Papa Francesco realizza la Teologia della Liberazione

Nel mezzo secolo dopo il  Concilio Vaticano II, la “Teologia della Liberazione” è stata una delle novità più discusse e contestate nelle Chiese latino-americane e anche in Europa, suscitando appassionate adesioni e radicali condanne. Eppure, in fondo, mirava a nient’altro che quanto Papa Francesco ha sintetizzato in una delle sue espressioni icastiche: “Voglio una Chiesa povera per  i poveri”, che, giorno dopo giorno, cerca di far vedere con i suoi gesti e i suoi discorsi e omelie, senza preoccuparsi di teorizzare e spiegare tutto. Come mai allora la Teologia della Liberazione suscitava, e suscita ancor oggi, tanti contrasti, tanti allontanamenti dalla Chiesa e tante chiusure? Una delle ultime è il decreto della Santa Sede che nel giugno 2012 ha proibito alla Pontificia Università cattolica di Lima di fregiarsi dei titoli di pontificia e cattolica. L’ateneo ha “sistematicamente disubbidito alle indicazioni della S. Sede… ed era diventato un lupo travestito da pecora nella Chiesa locale, come centro di diffusione delle peggiori dottrine rivoluzionarie”.

La TL ha avuto due precedenti: la nascita del Celam (Consiglio episcopale latino-americano) a Rio de Janeiro nel 1955, la “Gaudium et Spes”  del Vaticano II e la seconda Assemblea del Celam a Medellìn in Colombia nel 1968. Ma è nata con questo nome col volume del teologo peruviano don Gustavo Gutierrez “Teologìa de la Liberaciòn” pubblicato nel 1971, che denunziava il sottosviluppo dei popoli latino-americani, causato soprattutto dalla dipendenza e  dallo sfruttamento delle loro ricchezze da parte dei paesi ricchi; e dava una nuova visione della teologia, il cui oggetto non era più la dottrina, ma la riflessione critica della situazione di miseria in cui vivevano gran parte dei popoli latino-americane. E orientava la Chiesa verso una “pastorale di liberazione”, superando una prassi intimistica della formazione cristiana e aprendola alla coscientizzazione dei fedeli e all’azione per trasformare la società nel senso di una maggior giustizia sociale.

Non è facile sintetizzare in poche righe una multiforme corrente di pensiero che ha avuto negli anni settanta e ottanta una vasta penetrazione nelle Chiese e nei popoli latino-americani, suscitando dibattiti e divisioni. Le due Istruzioni della Congregazione per la Fede: “Sulla Teologia della liberazione” (1984) e “Libertà cristiana e Liberazione” (1986) e le due Assemblee del Celam, Puebla (Messico 1979) e Santo Domingo (1992) hanno calmato le acque e portato ad un nuovo cammino, di cui il provvidenziale Papa Francesco è l’espressione attuale che rende tutti concordi ed entusiasti (speriamo che duri) della svolta che sta provocando nella Chiesa.

Per capire il valore attuale di Papa Francesco, dopo il Papa condottiero che ha proclamato il Vangelo a tutti i popoli e il Papa professore che ha espresso in modo chiaro, preciso, comprensibile a tutti i contenuti dell’unica ricchezza che abbiamo: Gesù Cristo, bisogna spiegare i due aspetti contrastanti della Teologia della Liberazione, uno negativo e uno positivo e si sentiva l’urgenza di una sintesi benefica per la Chiesa universale:

1) L’aspetto negativo è contenuto nel titolo del primo documento segnalato: “Gravi deviazioni ideologiche che tradiscono la causa dei poveri”. La TL aveva adottato l’analisi marxista della realtà sociale e l’Istruzione del card. Ratzinger spiega che, per quante acrobazie facciano alcuni patetici filosofi e teologi, il nocciolo del pensiero marxista è irriducibilmente ateo e perciò si oppone radicalmente al messaggio di Gesù Cristo.Troppo lungo spiegare perchè, ma è stato dimostrato da non pochi credenti e comunità cristiane che, adottando la TL, hanno abbandonato Cristo e la sua Chiesa. Come lo dimostrano anche i popoli “liberati” da regimi prodotti da quella ideologia, che hanno tutti fallito e i popoli, appena possono, se ne liberano.

