà religiosa e politica. I partiti islamici chiedono la condanna a morte degli “atei”che vanno contro l’islam.

Dalla primavera 2013 continua questo braccio di ferro fra laici ed estremisti islamici, i militari per il momento non intervengono e il Bangladesh sta diventando un paese sempre più invivibile per tutti. Le elezioni politiche del 5 gennaio 2014 hanno registrando la vittoria con ampio margine dell’Awami League già al governo, ma la coalizione del Bnp si era ritirata e al voto hanno partecipato circa il 18% degli aventi diritto, poiché gli islamisti avevano minacciant chi si recava al voto. Giungono notizie di cattolici e indù picchiati o uccisi mentre andavano a votare, fra le vittime anche il fratello di un vescovo; assaltati villaggi, bruciate case ed edifici religiosi.

La situazione del Bangladesh è drammatica e sintomatica della situazione in cui si trovano le comunità islamiche nel mondo globalizzato e pongono tre interrogativi. Primo: ritornare all’islam puro e duro dei tempi di Maometto o accettare di rileggere e interpretare il Corano e gli “hadit” di Maometto per trasferire una grande religione nel mondo moderno? Secondo: è tollerabile che gli immensi, smisurati capitali che provengono dal petrolio continuino a guidare pesantemente la politica di quasi tutti i trenta e più paesi dell’islam e anche le comunità islamiche minoritarie in altri paesi? Terzo: perché questi temi sono praticamente tabù nei mass media internazionali?

Piero Gheddo

Il Presepio vivente a Mohespur in Bangladesh

Padre Paolo Ciceri è in vacanza a Milano e in febbraio riparte per il Bangladesh, dov’è missionario dal 1973. Gli chiedo se è contento di ritornare in un paese fra i più poveri del mondo e risponde: “Voi in Italia vivete in un’atmosfera di pessimismo anche ecclesiale che mi stupisce. Noi, in un paese quasi totalmente islamico, abbiamo la consolazione di accogliere nell’ovile di Cristo i popoli tribali e animisti, che ci danno tante consolazioni”. E racconta:

Nel Natale dell’anno scorso 2012 ero nella parrocchia di Mohespur, iniziata da padre Gregorio Schiavi (che è ancora molto ricordato) e oggi continuata dal padre Pier Francesco Corti, giovane parroco, e dal sottoscritto, che a 71 anni può ancora essere utile. Nella notte stellata della vigilia di Natale 2012 hanno partecipato alla Messa molti cattolici che venivano anche dai villaggi e avrebbero dormito nella chiesa e negli edifici della missione. Il Natale è una delle feste più sentite dai cristiani, contenti di trovarsi insieme perché sono una piccola minoranza nella società bengalese e soffrono di essere marginali e mal sopportati dal l’etnia dominante.

Al termine della Messa, nella piazza davanti alla chiesa (in dicembre il clima è fresco ma si sta bene) c’è stata la celebrazione del Presepio vivente. Ragazzi e ragazze, bambini e bambine della scuola hanno rappresentato il Natale: Maria col bambino Gesù, San Giuseppe, i pastori che entrano in scena, i Re Magi, gli angioletti con le piccole ali che svolazzano intorno, la mucca e il bue, alcune pecore e i cani che accompagnano i pastori: tutto con canti bellissimi (i santal cantano bene) e dialoghi dei protagonisti. Insomma, non mancava niente. La gente si immedesimava così tanto, che piangeva. Io mi sono commosso ma non piangevo, quei pianti mi sembravano infantili, esagerati.

Al termine di tutto, la capo-villaggio femminile, moglie del capo villaggio, che con altre maestre aveva preparato il teatro, mi avvicina e mi dice:

– “Padre, tu sei l’unico che non piange. Come mai?”. Cosa dovevo dire? Era la semplice verità. Allora le ho chiesto:

– E perchè voi piangete? – La sua risposta è stata tutt’altro che emotiva e superficiale, mi ha fulminato:

– Padre, lo sai anche tu perchè piangiamo. Tutti ci dicono che noi santal siamo materiale di scarto dei bengalesi, ci dicono che siamo i figli di una scrofa. Ebbene, Gesù è nato qui fra noi, nel nostro villaggio. Lui è il Figlio di Dio ed è venuto a salvarci, a darci la dignità di essere anche noi figli di Dio e una speranza di riscatto. Non solo, ma è diventato uno di noi, nostro figlio e fratello (ha usato una parola santal – “perahor” – che significa parente stretto, con il nostro sangue), Come si fa a non piangere? Adesso, belli o brutti che siamo, santi o peccatori, non può più lasciarci: sarà sempre con noi, nella gioia e nel dolore, nelle fatiche e nelle umiliazioni. E’ l’unica cosa bella che abbiamo nella vita! Anche noi santal, “upongiati” (“gente che non vale niente”), siamo figli di Dio, eredi del Paradiso.

