Obama ai neri d’America: «Non cercate scuse!»

Il Presidente americano Obama non cessa di stupire. Grande oratore e comunicatore, parla quasi sempre improvvisando, cioè senza avere sott’occhio testi preparati da altri, ed esprime idee contro corrente che gli attirano la simpatia degli americani che non l’hanno votato e dell’opinione pubblica mondiale.

Il 16 luglio scorso a New York, parlando a 3000 neri della Naapc (“National Association for the Advancement of Coloured People”), la più antica associazione per i diritti civili dei neri d’America che compie 100 anni, in un appassionato discorso di 45 minuti ha preso di petto il problema che interroga la più grande potenza del mondo: come mai i discendenti degli schiavi neri non riescono, come popolo, a crescere e ad integrarsi nel mondo americano, quanto mai aperto a tutte le componenti etniche presenti nei suoi 300 milioni di abitanti? Interrogativo quanto mai provocante, dato che altri popoli di recente giunti sul suolo americano (ad esempio i vietnamiti) in trent’anni sono riusciti, partendo quasi da zero, a costruirsi una posizione di tutto rispetto nella società americana.

Obama ha ricordato le sue origini africane, rivendicando con orgoglio il suo essere nero ed ha affermato con forza che la discriminazione razziale esiste ancora in America e nel mondo, “e questa piaga colpisce in modo devastante la comunità afro-americana”: nella sanità, nella scuola, nel lavoro, nella società civile. Negli Stati Uniti d’America non deve esserci più posto per i pregiudizi e le discriminazioni. Questa è la nostra responsabilità di capi”.

Poi si è rivolto direttamente ai suoi concittadini neri, affermando che nessun intervento del governo potrà cambiare queste situazioni, se non interviene un radicale cambiamento di mentalità, che sconfigga la più pesante eredità del passato, cioè la convinzione nella Black America (l’America nera) che il loro destino di neri è ineluttabile. Obama ha detto che il problema va affrontato soprattutto sul piano educativo e ha gridato: “Il vostro destino è nelle vostre mani, non dimenticatelo”. Ma poi ha aggiunto: “I genitori devono assumersi le loro responsabilità, mettendo da parte i videogiochi e mandando i figli a letto presto”. Il primo presidente afro-americano della storia Usa non ha esitato ad attribuire a sua madre — una bianca — il merito dei suoi successi. “Se non fosse stato per lei la mia vita avrebbe preso una piega tutta diversa…. Quando guido per Harlem o nei quartieri del South Side di Chicago e vedo quei ragazzi buttati per le strade, mi dico: “Quello potrei essere io, ma grazie a Dio è andata diversamente””.

“Non tutti i vostri figli possono aspirare a diventare Le Bron o Lil Wayne — ha detto riferendosi ad una star del basket e ad un rapper —. Voglio che aspirino a diventare scienziati, ingegneri, dottori, insegnanti, giudici della Corte Suprema e presidenti degli Stati Uniti”. E con quell’afflato religioso e messianico che rende la democrazia americana tanto diversa da quella europea, ha detto che “tutti i nostri giovani devono avere le stesse possibilità, perché tutti figli di Dio”. Ma ha concluso con un forte richiamo alla fede e alla speranza che hanno sostenuto gli uomini neri nelle loro travagliate secolari vicende e alle responsabilità dei genitori e delle famiglie, affinchè anche i giovani neri possano cogliere le possibilità che la società americana offre anche a loro.

L’11 luglio scorso ad Accra, capitale del Ghana, dopo aver descritto le troppe miserie dell’Africa nera, il Presidente Obama ha detto alle élites intellettuali africane (vedi il mio Blog del 17 luglio): “E’ facile addossare ad altri la colpa di questi problemi!”, invitandoli ad un “esame di coscienza” delle colpe che hanno i capi africani. Ad esempio, l’Occidente non ha colpa alcune di tanti disastri africani ed ha ricordato lo Zimbabwe, la Somalia, il Darfur. Una settimana dopo a New York ancora un discorso “politicamente scorretto”. Su questi due discorsi tutti noi che siamo interessati e appassionati a questo tema, dovremmo riflettere. Non facciamo il bene dei neri quando continuiamo ad insistere solo e sempre sulle colpe dell’Occidente e dei bianchi e su quel vittimismo che li porta alla protesta e all’inazione. Dobbiamo invece trasmettere loro, per quel poco o tanto che possiamo, il senso ottimistico della fede e della speranza in Dio e nelle loro potenzialità di popoli giovani, secondo quanto ha detto Obama: “E’ facile addossare le colpe dei vostri problemi agli altri… Il vostro futuro sarà quello che oggi voi vi costruite”.

