Com’era il Mali prima di Al Qaida

La visita che ho fatto in Mali nel 2006 ha confermato l’opinione comune che il Mali e il Senegal erano i due paesi migliori dell’Africa occidentale. Ne scrivo per far capire come l’arrivo di Al Qaida e la guerra dell’estremismo islamico contro quello moderato sta procurando danni enormi a questo paese di gente pacifica, accogliente, tollerante. Il mondo moderno, o meglio la cultura dominante nel mondo moderno, secolarizzata e materialista, ha messo in crisi l’islam in una misura abnorme. Basti dire che le guerre e i terrorismi presenti oggi nel mondo sono quasi tutti causati dalla reazione di minoranze islamiche al mondo moderno che, nel tempo della globalizzazione, avanza ovunque e porta gli uomini e i popoli lontani da Dio. Noi cristiani cerchiamo di reagire ritornando a Cristo e al Vangelo. Per i fedeli dell’islam questo è molto più difficile, di qui la reazione delle minoranze fanatiche di usare “la violenza per Dio”, “la guerra santa per Dio”.

In Mali sono stato ospite dei Padri Bianchi e ho potuto visitare varie realtà del paese al 90% islamico, i cristiani sono piccola minoranza del 3-4%. Dal 1991 il Mali è un paese democratico, con libere elezioni e alternanza al potere, libertà di stampa, pluralismo politico, libertà religiosa, islam molto tollerante. E’ un paese povero, con poche risorse naturali, i 15 milioni di abitanti hanno un reddito medio pro capite di 669 dollari Usa, analfabetismo al 68,9%, un medico e un posto letto in ospedale ogni 10.000 abitanti (in Italia uno ogni 300). Il Mali è esteso 1,5 milioni di kmq, cinque volte l’Italia, attraversato dal grande Niger e diviso praticamente in due parti: il Sud più piccolo e più evoluto, è territorio di steppa e foresta, il grande Nord è in buona parte desertico è abitato da popoli nomadi e pastori, fra i quali si è diffusa l’ideologia di Al Quaeda. Il 22 marzo 2012 un colpo di stato militare ha destituito il governo e sospeso la Costituzione, prendendo a pretesto la difficile situazione nel Nord del paese, dove la ribellione tuareg (gli “uomini blu” del Sahara), sostenuta dai movimenti islamisti e fondamentalisti aveva preso il controllo della parte nord del paese. Nei mesi seguenti, il governo è tornato ai civili, ma anche per la debolezza dell’esercito nazionale i ribelli sono avanzati e stavano per occupare la capitale Bamako, quando il 14 gennaio la Francia è intervenuta a fermare la loro avanzata e il 28 gennaio francesi e maliani hanno rioccupato Timbuktu in pieno deserto, una città catalogata dall’Unesco tra i luoghi “patrimonio dell’umanità” per le sue biblioteche con decine di migliaia di testi antichi dell’islam, ben custoditi nel caldo secco del deserto.

Mi ha accompagnato il milanese padre Arvedo Godina di Barzanò (in Mali dal 1968), dei “Missionari d’Africa” (o Padri Bianchi), direttore del catechistato di Ntonimba, vicino a Kati, che mi diceva: “I cristiani in Mali sono circa il 3%, ma la Chiesa ha la grande stima del popolo e delle autorità. Quando sono arrivato nel 1968 avevamo sette preti maliani e un solo vescovo, mons. Sangaré, di origine maliana. Oggi 120 preti maliani e tutti i sei vescovi sono maliani. La Chiesa fa sentire la sua voce con autorità in tutti i settori della vita pubblica. Quando è morto Sangaré, l’11 febbraio 1998, il governo ha fatto i funerali nazionali nello stadio di Modibo Keita.

– Ci sono anche conversioni dall’animismo?

– Ogni anno nelle parrocchie sono dai 30 ai 50, anche 70 battesimi di adulti a Pasqua. Ci sono zone più cristianizzate, ad esempio la diocesi di San dove ci sono i Bobo, una etnia che ha scelto il cristianesimo e hanno parecchie vocazioni. Abbiamo anche conversioni di musulmani, Ho avuto un catechista che per 13 anni ha insegnato il Corano in una scuola coranica, poi ha conosciuto la carità dei cristiani e è diventato cristiano. E’ venuto da noi e ha fatto tre anni di formazione per diventare catechista.

– Ma quando succedono queste conversioni, le famiglie e il villaggio non protestano?

