La Spezia: aumentano le vocazioni al sacerdozio

In questo 2012 la “Nuova evangelizzazione” è al centro dell’attenzione della Chiesa italiana, anche per il Sinodo episcopale dell’ottobre prossimo su questo tema. Come tutti sanno, la diminuzione del clero è l’ostacolo più difficile da superare. Sono circa 30 anni che i sacerdoti italiani diminuiscono nelle diocesi italiane, e più ancora, negli istituti religiosi e missionari. Un dato ufficiale: nel 1978 (quando morì Paolo VI)  i sacerdoti diocesani italiani erano 41.627, nel 2006 33.409, cioè il 25% in meno e le necessità pastorali sono di molto aumentate, assieme all’età media del clero. Oggi i sacerdoti diocesani italiani sono valutati circa 32.000, oltre a  2.000 giovani preti non italiani impegnati a tempo pieno nelle nostre diocesi, provenienti in gran parte dalle Chiese “di missione” d’Asia, Africa e America Latina!
Domenica 22 aprile scorso sono stato nella diocesi di La Spezia per la “Festa della Famiglia” e mi hanno detto che negli ultimi anni, non so se anche i sacerdoti, ma certamente i seminaristi studenti di teologia sono aumentati da 6 a 15, con sei studenti di filosofia che li seguono. Non sono grandi cifre ma La Spezia è una piccola diocesi: 220.000 abitanti, 187 parrocchie, 107 preti diocesani, 47 religiosi in diocesi e 125 suore.
Perchè questo aumento? Ho parlato con preti, suore, seminaristi e laici. Il motivo fondamentale è che il vescovo mons. Francesco Moraglia (da gennaio Patriarca di Venezia), nel 2008 ha varato varie iniziative, centrando l’attenzione della diocesi sulle vocazioni sacerdotali. Ad esempio, i pellegrinaggi ai santuari mariani in diocesi. “Si va in pullman, almeno tre pullman e poi ci sono parecchie auto –  mi dice il rettore del seminario don Franco Pagano. – Il primo sabato di ogni mese ci si ritrova in una località vicina ad un santuario mariano, poi si va a piedi recitando il Rosario e facendo la consacrazione a Maria per le vocazioni missionarie. Si va ai santuari della diocesi, ne abbiamo tanti, parecchie parrocchie hanno il loro piccolo santuario.
“Da La Spezia si parte alle 7,30, alle 8,15 si arriva nel luogo vicino al santuario. Si va a piedi e arrivati al santuario si celebra la Messa e si confessa, Vengono sempre tanti sacerdoti, ci siamo trovati anche in 12 a confessare. E’ un momento di grazia straordinaria, molti si confessano. Poi un momento di fraternità. La parrocchia ospite offre la colazione e si sta assieme fin verso le 10,30-11. Partecipano anche i seminaristi. Poi ciascuno torna a casa. Sono incontri e preghiere destinati alle vocazioni.
“L’ultima cosa che ha fatto in diocesi il vescovo mons. Moraglia è stata l’istituzione dell’adorazione perpetua per le vocazioni sacerdotali e religiose in diocesi. Nella cappella del Crocifisso della parrocchia di Santa Maria Assunta a La Spezia c’è l’Adorazione continua (24 ore) e c’è sempre gente. Si sono fatti i turni, ci sono i responsabili dei turni. Sono iniziative preparate lungamente, mobilitando la buona gente che viene in chiesa, poi altri fedeli vengono spontaneamente”.
“Le iniziative e la campagna di sensibilizzazione per le vocazioni – continua don Franco – sono iniziate nel 2008, il 4 ottobre del 2008 era il primo pellegrinaggio. Poi ci sono altre iniziative per i giovani”. Un laico mi dice: “Prima ci lamentavamo che mancavano i preti, oggi ci siamo resi conto che è superfluo lamentarsi, ciascuno deve fare la sua parte, con la preghiera ma anche in altri modi. Sono le famiglie cristiane che debbono produrre preti e suore, assistendo (non scoraggiando) quei ragazzi e ragazze che sentono una certa attrattiva alla vita consacrata. La fede viene trasmessa in famiglia e le famiglie sono responsabili di far maturare nei loro figli e nipoti la chiamata di Dio”.
Dico a don Franco Pagano che nel quadro delle diocesi italiane 15 seminaristi di teologia, per una diocesi con 220.000 abitanti, mi pare quasi un primato. “Non lo so, il Signore ci fa questa grazia e noi la prendiamo con riconoscenza. Mons. Moraglia aveva messo come primario il lavoro per le vocazioni, soprattutto convincendo i preti, le suore e i catechisti a parlarne, perché c’è anche chi è scoraggiato e quasi non parla più della chiamata di Dio alla vita consacrata. Oltre alla festa delle famiglie, ai pellegrinaggi, all’adorazione eucaristica e alle preghiere per le vocazioni, abbiamo fatto le normali attività vocazionali e giovanili, curando molto i chierichetti con speciali incontri. Però debbo dire che quest’anno è un po’ fuori della norma. Ci sono stati buoni ingressi in prima teologia e poi abbiamo tre teologi da fuori diocesi, da Milano, Torino e Bergamo. Li abbiamo presi per vari motivi. Uno è venuto perché un sacerdote che conosco me l’ha raccomandato e l’abbiamo preso; ciascuno ha la sua storia. Nell’educazione al sacerdozio noi abbiamo il principio della fedeltà assoluta al magistero del Papa e del vescovo.
“Questa piccola ripresa delle vocazioni è un segno di speranza. I giovani che vengono con noi si trovano bene e questo fa ben sperare. Negli ultimi 10 anni 15 preti nuovi, negli ultimi due anni 3 preti nuovi e poi, se Dio vuole, almeno uno all’anno in media. Però l’aumento dei preti, non è ancora abbastanza significativo per pareggiare il numero dei sacerdoti che muoiono. Comunque abbiamo sperimentato che se ai credenti si offrono occasioni di fare qualcosa e sono stimolati in modo concreto, reagiscono bene e si impegnano”.
Dico a don Franco che diversi mi hanno detto dei seminaristi che sono andati ad aiutare nei paesi dell’alluvione. Conferma e aggiunge: “Il 25 ottobre 2011 la tragica alluvione ha colpito molte parrocchie della diocesi, oltre a quelle che sono andate sui giornali e alla Tv, come Monterosso e Vernazza nelle Cinque terre.  I seminaristi, come tanti giovani, hanno fatto il volontariato. In alcuni paesi abbiamo anche organizzato questo volontariato, i volontari erano veramente molti e anche questo è stato un buon segno”.

