La gioia è una virtù cristiana

 

 

     Dopo 56 anni di sacerdozio, mi pare di poter dire che c’è un peccato del quale nessuno si confessa: la tristezza, il pessimismo. Credo che la gioia di vivere sia una delle testimonianze cristiane più significative nel nstro mondo!

      “Non abbiate paura!” gridava Giovanni Paolo II nei suoi incontri con le folle di tutto il mondo. E Paolo VI pubblicava nel 1975 la breve “Esortazione apostolica” intitolata “La gioia cristiana”, nella quale si legge che l’aspirazione alla gioia è innata nell’uomo, ma “non esiste felicità perfetta”, perché l’uomo moderno sperimenta l’abisso che esiste tra la dura realtà e i sogni gratificanti, l’utopia, il desiderio di infinito.

     ”Questa difficoltà di raggiungere la gioia ci sembra particolarmente acuta oggi”, scrive Paolo VI e spiega perché: “La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d’altronde, è spirituale. Il denaro, le comodità, l’igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all’angoscia e alla disperazione, che l’apparente spensieratezza, la frenesia di felicità e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire”.

      

      Poche righe per descrivere situazioni che abbiamo tutti sotto gli occhi. Penso in questo momento alle migliaia di giovani e non giovani che passano la notte tra sabato e domenica nelle discoteche, per cercare lo “sballo” che dà l’illusione di felicità e che non raramente si conclude in modo tragico. Cosa spinge quei fratelli e sorelle a rovinarsi la vita? Il desiderio di divertirsi, di provare l’illusione della gioia perfetta, che l’uomo da solo non può raggiungere.

     Ancora Paolo VI: “Il problema ci appare soprattutto di ordine spirituale. E’ l’uomo, nella sua anima, che si trova sprovvisto nell’assumere le sofferenze e le miserie del nostro tempo”. E continua spiegando che la gioia vera, profonda, che dà e conserva la pace del cuore in qualsiasi difficoltà o sofferenza uno si trovi, viene da Dio. E cita Sant’Agostino: “Tu ci hai creati per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto fin che non riposa in te” (“Confessioni”, Libro I, n. 1).

      Ecco la testimonianza che noi cristiani dobbiamo dare, ad un mondo come il nostro sempre più triste e pessimista. L’atmosfera culturale e massmediatica in cui viviamo ci invita al pessimismo, a lamentarci di questo e quello, insomma a vedere più il male che il bene. I nostri discorsi, come i telegiornali e i giornali di cui ci nutriamo, tendono inevitabilmente al peggio. Il cristiano che si fida di Dio deve andare contro-corrente e il segno più chiaro e forte di questo orientamento della vita è la testimonianza di una serenità, di una gioia che viene dall’interno.

 

     Nel 2006 è morta zia Emma, l’ultima sorella di mamma Rosetta, nata nel 1914. Madre di cinque figli e figlie, ha avuto una vita travagliata, con forti sofferenze fisiche e gravi difficoltà economiche, specie dopo la morte del marito Angelo nel 1976, quando ha dovuto chiudere la riseria che lo zio dirigeva. Fra l’altro, soffriva di osteoporosi e aveva avuto una dozzina di rotture di ossa (chi le ha provate sa quali sofferenze causano)!

    Eppure, quando da Milano andavo in auto a trovarla, ricordo che sempre mi dicevo: “Guarda la zia, con tutte le prove che ha superato potrebbe essersi lasciata indurire, inacidire, essere diventata un peso per sè e per gli altri. Invece la trovo sempre sorridente e ottimista e a volte dice: “Ho provato anche di peggio, ma il Signore non mi ha mai abbandonata!”. Uscendo da quella casa, chiedevo a Dio di darmi la grazia di essere ottimista e sereno come la zia Emma! A Bianzè (Vercelli) era conosciuta e benvoluta per la sua serenità e saggezza. Andavano a trovarla per avere una parola di conforto, per raccontare le loro pene, per raccomandarsi alle sue preghiere, ai suoi Rosari.

    Quante zie Emme abbiamo in Italia, che sono il sale della società, la luce in fondo al tunnel delle nostre vite. Mi chiedo: sono anch’io un testimone della fede e vita cristiana che dà la pace del cuore e rende serena e felice la vita?

                                                                                         Piero Gheddo

 

La sfida dell'Islam all'Occidente

 

     Dopo il massacro dei sei parà della Folgore a Kabul (17 settembre), secondo i sondaggi circa il 56% degli italiani vorrebbero che i militari italiani si ritirassero dall’Afghanistan. Bossi e Di Pietro, con altri personaggi dell’estrema sinistra, dicono: “Tutti a casa per Natale”, mentre le forze politiche maggioritarie confermano la decisione presa dall’ONU, dalla NATO e dal Parlamento italiano: “I militari italiani verranno via dall’Afghanistan in accordo con gli alleati e quando avranno concluso la missione di dare stabilità politica al paese, per non lasciarlo in mano alle forze estremiste dell’islam radicale (talebani e altri)”.

 

     Inutile giocare con le parole. L’Italia è in guerra, non per conquistare un popolo e un paese, ma per portare la pace, la libertà e i diritti dell’uomo e della donna. Anzi, prima ancora, per impedire che nasca uno stato riconosciuto in campo internazionale che diventi la base del terrorismo di radice islamica (un’altra Somalia insomma). Oggi il dato di fatto indiscutibile è questo: le guerriglie, i terrorismi e le guerre di espansione nel mondo sono quasi tutti riconducibili a gruppi di fanatici che professano la religione islamica. Questa non è un’opinione ma una delle realtà in cui viviamo. Oltre ai casi molto noti (Afghanistan, Iran, Iraq, Palestina, Libano, Sudan, Somalia, Pakistan, Cina), anche altri paesi meno noti hanno gli stessi problemi con l’estremismo islamico: Thailandia (vedi il mio Blog del 20 luglio), Indonesia, India, Filippine, Etiopia, Nigeria, Ciad e altri paesi africani.

 

     L’efferato assassinio a Pordenone della ventenne marocchina Sanaa Dafani per mano del padre, perchè conviveva con il fidanzato italiano, ha posto di nuovo in modo orrido e violento il problema fondamentale del nostro tempo, a cui nessuno sa dare risposta: cosa dobbiamo fare noi italiani, noi dell’Unione Europea, degli USA e degli altri paesi democratici del mondo, di fronte all’estremismo di radice islamica, aggressivo in tutto il mondo?