 

2) L’aspetto positivo è che l’opzione preferenziale per i poveri da parte della Chiesa, come la libertà e la liberazione dei popoli sono e debbono sempre più diventare prassi cristiana, che fa parte integrante della vita secondo il Vangelo; la seconda Istruzione del card. Ratzinger esorta i credenti a impegnarsi per i poveri, i sofferenti, gli ultimi, gli oppressi, proprio a partire dalla fede in Cristo e secondo l’esempio che ne ha dato Gesù. Il compito della Chiesa nel mondo contemporaneo, in questa Istruzione, è ampiamente positivo e coraggioso, lontano da ogni anatema. Indica un cammino che Papa Francesco sta indicando gradualmente col suo esempio. Per concludere, la Teologia della Liberazione, con tutti i suoi gravi errori e danni provocati, in un quadro storico del cammino ecclesiale finisce per essere fortemente positiva. Oggi ci resta solo di seguire, pregare e obbedire alle indicazioni che lo Spirito Santo dà alla Chiesa attraverso l’opera e la parola di Papa Francesco. Con lui il continente latino-americano, “speranza della Chiesa” (così Pio XII nel 1955), viene alla ribalta per insegnare qualcosa a noi, cristiani da duemila anni, ma in forte crisi di fede e di vita cristiana.

Piero Gheddo

Camminare insieme con Papa Francesco

L’entusiasmo per Papa Francesco, si è diffuso ovunque in modo mirabile. Basta accennare al Papa argentino e subito le reazioni positive sono molte. In un negozio di materiale elettrotecnico e per i computer, siamo soli e l’amico al banco delle vendite mi chiede se sono contento di Papa Francesco. Rispondo:

Contentissimo! Lui viene da una Chiesa fondata dai missionari ed è egli stesso un Papa missionario, nel senso che i suoi atteggiamenti e le sue parole riflettono bene lo spirito e l’azione dei missionari là dove nasce la Chiesa e spero che porti una ventata di novità evangelica nella nostra Chiesa che soffre una grave crisi di fede.

Ma Papa Francesco ha detto che la Chiesa deve convertirsi.

Certo, dobbiamo tutti convertirci a Cristo e alla vita secondo il Vangelo

Ma io parlo della Chiesa al maiuscolo, cioè la Curia romana, i Vescovi e quelli della casta dirigente, non parlo dei parroci e dei preti in mezzo alla gente e nemmeno dei missionari.

Caro amico, non c’è una chiesa minuscola e una Chiesa maiuscola, siamo tutti Chiesa allo stesso modo, ciascuno secodo le sue responsabilità e il posto che occupa. Certo chi sta più in alto ha responsabilità maggiori, ma Papa Francesco chiede a tutti la conversione, perché siamo tutti uomini santi e peccatori e tutti diamo una immagine del cristianesimo con la nostra vita e le nostre parole. Anche noi missionari e i parroci dobbiamo convertirci.

Non mi convinci perché è la Chiesa dirigente e la sua casta che danno una cattiva immagine di sé, per esempio la Curia romana…

Ma ti rendi conto che ti sei formato questa “cattiva immagine” della Curia romana da quel che ne dicono i giornali e la televisione? E lo sai che queste fonti sono spesso inquinate quando parlano della Chiesa? Lo sai che ci sono giornali, e non dei minori, che quando, a torto o a ragione, possono dir qualcosa di male della Chiesa e dei preti suonano le trombe e fanno rullare i tamburi? Oggi tutti applaudono Papa Francesco, certo perché se lo merita e ne sono contentissimo, ma quando incomincerà a dire che l’aborto è un omicidio e che condanna il “matrimonio” fra i gay, vedrai che allora diranno che anche lui è arretrato, conservatore e incominceranno a trovarci tutti i difetti e i limiti possibili.

Ma i preti pedofili e i “corvi” del Vaticano non sono una invenzione dei giornali.