Piero Gheddo

La “Festa della Famiglia” a La Spezia

Visitando diocesi e parrocchie italiane fa piacere trovare segni di ripresa, non dico della fede (che solo Dio può vedere e giudicare!), ma della partecipazione popolare e delle vocazioni sacerdotali. Domenica 22 aprile scorso sono stato chiamato a La Spezia dall’amministratore diocesano mons. Giorgio Rebecchi per la “Festa della Famiglia” diocesana, che si celebra ogni anno da diversi anni. Mattino e pomeriggio attività varie e giochi per molti bambini e ragazzi; per le famiglie, incontri sul tema della famiglia, il tutto concluso con la S.Messa celebrata dal vescovo emerito mons. Bassano Staffieri. Dalle 9,30 alle 12,30, in una grande tenda-salone nei vasti ambienti della Marina militare italiana, circa 350-400 persone hanno partecipato a tre ore di preghiera e di testimonianze sulla famiglia, dalle 10 alle 13: celebrazione solenne e cantata delle Lodi, alcuni video e le tre testimonianze sulla famiglia:

1)  Margherita,  moglie del brigadiere dei carabinieri Giuseppe Coletta, una delle 19 vittime dell’attentato terroristico di Nasiriyan in Iraq il 12 novembre 2010, ha raccontato, con la giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga, che fin dal terribile giorno dell’uccisione del marito, con i suoi due bambini e l’immenso dolore, ha nutrito anche il sentimento del perdono e del compiere azioni di pace, come il marito che portava aiuti alle famiglie e ai bambini iraqeni. E’ nata così ad Avola (Siracusa) l’”Associazione Coletta Bussate e vi sarà aperto”, che promuove con vari invii l’aiuto ai bambini dell’Iraq e del Burkina Faso. Commovente il racconto del loro amore di giovani sposi e di come la fede e la preghiera aiutano Margherita e i suoi due bambini a tramandare il ricordo del papà ed a vivere nella gioia pur in una situazione difficile. Margherita e Lucia hanno pubblicato  il volume “Il seme di Nasiriyan” (Ancora, 2008) che racconta anche lo sviluppo dell’Associazione intitolata a “Giuseppe Coletta il brigadiere dei bambini”.