     Mi stupisce che un tema così fondamentale del nostro tempo, nella nostra Italia sia poco studiato e discusso. L’opinione pubblica dovrebbe almeno rendersi conto che la sfida dell’islam riguarda tutti e coinvolge tutti. Nessuno può assistere da spettatore curioso e distratto a questo incontro e possibile integrazione di popoli, che rischia di diventare uno scontro. Che il 56% degli italiani chiedano il ritorno a casa dei militari italiani dall’Afghanistan, dovrebbe preoccupare non solo le forze politiche, ma i mass media, i centri culturali, le associazioni tutte che educano il popolo e creano opinione.

     Dopo studi e molti viaggi nel mondo islamico e nelle Chiese che ci vivono dentro, ho pubblicato il volume “La sfida dell’islam all’Occidente” (San Paolo, 2008 II° edizione, pagg. 164, Euro 9,00). In modo documentato e anche partendo dalla mia esperienza, ho tentato di illustrare i molti aspetti e anche i valori dell’islam e del perché i popoli musulmani sono trascinati (molti in modo incosciente) in questo vortice di guerre, guerriglie, terrorismi, attentati, dittature, analfabetismo e sottosviluppo, violazione dei diritti dell’uomo e della donna e via dicendo. Nei due ultimi capitoli ho risposto alla domanda fondamentale: “Cosa fare?”.

     Non esiste una risposta facile e univoca, al di là di ripetere concetti sui quali tutti più o meno concordano: dobbiamo alzare la guardia, punire i colpevoli di terrorismo (come i talebani), avere fermezza contro i clandestini, aiutare i governi moderati, ecc. A lunga scadenza la soluzione mi pare duplice e parte dal principio che il mondo islamico, per accettare la modernità, deve  riformarsi dall’interno:

 

      1) Essere presenti tra i popoli islamici con la carità e il dialogo, come fanno le piccole (e non raramente perseguitate) comunità cristiane minoritarie. Nei paesi islamici, durante la Guerra del Golfo, il popolo non attaccava le missioni cristiane che aiutavano e avevano atteggiamenti di rispetto, di condivisione e di dialogo. In Libia 10.000 suore e infermiere cattoliche nella sanità statale (non ne hanno altre) stanno cambiando l’immagine dei cristiani e dell’Occidente. Ma la stampa dei paesi islamici, le moschee e madrasse (scuole coraniche) diffondono questo messaggio a un miliardo e 300 milioni di credenti in Allah: “L’Occidente è ricco e democratico, ma senz’anima. Noi lo riporteremo a Dio!”. In una recente manifestazione di musulmani inglesi a Londra, i giornali inglesi hanno pubblicato le foto di alcuni cartelloni: “Islam will dominate the World” (L’Islam dominerà il mondo), “Europe, take some Lessons from Islam” (Europa, impara dall’Islam), “Europe is the Cancer, Islam the Angel” (L’Europa è il cancro, l’Islam l’Angelo). Se le masse dei popoli islamici continuano ad essere educate in questa visione demonizzante del mondo cristiano, si prepara un brutto avvenire per l’umanità. 1,3 miliardi di uomini non si fermano né con gli eserciti e le bombe, nè con le leggi e le convezioni internazionali!

 

      2)  Soprattutto, l’Occidente deve tornare a Cristo e al Vangelo, per ricuperare nella vita personale e civile la nostra identità religiosa e culturale. Occorre andare contro corrente rispetto alla cultura oggi dominante nell’Occidente cristiano, materialista, individualista, economicista e laicista, praticamente atea. Il nostro “modello di vita” e di sviluppo non piace nemmeno a noi, popoli ricchi, liberali, democratici. Tutti si lamentano che i giovani crescono senza ideali, non per colpa loro, ma perché le famiglie e la scuola, la cultura e la società in cui vivono non trasmettono più modelli e ideali umanizzanti. Si è detto mille volte che abbiamo creato “una civiltà senz’anima” e questa è l’immagine del nostro Occidente che hanno i popoli islamici. Ora il tempo in cui viviamo ci sollecita a discutere ed a capire che quest’anima può darla solo il ritorno a quell’ispirazione soprannaturale che ha reso grande l’Occidente. Non c’è soluzione vera e pacifica fuori di questa.

 

                                                                                                   Piero Gheddo

Perchè l'Africa non si sviluppa?

 

     Nel luglio-agosto 2009 ho fatto due conferenze su “Perché l’Africa non si sviluppa?”, tema che tratterò ampiamente a Radio Maria lunedì prossimo 21 settembre (ore 21-22,30). Chi vuole conoscere il mio pensiero, cioè la mia esperienza di Africa, legga diversi miei testi sul mio sito: www.gheddopiero.it

     In uno di questi incontri un signore ha raccontato che lui e sua moglie, ambedue medici, vanno a fare volontariato in un paese africano (mi pare il Benin) per aiutare in un ospedale cattolico. E diceva che, dalla sua esperienza, molti italiani vanno in Africa o in altri paesi a fare volontariato nelle missioni cattoliche, in genere per aiutare i missionari e le suore italiani e le Chiese locali. Come mai, chiedeva, questi aiuti che danno i missionari e i volontari, molto concreti, non producono frutti, nel senso che le situazioni rimangono più o meno quelle di prima?

     Ho risposto che tutti gli aiuti all’Africa sono preziosi e vanno continuati, ma non dobbiamo illuderci di cambiare rapidamente certe situazioni di miseria e di arretratezza per due motivi:

 

1)     Per capire la povertà dell’Africa a sud del Sahara bisogna sempre tener presente che viene da una lunga storia nella quale noi occidentali abbiamo le nostre gravi colpe. Ma soprattutto viene dal fatto che l’Africa nera ha incontrato il mondo moderno, cioè il progresso moderno in tutti i suoi aspetti (nel bene e nel male), alla fine dell’Ottocento, quando inizia la conquista e la colonizzazione del continente. Non è pensabile che in secolo o poco più l’Africa faccia un cammino che noi europei abbiamo fatto in duemila anni di cristianesimo. I giovani africani imparano in fretta, ma passano dalla scoperta della ruota (della carriola) e della scrittura (ignorate nell’Africa tradizionale) all’aereo e al computer. La radice profonda della povertà africana è storico-culturale più che economica, cioè di adattamento delle culture africane al mondo moderno. Non è un problema puramente tecnico, ma di mentalità, di cultura. Poi ci sono molte altre cause: anzitutto la mancanza di scuole, le guerre e dittature, l’egoismo dei paesi ricchi, la corruzione delle classi dirigenti africane, ecc. Ma la radice è storico-culturale. Nel mondo globalizzato i popoli vivono in epoche storiche diverse, noi duemila anni dopo Cristo, l’Africa nera un secolo dopo l’incontro col mondo moderno portato dalla colonizzazione.

