Mentre la Libia sprofonda nel caos e abbiamo l’Isis a 350 Km. di mare, è istruttivo ricordare brevemente i 42 anni della dittatura di Gheddafi, crollata nel 2011 per i bombardamenti dei popoli cristiani contro le forze armate nazionali, gettando il paese nell’instabilità e nel caos. In Italia e in Europa è comune l’opinione che l’islam e i musulmani sono i nemici dell’Occidente, come nel mondo islamico molti pensano che il cristianesimo e i cristiani sono nemici dell’islam. Noi cristiani non capiamo l’islam e viceversa, perché noi viviamo nel 2000 dopo Cristo e loro nel 1400 dopo Maometto, il nostro profeta è Gesù Cristo col suo Vangelo, il loro è Maometto col suo Corano. C’è un abisso religioso, storico e culturale fra popoli cristiani e popoli musulmani. Papa Francesco, parlando al Pisai nel gennaio scorso, ha detto che per incontrare l’islam senza terrorismi e scontri, la guerra non serve, anzi peggiora le situazioni. Occorre il “dialogo della vita” (in Italia abbiamo due milioni di musulmani), cioè da parte nostra l’accoglienza, il dialogo, la comprensione dell’altro. la solidarìetà fraterna. I bombardamenti occidentali della Libia nel 2011 sono stati l’opposto e la storia ha purtroppo dimostrato il tragico disastro che hanno causato..
Dittatore dal 1969 (colpo di stato contro il re Idriss, amico degli italiani) Gheddafi all’inizio ha seguito Nasser nella linea anti-occidentale e anti-italiana, fino a finanziare le moschee e madrasse d’ispirazione estremista in tutto il mondo. Ha espulso dalla Libia i 25-30.000 italiani che tenevano in piedi l’economia e i servizi pubblici, riducendo il popolo alla miseria. Nel 1986, Reagan bombardò le sei tende, all’interno di caserme, in una delle quali viveva il leader libico, che scampò per miracolo. Isolato fra Egitto e Tunisia filo-occidentali, capì che la linea rivoluzionaria era fallimentare, a poco a poco, pur continuando a fare discorsi rivoluzionari e anti-occidentali, in pratica, specie dopo che nel 1998 venne tolto l’embargo economico e nel 2004 l’embargo sulla vendita di armi alla Libia, ha iniziato un cammino di avvicinamento all’Occidente e, quel che più importa, di faticosa educazione del suo popolo con la scuola al rispetto dei diritti dell’uomo e della donna. I proventi del petrolio li ha usati per sviluppare la Libia: strade, scuole, ospedali, università, case popolari a bassissimo prezzo, inizio di industrializzazione, sviluppo agricolo con l’acqua tirata su nel deserto ad una profondità di 600-800 metri! Due acquedotti (costruiti dai sud-coreani) portavano l’acqua “fossile” dal deserto alla costa, 900 km. a nord.
Gheddafi privilegiava negli aiuti allo sviluppo le sue kabile (tribù) della Tripolitania; nel 2011 quelle della Cirenaica si sono ribellate e hanno conquistato il potere a Bengasi e in altre città. Non una rivolta causata dalla miseria, ma da rivalità tribali e da una dittatura che non lasciava spazi di libertà politica e di coinvolgimento popolare nella guida del paese. L’Occidente è intervenuto con bombardamenti aerei e navali nella guerra civile di un paese islamico!
Ma non possiamo dimenticare quel il dittatore ha fatto per il suo popolo: ha mandato le bambine a scuola e le ragazze all’Università, ha abolito la poligamia e fatto leggi sul matrimonio favorevoli alla donna. C’era in Libia una politica di libertà religiosa. I cristiani (nessun libico, tutti stranieri), pur con molti limiti, godevano di libertà di culto e di riunione. La Caritas libica era un organismo stimato e richiesto di interventi. Due fatti eccezionali. Nel 1986 Gheddafi ha scritto a Giovanni Paolo II chiedendo suore italiane per i suoi ospedali. Costruiva ospedali e dispensari, ma non aveva ancora infermiere libiche. La richiesta veniva dal buon esempio delle due francescane infermiere italiane che hanno assistito il padre di Gheddafi fino alla morte. Nel 2007 (l’anno della mia visita) c’erano in Libia80 suore cattoliche (soprattutto filippine, indiane, ma anche italiane) e 10.000 infermiere e medici cattolici filippini e indiani. Il vescovo Martinelli mi diceva: “La presenza di queste donne cristiane, professionalmente preparate, gentili, attente alle necessità del malato che curano con amore, stanno cambiando l’immagine del cristianesimo fra i musulmani”.
