Rosetta e Giovanni in cammino verso la Beatificazione

Come è noto ai lettori dei miei Blog, il Signore mi ha fatto la grande grazia di essere figlio di due genitori diventati Servi di Dio nel 2006. Le due Cause per la loro Beatificazione, in questo Anno della Famiglia, stanno per riprendere il cammino con buone prospettive di continuarlo, con l’aiuto di Dio, fino alla meta. La nuova Postulatrice delle Cause, avv. Lia Lafronte, nominata dall’arcivescovo di Vercelli mons. Marco Arnolfo circa un anno fa, racconta in toni commossi come e perché Rosetta e Giovanni meritano di essere venerati e imitati come Beati e Santi della Chiesa. Oggi le due Cause hanno bisogno soprattutto di preghiere, poiché tutto è nelle mani di Dio, e poi anche di offerte generose per sostenerle. Dio vi benedica, vostro padre Piero Gheddo.

Nell’aprile 2010 la Congregazione delle Cause dei Santi, per alcune irregolarità procedurali, bloccava l’iter romano delle cause di Beatificazione e Canonizzazione dei Servi di Dio Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo (iniziate nel febbraio 2006) e consigliava che l’apparato probatorio fosse completato e rafforzato con altri documenti storici ed altre testimonianze.
Poiché sembrava che tali prove ulteriori non potessero essere reperite, dato il lungo periodo di tempo dalla morte dei coniugi Gheddo, il blocco temporaneo delle cause appariva definitivo e la postulatrice di allora, dott.ssa Francesca Consolini, nel giugno 2011 rinunciava al mandato che l’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Enrico Masseroni, le aveva conferito nell’ottobre 2004.
Mons. Marco Arnolfo, attuale Arcivescovo, insieme al Vicario Episcopale per la Pastorale Familiare, Mons. Giuseppe Cavallone, mi hanno nominata postulatrice il 18 febbraio 2015 in vista di una possibile ripresa delle cause che, oggi, alla luce della documentazione storica che è stata rinvenuta e delle nuove testimonianze raccolte, è da considerarsi quanto mai prossima.
Io sono estremamente grata ed onorata per l’incarico ricevuto e ringrazio il Signore non solo per le nuove prove trovate ma per avermi permesso di accostarmi così intimamente, nello studio e nella ricerca, alla conoscenza degli umili e semplici Servi di Dio, ma proprio per questo grandi, Rosetta e Giovanni. Ho potuto apprezzarne le splendide virtù evangeliche, la cui eroicità spero possa essere al più presto decretata dalla Congregazione delle Cause dei Santi e, soprattutto, sono arrivata ad amare entrambi così come si possono amare persone buone e care che si sentono vicine a noi.
La spiritualità dei coniugi e genitori Gheddo, manifestata già prima che si sposassero, mi ha colpito in modo molto profondo: è impossibile riassumere qui la ricchezza interiore e la luminosità della loro fede che ho percepito dai testimoni ascoltati e dai documenti storici che ho reperito.
L’impressione forte che ho avuto è che ogni più piccolo gesto nella vita di questi Servi di Dio, così amabili nella personalità e così calati nella normalità della vita familiare, parrocchiale e sociale da poter essere davvero definiti i “santi della porta accanto”, è che ogni loro più piccolo gesto – dicevo – è stato connotato da amore a Dio e da intimo ossequio alla Sua volontà: nella gioia, nel dolore, nel sacrificio.
Sono emerse in modo esemplare l’adesione dell’uno e dell’altra alla spiritualità di Don Giovanni Bosco (la loro era terra prettamente salesiana nel tempo in cui era molto forte l’eco della vita, delle opere e della morte del grande Santo) e la piena condivisione dei tre principi basilari dell’Azione Cattolica, di cui entrambi facevano parte: preghiera, azione, sacrificio.
Rosetta Franzi, iscritta anche all’ADMA (Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice), era figlia di Maria Roviera, per qualche anno presidente delle donne di A.C. di Crova; era figlia di Francesco, ex alunno presso l’Istituto Salesiano di Torino Valdocco appena un anno dopo la morte di Don Bosco e mancato prete salesiano solo per la morte improvvisa del padre, che aveva richiesto il suo ritorno anticipato al paese natale, Crova. Rosetta era stata alunna e convittrice, per anni, presso l’Istituto delle Suore di Maria Ausiliatrice a Casale Monferrato, dove aveva respirato e fatto proprio non solo il carisma di Don Bosco ma anche quello di Santa Maria Mazzarello, fondatrice per volontà del Santo degli Istituti Salesiani femminili.