 

2)     Secondo. Quando noi missionari parliamo di quello che la missione fa in  Africa, raccontiamo cose autentiche, che producono sviluppo. Ma in confronto con l’immensità di quei paesi e il peso numerico della popolazione, sono cose minime. La Chiesa non cambia la situazione politico-economica, non è il suo compito, ma dà un esempio di come, educando col Vangelo ed aiutando con la scuola e la sanità di base, tecnicamente ed economicamente, si può sviluppare una piccola parte del popolo. Il resto debbono farlo i locali, col nostro aiuto fraterno. E lo faranno perché è gente giovane, intelligente, capace, ma le culture e mentalità non cambiano rapidamente, bisogna dare tempo al tempo.

 

      Per conoscere i particolari di questa sommaria risposta, vi rimando a Radio Maria, lunedì 21 settembre, dalle ore 21 alle 22,30. Ciao a tutti e Dio vi benedica,

 

                                                                                                      Piero Gheddo

 

 

Il maggior ostacolo allo sviluppo: la corruzione

   Il 4 settembre scorso l’agenzia internazionale Zenith ha dato notizia di una lettera che 50 leaders religiosi e direttori di agenzie che aiutano i paesi poveri hanno inviato al segretario delle Nazioni Unite, nella quale si legge che “la corruzione è la maggior causa di  povertà nei paesi in via di sviluppo”. Nel 2003 l’Assemblea generale dell’ONU aveva votato la convenzione contro la corruzione (UNCAC), il primo trattato globale che delinea una linea per armonizzare gli sforzi dei governi contro la corruzione. Nel novembre 2009 è programmato un incontro a Doha (Emirati Arabi) per giungere a conclusioni concrete. (UNCAC è la sigla di “United Nations Convention Against Corruption”, Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione).

     E’ interessante il fatto che 50 organizzazioni religiose internazionali presenti nei paesi poveri del mondo, fra le quali la Caritas Internazionale rappresentata dalla sua segretaria signora Lesley-Anne Knight, hanno rivolto un caldo appello ai delegati che lavorano per la UNCAC, affinchè giungano ad un accordo che sia strumento efficace per eliminare la corruzione, definita “la maggior causa di  povertà nei paesi in via di sviluppo”. Stupisce che nessuno ha mai protestato o fatto inchieste su un tema così importante.

 

    Transparency International” (TI) è un’organizzazione internazionale non governativa fondata nel 1993, che svolge inchieste “sulla percezione della corruzione da parte della popolazione nei confronti della pubblica amministrazione del proprio Stato”. Per corruzione si intendel’abuso di pubblici uffici per il guadagno privato. Ogni anno TI  pubblica il “Corruptions Perceptions Index”. Nel 2007 i paesi più virtuosi (a pari merito) erano Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda, seguiti da Singapore; mentre Iraq, Myanmar (ex Birmania) e Somalia sono agli ultimi posti. L’Italia è al 55° posto, la Spagna al 28°, la Francia al 23°, la Germania al 14°. Agli ultimi posti vi sono tutti paesi dittatoriali o solo apparentemente democratici.

     Huguette Labelle, direttore di Transparency International, ha sottolineato come “per arginare la corruzione ci vogliono una stretta sorveglianza dei parlamentari, l’applicazione delle leggi, dei media indipendenti e una società civile viva. Quando queste istituzioni sono deboli, la spirale della corruzione esce fuori controllo con conseguenze terribili per la gente comune, per la giustizia e per l’uguaglianza nella società“.

 

     Nell’inverno 2007-2008 ho visitato il Camerun, uno dei pochi paesi dell’Africa nera che vive in pace, gode di stabilità politica e di un reddito medio pro-capite che è circa il doppio di quello di quasi tutti gli altri paesi dell’Africa nera. Eppure una professoressa italiana che insegna all’Università cattolica dell’Africa centrale a Yaondé Camerun, dove vive da una quindicina d’anni, Silvia Recchi della comunità “Redemptor Hominis”, mi ha detto: “C’è una corruzione a tutti livelli e di dimensioni inimmaginabili in Europa, perché è un fatto che si può osservare tutti i giorni”.

 

    Fratel Ottorino Zanatta, che lavora nel Nord Camerun, mi cita alcuni esempi: “La strada nazionale da Garoua a Maroua, le due principali città del grande Nord camerunese, è lunga 230 km. Ma per percorrerla in pullman ci si mette quasi una giornata intera, tante sono le buche! Sono anni che debbono rifarla e non si muove nulla. Ogni 5-10 chilometri c’è un barrage (posto di blocco) e devi pagare il pedaggio che dovrebbe servire, teoricamente, a mantenere la strada efficiente. Il pedaggio è poco meno di un Euro, poco per un italiano, ma per un camerunese del Nord è tanto. Così il trasporto delle merci agricole costa troppo, tiene alti i prezzi. Nei villaggi non si è incoraggiati a produrre oltre a quello che si consuma sul posto!

    “Una ditta francese sta rifacendo da capo questa strada, ma naturalmente ci vogliono anni, però intanto potrebbero, i dipendenti statali, riempire le troppe buche che scassano le balestre e rovinano le gomme di auto e camion! Insomma, una strada di 230 chilometri che in Italia si farebbe in due-tre ore, qui richiede un’intera giornata di viaggio, con spreco enorme di carburante e di ruote gommate.

    “Il grande ponte sul fiume di Maroua – continua Ottorino – l’aveva già finanziato qualche anno fa la Comunità Europea, ma non era mai stato costruito. In pochi anni l’ha costruito una ditta francese, mandata e finanziata dal governo di Parigi. Le scuole elementari non sono gratuite come dicono. Bisogna pagare una tassa di entrata che è piccola, ma per famiglie povere con diversi figli diventa già un ostacolo; poi pagare i libri e i quaderni e pagare gli insegnanti perchè spesso lo stato non li paga. Se i maestri non sono pagati, come capita abbastanza spesso, non vanno a scuola oppure ci vanno quando vogliono e i bambini e le famiglie non sono invogliati ad andarci.

     “Lo stato non è presente – continua Ottorino Zanatta – per trattenere i giovani nelle campagne, per cui abbiamo campi poco coltivati, spesso abbandonati, città che si gonfiano di baraccati, di ragazzi di strada, di mafie e di bande criminali e si finisce per dover importare il cibo di base dall’estero perché non si produce abbastanza all’interno del paese, dove si potrebbe produrre di tutto”.