– No, l’islam maliano è molto tollerante, L’idea comune è che ciascuno da adulto sceglie la religione che vuole. Le conversioni dall’islam, in genere tra gli studenti e professionisti, non sono molte, ma non suscitano reazioni esono fatte alla luce del sole. Il segretario della commissione episcopale per la catechesi si chiama Luigi Mamadou Tounkara, era già sposato, poi si è fatto cristiano e porta i due nomi, Tutti sanno che lui era musulmano. Si è convertito da adulto quando era già maestro e anche adesso si firma con i due nomi.

– Quindi in Mali non c’è l’estremismo islamico?

– L’islamismo estremista tenta di nascere a Bamakò, ma non ha seguaci. Poco tempo fa un gruppetto di questscritto una lettera di protesta perchè il presidente aveva messo delle statue nelle piazze per abbellire la città: elefanti, bisonti, ippopotami, leopardi, e poi uomini politici e la lettera diceva che questo non è permesso dall’islam. La gente rideva. In Africa occidentale l’islam è quello delle confraternite come la Tijania, che sono movimenti spirituali, nati da capi carismatici per portare il popolo a Dio. Ci sono confraternite che hanno uno spirito molto vicino a quello di San Francesco d’Assisi. Ad esempio la Tijania che è la maggiore predica bontà, tolleranza verso l’altro, amore agli animali, presenza di Dio in tutte le cose e in tutte le persone. La stima delle scuole cattoliche e dei dispensari delle suore è così grande, che quando abbiamo aperto il seminario minore a Kulikoro si è sparsa la voce che la Chiesa apriva una scuola privata per seminaristi, ma la gente non sapeva chi sono i seminaristi. Un capo musulmano è venuto da me e mi ha detto: “Io vorrei iscrivere mia figlia a questa scuola”. Gli ho detto che la scuola era solo per seminaristi e lui ha risposto: “Non importa, se volete che mia figlia faccia la seminarista, è pronta a tutto pur di entrare nella vostra scuola”. Quando il card. Giacinto Thiandum arcivescovo di Bamakò ha dato le dimissioni per limiti di età c’è stata una commissione di capi islamici che è andata a Roma, in Vaticano, per chiedere al Papa che rimanesse perché “è stato promotore di unità nazionale e di comprensione fra cristiani e musulmani”.

– Ma non ci sono tentativi di portare in Mali l’islam estremista?

– Gheddafi ha dato i soldi per fare la televisione di stato del Mali e quando c’è stata l’inaugurazione Gheddafi è stato invitato e ha detto nel suo discorso: “Questa televisione servirà per diffondere l’islam in Mali”. Partito Gheddafi, subito il governo ha emanato una dichiarazione in cui diceva: “La televisione è un servizio statale a tutto il popolo maliano, quindi è per tutti, non solo per i musulmani”. Un’ora alla settimana parliamo noi cristiani, mezz’ora al mercoledì e mezz’ora la domenica. La cappella del campo militare di Kat è proprio vicino alle mura del campo militare, si vede anche all’esterno. Abbiamo messo una grande croce che si vede anche da lontano. E’ venuto da me un vecchio saggio musulmano che mi ha detto: “Hai fatto bene a mettere quella grande Croce. Voi siete cristiani e noi musulmani, ma anche la Croce richiama la presenza di Dio nella nostra società. Questa chiesa onora tutto il quartiere”. E quando c’è stata l’inaugurazione, è venuto anche il capo dei musulmani di Kati che era col vescovo cattolico, a partecipare alla festa.

– Cristiani e musulmani collaborano per il bene pubblico?

– Un esempio recente. I musulmani hanno fatto una piccola moschea nel villaggio di Ntonimba dov’è il catechistato, che possiede 50 ettari di terreno in buona parte forestale, regalatoci del villaggio. I musulmani sono venuti a chiedermi gli alberi per costruire le impalcature per fare la moschea. Io ho dato tutti gli alberi necessari e mi hanno ringraziato. L’anno dopo i cristiani hanno deciso di rifare la loro cappella, i giovani musulmani sono venuti ad aiutare i cristiani a fare i mattoni e poi per i lavori della cappella.

– Il governo come tale appoggia l’islam?

