“Perché non possiamo non dirci cristiani”

Il continuo e consistente afflusso di migranti verso l’Europa sta mettendo in crisi la politica (e non solo) dell’Unione Europea:
–     se spalanchiamo le porte per accettare  tutti quelli che vogliono venire, ben presto saremo costretti a chiuderci in difesa della nostra sopravvivenza;
–    ma se costruiamo muri ai confini e rimandiamo indietro nel loro paese i migranti, che da anni rischiano la vita per fuggire da situazioni insostenibili, tradiamo i valori sui quali sono state fondate l’Onu e l’Ue.

E’ un dilemma che appare oggi, nell’attuale situazione internazionale, insolubile, cioè non esiste una soluzione ottimale. Vorrei solo esprimere queste idee:

1)    Papa Francesco è coraggioso. A Lampedusa e a Lesbo, non ha proposto soluzioni di tipo politico- giuridico-tecnico-economico, ma con i suoi gesti e le sue parole ha indicato lo spirito che deve animare i popoli europei di fronte ai migranti di altri continenti:
–    capire il valore di ogni persona umana che ha gli stessi nostri diritti alla vita;
–    vincere l’indifferenza di fronte a queste masse umane disperate che vagano da un continente all’altro;
–    prendere coscienza che siamo tutti chiamati in causa;
–    Il Papa ha detto a Lesbo: “Scusate l’indifferenza dell’Europa, voi non siete un problema, un peso, ma un dono”, ecc.
Francesco annunzia ovunque ed a tutti la conversione allo spirito evangelico che permetterà, con l’aiuto di Dio, di trovare soluzioni graduali e non definitive (che non esistono).

2)    La religione è la chiave della storia. La Ue ha perso il senso autentico della storia e giudica con criteri che ignorano il peso delle religioni nella vita e nel cammino storico dei popoli. Quando Giovanni Paolo II (e poi Benedetto XVI) insisteva sulle “radici cristiane dell’Europa” e il Parlamento europeo votava contro questo richiamo, si compiva una rottura drammatica nella tradizione europea e oggi ne paghiamo il prezzo. Abbiamo messo da parte Dio Padre e Cristo Gesù, unico Salvatore dell’uomo e dei popoli, creando una cultura popolare praticamente atea e oggi lamentiamo la fragilità psicologica dei giovani, l’invecchiamento degli italiani, la diminuzione continua dei matrimoni, la crisi della famiglia tradizionale, ecc.
Nel 1942 Benedetto Croce, il sommo filosofo italiano, agnostico (cioè non credente), pubblicò il piccolo saggio “Perché non possiamo non dirci cristiani”, nel quale si legge: “Il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto…. Tutte le altre rivoluzioni non sostengono il suo confronto… Le rivoluzioni che seguirono nei tempi moderni non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana…. Il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell’impulso dato da Gesù e da Paolo…. (Esiste),  un legame tra il messaggio di Gesù e la vita della libertà…. Il cristianesimo sta nel fondo  del pensiero moderno e del suo ideale etico…Gli uomini, gli eroi, i geni (che vissero prima dell’avvento del Cristianesimo) compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensiero, di esperienze (ma in tutti essi mancava) quel valore che oggi è presente in tutti noi e che solo il Cristianesimo ha dato all’uomo”.
Indro Montanelli mi diceva: “Io non sono credete e tanto meno praticante, ma sono cattolico”.