 

      Ecco perché le 50 organizzazioni internazionali religiose affermano che la corruzione è la maggior causa di povertà nei paesi in via di sviluppo. Un connazionale che lavora in Camerun per l’import-export italiano mi dice: “Funzionari pubblici, poliziotti, doganieri, militari, chi esercita qualche funzione statale, è raro che faccia il suo dovere senza chiedere nulla per sè. Non è colpa di questo o di quello, perché la mentalità comune della gente e di chi arriva al potere è questa: di pensare prima alla propria grande famiglia, al villaggio natale, alla etnia. Ci sono anche eccezioni, ma talmente poche che non sono significative”.

     Cosa fare? Non lo so, ma penso che non parlandone mai sulla stampa occidentale (riviste missionarie comprese), letta da tutte le élites dei paesi poveri, non si fa un buon servizio a quei popoli che si vogliono aiutare. Li si abitua a pensare che loro sono poveri perché noi siamo ricchi”, che invece è una grande menzogna.

                                                                                         Piero Gheddo

Il lavoro c'è, gli italiani non lo vogliono

 

    Nell’Europa comunitaria si prevede che entro il gennaio 2010 i disoccupati dovrebbero essere, in media, circa il 9-10% della forza lavoro dei singoli paesi. Anche in Italia siamo nella stessa situazione. Però quando si parla di disoccupazione mi vengono in mente due pensieri contrastanti:

 

         da un lato un senso di pietà, di compassione per chi perde il lavoro a 40-50 anni di età, e conosco diversi casi di questo tipo. Hanno una specializzazione, ma non serve più. Mi riferisco soprattutto a giornalisti che hanno fatto per 10-20 e più anni questo lavoro e poi sono lasciati a casa. Situazioni umane drammatiche! Poi ci sono anche i disoccupati a 25-35 anni e questi li capisco meno.

 

         Dall’altro lato però i terzomondiali trovano lavoro abbastanza facilmente perché si adattano a fare di tutto e non parlo solo di lavori pesanti e manuali. Leggo sul “Corriere della Sera” (20 agosto 2009) una pagina con questo titolone. “I 30 mila posti di lavoro che nessuno vuole”, col sottotitolo: “Si cercano falegnami, meccanici, parrucchieri, elettricisti. Senza risposta un terzo delle ricerche delle piccole imprese”. La notizia è questa. La Confartigianato, in base ai dati dei primi sei mesi dell’anno corrente, rende noto che le aziende artigianali in Italia offrono 30.750 posti di lavoro, come quelli indicati nel sottotitolo ai quali vanno aggiunti: riparazione auto, fabbri, stuccatori, panettieri, pasticceri, idraulici, carpentieri e via dicendo. Nelle piccole imprese, in genere, un posto su tre rimane vuoto.

 

      Qualche giorno dopo (27 agosto) lo stesso Corriere titolava ancora a piena pagina: “Sulle navi 120 posti di lavoro: nessuno li vuole”. La Compagnia Costa, colosso delle crociere (con 14 navi in servizio e tre in costruzione), lancia bandi di concorso per assumere cuochi di bordo, infermieri, falegnami, parrucchieri, idraulici, saldatori, assicurando a  tutti dei corsi di preparazione. Pochissimi si presentano.

     Il quotidiano cattolico “Avvenire”, in una pagina del 15 febbraio 2009 (“Infermieri, oro bianco”), documentava che in Italia, e soprattutto nel centro-nord, mancano circa 60.000 infermieri, su 350.000 iscritti alla Federazione di categoria (Ipasvi). La presidente dell’Ipasvi, Annalisa Silvestro, afferma: “Il numero degli infermieri che si laureano ogni anno è molto inferiore al numero di quelli che vanno in pensione, che sono oltre 13.000”. Nella classifica europea sul numero dei medici l’Italia è ai primi posti, ma nel numero degli infermieri è agli ultimi: 5,4 infermieri per mille abitanti contro: 9,8 per mille della Germania, 12,8 dell’Olanda, 14,8 dell’Irlanda! I parametri dell’Ocse giudicano indispensabili 6,9 infermieri ogni mille cittadini.

      Ricordo un falegname pugliese, a Milano da molto tempo, Biagio, che vent’anni fa serviva il Centro missionario Pime e aveva una piccola azienda con tante richieste di lavoro. Non ce la faceva più. Era già avanti con l’età (è morto qualche anno dopo a 84 anni) e ripeteva spesso: “Cerco un giovane, un uomo che venga con me e continui questo lavoro, che rende bene. Gli insegnerei il lavoro, gli darei tutta la mia azienda e potrebbe guadagnare bene”. Ci eravamo dati da fare anche noi, sacerdoti missionari, ma senza successo. Chissà quanti casi simili ci sono anche oggi.

     Un amico che è stato alcuni anni in Svezia mi dice che gli iscritti nella lista dei disoccupati in età di lavoro ricevono un sussidio di disoccupazione. Poi l’agenzia statale gli offre uno, due, tre possibilità di lavoro. Se le rifiuta tutte e tre, perde il diritto a ricevere il sussidio. E’ vero o no?  

                                                                                 Piero Gheddo

 

Come si può invecchiare bene?

 

 

     Dal parrucchiere leggo un settimanale illustrato nel quale uno psicologo risponde a questa domanda: “Come si può invecchiare bene?”. Interrogativo interessante anche per me che gli ottant’anni li ho superati da cinque mesi. Lo psicologo dice cose interessanti e certamente utili: diminuire di peso, mangiare poco e leggero, camminare molto, non fumare, prendersi il giusto riposo, abolire gli alcolici forti, mantenere serenità nella vita, saper rinunziare a qualcosa per andare d’accordo, non arrabbiarsi (anche quando ce ne fosse il motivo) e via dicendo.

     Tutto giusto, ma secondo me manca la cosa più importante per vivere serenamente a tutte le età: soprattutto da anziani, bisogna pregare molto, leggere e meditare il Vangelo, cioè la “Buona Notizia” che ci salva. Perché? Perché la preghiera ci mette in contatto filiale con Dio, parliamo con lui a tu per tu, sentiamo la sua presenza nella nostra vita e quindi entriamo in una dimensione esistenziale che ci aiuta a non lasciarci indurire dalle sofferenze e difficoltà quotidiane.