Giovanni, anch’egli ispirato agli ideali di Don Bosco, della cui vita e spiritualità si nutriva tramite letture particolareggiate e meditate, era parte viva e feconda dell’Azione Cattolica di Tronzano, dove negli anni 1923-1928 è stato presidente dei Giovani del Circolo ‘Don Abbondo’ (parroco di Tronzano che sarà beatificato nel Duomo di Vercelli l’11 giugno 2016 alle ore 10), rimanendo iscritto tra gli adulti da dopo il matrimonio fino al 1943, quando la sorella Adelaide lo iscrisse sperando nel suo ritorno dalla Russia.
Il dono volontario della vita compiuto da Giovanni in Russia, nel dicembre 1942, ricorda il terzo caposaldo di Azione Cattolica, il sacrificio, che aveva anche caratterizzato – seppure con diverse modalità – la morte del Beato don Secondo Pollo, Assistente Diocesano dei Giovani di Azione Cattolica di Vercelli, anche lui morto in guerra, nel 1941, colpito mentre cercava di soccorrere un ferito. Un grande esempio di cattolico, Giovanni, capitano d’artiglieria che ha dato la vita per fedeltà a Dio ed ai suoi ideali e che non aveva tradito la grande Associazione cui apparteneva neppure quando, quarantaduenne, malato, vedovo e padre di tre bimbi piccoli, era stato inviato in prima linea per pura persecuzione da parte del partito fascista, al quale non aveva voluto iscriversi.
Vorrei esprimere ciò che ho provato andando sulla tomba di Rosetta, al cimitero di Tronzano Vercellese. Un’emozione profonda mi ha pervasa al pensiero che quella piccola e dolce mamma, morta così giovane lasciando tre bambini per cui sognava con il marito un futuro di fede e carità (il primo giorno di nozze, al Santuario della Madonna di Oropa, avevano chiesto la grazia che almeno uno o una dei loro figli fosse sacerdote o suora), sia stata trovata ancora intatta, incorrotta, durante l’esumazione del corpo a trent’anni dalla morte (1964): in quella terra di risaie, umida ed assolutamente incompatibile, secondo la normalità delle cose, con la conservazione di un corpo il cui cuore aveva cessato di battere per parto prematuro e polmonite incurabile, allora, senza la penicillina. Quel rinvenimento è stato un segno della santità di Rosetta, sono convinta, come per altri grandi santi. E lì, davanti a lei, mentre ero in preghiera, ho ripensato alle parole del parroco di Crova e confessore della Serva di Dio, don Giuseppe Oglietti, durante la messa funebre celebrata per lei in paramenti bianchi, con le campane che suonavano a festa: “Rosetta era un angelo, una santa ed è già in Paradiso. Non celebriamo la messa dei morti ma cantiamo quella degli Angeli”.
Vedendo la foto di Giovanni sulla lapide mortuaria, sotto quella di Rosetta, sono stata colpita invece dal pensiero del suo essere sepolto chissà dove, in terra straniera. Lui, perso nel gelo, sulle rive del Don: caduto per mano nemica nello slancio di carità volto a salvare la vita di un militare che doveva restare e morire al suo posto.
Un corpo donato per amore al prossimo, nel Signore, quello di Giovanni, ed un corpo preservato dalla corruzione, dal Signore, quello di Rosetta. Due destini particolari, incrociati in mistica connessione.
La vicinanza spirituale che percepivo di entrambi era grande e vera, reale come la stessa vita che avevano vissuto. Comprendevo che Giovanni era perso solo nel corpo, null’altro. Insieme erano vissuti sulla terra ed insieme erano e sono in cielo. Insieme li percepivo e, con quell’emozione profondissima, mi sono sentita e mi sento loro figlia, come tante altre persone che hanno imparato ad amarli.
Ho compreso che il secondo desiderio da loro espresso al Santuario di Oropa, di avere 12 figli, non era stato disatteso ma solo rimandato e moltiplicato nel piano divino che non vede solo la maternità e paternità fisica ma anche, e soprattutto, quella spirituale.
Ecco la preghiera semplice e genuina sgorgata dall’anima di Rosetta, tanto devota al Sacro Cuore di Gesù ed al Preziosissimo Sangue, che io, sua figlia spirituale, ho fatto mia: “O Santo Sangue sparso, o Sangue di pietà! Cuore di Cristo aperto, Cuor pieno di bontà! La grazia che ti chiedo, fammela, per carità!”.
Ora preghiamo tutti, noi che vogliamo bene a Rosetta e Giovanni, perché le loro Cause di Beatificazione e Canonizzazione riprendano presto e si concludano bene. Affidiamoci ai Servi di Dio affinché per loro intercessione il Signore voglia esaudirci e dare un segno inequivocabile, con un vero miracolo, della loro santità così che essa possa essere presto riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa.

Lia Lafronte, Postulatrice

Chi è per te Gesù Cristo?