3)    Il “mondo moderno” è nato nell’Occidente cristiano. Nel mondo d’oggi globalizzato, l’emergere e l’affermarsi della civiltà occidentale come la più vivibile (nonostante le sue crisi), non trova altra spiegazione che nelle radici cristiane dei popoli europei. Nulla unisce l’Europa se non le radici cristiane: non la lingua, non la razza, non la politica o l’economia nazionali; solo le radici cristiane e i confini territoriali dell’Europa. Ma quest’ultimo criterio non spiega nulla riguardo ai valori che hanno permesso ai popoli europei di dominare e colonizzare gli altri popoli e di arrivare ai valori dello “sviluppo umano”, quelli della Carta dell’Onu e della Ue, che oggi si stanno diffondendo in tutto il mondo: il valore assoluto di ogni persona umana, creata “ad immagine di Dio” (schiavo o libero, uomo o donna); quindi la condanna di ogni violenza sull’uomo (pena di morte, tortura); l’uomo re del creato e con un fine ben superiore a quello delle altre creature (che sonno al suo servizio); il matrimonio monogamico e indissolubile; amore al prossimo più povero e debole; il perdono delle offese e il principio della pace,  ecc.
Questi valori (che non si trovano in altre religioni e civiltà) si stanno diffondendo in tutto il mondo, ma l’Occidente ha abbandonato Dio ed è diventato “una civiltà volta alla sua stessa distruzione… l’Europa non si ama più”, diceva il card. Joseph Ratzinger in una sua conferenza. E lamentava la scomparsa della virtù della speranza e della gioia di vivere, che vengono dalla fede in Dio Padre misericordioso, da Gesù Cristo morto e risorto per noi, dal messianismo della Bibbia e  del Vangelo¬ (“Cieli nuovi e terra nuova”). Papa Francesco lo scrive nel titolo della sua Lettera apostolica “Evangelii Gaudium”: “La gioia del Vangelo” in chi lo vive e in chi lo diffonde. Ma la cultura popolare nell’Europa è profondamente influenzata da ideologie e costumi praticamente atei: non l’adorazione di Dio, ma degli idoli: denaro, potere, sesso, gloria umana, individualismo, ecc.. Infatti manca la speranza e prevale il pessimismo.

4)    Per affrontare la tragedia dei migranti e superare le nostre crisi, dobbiamo tornare a Gesù Cristo. Non solo per ricuperare la nostra identità religiosa che ci tiene uniti, ma per convertirci personalmente a Cristo (a partire dal sottoscritto), in questo “Anno del Giubileo della Misericordia di Dio”, che terminerà il 20 novembre 2016. Convertirci a Cristo perché? Per due motivi:
a)    Per accogliere i migranti islamici e “dialogare” con loro, come invita a fare Papa Francesco. La sfida dell’islam all’Occidente cristiano non è di tipo politico, economico, militare, ma di tipo religioso. Per andare d’accordo, bisogna “dialogare” (come il Papa intende il “dialogo”), le altre soluzioni (guerra, sanzioni economiche) sono inefficaci e dannose. E’ facile capire perché: per i musulmani, un miliardo e mezzo di persone, in maggioranza di un basso livello di vita e di istruzione, la fede in Allah e nel Corano è il fondamento della vita familiare e sociale. Per noi dell’Unione Europea, che abbiamo rifiutato le  radici cristiane, i musulmani ci vedono come ricchi, tecnicizzati, istruiti, militarmente forti. ma anche atei, aridi, senza ideali, senza regola morale, senza figli. Pensano di avere una missione storica: venire in Occidente per dare un’anima alla nostra civiltà, convertendoci all’islam. E’ un concetto diffuso dalla stampa dei paesi islamici, nelle moschee e scuole coraniche. Possiamo anche fermare l’Isis con le armi, ma sorgeranno altre migliaia di “martiri per l’islam”. Tra i musulmani che sentono fortemente la presenza di Dio (il Dio del Corano, non quello del Vangelo!) e noi europei, che risultiamo atei, non c’è dialogo, come tra chi parla solo l’italiano e chi parla solo l’arabo. Lo scontro e la guerra diventano inevitabili. Solo la fede e lo Spirito di Gesù Cristo ci permettono di accogliere e “dialogare” con le masse islamiche che fuggono in Europa.

