Nell’articolo (Blog) “Dubbi e contestazioni a Papa Francesco” (si veda il mio Sito: www.gheddopiero.it ) ho scritto:
1) come è stato eletto Papa Francesco (“Lo Spirito Santo c’è davvero”);
2) Francesco viene da una Chiesa fondata dai missionari, con i quali condivide la visione e passione di convertire a Cristo il mondo intero (“Il Papa che viene dalle missioni”);
3) infine, la svolta radicale che Francesco sta dando alla Chiesa è la missione universale. Lui stesso è il modello di pastorale e di vita cristiana delle missioni (“Voglio una Chiesa tutta missionaria”).
Completo ora la mia risposta ai dubbi e contestazioni al Papa italo-argentino, spiegando la rivoluzione del “Dialogo” (che lui usa spesso), lanciata da Paolo VI e dal Concilio Vaticano II.
La missione è un dare e un ricevere
Nella enciclica “Ecclesiam Suam” (1964) Paolo VI presenta la missione in modo del tutto nuovo:
1) Nella visione tradizionale, la Chiesa ha il pieno possesso della Verità di Dio, i missionari hanno il mandato di annunziare e convertire a Cristo. Noi possediamo la verità e la trasmettiamo: è una visione giusta ma statica, non dinamica.
2) Nella visione di Paolo VI, la Chiesa è in cammino per raggiungere la pienezza della Verità di Dio, che noi uomini non possiamo mai conoscere fino in fondo, perché Dio supera infinitamente la nostra mente e il nostro cuore. Lo Spirito Santo assiste la Chiesa e lungo il corso dei secoli la porta a fare passi in avanti verso la piena comprensione della Parola di Dio, fino all’eternità beata del Paradiso.
3) La “missione alle genti”non è solo una proclamazione, ma un dialogo con l’altro, per capirlo e farsi capire, per testimoniargli con la nostra vita e trasmettergli con la nostra povera parola le Verità che viviamo. Ma anche ascoltarlo, per conoscere i “semi del Verbo” che Dio ha messo in tutti gli uomini e i valori religiosi e umani che il suo popolo ha maturato nella sua storia. La missione non è solo un dare, ma un dare e un ricevere, nel dialogo e nella vita vissuta da fratelli.
L’“Ecclesiam suam” spiega come entrare nella “cultura (o mentalità) del dialogo” e vivere la vita cristiana in modo dialogante con chi ha una fede vacillante o addirittura non ha più fede:
1) La Chiesa deve riprendere coscienza che è nata per annunziare Cristo a tutti gli uomini. Il ritorno a Cristo dei singoli credenti e delle comunità cristiane è condizione irrinunciabile per entrare in dialogo con chi la pensa diversamente.
2) A partire da questa coscienza, la Chiesa opera le riforme delle sue strutture, per essere più credibile ed efficiente nel dialogo-annunzio della Verità di Cristo.
3) Queste le due premesse per poter evangelizzare tutti gli uomini. Il dialogo ha origine nella Trinità stessa, che salva l’umanità attraverso il “dialogo della salvezza” (“colloquium salutis”). Per Paolo VI il dialogo è un sinonimo di missione. Nel dialogo con le religioni non cristiane la Ecclesiam suam afferma: “Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose”. Però, ai non cristiani dobbiamo il “rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali” che posseggono e occorre collaborare con essi “negli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura”. Le contestazioni a Papa Francesco vengono in gran parte dal fatto che non si conosce o non si capisce o non si accetta questa novità rivoluzionaria nella missione della Chiesa.
L’enciclica profetica e dimenticata di Paolo VI
Ho riletto con crescente ammirazione per Paolo VI, la “Ecclesiam Suam” (6 agosto1964), ingiustamente dimenticata, perché il Decreto del Vaticano II “Nostra Aetate” (28 ottobre 1965) si pensava la sostituisse. Ma non è vero. Il Decreto prende in esame il dialogo fra missione e religioni non cristiane, ma l’enciclica parla soprattutto de “il problema, così detto, del dialogo fra la Chiesa e il mondo moderno” (n. 15), cioè con i non credenti, gli agnostici, gli atei, che sono soprattutto nell’Occidente un tempo “cristiano”; e poi delinea le virtù necessarie, le modalità, lo spirito del dialogo su temi religiosi. Leggendo l’Ecclesiam suam, pensavo a Papa Francesco, che sta esattamente realizzando l’insegnamento di PaoloVI.