Avviso ai lettori

Cari amici lettori, fra alcuni giorni andrò a fare un po’ di vacanza nella casa del Pime a Genova, pur con qualche impegno sacerdotale e missionario. Riprenderò il Blog qualche giorno dopo di quando ritornerò a Milano per la festa di Maria Assunta in Cielo, il 15 agosto prossimo. Buone vacanze anche a voi e Dio vi benedica tutti. Vostro padre Piero Gheddo

Obama agli africani: "Yes, you can!"

“Akwaaba!” gridavano gli africani ad Accra, capitale del Ghana, mentre Barack Obama scendeva dall’aereo presidenziale americano: Benvenuto! Altri gridavano: “Akwaaba wo ba fiz!”, Welcome Home, Bentornato a casa! Era il sabato 11 luglio 2009. In una sola giornata il Presidente americano ha compiuto una visita al continente africano che rimarrà come uno dei momenti più alti nella storia di questo sfortunato continente, specialmente per il discorso tenuto al Parlamento di Accra. Perché Obama è andato in Ghana? Avrebbe dovuto andare in Kenya, paese dal quale viene la sua famiglia; ma il Kenya si trova in una situazione di insicurezza e di guerriglia per i contrasti fra le varie etnie, mentre il Ghana è oggi uno dei paesi più pacifici e democratici dell’Africa nera, che sta incamminandosi bene verso la democrazia e lo sviluppo.

Obama ha scelto il Ghana per dare un segno agli africani di come vuole tutta l’Africa, poi ha indicato con parole forti la via per la rinascita del continente, che ancora fatica a uscire dalla morsa del sottosviluppo. Parlando al Parlamento del Ghana, ha incominciato ricordando le sue origini africane: “Io ho dentro di me il sangue dell’Africa. Mio nonno faceva il cuoco per gli inglesi in Kenya, e nonostante fosse un anziano rispettato nel suo villaggio i suoi datori di lavoro lo chiamarono “boy” (ragazzo) per buona parte della sua vita. Mio padre crebbe pascolando le capre in un minuscolo villaggio, lontanissimo dalle università americane dove sarebbe poi andato per ricevere un’istruzione”.

Il Presidente della maggior potenza mondiale si presenta come africano e la sua stessa persona dimostra che “il futuro dell’Africa spetta agli africani”, anche se oggi l’Africa è rimasta “drammaticamente indietro. Malattie e conflitti hanno devastato intere parti del continente africano”. Ma, ha aggiunto Obama, “è troppo facile addossare ad altri la colpa di questi problemi. L’Occidente non è responsabile della distruzione dell’economia dello Zimbabwe nell’ultimo decennio o delle guerre in cui vengono arruolati bambini tra i combattenti. Ma io sono convinto che questo sia un nuovo momento di promesse. Non saranno giganti come Nkrumah o Kenyatta a plasmare il futuro dell’Africa. Sarete voi. E soprattutto, saranno i giovani”.
Quattro i pilastri della rinascita africana: democrazia, opportunità per tutti, lotta alle epidemie e risoluzione pacifica dei conflitti. “La prima cosa da fare è sostenere governi democratici e onesti. Nessun Paese riuscirà a creare ricchezza se i suoi leader sfruttano l’economia per arricchirsi, o se la polizia può essere comprata da trafficanti di droga. Questa non è democrazia, questa è tirannia ed è tempo che finisca. Possiamo star certi di una cosa: la storia è al fianco degli africani valorosi, non al fianco di chi usa colpi di Stato o modifiche costituzionali per rimanere al potere. L’Africa non ha bisogno di uomini forti, ha bisogno di istituzioni forti”.
“Questo continente è ricco di risorse naturali”, continua il Presidente americano e gli africani hanno la responsabilità di realizzare le potenzialità dell’Africa, “trasformando la crisi attuale in opportunità”. Poi ha detto: “Voglio essere chiaro: per tanti, troppi africani i conflitti armati sono parte dell’esistenza. Questi conflitti sono una pietra al collo per l’Africa. Dobbiamo combattere la mancanza di umanità in mezzo a noi. Non è mai giustificabile prendere di mira innocenti in nome dell’ideologia. Costringere i bambini a uccidere in guerra è la sentenza di morte di una società. Condannare le donne a stupri incessanti e sistematici è un segno estremo di criminalità e di vigliaccheria. Dobbiamo dare testimonianza del valore di ogni bambino del Darfur e della dignità di ogni donna del Congo. Nessuna fede o cultura può giustificare le offese contro di essi. Quando in Darfur c’è un genocidio o quando in Somalia ci sono i terroristi, queste sono sfide che riguardano la sicurezza globale ed esigono una risposta globale. Ecco perché siamo pronti a collaborare attraverso l’azione diplomatica, l’assistenza tecnica e il supporto logistico, e sosterremo gli sforzi per portare i criminali di guerra di fronte alla giustizia”.