b)    Per risolvere le crisi della civiltà europea. Superfluo ritornare sulla crisi morale e di ideali della nostra civiltà. Si parla e si scrive molto della corruzione, ma pare che si diffonda sempre più ad ogni livello della società; molti sono convinti che ci vuole, come dice Francesco, “l’economia con al centro l’uomo”, ma pochi realizzano questo ideale. Così pure “la sanità con al centro l’uomo”. Sono stato in un ospedale col nome di un santo, perché prima era della sanità cattolica. Adesso, ceduto l’ospedale ad una impresa laica, mi diceva un dottore: “Qui ormai il malato è diventato uno strumento per guadagnare” e mi raccontava esempi da rabbrividire. “Lo spirito evangelico di amore al prossimo delle suore, preti, fratelli e del personale sanitario da loro educato, in questo sistema non esiste più”.
Viviamo in una civiltà sempre più disumana e questo non significa tornare ai “bei tempi antichi”. Non è colpa del progresso scientifico e tecnico, ma che  abbiamo abbandonato Dio e Gesù Cristo: non solo nella vita personale, ma in quella familiare (chi è che prega ancora assieme nelle famiglie?), sociale, scolastica, massmediatica, nazionale. Sant’Agostino diceva: “Ci hai creati per Te, o Signore, e non siamo contenti fino a quando non riposiamo in Te”.

Giovanni XXIII, il Papa di Sotto il Monte, va alla radice della nostra crisi di civiltà, con parole molto dure per lui, che era conosciuto come “il Papa buono”. Nell’enciclica “Mater et Magistra” (del 1961) loda i progressi economici, tecnico-scientifici, del livello di vita dei popoli sviluppati. Ma continua:  “Rileviamo con amarezza che nei paesi economicamente sviluppati non sono pochi gli esseri umani nei quali si è attenuata o spenta o capovolta la coscienza della gerarchia dei valori. I valori dello spirito sono trascurati, dimenticati o negati; mentre i progressi delle scienze, delle tecniche, lo sviluppo economico, il benessere materiale vengono caldeggiati e propugnati spesso come preminenti e perfino elevati ad unica ragione di vita…L’aspetto più sinistramente tipico dell’epoca moderna – conclude il “Papa buono” – sta nell’assurdo di voler ricomporre un ordine temporale solido e fecondo prescindendo da Dio, unico fondamento nel quale soltanto può reggersi; e di voler celebrare la grandezza dell’uomo disseccando la fonte da cui quella grandezza scaturisce e della quale si alimenta”.

Piero Gheddo

Luigi Soletta: in Giappone il sole splende a mezzanotte

I missionari gettano ponti di comprensione fra i popoli. Padre Luigi Soletta si è dedicato al dialogo interreligioso. In 40 anni di missione ha approfondito la conoscenza del buddismo giapponese, lo Zen, diventando un personaggio famoso in Giappone.

Il 4 aprile scorso è morto all’età di 86 anni il padre Luigi Soletta (1929-2016), missionario in Giappone per quasi 40 anni. Dopo il Concilio  Vaticano II, assieme ad altri due missionari del Pime, riceve l’incarico  di approfondire il dialogo col mondo buddista, alla ricerca dei “semina Verbi” (semi del Verbo), che lo Spirito Santo ha diffuso nelle culture e religioni dei popoli, per prepararli all’incontro col Verbo di Dio, Gesù Cristo.  Padre Luigi aveva tutte le qualità di mente e di cuore per questo impegno e lo vive con grande passione e dedizione. Studia, insegna e pratica lo Zen, traduce una dozzina di importanti opere classiche della letteratura giapponese, ad esempio “Il  Codice segreto del Samurai” (Hagakure), un testo sacro del 1600 che raccoglie l’antica saggezza del Samurai, scritto in giapponese antico, molto difficile. Soletta lo traduce in giapponese moderno e nel 1993 lo stampa in Italia con l’editrice Ave. Una favorevole recensione di mons. Gianfranco Ravasi su “Il Sole 24 Ore” presenta e raccomanda il volume, per capire in profondità la mentalità dei giapponesi.  L’ultima delle edizioni, tre anni fa, è con la Einaudi.

Il “Codice segreto del Samurai” era già conosciuto, ma con la traduzione in giapponese moderno “è diventato in Giappone il libro più celebre e controverso di ogni epoca”, secondo il parere di esperti. Per un motivo politico. All’inizio della seconda guerra mondiale venne adottato dal nazionalismo trionfante come ispirazione e guida ai giovani giapponesi, per dare la loro vita come “kamikaze” a servizio della Patria. Di qui il dibattito che il volume ha suscitato nel nostro tempo su un tema molto sentito, il riarmo e il nazionalismo militarista.

