Perchè illudere i popoli africani?

Nel Blog del 20 settembre scorso  ho riferito che il 4 settembre l’agenzia Zenith ha dato notizia di una lettera che 50 leaders religiosi e direttori di agenzie che aiutano i paesi poveri hanno inviato al segretario delle Nazioni Unite, nella quale si legge che “la corruzione è la maggior causa di  povertà nei paesi in via di sviluppo”. Ho raccontato alcuni esempi riferiti al Camerun, l’ultimo paese africano che ho visitato nell’inverno 2006-2007. Un missionario che ho conosciuto in Africa anni fa, mi telefona per dirmi che quanto scrivo deprime ancor più l’immagine dell’Africa nell’opinione pubblica italiana. “L’afro-pessimismo, dice, non porta risultati positivi, oggi noi italiani dobbiamo aiutare l’Africa, non  deprimerla ancora di più”.

Gli ho risposto che per aiutare gli africani (e bisogna aiutarli!) anzitutto non dobbiamo illuderli. Se 50 Ong religiose che operano in Africa (fra le quali Caritas Internazionale) affermano in una lettera ufficiale che la corruzione è la maggior causa di miseria dei popoli poveri, non posso far finta di niente e consolarmi dicendo e scrivendo che gli africani hanno dei grandi valori umani e culturali (e ci credo anch’io, lo scrivo spesso). Le élites africane debbono rendersi conto che, continuando a quel modo, i loro paesi non possono svilupparsi. Parlando a volte con africani colti, laici cattolici ma anche preti e vescovi, mi capita di sentir dire: “Noi non siamo poveri, ma impoveriti. Fin che i paesi ricchi non ci tratteranno con giustizia, siamo condannati a questa miseria”. Si illudono e illudono i loro popoli.

Il 27 febbraio 2007 ho intervistato a Bissau (capitale della Guinea Bissau) il suo primo vescovo mons. Settimio Ferrazzetta (1924-1999), francescano veronese di grande valore spirituale e sociale, che ha lasciato in tutti un ottimo ricordo, anche per aver riportato la pace nella guerra civile del 2008-2009. Ha corretto personalmente la sua intervista pubblicata nel volume “Missione Bissau – I 50 anni del Pime in Guinea-Bissau, 1947-1997”, Emi 1997, pagg. 289-292. Gli ho chiesto cosa pensa del suo popolo guineano e risponde:

–  E’ un popolo buono con tante qualità umane, tollerante, sopporta tutto. Pensa che cosa ha sopportato sotto i portoghesi e poi sotto il partito comunista al governo! Umanamente c’è stata una crescita, è un popolo più cosciente, più reattivo, più impegnato: ma economicamente il Paese è un disastro, soprattutto perché è dominato, come tutti i paesi africani da una corruzione enorme, incredibile, spaventosa. La mentalità comune è che chi arriva al potere deve fare denaro, per sé e per i suoi.

–  Come si manifesta questa corruzione?

–  Ad esempio, sono troppe le delegazioni guineane che vanno all’estero, alberghi di prima categoria, aerei, 1000 dollari al giorno da spendere….Le delegazioni ai congressi internazionali vanno negli stessi alberghi dei delegati americani, “perché – mi ha risposto un guineano a cui avevo fatto questa osservazione – siamo anche noi uno Stato sovrano e abbiamo gli stessi diritti degli americani”. Nell’ottobre 1996  c’è stato a Roma un congresso della FAO: vi hanno partecipato 33 persone della Guinea Bissau, naturalmente a spese dello Stato! Ne è venuto fuori uno scandalo, perché oltre al Presidente è andata la moglie del Presidente, poi la sorella della moglie, poi altre signore….Queste dame della Guinea, l’hanno pubblicato con risalto i giornali italiani di cui mi hanno mandato copia, in via Condotti a Roma hanno firmato un assegno di 42 milioni di lire per le loro spese e l’assegno era coperto ! Spendono decine di milioni in alberghi e spese superflue, poi non c’è denaro per pagare medici, infermieri, insegnanti…

–  Ma da dove vengono questi soldi se il paese produce così poco?

–  Dagli aiuti internazionali e da altre fonti, ad esempio da compagnie straniere che pagano per poter pescare nel mare della Guinea. Sono almeno un centinaio di navi e pagano in media dai 150 ai 300 mila dollari l’anno a seconda del loro tonnellaggio. Le compagnie europee firmano il contratto attraverso la Comunità Europea. Vengono da molti paesi anche dall’Italia, da S. Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) e Mazara del Vallo (Trapani). Dicono che il nostro pesce è di primissima qualità. Sono milioni di dollari che arrivano in Guinea: dove vanno a finire? L’Africa è così, c’è una corruzione tremenda che taglia le gambe allo Stato perché la mentalità diffusa è questa: chi va al potere deve guadagnare tanto e in fretta perché può cadere da un momento all’altro .