2)   Massimo Ciocconi ha raccontato come, nell’alluvione del 25 ottobre 2011 a Brugnato (La Spezia), in una giornata ha perso la sua casa e il suo auto-salone (158 automobili). Si sono salvati, lui, la moglie e il bambino salendo fino al sottotetto della casa, invasa dall’acqua e dal fango. La figlia di 15 anni, data per morta, dopo due giorni è stata ritrovata. Quando Massimo ha incontrato la figlia le ha detto: “Ora siamo poveri. Abbiamo perso tutto, però abbiamo la vita e la fede in Gesù e la Madonna, che ci aiuteranno ad andare avanti”. Quando Massimo e la famiglia, giorni dopo, hanno potuto rientrare nella loro casa non c’era più niente, erano rimasti solo i muri ma, stranamente e, diciamo, misteriosamente, l’immagine del Cuore di Gesù era rimasta attaccata al muro! Mostrando l’immagine Massimo ha detto: “Da quel momento ho capito che il Signore non ci avrebbe abbandonati. Volendoci bene e pregando assieme, ci siamo fatti coraggio e abbiamo ripreso a vivere con speranza e serenità”. Ha anche detto che nel paese l’alluvione ha avuto un effetto benefico: molti hanno ricuperato lo spirito di solidarietà e di cordialità nei rapporti umani, che la vita moderna, volta quasi unicamente a mete di natura materiale, ci fa facilmente perdere.

3) Infine, ho raccontato episodi della vita di famiglia che i miei genitori, i servi di Dio Rosetta e Giovanni, ambedue membri dell’Azione Cattolica, avevano impostato sulla fede in Dio, l’amore e la preghiera in comune, l’aiuto ai poveri e il servizio alla Chiesa. Eravamo di condizione economica medio-bassa, nella nostra famiglia c’era un profondo senso religioso, la gioia e l’amore verso tutti. Il 26 ottobre 1934 la mamma è morta di parto con due gemellini a 32 anni. Papà non si è più risposato (“Ho voluto troppo bene a Rosetta, non potrei voler bene a un’altra donna” diceva) e noi tre  bambini siamo stati allevati dalla nonna Anna e dalla zia Adelaide, insegnante elementare. A Tronzano vercellese, papà era chiamato “il geometra dei poveri” (lavorara gratis per i poveri e la Chiesa) e “il paciere” perchè quando c’erano contrasti e liti tra famiglie chiamavano lui. Come presidente dell’Azione cattolica non  era iscritto al PNF (Partito nazionale fascista) e aiutava altri come lui a trovare un lavoro. E’ stato mandato in guerra, anche se ne era dispensato dalla legge come vedovo con tre figli minorenni, ed è morto in Russia il 17 dicembre 1942, con un gesto eroico che ricorda San Massimiliano Kolbe. Se e quando Dio vuole, Rosetta e Giovanni diventeranno Beati, saranno una coppia di paese del tutto normale, che la Chiesa propone a modello delle famiglie cristiane. E già oggi, come “servi di Dio”, possono essere venerati e pregati e già ottengono da Dio numerose grazie. A Vercelli la diocesi pubblica “Lettera agli Amici di Rosetta e Giovanni”, bollettino che viene inviato in omaggio a 9.371 famiglie ed a chi lo chiede (è stato definito “un ottimo strumento di pastorale familiare” dall’arcivescovo di Vercelli, mons. Enrico Masseroni).
Ho concluso dicendo che la famiglia è la cellula fondamentale della società e quando si sfasciano le famiglie, va in crisi anche la società, come purtroppo avviene in Italia. Per superare la crisi attuale dobbiamo tornare a Gesù Cristo e a famiglie secondo il cuore di Dio, che siano lievito evangelico nella società. Il secondo aspetto della diocesi di La Spezia, che mi ha interessato, è l’aumento delle vocazioni sacerdotali negli ultimi cinque anni. Il perché lo vedremo nel prossimo Blog.

Piero Gheddo

Colpo di stato in Guinea Bissau: di chi la colpa?