– Nel governo sono tutti musulmani, ma la costituzione è laica. Io vado tutte le settimane nelle carceri di Bamako e il direttore delle carceri voleva darmi una stanzetta per fare una cappella per quei pochi cristiani che sono in carcere. Sono andato a ringraziarlo e mi ha detto: “Padre non deve ringraziarmi, abbiamo dato un posto all’interno della prigione per la preghiera dei musulmani ed era giusto che dessimo un posto anche alla preghiera dei cristiani”. Dopo qualche anno, il governo mi ha nominato cappellano di tutte le carceri del Mali. Posso entrare ovunque. E’ la prima volta che una nomina del genere non la fa il vescovo, ma un governo fatto tutto da musulmani!

Durante la guerra del 1991 avevano bruciato la macchina del grande imam amico del presidente militare, e lui aveva ricevuto minacce di morte. Allora l’arcivescovo Sangaré di Bamako ha mandato a dirgli: “Se si trova in pericolo, venga a casa mia, perché la mia casa è la sua casa. Qui da me sarà al sicuro”. L’imam si è rifugiato nella casa del vescovo e da allora i rapporti fra cristiani e musulmani sono stati ottimi. Ai funerali di Sangaré il grande capo musulmano ha dato la sua testimonianza sull’amicizia profonda fra il vescovo e i musulmani. In Africa la cosa più importante sono le relazioni umane. Quando tu tratti bene gli altri, non ti metti sopra di loro ma al loro fianco, quando aiuti e saluti tutti, allora ti trovi come a casa tua.

Piero Gheddo

 

Confienza: in Italia la fede c'è

Nella marea di notizie negative che ci sommerge ogni giorno, fa bene sentire che nella nostra Italia ci sono parrocchie che per motivi storici e attuali hanno conservato una fede autentica e lo dimostrano in tanti modi. I buoni esempi vanno conosciuti. Domenica 20 gennaio sono stato a Confienza in Lomellina (provincia di Pavia e diocesi di Vercelli), invitato dal parroco don Roberto Tornielli per celebrare l’Anno della Fede. Una domenica di neve e gelo umido, per me molto faticosa, ma sono tornato a Milano alla sera col cuore pieno di gioia e di riconoscenza a Dio e pregando affinchè l’esempio di questo piccola comunità italiana possa essere esemplare per tante altre. Pubblico questo articolo che mi ha mandato un amico padre di due figli, che sta seguendo i corsi per diventare diacono della diocesi di Vercelli ed è venuto a prendermi ed a riportarmi a Milano con la moglie Anna Racca, insegnante nelle scuole di Confienza. Piero Gheddo

 

Confienza, gennaio 2013

La domenica scorsa, 20 gennaio, è stata caratterizzata da una presenza importante nella nostra comunità: padre Piero Gheddo, cogliendo l’invito del parroco don Roberto Tornielli e di alcuni parrocchiani è venuto tra noi a celebrare l‘Anno della Fede: una giornata di spiritualità e di incontri nella nostra parrocchia. Il nostro piccolo centro con i suoi 1700 abitanti ha da sempre radici agricole e con il trascorrere degli anni, pur soffrendo l’ abbandono delle comunità rurali nelle cascine, non ha perso la sua economia agricola di base, con in più la presenza di un paio di aziende del settore chimico. Avere tra di noi un missionario e giornalista così conosciuto (i suoi genitori Rosetta e Giovanni sono in cammino per la Beatificazione) ha messo in moto una macchina organizzativa che ha coinvolto l’intera comunità sia parrocchiale che civile, compresi il Comune e le scuole elementari e medie. Alla S. Messa, solennizzata dalla corale e da una schiera di chierichetti e chierichette, padre Piero ha parlato della Fede con passione e ha insistito nel dire che la fede va vissuta amando il Signore Gesù e diventando a poco a poco più simili a lui, perché tutti siamo chiamati alla santità; e a diventare missionari nella nostra Italia, specie in questo anno della “Nuova evangelizzazione”. Ha commosso i fedeli raccontando alcuni esempi della sua vita missionaria e dei suoi genitori.

Nel pomeriggio in oratorio, il salone era pieno di bambini e ragazzi, maschi e femmine, alla presenza del sindaco e di numerosi genitori e adulti, padre Piero ha risposto alle domande che gli alunni delle scuole avevano preparato, sulle sue visite alle missioni e sulla vocazione missionaria. L’entusiasmo è stato grande perché, com’è noto, i bambini e i giovani sono persone semplici e sensibili ai nobili ideali del Vangelo e hanno grandi potenzialità di fare il bene! Il nostro oratorio gode di una presenza costante di bambini e ragazzi, che culmina durante il centro estivo raggiungendo la presenza di un centinaio di ragazzi. Ci siamo assicurati che padre Piero ritorni a Confienza per il Centro estivo di quest’anno.