–   Quindi lei è pessimista sul futuro di questo paese?

–  Assolutamente no, come cristiani abbiamo il dovere di essere ottimisti, di incoraggiare il popolo: questo fa parte dell’evangelizzazione. Fin che c’è qualcuno come noi che dà buon esempio, incoraggia gli onesti, sostiene gli sforzi della gente, aiuta i poveri e i giovani di buona volontà, la baracca va avanti e la gente cresce. D’altra parte, bisogna anche riconoscere che c’è stato un miglioramento in vari settori, assistenza sanitaria, istruzione, case, strade, coscienza politica, ecc. Soprattutto i giovani sono più animati, hanno voglia di imparare e impegnarsi. Quindi non si può che essere ottimisti, ma ci vogliono i tempi lunghi, come in ogni processo educativo perché il progresso è frutto di educazione. La Chiesa per aiutare il paese a crescere è soprattutto impegnata in campo educativo.

Piero Gheddo

Vangelo e sviluppo dei popoli

Il sabato 23 maggio 2009 l’ho trascorso a Grosseto, per un intervento al 37° Congresso distrettuale annuale che i Rotary Club di Toscana, Emilia e San Marino hanno tenuto in questo meraviglioso Hotel-Fattoria “La principina”, quasi in riva al mare, con mille stanze, immerso nella natura della Maremma ancora intatta, con bufali, tori con le corna ricurve, vacche lattifere, greggi di pecore e di capre, butteri che cavalcano nella campagna tra campi, pascoli, macchie di vegetazione e boschetti. E poi il famoso “cavallo maremmano”, oggi impiegato per lo sport, che sconsigliano ai turisti di cavalcare. La presenza umana come un’isola nel vasto mare della natura di una terra aspra, dai forti contrasti, un secolo fa ancora spopolata dalle paludi e dalla malaria, briganti e fuoriusciti in questa zona di confine fra il granducato di Toscana e lo stato pontificio. Raccontano che Domenico Tiburzi fu l’ultimo dei grandi briganti, una figura ancora popolare sulla quale si tramandano aneddoti e avventure, ucciso nel 1896.

La Maremma è oggi uno dei luoghi di agro-turismo più frequentati da chi vuol fare un periodo o anche alcuni giorni di silenzio e di immersione nella pace di un mondo antico che abbiamo ormai dimenticato (la terra degli Etruschi e dei Volsci)x. Ero arrivato il giorno prima da Roma in auto, ho potuto visitare la campagna e una fattoria maremmana nel pomeriggio e di sera al tramonto del sole, in un cielo infuocato di nubi dai vari colori.

Ho trascorso una serata e un giorno a Grosseto, che ricorderò con piacere. Soprattutto perché il tema sul quale ero invitato a parlare a più di 200 rotariani mi capita sempre meno di trattare anche in parrocchie e ambienti cattolici: “Le esperienze dei missionari nella lotta contro la fame nel mondo”. La due giorni era appunto dedicata a “La fame nel mondo” e hanno parlato anche altri relatori: Federico Vecchioni sull’Agricoltura come antidoto alla recessione mondiale, Antonio Sclavi presidente nazionale dell’Unicef su Le condizioni dei bambini nei paesi in via di sviluppo e Federico Mazza sui programmi annuali di sviluppo che i Rotary di Toscana-Emila e San Marino sostengono nel mondo intero, non solo con finanziamenti e invio di materiali, ma anche di volontari. Debbo dire che sono rimasto ammirato nel vedere illustrati i vari progetti in molti diversi poveri: Madagascar, Etiopia, Eritrea, Bangladesh, India, Perù e altri, in buona parte affidati a missionari italiani.

Nel mio intervento ho parlato di “Vangelo e sviluppo dei popoli”, di cui parlerò in altri Blog, partendo da questo interrogativo: perché i missionari creano uno sviluppo che dura nel tempo? Perché con scarsi mezzi ottengono buoni risultati? Ho risposto sviluppando tre punti:

1) I missionari portano ai popoli Gesù Cristo, il Vangelo, rivelazione di Dio all’uomo, che rivoluziona in profondità le coscienze, le famiglie, le società, le culture dei popoli. Quali sono i valori che non si trovano fuori del Vangelo e in altre culture.     Lo sviluppo dell’umanità e del mondo moderno ha alla sua radice i valori della Bibbia e del Vangelo.