Hai ragione, chi nella Chiesa ha responsabilità e apparenza maggiori deve imitare Cristo con più forte impegno e preghiera. Se sbaglia un piccolo del popolo se ne accorgono in pochi, se sbaglia chi è salito in alto diventa facilmente uno scandalo mediatico. Ma Papa Francesco ha parlato più volte di “cammino insieme” e di “popolo di Dio”: cioè dal Papa in giù, fino all’ultimo battezzato, noi siamo il “ Corpo mistico di Cristo”, cioè la Chiesa, la famiglia dei fedeli di Cristo e facciamo un cammino insieme, pregando, aiutandoci ed esortandoci a vicenda. Ha anche chiesto di pregare per lui. Questo è un Papa che, spero, governerà la Chiesa in presa diretta con il Popolo di Dio.

Adesso sono d’accordo!

Scusami, ma per andare al concreto, tu sei un cattolico, ma da fratello e prete ti chiedo: vai a Messa alla domenica? Lo dici il Rosario? I tuoi figli pregano ancora?

Ma sai, oggi non abbiamo mai tempo. A Messa qualche volta ci vado, al mattino e alla sera mi faccio il segno della Croce e dico qualche preghierina, il Rosario lo diceva mia nonna e ne ha detti tanti che valgono anche per me. I miei figli sono grandi e vanno per conto loro, ma mia moglie è molto devota, è andata anche a Medjugorie.

Ecco caro amico dove Papa Francesco dice di convertirci! La “preghierina” non basta, bisogna dare a Dio il suo tempo, tornare al Rosario in famiglia. Dio non ha bisogno della nostra preghiera, ma siamo noi che abbiamo bisogno di Dio e se non preghiamo in modo serio e con sacrificio del nostro tempo non ce la facciamo più ad essere buoni cristiani. Anche noi preti, se non preghiamo al minimo due ore al giorno, come preti siamo finiti….

Entra nel negozio un altro uomo che non conosco, ma si mostra subito interessato a quel che stiamo dicendo e la chiacchierata libera va avanti per un po’. Quando esco, ringrazio il Signore che mi ha dato l’occasione di dire e ricevere qualche buona parola, che lo Spirito Santo farà fruttificare.

Piero Gheddo

Francesco, Papa missionario

Mercoledì sera 13 marzo ero nella parrocchia di Pieve Emanuele (Milano) col parroco don Benvenuto Riva, per una delle tre serate di predicazione quaresimale su Santa Teresa del Bambino Gesù. Alla notizia del Papa latino-americano abbiamo applaudito, pieni di gioia. Don Benvenuto è stato sacerdote fidei donum della diocesi ambrosiana in Zambia per dodici anni, io sono missionario e da più di mezzo secolo visito le missioni. Ci siamo capiti al volo. Papa Francesco ha caratteristiche che piacciono ai missionari. Rappresenta il modello di pastorale e di vita cristiana delle missioni dove nasce la Chiesa, dove lo Spirito soffia forte e compie le meraviglie che leggiamo negli Atti degli Apostoli. Oggi la maggioranza dei cattolici e dei cristiani vivono nel Sud del mondo. Non è ancora un Papa asiatico o africano, ma anche l’America Latina, dopo 500 anni di virtuale evangelizzazione, con l’occupazione di tutto il territorio da parte di diocesi e parrocchie (all’inizio del ‘900 nel Sud America le diocesi erano 140, oggi sono più di 600), da mezzo secolo sta vivendo il tempo del “primo annunzio” di Cristo. Il tempo delle missioni.