Il 12 aprile scorso la Guinea Bissau è stata teatro di un colpo di stato militare, il sesto avvenuto nell’Africa occidentale dal 2008 ad oggi: in Guinea Bissau (2009 e 2012), Mali (2012), Niger (2010), Guinea Conakry e Mauritania (2008). In Italia, non ce ne siamo nemmeno accorti. Per i nostri giornali, anche quelli che hanno 60-70 o più pagine al giorno, l’Africa è quasi scomparsa, ma quei pochi che hanno pubblicato qualcosa, per spiegare la molteplicità di questi nefasti accadimenti, e nel caso specifico della Guinea Bissau, oltre alla corruzione delle classi dirigenti, si sono subito impegnati ad attribuire la responsabilità alle “ingerenze straniere”.
Siamo ancora al “terzomondismo” stile No Global. La colpa è sempre delle potenze straniere, della multinazionali, del neocolonialismo occidentale. “Una cosa è certa, scrive un giornale: questi ribaltoni avvengono sempre e comunque con complicità straniere, mai dichiarate e strettamente connesse a interessi di tipo commerciale”. Non si tenta nemmeno di spiegare che la corruzione delle classi dirigenti, le dittature e i colpi di stato vengono soprattutto dal fatto che buona parte del popolo vive a livello di pure sopravvivenza; e poi dalla mancanza di scuola e di istruzione, che dia alla gente la coscienza della propria dignità e la capacità di unirsi per conquistare la libertà di parola e di voto. In Guinea Bissau, dove sono stato più volte, le statistiche dicono che i guineani sono il 47,8% analfabeti, ai quali vanno aggiunti i molti “analfabeti di ritorno”, quelli che hanno imparato a leggere ed a scrivere nelle elementari, ma poi non hanno mai letto o scritto!
La visione “terzomondista” del rapporto Occidente-sud del mondo suscita, soprattutto negli intellettuali e nei giovani di quei popoli, frustrazione, rabbia, impotenza, sensi di rivolta e di vendetta, sentimenti negativi per lo sviluppo dei loro popoli: se la colpa della nostra situazione di miseria è dell’Occidente, la soluzione è di odiare e combattere contro l’Occidente, di umiliare l’Occidente. Li educa a protestare, denunziare, proclamare la lotta di classe fra poveri e ricchi, ma non ad un impegno personale costante, onesto e sacrificato, rivolto anzitutto all’educazione dei loro popoli, come sarebbe necessario.
La Guinea Bissau ha conosciuto una guerra civile devastante, durata pochi mesi nel 1998, che ha distrutto quel poco di industrie produttive ereditate dai coloni portoghesi. Ero stato da poco in Guinea e a Roma mi è capitato di pranzare con uno studente e un professionista guineani, che mi chiedevano notizie del loro paese e di che idea mi ero fatto di quella breve guerra civile. Dicevo che era scoppiata fra il presidente Nino e le sue “forze speciali” e il capo delle forze armate, Ansumane Mané e che la gente riteneva Nino il principale responsabile, che non tollerava opposizioni al suo trentennale potere a cui era arrivato con un altro colpo di stato. Ma ai miei due amici questo non interessava. Hanno cominciato a discutere se la colpa era della Francia o del Portogallo, che per i loro interessi avevano venduto armi all’una o all’altra parte. In Guinea la gente aveva tutt’altra visione e ricordava le colpe di Nino o del suo avversario. Ma per i due intellettuali, che leggevano i giornali italiani e francesi, la colpa era di Francia o Portogallo.
Il presidente americano Barack Obama, visitando il Ghana l’11 luglio 2009, parlando al Parlamento della capitale Accra ha lodato i progressi fatti dall’Africa, ma ha aggiunto: “Le promesse di sviluppo fatte al momento dell’indipendenza devono ancora essere mantenute. Paesi come il Kenya, che quando sono nato io aveva un reddito pro capite maggiore di quello della Corea del Sud, sono rimasti drammaticamente indietro. Malattie e conflitti hanno devastato intere parti del continente africano. E’ facile addossare ad altri la colpa di questi problemi. Ma l’Occidente non è responsabile della distruzione dell’economia dello Zimbabwe nell’ultimo decennio o delle guerre in cui vengono arruolati bambini tra i combattenti… Sarete voi a plasmare il futuro dell’Africa. E soprattutto, saranno i vostri giovani”.
Il confronto fra un paese asiatico e uno africano citato da Obama è significativo. La Corea del Sud era devastata dalla guerra civile fra Nord e Sud (1950-1953). Nel 1961 aveva un debito estero esorbitante (dodici miliardi di dollari) e viveva confidando negli aiuti e prestiti dell’alleato americano. Il paese, piccolo e senza risorse naturali, negli ultimi 50 anni ha avuto il suo “boom” economico, ha pagato i debiti pregressi, è passato da 27 a 50 milioni di abitanti ed è diventato una delle “tigri asiatiche”, con un reddito medio pro-capite di circa 20.000 dollari (la Corea del nord, 555 dollari!). Com’è possibile? La Corea del sud ha conquistato da circa trent’anni la libertà politica ed economica e i suoi governi hanno privilegiato la scuola e il libero mercato: nel 1960 aveva il 45% di analfabeti, oggi solo il 2 per cento! Libertà politica ed economica e istruzione sono le due priorità che permettono ad un paese povero di crescere nel cammino verso lo sviluppo. Nella Corea del Sud la scuola è obbligatoria per tutti dai 6 ai 14 anni e ci vanno.
Il Kenya, indipendente dal 1963, aveva il 40% di analfabeti e un reddito medio pro capite di 200 dollari. Oggi ha il 15% di analfabeti e un reddito di 481 dollari pro capite. Non si è sviluppato a causa di lotte e guerre intestine, l’instabilità politica, la corruzione dilagante che assorbe gran parte degli aiuti dall’estero, la miseria delle sue scuole, le divisioni e lotte tribali, ecc.