Da circa vent’anni la nostra parrocchia è stata coinvolta e guidata da don Roberto (che ha celebrato da poco i 25 anni di sacerdozio) nella ristrutturazione delle Chiese presenti nel comune (ben 3!), della casa parrocchiale e dell’oratorio che erano in condizioni pietose. La fede del popolo di Dio di Confienza è anche dimostrata dalla partecipazione di volontariato manuale per queste ristrutturazioni in tutte le sue fasi e dall’aiuto economico alla parrocchia per le ingenti spese sostenute senza fare debiti! In un piccolo centro agricolo come il nostro di 1700 abitanti è un risultato non da poco. Il nostro arcivescovo di Vercelli (vicina a Confienza), mons. Enrico Masseroni, durante i lavori veniva spesso a farci visita, per ringraziarci e segnalare alla diocesi un esempio di collaborazione dei fedeli alla parrocchia.

In paese si respira una partecipazione attiva alla vita parrocchiale: il gruppo delle catechiste non solo svolge il compito primario di catechesi, ma coinvolge i bambini nella Liturgia in veste di chierichetti; e c’è una bella sinergia tra parrocchia e Comune in molte iniziative a favore del popolo. Le più rilevanti processioni per le vie del paese sono un richiamo ala fede: Corpus Domini, Immacolata, il Santo Patrono Lorenzo; numerose sono inoltre le varie occasioni di preghiera comunitaria comprese le Rogazioni! La nostra storia recente dimostra l’importanza dei laici che collaborano con la parrocchia, ma anche del parroco, che vive in canonica col papà e la mamma, che anima i fedeli e le famiglie. Padre Piero al termine della sua visita ha così portato con sé il ricordo di una comunità viva, dove pur essendo presenti situazioni familiari di disagio, anziani soli od ammalati ai quali don Roberto con la sua presenza costante e partecipe porta conforto, si respira un’ aria ancora sana e intrisa di spirito evangelico.

Alberto Zanada

 

 

Mali: come fermare l’estremismo islamico?

La situazione in Mali diventa sempre più pesante e dall’esito incerto. Si teme una nuova guerra dell’Afghanistan, che dopo dieci anni tiene ancora impegnati circa 20.000 militari dell’Occidente. L’11 novembre 2012 gli Stati membri della Comunità economica dell’Africa Occidentale (Ecowas) avevano deciso di mandare una missione militare panafricana per liberare le regioni settentrionali del Mali dai gruppi jihadisti. Ma solo il rapido e coraggioso intervento francese ha bloccato l’avanzata degli estremisti islamici verso la capitale Bamako; che però ha avuto una risposta tragica con l’attacco dei ribelli all’impianto petrolifero di Amenas nel deserto algerino ai confini con la Libia e il massacro di ostaggi occidentali.

Il 17 gennaio il vescovo del Sahara, mons. Claude Rault di Laghouat-Ghardaia (Algeria), ha mandato ai suoi fedeli un messaggio nel quale esprime «solidarietà alle popolazioni, agli operai della base di Amenas e agli ostaggi e assicuro il sostegno della mia preghiera e di quella di tutti i membri della nostra diocesi”. Poi aggiunge: “Questa violenza non ha nome, è cieca, inaccettabile, ingiustificabile perché tocca degli innocenti. La riproviamo con tutta la forza delle nostre convinzioni umane e religiose. Dio non vuole la violenza. Non può esserne sorgente e giustificazione. Non facciamo quindi ricadere sui nostri amici musulmani il peso di tali misfatti. Anche loro fanno parte delle vittime. Preghiamo il Dio della Pace che venga a guarire le piaghe vive di chi è nel dolore e nella pena. Che accolga a sé le vittime e rimetta sul retto cammino chi pensa di onoralo commettendo tali orrori”.