In realtà, “Il Codice segreto del Samurai” è una raccolta di aforismi che rivelano i valori di riferimento del Samurai, le virtù umane della tradizione giapponese: l’amore alla Patria, l’ideale del servizio e dell’obbedienza (nel caso del Samurai al suo signore, il “Daimio”), l’amore disinteressato per il prossimo, il dominio delle passioni, il mettersi in gioco per una causa nobile, lo spirito di umiltà e povertà, l’amore per la natura nella quale si rivela la divinità che ha creato l’universo, ecc. Una curiosità: il famosissimo romanzo di Susanna Tamaro “Va’ dove ti porta il cuore” prende il titolo proprio da un brano dell’Hagakure, come la stessa autrice rivelò in occasione di un suo viaggio in Giappone anni fa.

Padre Soletta ha sofferto molto perché le sue “perle di saggezza orientale”, che lui leggeva come “semi del Verbo” nella cultura giapponese, una specie di “fioretti” francescani, sono state e sono ancora usate per la propaganda dell’ideologia nazionalista e militarista.  Quand’era già tornato in Italia, pubblica “Il sole splende a mezzanotte” (Emi, 2009), la sua autobiografia dopo 40 anni di studi del buddismo e dialogo interreligioso, dalla quale emerge un sacerdote di profonda spiritualità evangelica e un missionario aperto a tutti i valori umani e religiosi dei giapponesi. Il titolo del libro è di un monaco zen e simboleggia l’illuminazione che padre Luigi ha raggiunto, dopo un lungo cammino di ascesi e di meditazione, grazie alla quale è possibile sognare un sole che splende a mezzanotte. In un’intervista a “Mondo e Missione”, lamenta che il volume è criticato da chi, “vedendo la copertina e sfogliando distrattamente il libro, pensa che sia dedicato allo zen. Certo, io mi sono appassionato al Giappone e alla sua cultura. Ma a me stanno a cuore soprattutto Cristo e il Vangelo, che io ho cercato di annunciare al popolo giapponese e tra l’altro cerco di mostrare la sintonia profonda tra alcuni aspetti della spiritualità zen e quella cristiana”.

Nel nostro mondo secolarizzato e materialista questa passione per la cultura e religiosità giapponese in un missionario può apparire eccentrica o superflua, ma i missionari sono spesso profeti che preparano i ponti per un incontro fra popoli e culture, per giungere ad un umanesimo con valori comunemente accettati, che per noi cristiani hanno come fondamento la persona di Gesù Cristo e il suo Vangelo. Nelle altre culture e religioni esistono già i “germi del Verbo”, i valori con i quali è possibile incontrarci, per giungere ad un umanesimo condiviso.

Nell’autunno 1986 ho visitato il Giappone per la seconda volta e ho incontrato padre Soletta nella casa del Pime a Tokyo. Una sera abbiamo parlato a lungo e gli ho manifestato la mia ammirazione per la passione e la tenacia con cui perseguiva il suo sogno, di trovare nella cultura e religiosità naturale del Giappone “i germi del Verbo” che permetteranno a quel popolo di incontrare facilmente Gesù Cristo.  Poi gli ho chiesto: “Ma quali sono gli ostacoli a questo incontro?”.  E lui mi dice:: Vieni a trovarmi e te lo farò vedere in concreto”.

Padre Soletta era cappellano di un convento di suore a Kamakura, con una piccola chiesetta vicino al grande tempio della dea buddista Kannon (la dea della misericordia), il “tempio dei bambini non nati”. Sulla collina attorno al tempio, nei vialetti del bosco ci sono centinaia di statuette del Budda, simbolo del loro bambino. Le donne che hanno abortito lo offrono al tempio, vestendolo come avrebbero voluto vestire il bambino, a volte con un giocattolo in mano o vicino. Ho visto giovani coppie portare queste statuette, sistemarle nel tempio o nei dintorni, chiedono perdono, bruciano incenso, fanno prostrazioni. Usanza commovente che non è solo un rito, ma l’espressione di un’esigenza di perdono, che purtroppo non ha risposta.