Paolo VI parte dal principio che ogni uomo è creato “a immagine di Dio” e amato da Dio; “la religione è dialogo fra Dio e l’uomo”, espresso nella Rivelazione e nella preghiera, e questo dialogo deve raggiungere tutti gli uomini.
“La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere” (n. 67). E il mondo, “ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, bisogna accostarlo e parlargli. Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché sia salvato per mezzo di lui (Giov. 3, 17) (nn. 70, 71).
“La Chiesa può rapportarsi col mondo rilevando i suoi mali, anatematizzandoli e muovendo crociate contro di essi” (n. 80); ma oggi ci vuole il dialogo, “suggerito dall’abitudine ormai diffusa di concepire le relazioni fra il sacro e il profano, dal dinamismo della società moderna, dal pluralismo delle sue manifestazioni, nonché dalla maturità dell’uomo, fatto abile dall’educazione civile a pensare, a parlare, a trattare con dignità di dialogo” (n. 80).
“Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale” (n. 81).“Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari”. (n. 86).
L’enciclica di Paolo VI è profonda e profetica, ci sono passaggi significativi: “Non si salva il mondo dal di fuori” dice il Papa e cita Gesù che si è fatto uomo per salvarci, partecipando alla vita degli uomini; così chi evangelizza deve “condividere, senza porre distanza di privilegi o diaframma di linguaggio incomprensibile… Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l’esempio e il precetto che Cristo ci lasciò” (n. 59).
E poi ecco i rischi del dialogo: “L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo” (n. 91). “E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto” (n. 92).
Con Papa Francesco “la Chiesa si fa dialogo”
Questo il punto di partenza di Paolo VI e del Vaticano II. Oggi è del tutto tramontata “l’epoca della cristianità”, il tempo in cui fede e civiltà, Chiesa e Stato, mondo religioso e mondo laico erano strettamente collegati e collaboravano. Nel nostro mondo post-cristiano, mi dicono parroci e viceparroci, circa la metà dei giovani italiani non sanno più nemmeno il Padre Nostro e l’Ave Maria. Oggi in Occidente, la Nuova Evangelizzazione non è più solo proclamazione e insegnamento della Verità di Cristo. Dev’essere estimonianza della vita in Cristo e apertura, dialogo con i cristiani la cui fede è vacillante e quelli che si dichiarano senza religione, atei o agnostici. In Polonia sono il 9,3%, negli Stati Uniti e in Italia il 15% (circa 10 milioni!), in Spagna il 19,5%, in Germania il 21%, in Francia il 27%, in Inghilterra il 31%! Anch’essi sono creati da Dio e Cristo li ha salvati con la sua morte e Risurrezione; anch’essi hanno dei valori morali o spirituali. Sono fratelli e sorelle che spesso consideriamo nemici della Chiesa, esclusi dal gregge di Cristo.
La pista per la Nuova Evangelizzazione è già aperta, ma il cammino per una “Chiesa dialogante” è ancora lungo, per giungere a quanto si augurava Giovanni Paolo II (“Redemptoris Missio”, n. 56): “Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma”. E’ un orientamento che vale per tutte le Chiese locali in ogni parte del mondo. Ma finora, in Italia, la Cei produce ottimi documenti su “La missione qua e là” e “Dobbiamo imparare dalle giovani Chiese”, ma non è facile realizzare in diocesi, parrocchie e famiglie, la “Chiesa dialogante”, la “Chiesa in uscita” verso i lontani. Noi tutti, italiani credenti e praticanti, dobbiamo sentire la responsabilità di testimoniare la vita cristiana e avere il coraggio di dire una parola di fede, quando è necessario, nel nostro mondo secolarizzato che di Dio non parla più.