Parole forti, accuse precise che nessuno aveva mai pronunziato in Africa. Per concludere riprendendo il massaggio di fondo della sua visita: “Come ho detto prima, il futuro dell’Africa spetta agli africani…. E sto parlando in particolare ai giovani. Questo è quello che dovete sapere: il mondo sarà come voi lo costruite. Voi avete la forza per chiamare i vostri leader a render conto del proprio operato, per costruire istituzioni che siano al servizio del popolo. Potete sconfiggere le malattie, mettere fine ai conflitti e creare il cambiamento partendo dal basso. Potete farlo. Sì, voi potete. Perché ora la storia sta cambiando”.

“Yes, you can!” ha tuonato il Presidente americano rivolto ai giovani: Sì, voi potete! Un messaggio di speranza e di fiducia. Due brevi riflessioni:

1) “E’ troppo facile addossare agli altri le colpe di questi problemi”. L’Occidente deve prendere coscienze delle proprie colpe, passate e presenti e coltivare verso i fratelli africani gli stessi sentimenti di fiducia e di disponibilità del Presidente americano. Ma anche gli africani, soprattutto gli “intellettuali” e le élites politiche, culturali e religiose del continente debbono rendersi conto delle proprie colpe e responsabilità. Noi in Italia e in Europa, non facciamo un buon servizio all’Africa se continuiamo solo e sempre ad attribuire all’Occidente le colpe dei drammi e dei fallimenti africani. Quando si parla e si scrive dei problemi africani, vengono alla ribalta i temi di sempre: colonialismo, neo-colonialismo, multinazionali, sfruttamento materie prime, oro e diamanti, vendita di armi, debito estero, ecc… Mai che si protesti contro l’analfabetismo, la corruzione dei governi africani, le divisioni e le guerriglie tribali, le dittature, l’instabilità politica che scoraggia gli investimenti dall’estero, la mancanza di strade (persino quelle fatte al tempo del colonialismo spesso non sono mantenute efficienti), ecc.

2) Obama ha indicato i quattro pilastri della rinascita africana: democrazia, possibilità per tutti, combattere le epidemie e risoluzione pacifica dei conflitti. Nel suo discorso non ha sviluppato il secondo pilastro: penso che con “possibilità per tutti” volesse indicare la scuola per tutti (la scuola vera non le povere scuolette africane di villaggio, senza libri e quaderni, con 80-100 alunni per classe!), per dare a tutti i bambini e le bambine eguali possibilità di crescere e di partecipare alla lotta per il buon governo e lo sviluppo. Con il 50% di analfabeti (e non pochi degli “alfabetizzati” sono “analfabeti di ritorno”), l’Africa purtroppo non va da nessuna parte: non può avere governi democratici e non può svilupparsi in un mondo super tecnicizzato come il nostro.

Piero Gheddo