Piero Gheddo

Il Concilio Vaticano II (1962-1965) dono di Dio

Ci sono amici che leggono i Blog e poi mi scrivono una Mail al mio indirizzo: gheddo.piero@pime.org. Da Torino Claudio Dalla Costa: “Caro padre Piero, leggo sempre con piacere i suoi Blog e in modo particolare ciò che scrive su padre Clemente Vismara, una figura davvero stupenda. Lei dovrebbe scrivere un articolo sull’importanza del Concilio Vaticano II e sui suoi cambiamenti benefici rispetto a tante realtà preconciliari. Troppe persone con una visione integralista della fede cercano di mettere in cattiva luce questo Concilio, andando contro il Magistero degli ultimi cinque Papi. E’ un periodo di grande confusione nella Chiesa e lo scontro tra progressisti e conservatori rischia di mettere in secondo piano l’importanza di un evento che ha segnato la storia della Chiesa contemporanea. Grazie e cordiali saluti”.

Ho vissuto il Vaticano II a Roma come redattore dell’Osservatore Romano per il Concilio e corrispondente del quotidiano “L’Italia” (oggi “Avvenire”) ed ero anche “perito” per il Decreto sulle missioni (Ad Gentes), nominato da Giovanni XXIII nel  febbraio1962! Difficile, caro Claudio, in una o due paginette fare un discorso esauriente. Il Concilio era, per noi giovani preti (sono sacerdote dal 1953), il tempo dell’entusiasmo per la fede e la missione universale. La Chiesa stava ringiovanendo, i 1800 vescovi da ogni parte del mondo davano un’immagine viva della varietà e vivacità del gregge di Cristo, le discussioni e i testi dei decreti (il primo quello sulla Liturgia) manifestavano la tendenza ad orientare tutta la vita cristiana all’adempimento del mandato di Cristo: ”Andate in tutto il mondo, annunziate il Vangelo ad ogni creatura”.

Al termine della prima sessione del Concilio (ottobre-dicembre 1962) scrivevo su “Le Missioni Cattoliche” (oggi “Mondo e Missione”) che continuavo a dirigere: “Il Concilio ha già manifestato chiaramente quali sono le sue finalità, le mete a cui tutti i lavori tendono: il rinnovamento pastorale per la ricristianizzazione del mondo cristiano, il riavvicinamento ai Fratelli separati in vista dell’Unione e una chiara apertura data a tutti i problemi, per estendere il Regno di Cristo a tutti i popoli e le nazioni della terra” (Le M.C., gennaio 1963, pag. 5).

Altri aspetti del Concilio mi confermavano nella lettura ottimistica del cammino che la Chiesa stava compiendo, almeno dal mio punto di vista di membro del Pime, istituto missionario ad gentes:

–         La “scoperta” del dialogo con le religioni, non più nemiche di Cristo, ma preparazione a Cristo.

–         La conferma dell’intuizione di Pio XII con la “Fidei Donum” (1957): tutta la Chiesa è missionaria e corresponsabile della missione alle genti (diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni laicali, ecc.).