Il vescovo del Sahara ha detto bene e non poteva dire altro. Ma noi ci chiediamo: possibile che solo fra i popoli musulmani nascano così tante guerre, guerriglie, terrorismi, violenze contro l’uomo e la donna, violazioni dei diritti dell’uomo, separatismi violenti nei paesi in cui gli islamici sono minoranza? Verissimo quanto dice mons. Claude Rault: “Non facciamo ricadere sui nostri amici musulmani il peso di tali misfatti. Anche loro fanno parte delle vittime”. I missionari che vivono in paesi islamici lo confermano: la grande maggioranza dei musulmani sono come tutti gli altri uomini: amano la pace, la libertà, il benessere, la cordialità nel rapporto col prossimo, l’accoglienza, la solidarietà, ecc. Però come mai questa maggioranza non viene mai alla ribalta?

Inutile nasconderlo. Il mondo intero, e in particolare l’Occidente cristiano, si trova a dover fronteggiare un pericolo più grave di quando dall’altra parte c’erano una trentina di paesi a regime comunista, che volevano conquistare il mondo e diffondere la loro ideologia a tutti gli uomini. Ma il fanatismo religioso è peggiore del fanatismo ideologico, che quando è sconfitto dalla storia si sgonfia. Dopo la caduta del Muro di Berlino, nessuno più ama essere ricordato come comunista. Che fare? Nessuno ha la ricetta decisiva, però si possono esprimere tre passaggi:

1) L’esperienza degli ultimi vent’anni insegna che la guerra non risolve questo problema, anzi lo peggiora, perché favorisce la diffusione della “guerra santa”;

2) Perché nei giornali e radio-televisioni, nei circoli culturali, nelle università non si approfondisce la conoscenza dell’islam, il dibattito con i musulmani in Italia: cosa l’islam può insegnare all’Occidente e come deve cambiare per entrare nel mondo moderno? Sono temi tabù e non si capisce perché, mentre penso che si dovrebbe portare il dibattito a livello popolare. Nella famosa conferenza di Ratisbona (settembre 2006) Benedetto XVI aveva tentato un dialogo con l’islam, ponendo con chiarezza i temi da discutere, ma nessuno l’ha seguito. In Italia i musulmani erano 100.000 nel 1990, oggi sono certamente più di due milioni,che vivono in gran parte separati dagli italiani. E’ giusto e umano questo?

3) Infine è sempre valida la saggia risposta che mi diede nel 1982 in Pakistan mons. John Joseph vescovo di Faisalabad, che poi morì martire in una stazione di polizia (aveva protestato contro la discriminazione dei cristiani), al quale avevo chiesto quel che molti si chiedono: cosa fare per fermare l’estremismo islamico? Risposta: “Sono nato in Pakistan da genitori cristiani, ma ho studiato e conosciuto l’islam, sono vissuto con molti musulmani amici. Per me l’islam rimane un mistero. L’unica cosa certa è questa: dobbiamo pregare e pregare molto, perchè solo Dio penetra nel cuore degli uomini, e solo lui può fermare questa ideologia di odio e di violenza”.

Piero Gheddo

Con le suore di Madre Teresa in Amazzonia

L’Amazzonia brasiliana è estesa 14 volte la nostra Italia, abitata da circa 18 milioni di abitanti quasi tutti cattolici, con una quarantina di diocesi. Parintins è una di queste, fondata dai missionari italiani del Pime nel 1955 e ancor oggi con un vescovo italiano, mons. Giuliano Frigeni. La parrocchia di Barreirinha (a 250 km. da Manaus) ha 30.000 abitanti ed è estesa più della Lombardia, tutta sui fiumi e tra foreste ancora secolari, sebbene il pericolo di una deforestazione selvaggia è sempre presente. Ho già raccontato di come il parroco, padre Piero Belcredi, è riuscito finora a frenare il progetto che una compagnia brasiliana aveva fatto approvare dal governo di deforestare vaste regioni della “riserva” degli indios Sateré-Mawe per fare piantagioni di soia (Blog del 30 novembre 2012).

Padre Pietro Belcredi, parroco dal 1996, ha creato una vera comunità cristiana nella sua parrocchia (o missione), la cittadina centrale dove lui risiede con circa 10.000 abitanti, e poi una sessantina di villaggi dispersi lungo i fiumi (42 con cappelle in muratura). L’apostolato è fatto quasi tutto da laici da lui formati e animati: catechisti, ministri della Parola, ministri dell’Eucarestia, guide della preghiera, laici impegnati in tanti campi: carità, ammalati, giovani, baraccati, “dizimo” (la tassa per la Chiesa in uso in Brasile), Rosario nelle famiglie, feste del Patrono (ogni chiesa o cappella ha il suo), amministrazione, costruzioni, ecc. La parrocchia è un cantiere in perpetuo movimento, padre Belcredi è contento dei suoi cristiani, che rispondono bene alle sue cure (Vedi Blog del 10 e 15 dicembre 2012). Dice. “Il Signore mi ha aiutato ad animare e impegnare i laici. Il mio compito principale è nei corsi di formazione dei circa 600 collaboratori laici e poi mi fido di loro e dello Spirito Santo”.