     Ricordo un’intervista televisiva del “grande vecchio” Giuseppe Prezzolini (1882-1982), quando compiva cento anni e viveva a Lugano (morì pochi mesi dopo). Il giornalista gli chiede: “Maestro, come ha fatto ad arrivare ai cento anni mantenendosi così lucido e pieno di vita?”. Risposta da toscanaccio qual era, cioè provocatoria e spiazzante: “Sono sempre stato un grande egoista. Ho sempre pensato solo a me stesso e non al mio prossimo….”.

     Non conosco abbastanza l’uomo Prezzolini, ma leggendo alcuni suoi libri, soprattutto “Quel che resta dell’Italia che scompare” (o titolo simile), mi pareva diverso, Comunque, la ricetta per invecchiare bene è l’opposto di quel che diceva Prezzolini: bisogna pensare meno a se stessi e più agli altri, interessandosi degli altri, pregando e aiutando, come è possibile, gli altri, mettendoci nei panni degli altri. Se un anziano si ripiega su se stesso e pensa sempre e solo a se stesso, ai suoi acciacchi e alle sue delusioni, è finito. Rimpiange il passato, vede le miserie del tempo presente, le sue proprie debolezze, diventa pessimista e un peso per sé e per gli altri.

    A volta anche a me viene un pensiero fastidioso: “Divento vecchio!”. La prima reazione è di ripensare a quanto ha detto Gesù: “Nessuno, dopo aver bevuto il vino vecchio, vuole il vino nuovo. Il vecchio è buono” (Luca 5, 39). Capite, cari amici? “Il vecchio è buono”. L’ha detto Gesù e non posso dubitarne. Questo solo  pensiero mi rallegra.

     Però il vero rimedio è volgersi a Dio e al prossimo, uscire da se stessi per pensare agli altri. Il Vangelo e la tradizione cristiana lo affermano chiaramente: la felicità dell’uomo non sta nelle cose umane che sono tutte passeggere, ma in Dio che ci ha creati e ci attende come Padre misericordioso al termine della vita terrena, per introdurci nella felicità eterna del Paradiso. Questa la fede cristiana, che facciamo difficoltà ad esprimere, ad esternare, a introdurre nei nostri discorsi, perché viviamo in un’epoca secolarizzata nella quale crediamo certamente in Dio, ma “viviamo come se Dio non esistesse”.

    Invece, se togliamo Dio dall’orizzonte dell’uomo non comprendiamo più nemmeno l’uomo e la vecchiaia diventa un incubo. Invece penso che sia la miglior fase dell’esistenza, per chi ha la fortuna di arrivarci.

                                                                                          Piero Gheddo

E' immorale respingere i profughi in Libia?

                         

    Carissimo, ti scrivo per ciò che ho letto su Misna del 2/9/09: “Immigrazione, un forte appello missionario”, dove si legge che in Libia i profughi respinti dall’Italia e da Malta sono uccisi o messi in carcere ecc. Tu avevi scritto di Gheddafi che è un uomo in gamba, che sta facendo tante cose per il suo paese, insomma, una persona che è giusta. Come mai allora ci sono queste notizie? Personalmente Gheddafi non mi piace, mi sembra un dittatore sotto tutti gli aspetti. Però non lo conosco e quindi potrei sbagliarmi. Il fatto però che Berlusconi abbia stretto una amicizia così forte (le frecce tricolori in Libia!?!?) mi fa un po’ pensare….in negativo.

    Da parte del nostro Governo è immorale ciò che si sta facendo con gli immigrati, ma  è anche vero che non possiamo ospitare tutti e che il problema è davvero difficile da risolvere. C’era stata una proposta per fare qualche cosa nei paesi stessi da dove scappano, però penso sia un’impresa assurda e non fattibile. Come conosci Gheddafi e la Libia per parlare di loro così bene? Scusa se ti contraddico, ma vorrei proprio sapere come consideri questi fatti. Questo non significa che non ti voglia bene e che non ti ritenga sempre il mio amico. Ciao,

                                                        Maria Riccarda Carrer, Retorbido (Pavia)

 

 

Carissima Maria Riccarda,

                          grazie della lettera a cui rispondo ben volentieri. Intanto non ho mai scritto che Gheddafi è un “uomo giusto”, ma solo che sta facendo buone cose per il suo popolo e lo confermo. Mi chiedi come Gheddafi tratta i profughi respinti. Non lo so, ma immagino che siano veri i trattamenti brutali a cui la sua polizia li sottopone! Però ripeto non lo so. Ho solo visto (nel 2006) che tratta umanamente quelli che arrivano in Libia dal deserto del Sahara, a 900-1000 km. da Tripoli. La Libia è estesa sette volte l’Italia e con soli 5,5 milioni di libici! Ha bisogno di mano d’opera straniera, specialmente oggi che sta sviluppandosi bene. I profughi dall’Africa nera lavorano a Sebha (città nuova di 80.000 abitanti nel deserto) e nelle regioni circostanti. Da una ventina d’anni le terre desertiche sono messe a coltivazione perchè si tira su l’acqua da 700-800 metri o più di profondità (sotto il Sahara c’è un mare d’acqua dolce!). Gli africani sono buoni lavoratori, si adattano a fare tutti i mestieri, sono pagati e trattati bene. Almeno nel sud della Libia dove sono stato col padre padovano Vanni Bressan, che è anche parroco e medico nel locale ospedale.

    Il motivo di questo trattamento umano l’ho spiegato nei miei articoli; vedi il mio sito internet: www.gheddopiero.it, all’icona “Speciali” ci sono tutti gli articoli che ho scritto sulla Libia.

 

    Se i profughi africani si fermassero nel Sud della Libia o anche nel Nord e continuassero a lavorare e guadagnare (padre Bressan riesce a fermare acune famiglie), credo che non ci sarebbero problemi. Come fanno due milioni circa di egiziani e un 50-100.000 tunisini, anch’essi profughi dai loro paesi in Libia. Il problema nasce quando, dopo 3-4-5 anni di lavoro, i neri vogliono venire in Italia e in Europa. Io stesso, pregato da padre Bressan, ho tenuto due conversazioni in inglese e francese ai profughi africani, dicendo loro: “L’Italia è invasa dai profughi anche dall’Eropa dell’est, dall’Asia e dal Medio Oriente. Non possiamo accoglierli tutti. Fermatevi qui dove vi stimano e vi ricompensano per il vostro lavoro”. Ma loro rispondono: “Non possiamo fare la vita fra i musulmani, che abbiamo già sperimentato nei nostri paesi. Qualche anno di lavoro sì, ma una vita intera no”. E vengono o tentano di venire in Italia….