Lo Spirito Santo ha preso Jorge Mario Bergoglio “dalla fine del mondo” e l’ha mandato nelle nostre antiche Chiese d’Europa quasi come una sfida al nostro modo di concepire la parrocchia, la pastorale e la vita cristiana. Già da vescovo ausiliare (1992) e poi da arcivescovo di Buenos Aires (1998), padre Bergoglio abitava in un appartamento di una casa comune, visitava i malati in casa loro, a volte andava a mangiare alla mensa dei poveri, viaggiava in autobus o in metropolitana, raccomandava ai suoi preti di usare la misericordia di Dio. L’ultima volta che sono stato a Buenos Aires nel 1996, l’amico Walter Gardini, professore all’Università dei gesuiti e collaboratore del “Clarin”, mi raccontava che era stato con mons. Bergoglio a visitare una “Villa miseria”, le baraccopoli della capitale argentina. Emigrato dall’Italia da non molto tempo, Gardini era ammirato della naturalezza con la quale il vescovo avvicinava gli ultimi, entrava nelle baracche, si sedeva, si interessava dei loro problemi, parlava e mangiava con loro, portando la Parola di Dio e il conforto dell’Eucarestia, facendo intervenire la Caritas per i più poveri.

Al Conclave i cardinali hanno scelto lui perché hanno voluto dare, a noi cristiani dell’Occidente che viviamo una grave crisi di fede e di vita cristiana, un forte segnale di novità, di rinnovamento, nel senso di avvicinarci al modello di Cristo e alla gente comune. Nei suoi primi gesti dopo l’elezione a successore di Benedetto XVI, Papa Francesco rappresenta bene il mondo missionario in almeno tre aspetti.

1) La capacità di andare all’essenziale della fede, al cuore del messaggio evangelico, come avviene con il “primo annunzio” dove nasce la Chiesa. L’omelia ai cardinali nella prima Messa da Vescovo di Roma (14 marzo nella Cappella Sistina) è indicativa. Ha parlato a braccio e ha detto cose che non rimangono come testi da citare, però quel parlare immediato, diretto, ha certamente toccato il cuore dei principi della Chiesa. Ha ricordato ai suoi “fratelli cardinali” che la vita è un movimento, un cammino “alla presenza del Signore vivendo irreprensibili”; è un costruire la Chiesa “sulla pietra angolare che è lo stesso Signore”; un confessare Gesù Cristo: “Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio… Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce non siamo discepoli del Signore: siamo mondani: siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore!”. Parlava ai cardinali, ma parlava anche a tutti noi membri della Chiesa.

2) L’umiltà e la semplicità di atteggiamento e di vita e la vicinanza col popolo. Porta la croce di ferro che aveva da vescovo, non si è seduto sul trono pontificio ma su una poltrona come i cardinali; ha chiesto alla folla dei fedeli di pregare per lui, ha lasciato una pausa di silenzio per questa preghiera e si è inchinato davanti a loro; ha viaggiato con i cardinali in pullman per rientrare alla casa Santa Marta. Sarà un Papa che governerà la Chiesa in presa diretta con il Popolo di Dio. Presentando il suo ministero di Vescovo di Roma ha detto: “Incominciamo questo cammino di fratellanza, di fiducia, di amore, di reciproco sostegno nella preghiera”. Poi ha chiesto di pregare per lui e alla fine ha benedetto tutti. Non contano tanto i gesti in sé, ma i messaggi che danno al mondo e ai credenti in Cristo.

3) Il terzo segnale che avvicina il nuovo Papa ai missionari è il nome stesso che ha scelto: Papa Francesco evoca San Francesco d’Assisi e la povertà evangelica, il mondo dei poveri. La provenienza di questo Papa dal Sud del mondo rappresenta i miliardi di uomini e donne, figli di Dio come noi, che ancora vivono nella miseria a volte veramente “nera”, con 100-200-1000 dollari di reddito pro capite! Noi in Italia siamo sui 35.000 dollari e ci ricordiamo di queste schiere infinite di fratelli e sorelle per dare qualche volte un’elemosina, un aiuto, e poi con i circa 12.000 missionari e volontari italiani nel Sud del mondo. Con tutto il rispetto e la com-passione per le difficoltà economiche e di lavoro che vivono molte famiglie e giovani nella nostra Italia, non c’è dubbio che, per rinnovare la nostra vita in senso evangelico, siamo chiamati a ben altra coscienza, condivisione e solidarietà verso gli ultimi dell’umanità. Papa Francesco vuol rinnovare la Chiesa anche per questo.