–         La promozione del clero indigeno e la missionarietà delle Chiese locali delle missioni, che hanno ancora bisogno dei missionari, ma sono a loro volta protagoniste della missione alle genti.

–         La “diversità nell’unità” che caratterizza la crescita delle giovani Chiese (n. 22 dell’Ad gentes), cioè la “inculturazione della fede” nelle varie culture e storie religiose dei popoli:“La vita cristiana sarà commisurata al genio e all’indole di ciascuna civiltà”.

–         L’esaltazione della “vocazione speciale missionaria” specifica ad gentes (nn. 23, 24) e altri aspetti del decreto.

Dopo il Concilio è iniziata la confusione delle voci, ma non a causa del Concilio, che è stato e rimane una meravigliosa epopea dello Spirito Santo, ma perché varie correnti di pensiero ne hanno distorto i testi e la volontà dei padri conciliari in una direzione o di ritorno al passato o di supposto “progressismo”. Ricordo bene che, dopo la fine del Concilio, quando ancora non era iniziata la sua applicazione, c’era già chi si augurava un Vaticano III per la riforma della Chiesa e chi scriveva che “ci vorranno cinquant’anni per rimediare ai danni del Vaticano II”.

Non giudichiamo le singole persone, ma bisogna dire i Papi del post Concilio hanno spesso e fortemente sostenuto che la Chiesa, per evangelizzare, dev’essere unita nell’applicare quelle norme. Tre conclusioni:

1)    I “conservatori” che sognano un ritorno al passato dimostrano di non aver fiducia nello Spirito Santo e nella divinità e santità della Chiesa; non degli uomini di Chiesa che siamo tutti noi, peccatori, me dell’istituzione Chiesa che viene da Dio e gode dell’assistenza dello Spirito Santo. E’ così bello fidarsi di Dio! E non capiscono che la Chiesa è istituzione incarnata nella storia, che segue la storia e si adatta al mutare dei tempi, non può rimanere ferma o tornare indietro. La Chiesa cammina con i tempi perché oggi deve accogliere gli uomini del nostro tempo, non di secoli addietro.

2)    I supposti “progressisti” non capiscono che la Chiesa evolve secondo i tempi rimanendo  unita. Il criterio che ci mantiene uniti è l’obbedienza alla Chiesa, guidata dal Papa e dai vescovi uniti a Pietro, con l’assistenza dello Spirito Santo. C’è chi dice che segue la sua coscienza. D’accordo, ma la coscienza illuminata dalla fede, altrimenti siamo alla frammentazione estrema delle Chiese e sette che vengono dalla Riforma: “Solo lo Bibbia e la propria coscienza” porta a questo.

3)    La riforma della Chiesa la fanno soprattutto i santi. Quanto più ci avviciniamo, noi uomini peccatori, al modello di Cristo e tanto più diamo un contributo notevole alla riforma della Chiesa, che “semper reformanda est”, ma secondo l’opera dello Spirito Santo, non secondo i nostri gusti.

Piero Gheddo

Auguri di Buon Compleanno a Benedetto XVI

Il 16 aprile prossimo Benedetto XVI compie gli 85 anni. Famiglia Cristiana mi ha chiesto di fargli gli auguri, che riporto anche qui per i lettori del Blog.