 

    Secondo problema, cara Riccarda. Il governo italiano è immorale perché respinge i profughi. I governi italiani da molti anni, compreso quello di Prodi, cercano di convincere l’Europa ad interessarsi di questi clandestini, distribuendo i profughi fra i 27 paesi dell’Europa comunitaria. Ma i paesi che non sono sul Mediterraneo finora non sono propensi a ricevere i clandestini.  Adesso pare che qualcosa incominci a muoversi, penso anche perché l’Italia ha deciso fermamente di rimpatriarli. Se noi accogliessimo tutti quelli che vogliono venire, sarebbero milioni e milioni e milioni….

    E poi, lasciami dire, la Spagna di Zapatero è molto più severa dell’Italia, rimpatria i clandestini dall’Africa e ha addirittura sparato sui marocchini che volevano entrare nelle enclaves africane spagnole di Ceuta e Melilla. Ma nessuno protesta, nemmeno in Spagna. E quando l’on.le Giorgio Napolitano, nel 1996 ministro degli interni nel primo Governo Prodi, aveva rimpatriato o respinto i profughi clandestini dall’Albania….nessuno protestava. Come mai adesso si protesta? Sono d’accordo anch’io nel dire che questo è disumano (e mi fa male vedere gli africani tornare in Libia!), ma chiedo: quale alternativa abbiamo? Nessuno lo sa e nessuno lo dice.

    Dire che dobbiamo aiutarli a casa loro affinchè non vengano clandestini da noi è un modo per lavarsene le mani. Chi libera la Somalia dagli estremisti islamici e dalla guerra civile che infuria da quasi vent’anni? Chi libera l’Eritrea e l’Etiopia dalle due dittature comuniste in cui i due popoli si trovano ingabbiati? Chi libera il Sudan dal governo responsabile del genocidio in Darfur e dall’oppressione dei neri nel Sud Sudan? Chi libera il Ciad dalla guerra civile in atto, con alterne vicende, chissà da quanto tempo? Chi libera la Nigeria dalla maggioranza numerica islamica sempre più oppressiva dei cristiani? E potrei continuare.

 

    Cara la mia Riccarda, cosa vuoi che ti dica. Ho scritto che Gheddafi fa bene per il suo popolo. Non c’è dubbio, o almeno fa meglio di come si poteva temere, dati i suoi trascorsi. Fino al 1986 finanziava i kamikaze palestinesi e gli estremisti islamici ovunque. Poi, dopo le bombe di Reagan sulle sue sei “tende” (residenze), è stato intelligente ed ha cominciato ad usare i soldi del suo petrolio per fare scuole, case popolari, coltivazioni nel deserto, ecc. Ha costruito scuole e vi ha mandato le bambine e le ragazze all’università, ha aperto le porte all’Occidente e oggi in Libia vedi molti industriali e tecnici italiani, francesi, inglesi, spagnoli, addirittura americani, come non vedi in nessun altro paese islamico, eccetto che negli Emirati arabi che sono sulla linea di Gheddafi. Fra l’altro il despota libico controlla l’islam locale in vari modi, affinchè non diffonda l’odio verso gli occidentali e i cristiani. Ad esempio, manda a tutte le moschee il testo da leggere nell’istruzione religiosa del venerdì (preparato da un comitato di religiosi a Tripoli) e gli imam che aggiungono o tolgono qualcosa sono dimessi, perdono il posto.

 

     Io preferisco questo secondo Gheddafi al primo. E’ un dittatore, lo so, soprattutto lo sanno i libici che si oppongono al suo potere assoluto, con i quali non ha la mano leggera. Però, secondo molti che vivono in Libia da anni, Gheddafi è il meglio o il meno peggio in questa situazione di arretratezza culturale e scolastica del suo popolo. Fa ancora discorsi rivoluzionari e dichiarazioni anti-occidentali, ma ha rinunziato alla bomba atomica e al nucleare, sta evolvendo il popolo dandogli scuole, televisioni (quella italiana la vedono tutti), internet, turisti e tecnici occidentali, chiamando suore cattoliche e 10.000 infermiere cattoliche (filippine e indiane soprattutto) per la sua sanità, perché ha costruito buone strutture sanitarie, ma non ha ancora medici e infermiere locali! Cambiando il popolo, domani si potrà anche sperare in passi avanti verso la democrazia.

     Sinceramente, sono contento che Berlusconi abbia concluso bene il processo di alleanza con la Libia, già iniziato dai governi Prodi e D’Alema. Non solo per i nostri interessi economici, ma perché con il miliardo e 300 milioni di musulmani nel mondo e la trentina di paesi in cui l’islam è la maggioranza, nei quali l’avversione e l’odio verso l’Occidente cristiano sono comuni, l’unica alternativa alla guerra è il dialogo e l’accordo, anche mandando giù bocconi amari!

 

     Carissima Riccarda, scusami questa chiacchierata a ruota libera, ma la tua lettera mi spinge a rispondere anche per tutti gli amici lettori di questo Blog. Grazie e Dio vi benedica tutti. Tuo padre

                                                                                Piero Gheddo

E'immorale nreslingere i profughi in libia?

 

    Carissimo, ti scrivo per ciò che ho letto su Misna del 2/9/09: “Immigrazione, un forte appello missionario”, dove si legge che in Libia i profughi respinti dall’Italia e da Malta sono uccisi o messi in carcere ecc. Tu avevi scritto di Gheddafi che è un uomo in gamba, che sta facendo tante cose per il suo paese, insomma, una persona che è giusta. Come mai allora ci sono queste notizie? Personalmente Gheddafi non mi piace, mi sembra un dittatore sotto tutti gli aspetti. Però non lo conosco e quindi potrei sbagliarmi. Il fatto però che Berlusconi abbia stretto una amicizia così forte (le frecce tricolori in Libia!?!?) mi fa un po’ pensare….in negativo.