A questo punto mi sono commosso anch’io, mi sono spuntate alcune lacrime. Queste cose avrei dovuto dirle io, invece me le ha dette questa donna intelligente e importante perché moglie del capo villaggio. L’ho ringraziata:

– Cara “Buri” (vecchia saggia, che per una giovane è un titolo onorevole), mi vergogno a dirlo. Ma tu hai compreso il mistero del Natale meglio di me. Ti ringrazio per quanto mi hai detto.

Si è verificato ancora una volta questo fatto, che ho già sperimentato. Noi che leggiamo il Vangelo da molti anni, non ci commuove più. Invece, per i neofiti che vengono dal paganesimo, questa è davvero la Buona Notizia che attendono da sempre, li solleva nello spirito, dà loro il senso della propria dignità di persone create da Dio e, a poco a poco, i loro figli e nipoti studiano, crescono e non raramente superano anche i musulmani nella società bengalese. Come già sta succedendo. Qui in Italia, quando mi chiedono perché vado così lontano ad annunziare Gesù, racconto questo e altri fatti simili, vedo che sono convincenti e ringrazio il Signore di avermi chiamato ad andare verso le periferie dell’umanità, per portare la Buona Notizia ai popoli ultimi e marginali.

Piero Gheddo

 

Ha dato fede e gioia ai sofferenti

Il 27 dicembre 2013 è morta a Genova Carla Zichetti, di 90 anni, disabile nell’intestino fin dai suoi 23 anni, che viveva da sola, aveva bisogno di continue cure e non poteva uscire di casa senza assistenza. Nel 1984 era uscita dall’ospedale con una sonda al ventre per nutrirsi. Ebbene, questa cara donna, che poteva vivere ripiegata su se stessa, triste e bisbetica, era invece sorridente, gentile, piena di coraggio e di gioia, sempre occupata ben oltre le sue forze limitate. Come mai? Perché aveva molti soldi? Assolutamente no, viveva con la pensione di invalidità in un appartamento di due stanze più cucinino in un grande caseggiato a Genova. E allora? Beh, aveva ereditato una grande fede e una buona educazione in famiglia e trovandosi a 23 anni a non poter farsi suora né sposarsi, ha chiesto al parroco cosa doveva fare. Il parroco di Albaro (Genova) le dice: “Carla, tu hai una grande fede e preghi molto, sei colta e hai una bella voce. Sapessi quanti ammalati e anziani vivono soli, nell’isolamento e nella sofferenza. Ti do un elenco nella nostra parrocchia. Telefona loro a mio nome, dì loro cosa ti suggerisce la fede, quando puoi vai a trovarli”.

Carla si è messa con coraggio su questa “vocazione” del Signore. In settanta e più anni, con la collaborazione di molta buona gente, ha fondato una rete di migliaia di ammalati, disabili, anziani soli, che si scrivono, si incontrano, aiutano chi sta peggio, pregano e aiutano i missionari sul campo. Ha incominciato telefonando, poi visitando i malati e le persone sole con l’aiuto di amici che la portavano e poi ha mandato lettere ciclostilate e audio-cassette, trovando chi le fa le copie, gli indirizzi, i pacchetti, li porta alla posta; ha mandato opuscoli annuali pubblicando le lettere che riceve, veramente commoventi, perché rivelano quel mondo che non ha spazio sui giornali e alla TV e la presenza dello Spirito Santo in persone che molti considerano superflue e invece sono il sale della terra e la luce del mondo. Questi amici hanno creato nel 2006 l’Associazione ed il Sito internet www.bricioledisperanza.it che porta i testi di Carla, le lettere degli associati, le foto, il video dei pellegrinaggi.

A poco a poco, hanno incominciato a invitare Carla per parlare in pellegrinaggi, alle radio, in chiese e cattedrali. Tutti gli anni andava con gli ammalati a Lourdes ed a Loreto, invitata dal vescovo mons. Angelo Comastri (oggi cardinale) che aveva capito il suo valore, dimostrava con la vita che la fede aiuta a vivere meglio e ad essere utile agli altri, anche nelle situazioni più difficili.

Andavo a trovarla tutti gli anni quand’ero a Genova in estate. Era senza badante ma con molti amici nel caseggiato. Aveva animato anche le famiglie di quel palazzone, tutti le volevano bene e la aiutavano, Per i suoi opuscoli e per internet c’erano amici anche fuori Genova e lei stessa, a 90 anni, usava il computer e rispondeva alle lettere. Mi fermavo a cena, cioè a fare un po’di digiuno con lei. Nell’estate 2012 era a letto e mi diceva: “Vedi, non sto proprio bene, ma ho così tanto da fare che mi dimentico dei miei dolori”. E mi mostrava il pacco di lettere ricevute in luglio! Un’altra volta le dicevo di far pregare per i sacerdoti. Risposta: “Sì, prego e faccio pregare, non perchè aumentino i preti, ma che siano preti entusiasti della loro vocazione. E’ vero che diminuiscono, ma se fossero veri sacerdoti di Gesù, basterebbero”.