Padre Santo, le faccio volentieri gli auguri per i suoi 85 anni, unendoli alla mia preghiera quotidiana per lei. Le auguro di continuare a lungo nel guidare il nostro gregge di noi, pecorelle del Buon Pastore. La sua guida ferma, chiara e sicura, ci è di conforto, lei con la sua parola e gli scritti si fa capire da tutti e oggi questo è fondamentale. Grazie per le sue iniziative del 2012, l’Anno della Fede e il Sinodo episcopale sulla “Nuova evangelizzazione”: possano, con l’aiuto di Dio, riportare i popoli cristiani a Cristo.
Santità, la mia piccola esperienza di 59 anni di sacerdozio mi ha convinto che nel popolo italiano la fede c’è ed è un buon punto di partenza. Però la società secolarizzata in cui viviamo riduce la fede ad un affare privato, intimo, di cui è bene non parlare. La fede c’è ma spesso conta poco o nulla nella vita: non si prega più assieme in famiglia, non si parla più della fede, della preghiera, si tende a togliere dalla vista ogni segno religioso. Nel 1973, durante la “Rivoluzione culturale” di Mao,  sono andato la prima volta in  Cina. In ogni città chiedevamo alle guide di poter visitare e pregare in una chiesa aperta. Il ritornello di risposta era sempre lo stesso: “La Cina ha imparato a fare a meno di Dio”. Lo Spirito Santo continuava, anche in quei tempi di persecuzione, a lavorare di nascosto nelle anime (e lo si è visto dopo il 9 settembre 1976 quando Mao è morto), ma esternamente la Cina appariva come un immenso regno umano, irreggimentato come un carcere e senza nessun segno religioso. Santità, auguro a lei ed a noi tutti che siamo la Chiesa, che la nostra Europa cristiana non finisca in questa deriva estrema, diseducativa per tutti.
Santità, lei che ha un rapporto diretto con la Trinità e soprattutto con Cristo di cui è Vicario in terra (cioè fino agli estremi confini della terra), mi lasci esprimere ancora un augurio. Come missionario, da più di mezzo secolo viaggio molto in continenti e paesi non cristiani. Quanti miliardi di uomini non conoscono ancora il nome di Cristo! Per noi missionari questa è una sofferenza e credo dovrebbe essere di stimolo a tutti i credenti per ricuperare la fede in Cristo nella propria vita e prendere coscienza che ogni battezzato è missionario. Il dono della fede Dio ce lo dà perché lo conserviamo in noi e per quanto possiamo lo testimoniamo e trasmettiamo agli altri. Invece, la crisi di fede del nostro popolo restringe gli orizzonti dei fedeli.  Perchè portare Cristo ai non cristiani quando lo stiamo perdendo qui da noi? Se gli Apostoli avessero ragionato in questo modo, i loro discendenti sarebbero ancora là in Palestina a discutere e bisticciare con scribi e farisei. La Chiesa è universale perché  missionaria. Auguro a lei di riuscire, con l’aiuto di Dio e la collaborazione di tutti noi, a ridare slancio missionario al Popolo di Dio, perché tutti i popoli hanno bis5ogno di Cristo, in quanto senza di lui non c’è vero umanesimo.

Piero Gheddo
Missionario del Pime, Milano

Auguri di risorgere con Cristo

Fra pochi giorni è Pasqua, la festa della nostra fede, il giorno centrale, fondamentale della nostra fede. Noi siamo cristiani, discepoli di Cristo perché Lui è risorto dalla morte. “Se Cristo non fosse risorto”, dice san San Paolo, “vana sarebbe la nostra fede”.  Cosa vuol dire essere cristiano? Credere nella morte e risurrezione  di Gesù il Cristo, che cambia la storia dell’umanità e di ogni uomo e cambia, deve cambiare anche la nostra piccola vita.
Tre livelli di comprensione della Pasqua:

1)  Il livello fenomenologico. La Risurrezione di Cristo è un fatto storico, documentato da molti testimoni. Nessuno è stato testimone oculare della Risurrezione, ma la Risurrezione di Cristo è un avvenimento storico nel senso che è realmente avvenuta nella storia ed è stata testimoniata da molti: il sepolcro vuoto, Gesù risorto che è stato visto e toccato dalle pie donne e dai discepoli: inoltre la storia del cristianesimo e della Chiesa dimostrano che alla radice c’è uno straordinario fatto storico: il Figlio di Dio si è fatto uomo per salvarci dalla morte e da peccato. La Risurrezione non è un mito, una bella favola, ma un fatto che storicamente non si può negare. Altrimenti dovremmo negare l’esistenza di Giulio Cesare e di Buddha, di Maometto e di tanti altri personaggi storici, dei quali rimangono meno testimonianze e documenti che non per Cristo.