In Occidente, da duemila anni le Chiese cristiane proclamano la Buona Notizia che è nato il Salvatore dell’uomo e già in passato il “primo annunzio” aveva provocato un terremoto benefico nei popoli, come pure capita ancor oggi, nelle missioni e giovani Chiese.
L’annunzio delle Beatitudini non ci commuove più, l’abbiamo sentito tante volte! In ogni epoca storica il Vangelo è sempre nuovo, ma Francesco lo presenta in modo nuovo. Nel recente passato Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II erano Papi “popolari”, che toccavano il cuore dei popoli. Anche Francesco ha questo carisma, i missionari scrivono che suscita tante speranze di pace, di giustizia, di fraternità, nei popoli non cristiani.
Lui stesso si mette a livello della gente comune, parla a braccio, i suoi discorsi si riferiscono alla vita quotidiana e li capiscono tutti. Nelle omelie mattutine a Santa Marta, prima spiega il Vangelo e cosa vuol dire Gesù. Poi sembra quasi che dica: adesso vediamo un po’ se noi viviamo questa millenaria tradizione evangelica. Papa Francesco scende dalla Cattedra pontificia, rinunzia ai lussi e ai fasti tradizionali, si proclama “peccatore” e, come Gesù, frequenta i “peccatori ”; è trasparente, non vuole segreti, anzi spalanca tutte le nicchie, i ripostigli, le cassaforti vaticane, per purificare il centro della vita ecclesiale.
Francesco dichiara che la Chiesa è la casa di tutti, non esclude nessuno, “non vuole convertire nessuno” (infatti è lo Spirito che converte, la Chiesa annunzia, dialoga, propone); dice che “Dio non è cattolico”: infatti è Padre di tutti gli uomini, vuol bene a tutti, vuol salvare tutti. Dio e il Padre misericordioso che perdona. Francesco parla a braccio e a volte non trova le parole giuste, scandalizza, ma fa pensare, spalanca orizzonti nuovi. Ad esempio, quando dice che vuole “una Chiesa povera per i poveri”, noi pensiamo ai nostri poveri in Italia (abbiamo tante provvidenze per gli ultimi!), lui pensa a quelli dell’Argentina: estesa sette volte l’Italia con 40 milioni di abitanti, ha un Pil pro-capite di 11.500 dollari, l’Italia 31.500 (tre volte tanto!). Ho visitato due periferie di Buenos Aires con chilometri di casupole e baracche; e due regioni di pampa negli stati di Chako e Misiones. Quanta miseria nera ho visto! Il Chako, visitato con i Missionari della Consolata di Torino, ha 100.000 kmq (come l’Italia settentrionale!) con poco più di un milione di abitanti. Le distanze enormi fra i villaggi creano isolamento e abbandono. In Africa e Asia, le differenze con noi diventano abissali. Noi italiani siamo i privilegiati dell’umanità, perché abbiamo ricevuto il dono della fede e siamo nati in Italia dopo duemila anni di cristianesimo! Gran parte dell’umanità vive ancora nell’Antico Testamento, come il popolo ebraico prima di conoscere Gesù!
Il dialogo con l’islam è uno dei punti cruciali nell’insegnamento di Francesco.
E’ criticato perché tace sulle radici islamiche del terrorismo e ne dà una lettura sociologica ed economica, non religiosa. Ma questa è la logica del dialogo, inteso in tutta la sua ampiezza e ricchezza. Francesco è convinto che noi, discepoli di Gesù Cristo, possiamo aiutare i musulmani ad evolversi verso la libertà religiosa (nel febbraio 2017 in Marocco è stata abolita la legge della pena di morte per chi abbandona l’islam e si converte ad un’altra religione!) e verso l’abolizione di ogni violenza fisica sull’uomo, se non ci opponiamo frontalmente, ma aiutiamo con la carità, l’amicizia, l’ascolto, il dialogo. Papa Francesco non vuole parlare di “guerra di religione” e ha ragione.