2) Lo sviluppo anche economico di un popolo viene anzitutto dall’educazione, dalla formazione dell’uomo, prima che dai soldi e dalle macchine. Questi sono necessari, ma se un popolo e una cultura non sono preparati ad usarli, lo sviluppo non è duraturo. E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo non i sussidi e gli aiuti materiali.

3) I missionari producono sviluppo perché si inseriscono in un popolo con amore, per condividere la sua vita, affrontando sacrifici e rinunzie. Diventano amici aiutando i più poveri ed educano. Così pure le prime comunità cristiane danno esempi di vita diversa da quella tradizionale e non lasciano indifferenti. Sono ammirate o perseguitate perché portano la rivoluzione autentica del Vangelo, che cambia il cuore dell’uomo per cambiare la società e i costumi, rendendoli più umani.

Al termine ho proposto un Quaderno che mi ha pubblicato la rivista ”Il Timone”, intitolato “Vangelo e sviluppo dei popoli”, che documenta quanto ho detto (6 Euro). Ne ho vendute 42 copie e mi inviteranno ancora a parlare su questo e altri temi nei singoli Rotary. Chi desidera acquistare il Quaderno può rivolgersi ad una Libreria cattolica, al Timone o alla mia segretaria a Milano, suor Franca Nava, Pime, Via Monterosa, 81, Milano – Tel. 02.43.82.01.

Piero Gheddo

Perché respingere gli africani a casa loro?

Il Blog del 25 maggio sul respingimento degli immigrati africani in Libia ha suscitato parecchi commenti di cui ringrazio gli amici interlocutori. Mi pare che, a parte i vari accenti sul problema (che è molto complesso), tutti concordano su due princìpi che esprimono il sentimento comune del popolo italiano:

– primo, di voler aiutare gli africani che a costo della vita fuggono in Italia per poter lavorare e vivere in pace;

– secondo, che però una immigrazione incontrollata di clandestini, aprendo le porte a tutti, finirebbe per dissestare il sistema di vita del popolo italiano, che non può sopportare da solo l’arrivo di migliaia e decine di migliaia di profughi clandestini, oltre a quelli regolari.

E’ la morsa di una tenaglia di cui non sappiamo come liberarci: da un lato la compassione per povera gente disperata, dall’altro la certezza che se non mettiamo un freno, un ostacolo all’arrivo di quanti vorrebbero venire in Italia e in Europa, ci troveremo assaltati da una marea di persone che fuggono la fame, le guerre, le dittature e le pandemie africane.

Nell’inverno 2006-2007 ho visto arrivare gli immigrati africani ai confini della Libia col Sahara (vedi sul mio sito internet www.gheddopiero.it le corrispondenze dalla Libia). Ricordando quelle scene provo ancora una pena enorme, ma sinceramente non so dare una risposta concreta ai molti interrogativi degli amici lettori. Avete tutti ragione. Non si possono respingere verso l’inferno, bisogna aiutarli. Ma come? Questo il vero problema e nessuno ha una risposta plausibile. Tutte le ipotesi sono teoricamente belle, concretamente irrealizzabili:

– deve interessarsene l’Europa perché è un problema continentale. D’accordo, l’Europa critica l’Italia, però quando la Spagna alcuni anni fa ha respinto in Africa i profughi, sparando e uccidendo alcuni clandestini africani, non ricordo il clamore di proteste dell’U.E. e della stampa internazionale; o c’è un forte pregiudizio contro l’Italia di cui già si lamentava Romano Prodi? Comunque, l’Europa non fa nulla: tutti chiudono le frontiere ai clandestini. Ed è facile capire perché. Se l’Europa dovesse aprire le porte a tutti, con i mille problemi che ciascun paese deve gestire al suo interno, non è pensabile né possibile che possa ospitarli tutti. Dobbiamo renderci conto che i potenziali immigrati in Europa da paesi africani, o comunque in guerra o sotto pesanti dittature, sono milioni e decine di milioni.