2) Il livello della fede. La Risurrezione è anche un fatto misterioso, umanamente inspiegabile. E’ un “mistero della Fede” e richiede la Fede, dono di Dio, per essere compreso e creduto. Oggi noi adoriamo il Signore Risorto e chiediamo a Dio di aumentare la nostra fede in Lui, unico Salvatore dell’uomo e del mondo. L’esempio classico è quello dell’apostolo San Tommaso, che non era presente quando Gesù apparve agli altri apostoli, quindi non credeva che fosse risorto. Ma quando può vedere Gesù e toccare le piaghe delle sue mani e del suo costato, allora  crede che è veramente risorto e dal fatto storico avvenuto passa subito alla fede in Cristo Figlio di Dio: “Mio Signore e mio Dio!”.
Il servo di Dio Marcello Candia ripeteva spesso: “Signore, aumenta la mia fede”. Io gli dicevo che di fede ne aveva tanta, ma  lui rispondeva: “Ricordati Piero, che la fede non basta mai!”. Oggi il mondo moderno secolarizzato, ci porta a “vivere come se Dio non esistesse”. Ma Dio esiste e vive, è risorto per salvarci dal peccato e dalla  morte e cambia la nostra vita.
Quanti vivono senza sapere perché vivono. La loro vita è tutta e solo materiale senza una luce dall’alto che la illumini, senza una missione da compiere, senza una meta da raggiungere! Il pessimismo esistenziale così diffuso oggi tra gli italiani, battezzati al 96%, è diseducativo per i giovani e viene proprio da questo: Cristo risorto, che è segno di speranza e invito a risorgere con Lui non dice più nulla. La fede che forse ancora c’è, non cambia più la vita.
3)  Il terzo livello di comprensione della Pasqua è quello dell’amore e dell’identificazione con Cristo. Non basta credere intellettualmente. Cosa vuol dire credere in Cristo risorto? Vuol dire vivere la vita di Cristo, conoscere e amare Cristo, mettersi seriamente e con gioia sul cammino dell’imitazione di Cristo, per poter sempre più testimoniarlo con la nostra vita. Il dono della fede che ho ricevuto, non mi è dato solo per me, perché lo viva e possa aspirare alla vita eterna con Lui; ma mi è dato per essere luce del mondo, sale per gli uomini, lievito per la società umana.
La Pasqua dà senso alla nostra vita, indica una meta per la nostra esistenza: se Gesù è risorto dalla morte, anch’io risorgerò con Lui. Questa è l’unica e vera novità del cristianesimo. Le altre cose, più o meno, le dicono anche le altre religioni, gli altri profeti e gli altri testi sacri, ma la risurrezione dalla morte per vivere la vita eterna con Dio è una verità che solo Cristo ha rivelato e promesso anche a noi.
Però, com’è difficile questo livello della fede in Cristo risorto, ma com’è consolante e rende autentica e felice la nostra piccola vita. Gesù è risorto affinchè anche noi risorgiamo dalla morte: questa è la speranza cristiana.
E’ difficile perché dobbiamo vivere la vita di Cristo, innamorarci di Cristo, imitare Cristo eliminando il peccato dalla nostra vita, correggendoci dei nostri difetti e cattive abitudini. E’ un cammino che dura tutta la vita e ci mantiene giovani di spirito e di dà l’entusiasmo di vivere in Cristo e con Cristo, facendo del bene.

Ultima riflessione. Un’espressione popolare significativa è questa: si dice “Sono contento come una Pasqua” quando si è commossi per una grande gioia. Cristo risorto è fonte di gioia e di speranza, ci dà uno sguardo ottimistico sulla nostra vita e sul mondo in cui viviamo, cioè ci fa vedere la realtà che ci circonda con gli occhi di Dio. Non più con i nostri occhi, ma con gli occhi di Dio.
Il beato Clemente Vismara, missionario in Birmania per 65 anni, ha condotto una vita quanto mai faticosa e penosa, tra poveri e lebbrosi, carestie e pestilenze, guerriglie e dittatura; ha patito la fame e la sete, si è adattato a cibi ripugnanti, per i primi otto anni di missione dormiva in un capannone di fango e paglia e quando pioveva apriva l’ombrello perché non gli piovesse addosso.
Eppure la gente chiamava Clemente Vismara: “Il prete che sorride sempre”, era sempre contento.  In una lettera scrive: “Noi qui si vive la vita dei poverelli di Cristo, ma si prova contento ed allegria da paradiso e la preoccupazione del domani è relativamente leggera, giacché l’opera non è nostra ed il Signore che ha voluto mandarci qui”. In altra lettera scrive: “L’allegria e la pace non ci sono mai mancati, anzi abbiamo la pretesa di voler sempre vivere da missionari allegri che godono nel sacrificio e nel nascondimento, pregustando già in terra il futuro premio che sarà dato a chi ha abbandonato il padre e la madre nel nome del Signore”.
Il suo nipote Guido, figlio di Stella Vismara in Oberti, gli scrive che il mondo è brutto e lui risponde: “Benchè io viva in un mondo pagano, cioè più brutto di quello in cui vivi tu, ti dico che il mondo è bello e la vita è più bella ancora. Altrimenti a cosa serve la fede?”.

Piero Gheddo