Sta iniziando la Quaresima, che specialmente in quest’Anno dedicato al Giubileo della Misericordia, significa che “dobbiamo tutti convertirci a Cristo”, come ha detto Papa Francesco. E allora ciascuno deve chiedersi: Chi è per te Gesù Cristo?  Interrogativo fondamentale per un paese di battezzati come l’Italia. Io risponderei così: Ho avuto da Dio il dono di un’autentica formazione cristiana, essendo nato in una famiglia di profonda fede e vita evangelica. La fede è nata in me come la lingua italiana, me l’hanno trasmessa i miei genitori, i servi di Dio Rosetta e Giovanni, che fin da bambini piccoli ci facevano pregare assieme in famiglia con varie preghiere e il Rosario serale, ci portavano in chiesa e a socializzare e aiutare le famiglie povere. Mamma Rosetta morì nel 1934 quando avevo cinque anni e papà Giovanni andò in guerra nel 1940 e morì in Russia nel 1942. Mi ha allevato ed educato la nonna Anna che diceva sempre: “Tu stai con Gesù e Gesù starà con te”, che è il ritornello della mia vita. Quand’ero bambino e lei mi raccontava la storia di Gesù e di Maria, la sua e mia Madre celeste, io piangevo. Se nel nostro paese di Tronzano vercellese, c’era qualche scandalo o disgrazia, la nonna chiamava noi tre ragazzini accanto a sè, ci faceva pregare e poi diceva: “Cosa farebbe Gesù in questa circostanza? Cosa direbbe la Madonna?”. Nonna Neta (Anna) era semi-analfabeta (I elementare e poi al lavoro), ma aveva educato i suoi dieci figli, poi noi tre nipoti, con l’intelligenza della fede e del cuore. Citava spesso frasi del Vangelo imparate a memoria.

Sono diventato sacerdote missionario, ho avuto santi sacerdoti che mi hanno guidato, mi sono laureato in teologia missionaria, ma i genitori e la nonna Anna mi hanno educato alla fede. Rosetta e Giovanni, ancor oggi sono ricordati come santi nel mio paese, quando si sono sposati nel 1928 hanno pregato perchè almeno uno dei loro figli o figlie consacrasse la sua vita a Gesù Cristo e alla Chiesa. Il Signore ha scelto me e di questo sono ancora grato a mamma e papà, perchè la mia vita è stata piena di gioia pur nelle prove, tentazioni, sofferenze e intenso lavoro, che sono il retaggio comune degli uomini.

“Chi è per te Gesù Cristo?”. E’ tutto il mio amore, tutta la mia gioia, l’unico fine a cui cerco di orientare le mie azioni, i miei affetti e pensieri. Non sempre ci riesco, ma a lui ho consacrato la mia vita e in questi anni che Dio mi concede di vivere vorrei diventare sempre più simile al modello divino che il Signore Gesù mi presenta nei Vangeli.

Chiedo al Signore di rinnovarmi ogni giorno il gioioso stupore e l’entusiasmo della prima Messa che ho celebrato il 29 giugno 1953 nel mio paese di Tronzano vercellese; di concedermi il dono delle lacrime per commuovermi pensando che io, povero peccatore, chiamo sull’altare il mio Dio e lo distribuisco in cibo all’umanità affamata. Mi chiedo se l’annunzio che faccio di Cristo con la vita, gli scritti e la parola, è ancora un messaggio di gioia, di quella gioia che gli angeli comunicavano ai pastori nella “notte santa”: “Oggi nella città di Davide è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore” (Luca, 2, 10-11).

All’inizio degli anni Duemila ho tenuto una conversazione ad Arezzo dal titolo: “Gesù, pietra d’inciampo”. La missione della Chiesa diventa sempre più difficile perché Gesù Cristo fa problema, imbarazza, scandalizza: “Scandalo per gli ebrei e follia per i pagani” diceva San Paolo (1 Cor. 1, 23). La crisi mondo cristiano é una crisi di fede in Cristo, unico Salvatore dell’uomo, dell’umanità. Viviamo in una società non di atei, ma di idolatri. Il Dio fatto uomo in Cristo è stato sostituito dagli idoli: denaro, sesso, carriera, potere, gloria, superstizioni, “religione fai da te”, maghi, oroscopi, ecc. Il sociologo Franco Garelli conclude una sua indagine dicendo che oggi in Italia “la religione è forte ma la fede vacilla”.