    Da parte del nostro Governo è immorale ciò che si sta facendo con gli immigrati, ma  è anche vero che non possiamo ospitare tutti e che il problema è davvero difficile da risolvere. C’era stata una proposta per fare qualche cosa nei paesi stessi da dove scappano, però penso sia un’impresa assurda e non fattibile. Come conosci Gheddafi e la Libia per parlare di loro così bene? Scusa se ti contraddico, ma vorrei proprio sapere come consideri questi fatti. Questo non significa che non ti voglia bene e che non ti ritenga sempre il mio amico. Ciao,

                                                        Maria Riccarda Carrer, Retorbido (Pavia)

 

 

Carissima Maria Riccarda,

                          grazie della lettera a cui rispondo ben volentieri. Intanto non ho mai scritto che Gheddafi è un “uomo giusto”, ma solo che sta facendo buone cose per il suo popolo e lo confermo. Mi chiedi come Gheddafi tratta i profughi respinti. Non lo so, ma immagino che siano veri i trattamenti brutali a cui la sua polizia li sottopone! Però ripeto non lo so. Ho solo visto (nel 2006) che tratta umanamente quelli che arrivano in Libia dal deserto del Sahara, a 900-1000 km. da Tripoli. La Libia è estesa sette volte l’Italia e con soli 5,5 milioni di libici! Ha bisogno di mano d’opera straniera, specialmente oggi che sta sviluppandosi bene. I profughi dall’Africa nera lavorano a Sebha (città nuova di 80.000 abitanti nel deserto) e nelle regioni circostanti. Da una ventina d’anni le terre desertiche sono messe a coltivazione perchè si tira su l’acqua da 700-800 metri o più di profondità (sotto il Sahara c’è un mare d’acqua dolce!). Gli africani sono buoni lavoratori, si adattano a fare tutti i mestieri, sono pagati e trattati bene. Almeno nel sud della Libia dove sono stato col padre padovano Vanni Bressan, che è anche parroco e medico nel locale ospedale.

    Il motivo di questo trattamento umano l’ho spiegato nei miei articoli; vedi il mio sito internet: www.gheddopiero.it, all’icona “Speciali” ci sono tutti gli articoli che ho scritto sulla Libia.

 

    Se i profughi africani si fermassero nel Sud della Libia o anche nel Nord e continuassero a lavorare e guadagnare (padre Bressan riesce a fermare acune famiglie), credo che non ci sarebbero problemi. Come fanno due milioni circa di egiziani e un 50-100.000 tunisini, anch’essi profughi dai loro paesi in Libia. Il problema nasce quando, dopo 3-4-5 anni di lavoro, i neri vogliono venire in Italia e in Europa. Io stesso, pregato da padre Bressan, ho tenuto due conversazioni in inglese e francese ai profughi africani, dicendo loro: “L’Italia è invasa dai profughi anche dall’Eropa dell’est, dall’Asia e dal Medio Oriente. Non possiamo accoglierli tutti. Fermatevi qui dove vi stimano e vi ricompensano per il vostro lavoro”. Ma loro rispondono: “Non possiamo fare la vita fra i musulmani, che abbiamo già sperimentato nei nostri paesi. Qualche anno di lavoro sì, ma una vita intera no”. E vengono o tentano di venire in Italia….

 

    Secondo problema, cara Riccarda. Il governo italiano è immorale perché respinge i profughi. I governi italiani da molti anni, compreso quello di Prodi, cercano di convincere l’Europa ad interessarsi di questi clandestini, distribuendo i profughi fra i 27 paesi dell’Europa comunitaria. Ma i paesi che non sono sul Mediterraneo finora non sono propensi a ricevere i clandestini.  Adesso pare che qualcosa incominci a muoversi, penso anche perché l’Italia ha deciso fermamente di rimpatriarli. Se noi accogliessimo tutti quelli che vogliono venire, sarebbero milioni e milioni e milioni….

    E poi, lasciami dire, la Spagna di Zapatero è molto più severa dell’Italia, rimpatria i clandestini dall’Africa e ha addirittura sparato sui marocchini che volevano entrare nelle enclaves africane spagnole di Ceuta e Melilla. Ma nessuno protesta, nemmeno in Spagna. E quando l’on.le Giorgio Napolitano, nel 1996 ministro degli interni nel primo Governo Prodi, aveva rimpatriato o respinto i profughi clandestini dall’Albania….nessuno protestava. Come mai adesso si protesta? Sono d’accordo anch’io nel dire che questo è disumano (e mi fa male vedere gli africani tornare in Libia!), ma chiedo: quale alternativa abbiamo? Nessuno lo sa e nessuno lo dice.

    Dire che dobbiamo aiutarli a casa loro affinchè non vengano clandestini da noi è un modo per lavarsene le mani. Chi libera la Somalia dagli estremisti islamici e dalla guerra civile che infuria da quasi vent’anni? Chi libera l’Eritrea e l’Etiopia dalle due dittature comuniste in cui i due popoli si trovano ingabbiati? Chi libera il Sudan dal governo responsabile del genocidio in Darfur e dall’oppressione dei neri nel Sud Sudan? Chi libera il Ciad dalla guerra civile in atto, con alterne vicende, chissà da quanto tempo? Chi libera la Nigeria dalla maggioranza numerica islamica sempre più oppressiva dei cristiani? E potrei continuare.

 

    Cara la mia Riccarda, cosa vuoi che ti dica. Ho scritto che Gheddafi fa bene per il suo popolo. Non c’è dubbio, o almeno fa meglio di come si poteva temere, dati i suoi trascorsi. Fino al 1986 finanziava i kamikaze palestinesi e gli estremisti islamici ovunque. Poi, dopo le bombe di Reagan sulle sue sei “tende” (residenze), è stato intelligente ed ha cominciato ad usare i soldi del suo petrolio per fare scuole, case popolari, coltivazioni nel deserto, ecc. Ha costruito scuole e vi ha mandato le bambine e le ragazze all’università, ha aperto le porte all’Occidente e oggi in Libia vedi molti industriali e tecnici italiani, francesi, inglesi, spagnoli, addirittura americani, come non vedi in nessun altro paese islamico, eccetto che negli Emirati arabi che sono sulla linea di Gheddafi. Fra l’altro il despota libico controlla l’islam locale in vari modi, affinchè non diffonda l’odio verso gli occidentali e i cristiani. Ad esempio, manda a tutte le moschee il testo da leggere nell’istruzione religiosa del venerdì (preparato da un comitato di religiosi a Tripoli) e gli imam che aggiungono o tolgono qualcosa sono dimessi, perdono il posto.

 

     Io preferisco questo secondo Gheddafi al primo. E’ un dittatore, lo so, soprattutto lo sanno i libici che si oppongono al suo potere assoluto, con i quali non ha la mano leggera. Però, secondo molti che vivono in Libia da anni, Gheddafi è il meglio o il meno peggio in questa situazione di arretratezza culturale e scolastica del suo popolo. Fa ancora discorsi rivoluzionari e dichiarazioni anti-occidentali, ma ha rinunziato alla bomba atomica e al nucleare, sta evolvendo il popolo dandogli scuole, televisioni (quella italiana la vedono tutti), internet, turisti e tecnici occidentali, chiamando suore cattoliche e 10.000 infermiere cattoliche (filippine e indiane soprattutto) per la sua sanità, perché ha costruito buone strutture sanitarie, ma non ha ancora medici e infermiere locali! Cambiando il popolo, domani si potrà anche sperare in passi avanti verso la democrazia.

