«Ho risposto di Sì al Signore»

Al traguardo degli ottant’anni, mi volto indietro e mi rivedo ragazzino a Tronzano (Vercelli), piccolo paese fra le risaie che a me, oltre alla mia famiglia, ha dato molto: una bella parrocchia, degli ottimi preti, l’oratorio e tutto l’ambiente che c’era a quei tempi, che riscaldava e sosteneva la fede di noi giovani. Quando il Signore mi chiamò gli dissi di sì. Non so quando avvenne ma i miei parenti mi dicevano che fin da giovanissimo, a chi mi chiedeva cosa avrei fatto da grande, rispondevo deciso: “Il prete!”. Infatti non ricordo di aver avuto altri progetti, altre aspirazione che quella di fare il prete.

E oggi, compiendo gli 80 anni (sono nato il 10 marzo 1929), non cesso ancora di ringraziare Dio per questa vocazione, un dono anche di Rosetta e Giovanni, i miei genitori che sposandosi avevano chiesto a Dio la grazia di avere molti figli e che almeno uno di loro si facesse prete. E poi di avermi chiamato, a 16 anni, ad essere missionario nel Pime, un istituto missionario che amo come la mia seconda famiglia. Aver detto di sì al Signore mi ha dato una vita serena, piena di entusiasmo e di gioia. Grazie a Dio, sono un uomo felice e realizzato, pur fra molte sofferenze e difficoltà. La gioia non viene da condizioni esterne favorevoli (salute, successo, ricchezza, gloria, carriera), ma da una condizione di spirito interna che si fonda su due motivi: primo, di sentirmi sempre amato, protetto, perdonato, consolato, illuminato, riscaldato da Dio.

Il secondo motivo di questa gioia, è che, visitando in 56 anni di sacerdozio tutti i continenti e un’infinità di popoli, di paesi e di situazioni, mi sono reso conto della verità di quanto diceva la grande Madre Teresa: “I popoli hanno fame di pane e di giustizia, ma soprattutto hanno fame e sete di Gesù Cristo”. E aggiungeva: “La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo”. Giornali e televisioni non lo dicono, ma questa è la verità: il più grande dono che possiamo fare ai popoli è l’annunzio della salvezza in Cristo e di testimoniarlo nella nostra vita. Ecco perchè sono pieno di gioia: mi sento utile agli uomini perchè ho scelto di dedicare tutta la mia vita ad annunziare e testimoniare Gesù Cristo, di cui tutti gli uomini hanno bisogno, nonostante che sia ben cosciente della mia piccolezza e debolezza, delle mie infedeltà e peccati.

Quando ero giovane chiedevo a Dio di darmi l’entusiasmo per la vocazione sacerdotale e missionaria, e il dono della commozione fino alle lacrime quando parlavo o scrivevo del sacerdozio, della missione, della vocazione alla vita consacrata. Adesso sono ormai nella terza (o quarta?) età e chiedo a Dio di non lasciar diminuire in me la passione per il Regno di Dio che mi ha concesso di avere fino ad oggi. E ricordo quanto scriveva don Primo Mazzolari, l’indimenticabile “tromba d’argento dello Spirito Santo nella Valle padana”, come diceva Giovanni XXIII: “Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l’unica veramente indispensabile nella mia missione di prete è questa, comunicare il Salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui”.

Ringrazio quanti in questi giorni mi augurano Buon Compleanno e chiedo a loro il dono di una preghiera perchè anch’io possa realizzare, nel mio sacerdozio e nella mia missione, queste parole di Don Primo.

Piero Gheddo