Negli anni 1992-1994 ho parlato tutti i sabati sera alla Tv di Rai-Uno, spiegando il Vangelo domenicale, con un ottimo indice di ascolto (parlavo dalle 19,30 alle19,45, poco prima del telegiornale). Un amico giornalista della RAI-Uno mi ha detto: “Tu parli spesso della salvezza in Cristo, ma c’è un abisso fra l’ammirazione per Gesù grande profeta e il credere che egli è Dio. Il suo messaggio di amore e di giustizia è l’unico che può salvare l’umanità dall’egoismo, dall’odio, dalle guerre. Ma non c’è bisogno di credere che Gesù è Dio e obbedire alla Chiesa, per voler bene al prossimo. Per cui, se Gesù mi dice di aiutare i poveri, di perdonare le offese, di educare i figli all’onestà e all’amore, mi sta bene, cerco di fare anch’io così. Ma se la Chiesa, a nome suo, mi impone molti altri precetti e divieti, la grande maggioranza degli italiani, pur battezzati, non la seguono più. Per cui dammi ascolto, parla dell’amore come ispirazione per la nostra vita e avrai ampi consensi, ma lascia perdere che Gesù è Dio e che la Chiesa parla a suo nome: sono concetti discutibili che suscitano divisioni e sentimenti di integrismo in chi crede”. Gli ho risposto dandogli una citazione di don Primo Mazzolari, che in un suo libretto sul sacerdozio ha scritto: “La mia missione di prete è di amare e vivere in Gesù Cristo, testimoniarlo e portarlo agli uomini. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l’unica veramente indispensabile è questa, comunicare il Salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui. Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito”.

Nel nostro tempo l’identità cristiana è molto debole. Abbiamo attraversato una lunga stagione in cui il cristianesimo sembrava ridotto ad una morale. I “valori evangelici” sono apprezzati da tutti (amore, pace, giustizia, solidarietà), ma la fede e l’imitazione di Cristo molto meno. Si prende il messaggio e non il messaggero: l’annunzio che solo Cristo salva l’uomo è considerato “integrismo”.

La salvezza in Cristo è stata secolarizzata. Il cristianesimo é spesso ridotto ad una specie di “religione dell’umanità” (come volevano gli illuministi del Settecento), la Chiesa intesa come società filantropica e di riferimento morale. Oggi la Chiesa è vista bene da molti, come strumento di pace sociale, come richiamo all’etica, come assistenza ai poveri, ai marginali, ai drogati, ai popoli del “terzo mondo”. La Chiesa pilastro della società, non perché predica Gesù unico Salvatore dell’uomo, ma perché pone rimedio, con i suoi preti, suore, volontari, istituzioni caritative ed educative, ai disastri delle “strutture di peccato” nelle quali siamo tutti immersi. Insomma, si riduce il cristianesimo ad un sistema morale e consolatorio dell’uomo alienato dal capitalismo e dal materialismo, passando da Gesù Figlio di Dio, unico Salvatore dell’uomo, ai “valori morali” che sarebbero comuni a tutti. La gente ha fame e sete di Dio e noi le diamo il “discorso dei valori”, che ha senso solo se centrato sulla persona di Cristo.

In Cina, visitando nel 1980 il seminario della diocesi di Sheqi, ho incontrato una ventina di giovani e uomini che studiavano da sacerdoti, senza libri (infatti ci chiedevano libri sacri e il Concilio Vaticano II in cinese), senza biblioteca, quasi senza insegnanti. Due soli sacerdoti dirigevano il seminario: il vescovo stesso e il parroco della cattedrale, factotum della diocesi. Ho chiesto al vescovo (vent’anni di carcere) come è possibile formarli alle scienze sacre e mi ha risposto: “Noi qui preghiamo molto e formiamo uomini innamorati di Cristo e forse prossimi martiri per la fede”.

“Chi è per te Gesù Cristo?”. Ecco la domanda da porre a chi si dice cristiano. La fede non è solo un fatto intellettuale staccato dall’esistenza quotidiana, ma amore e passione per Cristo che trasforma tutta la vita. Giovanni Paolo II è stato chiaro: la missione è comunicazione di un’esperienza, per cui “il vero missionario é il santo” (“Redemptoris Missio”, 90). “Chi vive veramente il Vangelo vale di più, per la missione alle genti e la nuova evangelizzazione, di tutti i piani pastorali e i documenti e i comitati, perché il Santo è il Vangelo vissuto oggi”, come diceva e ripeteva al Consiglio pastorale diocesano il Card. Carlo Maria Martini.

Dobbiamo essere innamorati di Gesù! San Paolo diceva di essere stato “afferrato da Cristo Gesù” (Filippesi, 3, 12) : “Mihi vivere Christus est”, per me vivere è Cristo. E aggiungeva: “Quello che per me era un vantaggio, per amore di Cristo l’ho ritenuto una perdita. Considero ogni cosa come un nulla in confronto alla suprema conoscenza di Cristo Gesù mio Signore, per il quale mi sono privato di tutto e tutto ritengo come spazzatura, pur di guadagnare Cristo” (Filippesi, 3, 7-8). Nelle lettere di San Paolo ricorre 164 volte l’espressione: “In Christo”, cioè la vita in Cristo. Concludo: A chi lo cerca davvero, Cristo si fa trovare. E quando l’hai trovato non lo lasci più, perché è bello stare con Lui.

Piero Gheddo