“L’aborto, dice Soletta, è sentito come una colpa grave e i non cristiani, che non conoscono il Dio della misericordia e del perdono, a volte sono oppressi da un forte senso di colpa. Pensano che i bambini non nati non hanno pace, vagano per la città e i campi in attesa di reincarnarsi in un’altra vita. I genitori non riescono a dar loro pace. A volte vengono da me mamme e papà non cristiani, mi dicono che hanno fatto un aborto e mi chiedono se è vero che il Dio dei cristiani perdona questa colpa. Dopo tanti anni di Giappone, credo che in Oriente le malattie nervose sono più comuni che in Occidente proprio a causa di questa visione pessimistica di Dio, che non conoscono e pensano che non perdona. Forse è vero che la difficoltà maggiore per i giapponesi di convertirsi a Cristo è il dovere di perdonare le offese ricevute, perché nella loro tradizione la vendetta è un atto sacro e si tramanda di padre in figlio! Alle coppie che hanno abortito e vengono da me, dico loro che il Dio dei cristiani perdona e spiego come e perché. Poi dò loro una benedizione solenne e li mando in pace”.

(Padre Soletta è sepolto nel Cimitero del suo paese natale, Florinas in provincia di Sassari).

Piero Gheddo

Qual è il segreto della vita cristiana?

La preghiera non è una semplice invocazione per chiedere grazie. Se è autentica, deve cambiare la vita di chi prega e portarlo a fare la volontà di Dio. Gli esempi di Papa Francesco, le Suore di Madre Teresa e il dott. Marcello Candia.

 

Una volta, molti anni fa, quand’ero inviato speciale di alcuni giornali anche laici e di “Mondo e Missione” (ne ero il direttore), un amico giornalista mi chiede: “Qual è il segreto della tua vita? Perché tu affronti guerre, dittature, pericoli di ogni genere, vai tra i lebbrosi e nelle baraccopoli più disastrate e pericolose, e sei sempre sorridente…”. Ho risposto:  “Il mio segreto è la preghiera”. L’amico non ci credeva, eppure è proprio così. Tutti i popoli pregano, anche i non credenti avvertono il bisogno di rivolgersi a Dio. Ma il cristiano sa che la preghiera non è solo una semplice invocazione o devozione per chiedere grazie, ma deve cambiare la vita. Pregare vuol dire credere in Dio Padre buono e misericordioso, parlare con lui in piena trasparenza, ringraziarlo delle grazie ricevute, pentirsi dei propri peccati e chiedere la grazia di fare sempre la volontà di Dio espressa nei dieci Comandamenti; e poi, seguire Gesù Cristo, vivere secondo il suo esempio nei Vangeli, ispirarsi nella propria vita alle Beatitudini. Allora la preghiera cambia davvero la vita e dà una forza e una gioia che, nei Santi naturalmente, permette anche di compiere miracoli.

Nel 2001 a Phnom Penh, capitale della Cambogia, ho visitato le suore di Madre Teresa e il loro rifugio per bambini disabili per le bombe della guerra o varie malattie. Quando soffrono i bambini, e ne vedete decine tutti assieme, anche se sono amati, curati, coccolati, toccano davvero il cuore di noi adulti. Al termine della visita, alle due suore che mi offrono un caffè esprimo la mia ammirazione per l’esempio che danno, in un paese non cristiano, di servizio gratuito e amorevole agli ultimi di questo popolo. Mi raccontano qualcosa della la loro vita e dicono che fanno quattro ore di preghiera al giorno: “Senza l’ora di adorazione serale a Gesù nell’Eucarestia, non potremmo amare a lungo, come vere mamme, questi poveri e cari bambini”.

Nell’intervista di padre Spadaro della Civiltà Cattolica a Papa Francesco, alla domanda su come il Papa prega, lui risponde ricordando le preghiere che dice durante la giornata e poi aggiunge: “Ciò che davvero preferisco è l’Adorazione serale, anche quando mi distraggo e penso ad altro o addirittura mi addormento pregando. La sera quindi, tra le sette e le otto, sto davanti al Santissimo per un’ora in adorazione”. Francesco non è solo il Pastore universale, ma anche il Maestro della vita cristiana. Con tutte le cose che deve fare e le decisioni da prendere, ci dà l’esempio: alla sera passa un’ora davanti al Tabernacolo dove c’è Gesù, da cui riceve la forza, la serenità, il coraggio, la lucidità, tutto il necessario alla sua vita.