     Sinceramente, sono contento che Berlusconi abbia concluso bene il processo di alleanza con la Libia, già iniziato dai governi Prodi e D’Alema. Non solo per i nostri interessi economici, ma perché con il miliardo e 300 milioni di musulmani nel mondo e la trentina di paesi in cui l’islam è la maggioranza, nei quali l’avversione e l’odio verso l’Occidente cristiano sono comuni, l’unica alternativa alla guerra è il dialogo e l’accordo, anche mandando giù bocconi amari!

 

     Carissima Riccarda, scusami questa chiacchierata a ruota libera, ma la tua lettera mi spinge a rispondere anche per tutti gli amici lettori di questo Blog. Grazie e Dio vi benedica tutti. Tuo padre

                                                                                Piero Gheddo

La religione nelle scuole in Italia

     Parlo a Genova con una giovane insegnante di religione nelle scuole elementari, appassionata al suo lavoro perché mi dice: “I bambini vengono tutti e sono interessati a questo tema. Anzi qualcuno mi dice che questa è l’ora di scuola che piace di più, perché si parla di argomenti che non sentono altrove”. Le chiedo cosa insegna, se vi sono difficoltà, se le famiglie seguono.

     Risponde: “Quest’anno svolgo il programma di insegnare le varie religioni, specialmente cristianesimo, ebraismo e islam. Naturalmente in termini molto sommari, adatti per bambini all’inizio del loro percorso scolastico. Tutto in grandi quadri personalizzati. Ad esempio, presento Dio Padre che ha creato tutto, la sua grandezza e bontà perché nostro Padre che ci vuole bene e ci accompagna sempre; poi parlo dell’Alleanza di Dio con Abramo, padre di tutti i credenti, la figura di Mosè e la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto, poi la figura di Gesù, di Maria, degli Apostoli e via dicendo.

     “Difficoltà non ve ne sono, le famiglie,almeno quelle che ho sentito, sono contente perché dicono che i loro bambini sono interessati. Però mi risulta che in nessuna famiglia si prega assieme, i bambini vengono portati o mandati in chiesa, ma i genitori a volte o spesso non ci vanno. Credo che l’educazione religiosa in famiglia sia molto scarsa. L’unica difficoltà, finora, è stata questa: sono stata richiamata perché ho insegnato la preghiera, perchè preghiamo, come pregare, ecc. Mi hanno detto che nella scuola di religione non si può fare “proselitismo” o “propaganda”, ma solo dare notizia delle varie religioni. Ho risposto, che non esistono popoli atei e tutti i popoli pregano. La preghiera è l’espressione più comune della fede in Dio, quindi debbo spiegare perché si prega, come si prega, i frutti della preghiera nella serenità del nostro cuore. Naturalmente vado avanti ad insegnare come prima perché vedo che i bambini e le famiglie sono contenti, ma c’è un laicismo, un’avversione alla religione, alla fede cristiana che mi impressionano. Possibile che non capiscano che l’educazione religiosa fa bene al cuore e alla crescita dei bambini, creando personalità serene di fronte alla vita?”.

     In Russia, dopo 90 anni di ateismo statale e di persecuzione anti-cristiana, il governo riprende l’insegnamento della religione nelle scuole, perchè la religione è l’unica che può dare ai giovani “una proposta convincente per la vita” (vedi il Blog del 2 settembre 2009). In Italia, dopo 2000 anni di cristianesimo e con tutti i beni che la fede cristiana e la Chiesa hanno portato al nostro paese, non si vuole che ai bambini si insegni a pregare!

                                                                                    Piero Gheddo

L'insegnamento religioso nelle scuole in Russia

Nel luglio scorso, una notizia d’agenzia mi ha allargato il cuore (Zenith, 24 luglio 2009). Il 21 luglio 2009 il Presidente Medvedev ha annunciato il progetto di introdurre lezioni di Religione o di Etica secolare nelle scuole russe. Ha aggiunto che l’insegnamento verrà impartito agli studenti con meno di dieci anni di tutte le 12.000 scuole delle 18 regioni russe, che potranno scegliere se studiare la religione prevalente, quella ortodossa russa, oppure islam, buddismo o ebraismo, o un corso di Etica secolare. La proposta fa parte dello sforzo del Cremlino di insegnare ai giovani russi la morale dopo un periodo turbolento di incertezza, in seguito al collasso dell’ateismo ufficiale dell’Unione Sovietica.

Sua Beatitudine Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russia, ha lodato l’annuncio del Presidente russo Dimitri Medvedev di introdurre la materia di Religione nelle scuole. Anche da monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, in un’intervista concessa alla “Radio Vaticana” ha lodato il provvedimento. Nella Russia post-sovietica Chiesa e Stato sono ufficialmente separati sotto la Costituzione. Tre anni fa, alcune regioni hanno già preso l’iniziativa per conto proprio e hanno chiesto corsi di ortodossia russa.

Rispondendo alle preoccupazioni di quanti non sono religiosi e temono che questo sia un modo di imporre la religione della Chiesa ortodossa, Medvedev ha detto che “gli studenti e i loro genitori potranno scegliere liberamente”. Il presidente ha anche insistito sul fatto che la proposta è “solo” per quattro credo, escludendone altri, in particolare cattolicesimo e protestantesimo. Medvedev ha spiegato che il programma nazionale inizierà l’anno prossimo come progetto pilota in 18 regioni, coprendo circa il 20% delle scuole russe. Si calcola che circa l’80% dei russi appartenga alla Chiesa ortodossa russa. Secondo alcuni studi, il 15-20% è praticante.

Monsignor Pezzi ha commentato: “Se in alcune scuole la presenza di alunni cattolici fosse tale da giustificare la formazione di un gruppo, stiamo valutando di chiedere, eventualmente, questa possibilità”. Per il presule, questa iniziativa del Governo risponde all’emergenza educativa che vive il paese, perché l’opinione pubblica e i governanti si sono resi conto “della necessità di tornare ad educare i giovani e dar loro una proposta convincente per la vita”.

Interessante il fatto che dopo quasi un secolo di ateismo ufficiale in Russia, insegnato nelle scuole e imposto dal Partito comunista a tutto il popolo perseguitando le religioni, oggi le autorità ritornano alla religione, l’unica che può dare ai giovani “una proposta convincente per la vita”.

Piero Gheddo