Però aggiunge che il vescovo gli ha mandato quattro suore di Madre Teresa che sono “la più grande benedizione che il Signore mi ha dato, anzitutto per la loro preghiera. Pregano per 4-5 ore al giorno, Messa, adorazione eucaristica, Rosario, meditazione, lettura spirituale, ecc. Debbo dirlo: hanno messo in riga anche me e ne sono contento; ad esempio, mi hanno convinto a mettere l’adorazione eucaristica tutti i giorni nella nostra “cattedrale”, come la chiama la gente. All’inizio venivano in pochi, adesso la chiesa a poco a poco si riempie, poi alla fine c’è la Messa. Quando andiamo assieme in barca a visitare villaggi e ci stiamo sopra alcuni giorni, preghiamo assieme, portano il Santissimo e facciamo l’adorazione sulla barca. Dalle 14 alle 15 facciamo assieme un’ora di adorazione. Fermiamo la barca attaccandola ad un albero e devi vedere che non ci sia un serpente che viene su oppure le formiche rosse, e poi facciamo l’adorazione eucaristica. E’ bellissimo, un momento speciale di commozione, in quella natura che ti ricorda la creazione del mondo! Abbiamo barche di 13 metri per 3,50-4, con stanzette.

Chiedo a padre Piero che lavoro fanno le suore. “Primo l’esempio della povertà che non è solo la scelta dei poveri più poveri. In casa loro, ancora adesso non hanno Tv, radio, cellulare, aria condizionata e nemmeno il ventilatore (col caldo che fa in Amazzonia!). Ce l’hanno ma lo usano quando vado a dire Messa da loro. Non vogliono compensi per i servizi che rendono in parrocchia, vivono proprio di carità . E’ proibito a loro di ricevere compensi. Un sistema di vita che fin dall’inizio mi ha impressionato. Ricevono offerte perché quattro volte la settimana fanno il minestrone per i poveri e danno da mangiare a circa 150 ragazzi e sono pranzi buoni. Hanno questa tradizione di visitare le famiglie una per una. Prendono contatto con tutte, conoscono i loro problemi, fanno pregare, creano in parrocchia un clima di amore vicendevole e di servizio ai poveri e alla parrocchia. Sono quattro, due indiane, una brasiliana e una africana, in casa parlano l’inglese. E fanno moltissima cose. A volte mi stupisco di quanto riescono fare.

“Un grande aiuto in parrocchia lo danno i movimenti e le associazioni, che curano la formazione continua dei laici impegnati in parrocchia. Le suore di Madre Teresa seguono l’associazione dell’Infanzia missionaria (Pontificie opere missionarie), hanno 160 ragazzi e poi l’impegno di preparare al battesimo, alla cresima, alla comunione e al matrimonio gli adulti che sono fuori tempo o che si convertono. Ma soprattutto sono il sale della parrocchia, tutti sanno che vita fanno e ne sono ammirati. Loro portano Dio e seguono il gruppo vocazionale. Io ho 18 giovani e ragazze che vorrebbero farsi preti e suore e le suore di Madre Teresa li seguono. Poi ho tre che stanno preparandosi per fare i diaconi permanenti. Nella mia parrocchia c’è un buon movimento per le vocazioni. Ho quattro seminaristi di filosofia e quattro di teologia e diverse ragazze che diventano suore. Poi le suore seguono bene i catechisti. Loro non accettano alcuna responsabilità, ma collaborano sempre, fanno parte del Consiglio pastorale parrocchiale. Hanno uno spirito francescano, sono persone semplici, umili, alla mano con tutti. E poi una caratteristica alla quale Madre Teresa teneva molto è la gioia. Se tu oggi non ti senti di uscire, di fare un lavoro, stai in casa e riposa. Quando vai in giro devi testimoniare Cristo con la gioia di vivere e di lavorare per Lui. Infatti sono sempre sorridenti, accoglienti”.