La storia recente dimostra:
1) la guerra non risolve nulla, anzi peggiora la situazione (vedi le due guerre in Iraq). Chi si augura una nuova Crociata e una nuova Lepanto non tiene conto del miliardo e mezzo di islamici, che se attaccati si uniscono contro l’Occidente;
2) la riforma dell’islam verrà dall’educazione dei popoli islamici attraverso la scuola e la libertà di stampa e di ricerca storico-critica sulle fonti islamiche, per contestualizzare il Corano e Maometto al mondo moderno.
3) Nel 1979, l’ayatollah Khomeini, Presidente della Repubblica islamica dell’Iran, lanciava da Teheran “Il martirio per l’Islam” (l’inizio del terrorismo) e la guerra contro “il grande Satana” (gli Usa). Allora i popoli islamici erano uniti contro l’Occidente, le voci contrarie rarissime. Oggi, 38 anni dopo, il mondo islamico è diviso fra estremisti radicali e moderati. Lo “Stato islamico” (Isis) ha fatto vedere a tutti dove giunge chi vuol costruire con la violenza sull’uomo un presunto islam salafita (integralista), che non esiste nemmeno nel Corano. Un missionario che vive in un paese islamico, conosce l’arabo, la sua vita è tutta spesa nel dialogo con i musulmani, mi dice che la battaglia finale sarà tra musulmani violenti e intolleranti, e musulmani veramente amanti della pace e della convivenza tra popoli di diversa religione, che aumentano continuamente. La sconfitta del terrorismo non verrà dalla guerra dell’Occidente contro l’islam, né dal rigetto dei musulmani come tali, ma dal dialogo e dal sostegno alle molte iniziative che nascono nell’islam, contrarie alla “guerra per Dio”. Un conto è “fermare l’ingiusto aggressore”, un altro è dimenticare che l’islam è una grande e nobile religione, che ha portato molti popoli dal politeismo al monoteismo di Abramo (come dirò in un prossimo Blog). Vedere tutti i musulmani come nemici dell’Occidente è una visione che, se si diffonde anche fra noi cristiani, porta alla guerra totale, mondiale, che non avrà né vinti né vincitori.
Ma Papa Francesco dice quello, che già avevano chiesto i precedenti Pontefici, quasi implorando o con voce tonante: l’Occidente cristiano deve tornare a Dio, a Gesù Cristo. Non si dà pace nel mondo se i popoli cristiani da duemila anni abbandonano la barca di Pietro, il gregge di Cristo. Alcuni lettori del mio Sito mi chiedono qual’è la rivoluzione evangelica di cui Francesco è il primo missionario e modello. E’ questa: che tutti noi battezzati diventiamo sempre più autentici seguaci e imitatori di Gesù Cristo, per trovare l’entusiasmo e la gioia di essere suoi testimoni, “luce del mondo e sale della terra”, come ha detto Gesù. Nessuno può tirarsi fuori da questa “revisione di vita” secondo il Vangelo: cardinali, vescovi, preti, suore, laici, l’importante è che ciascuno di noi cominci la rivoluzione evangelica della Chiesa, partendo da se stesso. Tornare a Cristo affinchè, con l’aiuto dello Spirito Santo, il mondo in cui viviamo diventi meno disumano e più umano.
A noi credenti spetta amare e pregare per Papa Francesco e obbedire alle sue esortazioni e orientamenti. Anche esprimendo i nostri dubbi e le nostre osservazioni, ma senza accanimento critico, senza dividere il “Corpo mistico di Cristo, senza diminuire l’ondata benefica di Papa Francesco che sta seminando anche nel mondo non cristiano una generale simpatia per Cristo e il Vangelo, che umanizza popoli e culture. Papa Francesco è il vento nuovo dello Spirito che soffia forte. Noi non sappiamo dove il Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica va a finire, in questo suo cammino ondeggiante. Forse non lo sa nemmeno lui, anche se ha pubblicato il suo manifesto programmatico, la “Evangelii Gaudium” (24 novembre 2013). D’accordo! E poi? Poi ci fidiamo tutti dello Spirito Santo.