Secondo fatto. Sono stato nel deserto a 900-1000 km. da Tripoli, dove sta fiorendo una regione ex-desertica per l’acqua tirata su dalle profondità della terra. Un lago di 35 km. di lunghezza, campagne coltivate e cittadine, dove vent’anni fa non c’era nulla. La città di Sebha capitale della regione aveva 80.000 abitanti, dove viveva un sacerdote medico italiano, don Giovanni Bressan (di Padova) che è stato uno dei fondatori dell’ospedale. Don Bressan ha riunito i molti africani profughi dai paesi a sud del deserto (Nigeria, Camerun, Ciad, ecc.) fondando per essi una parrocchia, una scuola, un centro di riunioni e di gioco. Gli africani lavorano e sono pagati, per tre o più anni rimangono nel sud, poi hanno soldi a sufficienza per tentare il passaggio in Italia! Fanno tutti i lavori e sono ammirati perché lavoratori onesti e forti. Don Vanni (Giovanni) riesce a fermare alcune famiglie, le altre vogliono venire in Italia, in Europa. Il cammino della Libia verso la piena integrazione nel mondo moderno e nella Carta dei diritti dell’uomo e della donna, era cominciato. Non difendo Gheddafi e la sua dittatura, credo però di poter testimoniare anche aspetti del suo operato, del tutto ignorati in questi giorni.
Gheddafi aveva nazionalizzato tutto, anche l’islam. Controllava l’estremismo in due modi. A Tripoli aveva creato la direzione dell’islam libico, formata da una dozzina di imam autorevoli, che nominavano gli imam delle moschee e scuole coraniche. Da Tripoli partiva ogni settimana, in anticipo, il testo della catechesi religiosa del venerdì che gli imam delle varie moschee dovevano solo leggere senza aggiungere o togliere nulla; chi trasgrediva quest’ordine, era licenziato e sostituito da altri. Fino al 2011 i cristiani in Libia erano circa mezzo milione, specialmente lavoratori copti egiziani; i cattolici circa 80.000, in maggioranza italiani, dirigenti e lavoratori nei pozzi di petrolio, impresari e tecnici in numerose industrie, filiali di industrie italiane..
A Tripoli ho incontrato suor Giannina Catto della congregazione del De Foucauld, infermiera che lavora in Libia dal 1966 (nata a Cavaglià, vicino al mio paese di Tronzano vercellese!). Mi dice: “Noi suore del De Foucauld viviamo in mezzo ai popolo libico e ci rendiamo conto che questo è essenziale per capirli e anche apprezzarli. C’è in Europa una grande paura dell’islam e dei musulmani, noi possiamo testimoniare che il popolo libico è buono e rispettoso verso lo straniero; noi siamo accolte cordialmente, ci aiutano e la nostra presenza è importante per far evolvere le donne. Siamo due donne sole in un quartiere totalmente islamico, in periferia di Tripoli e contente di fare questa vita. Lavoriamo per guadagnarci da vivere. Io ho 64 anni, sono infermiera e ho lavorato in ospedale fra i bambini prematuri, ma come pensione qui non ho nulla, vivo con la pensione minima italiana. L’altra suora che sta con me ha qualche anno più di me e anche lei ha lavorato. Invece nella nostra seconda casa c’è una sorella più giovane dottore in medicina specializzata in pediatria che lavora in ambulatorio. Vive lontano da Tripoli dove la sanità è quasi a zero: i malati vengono tutti da lei, è impegnatissima. Viviamo in una casetta come tutte le altre, aiutiamo in quel che possiamo e loro ci aiutano. Siamo come una grande famiglia”.
Che messaggio vuoi trasmettere in Italia? “In Europa c’è una grande diffidenza e sospetto verso i musulmani e non mi pare giusto. La fede comune nell’unico Dio deve aiutarci a superare i pregiudizi perché con i musulmani si può vivere bene, rispettandoci e aiutandoci a vicenda. Anche loro, di fronte ad un occidentale hanno dei pregiudizi e sono sospettosi, vivendoci assieme capiscono che noi siamo come loro”. Ma l’islam fa paura per il terrorismo e lo spirito anti-occidentale di molti musulmani. “L’islam è fatto di persone non di teorie. In Europa si ha paura per Bin Laden e altri terroristi, che sono sono una minima percentuale. E tutte queste buone persone con le quali viviamo, non sono musulmani? Io temo che i giornali e le televisioni in Italia insegnano l’odio verso lo straniero. Noi siamo amiche di tutti, nella vita quotidiana sono molto umani. Io dico agli italiani che non possiamo andare avanti con l’odio, con lo spirito di inimicizia, di sospetto. I libici non hanno bisogno di aiuti materiali, hanno bisogno di amicizia, di considerazione, di fraternità. Anche loro debbono liberarsi dei loro pregiudizi, per questo noi siamo qui ed è un segno negativo che in Italia diminuiscono le vocazioni alla vita consacrata”.