Nella tua parrocchia ci sono protestanti e le sette? “Sì, tanti fedeli di Chiese e di sette, adesso ci attaccano parecchio perché l’influsso della parrocchia è forte ovunque, abbiamo anche una radio e una trasmissione televisiva parrocchiale, collegate con la radio diocesana “Alvorada” e la Tv cattolica del Brasile. Abbiamo anche tante conversioni alla Chiesa cattolica. Avendo molti contatti con tutte le famiglie, a quelle che sono incerte, poco praticanti o protestanti noi lo diciamo chiaro, con rispetto ma chiaramente. “Voi siete su una strada sbagliata”. Non sono loro che vengono a cercare noi, ma siamo noi, come il buon Pastore; che va alla ricerca della pecorella smarrita”.

Quanti sono gli indios della parrocchia? “Circa i due terzi del territorio parrocchiale sono una “riserva” degli indios Sateré-Mawe che sono 10.000. Con me c’è un giovane prete diocesano, don Rivaldo, che è praticamente sempre tra gli indios, dove in passato padre Enrico Uggé (che adesso è superiore del Pime a Parintins) ha creato la scuola agricola-tecnica “San Pedro”, che è il punto di riferimento per gli indios. Qui vive don Rivaldo che visita i villaggi portando il Vangelo, ma anche aiutando il governo nella sua opera di convinzione e finanziando anche gli indios, affinchè rimangano sul posto e non emigrino ad esempio a Manaus attirati dalle luci della grande città, perché finirebbero nelle baraccopoli a fare la fame”.

Piero Gheddo

Le suore e la liberazione della donna in India

Nel dicembre scorso è scoppiato in India, e poi rimbalzato sulla stampa italiana, il crimine odioso delle numerose donne vittime di violenze sessuali nell’arco di pochi giorni, a volte di una crudeltà disumana come lo stupro di una bambina di sette anni. Pare che queste violenze siano in aumento nelle città indiane, ma questa volta le donne hanno reagito organizzando imponenti manifestazioni contro queste violenze, delle quali la politica e la giustizia indiane sottovalutano la gravità. Leggendo queste notizie ho ripensato alle lettere che i missionari del Pime, in India dalla metà dell’Ottocento, scrivevano descrivendo la semischiavitù della donna indiana e come l’entrata delle suore missionarie nel paese abbia segnato l’inizio di un cammino di istruzione e redenzione di quest’altra metà della società indiana.

Oggi nessuno più ricorda che in India il riscatto della donna è venuto dopo che le missioni cristiane (cattoliche e protestanti) hanno iniziato il loro lavoro sociale e le suore cattoliche hanno accolto nelle loro scuole le prime bambine che venivano scolarizzate. In genere, nelle culture non cristiane (in Asia e Africa) la liberazione della donna è iniziata con l’annunzio del messaggio evangelico. In India, ben prima della colonizzazione inglese (iniziata nel 1876), che ha poi fatto leggi in favore delle donne, c’erano già le suore che lavoravano per la promozione femminile e le prime comunità cristiane che davano esempi concreti di cosa vuol dire dare alla donna l’educazione e la libertà di crescere come persona, al pari degli uomini.

Ma non si tratta solo di scuola e di diritti umani primari. In India ho sentito spesso ripetere che, a parità di condizioni, le ragazze cristiane sono più desiderate, più richieste per moglie delle altre, perché hanno una formazione diversa che le rende mogli più gradite e più utili al marito e alla famiglia.

Le prime suore italiane, quelle di Maria Bambina, sono state chiamate in India dai missionari del Pime, che erano in Bengala e in Andhra Pradesh dal 1855. Padre Albino Parietti scriveva nel 1858 a mons. Marinoni direttore del nuovo istituto missionario a Milano, che sperava prossimo l’arrivo delle suore, perché “senza di loro, tenere aperte scuole regolari per le bambine sarebbe impossibile, le religioni locali (induismo e islam) non le vogliono. Bisogna incominciare “insegnando lavori femminili… prima di urtare così forte contro le persuasioni, facendo una scuola”; e aggiunge: “Le donne della religione braminica sono obbligate all’ignoranza ed è loro proibito leggere e scrivere”. Questo cose in India si sanno e il fascino del cristianesimo viene anche da questo fatto storico: le missioni cristiane sono state le prime ad elevare le donne e le categorie più sfortunate del popolo indiano, i fuori casta (paria), le basse caste, i tribali.

Piero Gheddo