– Bisogna aiutare gli africani a casa loro, affinchè si sviluppino in modo autonomo. Anche questa è una soluzione più che giusta, ma già sperimentata da mezzo secolo e fallita. Nell’Europa dell’ultimo dopoguerra, in 10-12 anni il “Piano Marshall” ha riportato i paesi europei distrutti ad uno sviluppo maggiore di prima della guerra. In Africa, cinquant’anni dopo l’indipendenza (1960), i finanziamenti dei “piani di sviluppo” e l’invio di aiuti finanziari e di macchine non hanno prodotto un vero sviluppo dei singoli paesi. La vera soluzione per l’Africa sarebbe l’educazione del popolo: in media i paesi africani hanno ancora un 50% di analfabeti! Ma chi va ad educarli quando i governi locali si interessano poco o nulla delle campagne e delle scuole? Chi ha viaggiato nell’Africa rurale sa che le scuolette di villaggio, quando ci sono, hanno classi da 80 a 100 e più bambini, spesso senza libri e senza quaderni. Circa la metà dei supposti “alfabetizzati” sono analfabeti di ritorno. Nei villaggi tradizionali africani si ignora la ruota, il carro agricolo, i fertilizzanti, l’irrigazione artificiale, ecc. Dico sempre e lo ripeto che a Vercelli produciamo 80 quintali di riso all’ettaro, nell’Africa rurale (non nelle poche fattorie moderne) si producono in media cinque quintali di riso all’ettaro! Le vacche della pianura padana producono 30 litri di latte al giorno, in Africa le vacche (ripeto: escluse le poche fattorie moderne) non producono latte, eccetto un litro o due quando hanno il vitellino. Il continente africano nel 1960 esportava cibo, oggi importa circa il 30% del cibo di base che consuma (riso, mais, grano). Ma chi va ad educare e insegnare a produrre di più?

– Non vendiamo più armi e le guerre finiranno anche in Africa. Giusto, anch’io vorrei che non si producessero nè vendessero più armi. Ma non illudiamoci, le guerriglie tribali che sconvolgono i paesi africani avvengono anche senza le nostre armi. Vent’anni fa l’Italia era al 7° posto per la vendita di armi nel mondo, oggi è al 16°, ai primi posti sono salite Cina, India, Brasile, Sud Africa, oltre alle potenze tradizionali, USA, Russia, Francia, Inghilterra. Nel novembre 1994 ho visitato Ruanda e Burundi dov’era attivo un vero genocidio e mi dicevano che le eliminazioni di massa erano fatte con coltelli e coltellacci, bastoni e fuoco. Dove c’è odio e non amore, le guerre (o guerriglie) sono inevitabili. Nel 1982 ho visitato per “Avvenire” e la Caritas le regioni di frontiera del Pakistan con l’Afghanistan dov’erano i campi profughi afghani che fuggivano l’occupazione sovietica del loro paese; ebbene, mi dicevano che gli artigiani di villaggio riuscivano, con i loro poveri mezzi, a fabbricare il kalashnikov sovietico, arma semplicissima ed efficace.

–  Smettiamola di rapinare l’Africa delle sue ricchezze naturali e paghiamo con giustizia le sue materie prime. Giusto, però lo sviluppo di un popolo non è anzitutto un problema di soldi e di macchine, ma, specie nel mondo moderno, un problema culturale ed educativo, di stabilità dei governi e di pace. Qualche anno fa la Banca mondiale rivelava che la Nigeria (paese ricchissimo per il petrolio) aveva un debito estero di 90 miliardi di dollari, ma i capitali nigeriani nelle banche svizzere ed europee erano circa 130 miliardi di dollari. L’Onu ha tentato di intervenire in Somalia per riportare la pace tra le etnie e le fazioni in guerra, con l’operazione “Restore Hope” del 1993-1995. Poi si è ritirata e la Somalia non ha più uno stato e un governo nazionale da 18 anni, è un paese allo sbando, rifugio dei “pirati del mare” e degli estremisti e terroristi islamici. Lo sviluppo di un paese è essenzialmente un problema culturale-educativo e di pace, ma chi va ad educare? Ormai tutti lo ammettono e Giovanni Paolo II l’ha scritto nella “Redemptoris Missio” (n. 58) “Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi”. I missionari e i volontari cristiani creano sviluppo perché rimangono tutta la vita fra un popolo, ed educano. Ma diminuiscono di numero. Molti mandano aiuti e denaro, cdrtamente provvidenziale, ma quanti giovani italiani consacrano la vita a Cristo per la missione alle genti e per aiutare davvero i popoli poveri condividendone la vita?

Cosa dire d’altro? Non lo so e se qualche lettore ha una risposta, intervenga pure liberamente. Scusatemi la lunghezza di questo Blog, ma il problema degli immigrati clandestini è angoscioso per tutti e nessuno sa in concreto cosa fare!

Piero Gheddo