Nel mondo d’oggi, che impone una vita travolgente di impegni, informazioni,  preoccupazioni, divertimenti e distrazioni, attraversiamo tutti, anche noi preti, la crisi della preghiera. Si dice che non abbiamo mai tempo, siamo sempre di corsa. Ripetiamo delle formule, ma il cuore e la mente sono lontani. Se perdiamo il contatto personale con Gesù Cristo e col mondo soprannaturale, ci ritroviamo da soli con le nostre miserie e i nostri limiti. Bisogna dare a Dio il suo tempo, non basta un pensiero affrettato. Pregare vuol dire meditare e commuoversi per l’amore di Dio e per la morte di Gesù Cristo in Croce, per meritare il perdono dei miei peccati! Pregare è amare Gesù e mettersi nel cammino dell’imitazione di Cristo. San Giovanni della Croce  ha scritto che bisogna avere una cella segreta nel nostro cuore, per incontrare Dio e l’amore che Dio ha per me, sempre, anche quando sbaglio e vado fuori strada. E’ la cella della contemplazione, dell’adorazione, del tempo destinato alla preghiera. E’ il segreto della vita cristiana, quello che fa vivere meglio, che dà “una marcia in più”.

Papa Francesco, ricevendo nel marzo scorso i 60.000 fedeli dei gruppi di preghiera di Padre Pio ha detto: “La preghiera non è una buona pratica per mettersi un po’ di pace nel cuore; e nemmeno un mezzo devoto per ottenere da Dio quel che ci serve…. La preghiera è la migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il cuore di Dio… che non è blindato da tante porte di sicurezza. È la più grande forza della Chiesa, che non dobbiamo mai lasciare…. altrimenti l’evangelizzazione svanisce e la gioia si spegne e il cuore diventa noioso. Voi volete avere un cuore gioioso? Pregate, questa è la ricetta”.

Il Venerabile dott. Marcello Candia (1916-1983) era un giovane industriale di fede viva e operosa, lavorava molto per l’azienda ereditata dal padre, ma era anche impegnato in opere di carità per i poveri e di aiuti ai missionari. Negli anni 1949-1950, costruendo il nuovo stabilimento di via Tacito a Milano, Marcello aveva riservato a sé un piccolo angolo vicino al muro di cinta, sul quale non c’erano finestre. Solo una panca e tre alberelli. Marcello diceva: “Questo è il mio rifugio per pregare” e ogni tanto scendeva dal suo ufficio e andava alcuni minuti ne “Il mio monastero”.

Morì nel 1983 di cancro e dopo cinque infarti e un’operazione al cuore. Aveva speso tutto se stesso e tutti i suoi soldi per i più poveri dell’Amazzonia. Il capo dei lebbrosi nel lebbrosario di Marituba presso Belem, Adalucio, al quale 14 anni dopo la morte di Candia chiedevo come mai ricordavano così tanto Marcello e lo pregavano, mi rispose: “Il dottor Candia non solo ci ha aiutati economicamente e con le opere sanitarie e sociali, ma ci ha voluto bene: in lui vedevamo l’amore di Dio anche per noi lebbrosi, rifiutati da tutti”.

Perchè gli ospiti del lebbrosario di Marituba considerano Marcello Candia un santo? “Perchè faceva tutto per amore di Dio, mi risponde. Non cercava nulla per sè ma tutto per gli altri, i poveri, gli ammalati, noi hanseniani. Era eroico nella sua donazione al prossimo, commovente: lui ricco, colto e importante nel mondo, veniva a spendere la sua vita tra noi che non potevamo dargli nulla in cambio. E non per un motivo umano, altrimenti non avrebbe resistito, sarebbe rimasto deluso: ma solo per amore di Dio. Noi pensavamo: se lui è un uomo così buono, quanto più buono dev’essere Dio!”.