Piero Gheddo

«Lei sa chi apprezza di più le donne?»

8 marzo 2013, Festa della Donna. Al caffè del mattino, incontro la nostra cuoca, la gentile e cara signora Antonietta. Tutta festosa mi dice:

–         Padre, mi dia un bacio perché oggi è la Festa della Donna!

–         Volentieri! Ma lei sa dirmi chi è che apprezza di più le donne?

–         Gli uomini!

–         D’accordo, ma fra gli uomini sono i preti che vi apprezzano di più!

–    E perché?

–    Perché noi preti non conosciamo la donna, quindi sentiamo sempre, fin nella terza e quarta età, una forte ammirazione e attrazione per voi. Però, per noi, voi rimanete un mistero ed è bene che sia così, perchè Dio ha creato l’uomo e la donna complementari e ha messo in ambedue la forza di un’attrazione reciproca. Ma ha anche creato il senso del pudore, per custodire l’origine della vita nella sacralità e quindi nel mistero, che si svela appunto solo nel matrimonio. Il prete, quando capisce bene e accetta, con l’aiuto di Dio, il senso della castità, della purezza per il Regno di Dio, vive la rinunzia con sacrificio ma anche con gioia e conserva la giovinezza dello spirito con una grande ammirazione per la donna e riconoscenza a Dio che l‘ha creata. Tutti siamo nati da una mamma e tutti abbiamo bisogno delle donne che ci aiutano e ci vogliono bene.

Ma questo vale in parte per tutti, specialmente per gli adolescenti e i giovani. In passato si coltivava nelle famiglie e nella società il senso del pudore,  il matrimonio era una delle mete a cui la maggioranza dei giovani si preparavano con impegno e spirito di sacrificio. Ricordo che quand’ero adolescente, nel mio paese di Tronzano vercellese,  quando c’era un matrimonio era una festa per tutti. Gli sposi uscivano dalla chiesa e andavano in corteo al ristorante o a casa per il pranzo di nozze, festeggiati da tutti; in quel giorno, anche i giovani più umili erano e si sentivano grandi. Il matrimonio era un impegno vero, per tutta la vita, nasceva una nuova famiglia. Poi, si capisce, c’erano difficoltà, ma essendo un impegno preso sul serio davanti a tutta la comunità si giungeva alla rottura solo nei casi veramente estremi. Però, in genere, le famiglie erano unite.

Oggi ci lamentiamo tutti delle famiglie divise, figli che crescono con un solo genitore o con la mamma e un “compagno” o con il papà e una “compagna” ; e fanno pena i ragazzotti che a 15-16 anni sanno tutto, hanno visto tutto, provato tutto. Abbiamo desacralizzato e banalizzato il sesso riducendolo a strumento di piacere, abbiamo approvato in due referendum le leggi sul divorzio e sull’aborto (la  Chiesa era contro, ma quanti cattolici hanno approvato quelle leggi!) e oggi ci ritroviamo con giovani che non prendono nessun impegno per la vita, stanno assieme fin che va bene e poi si lasciano; e con 120.000 italiani in meno ogni anno (uccisi, poveri bambini, con l’aborto), che sono alla radice della crisi economica e sociale del nostro paese. Ci stiamo preparando ad un futuro più disumano di quello attuale, perché se crolla la Famiglia crolla la Società, crolla lo Stato, crolla la Patria!

Oggi la  Chiesa è l’unico ente educativo nazionale (non più la scuola né i giornali o le televisioni, non più i partiti nè la politica) che educa i giovani al pudore e alla purezza, difende la famiglia tra uomo e donna e il matrimonio per sempre, condanna tutto quello che banalizza il sesso, condanna il divorzio e l’aborto che è un omicidio. E proclama ai quattro venti che tutto quello che va contro la Legge e la Volontà di Dio va contro l’uomo. Chi oggi ha il coraggio di gridare questa evidente verità?

 Piero Gheddo

Che immagine mi sono fatto di Dio?

La parabola del figliuol prodigo (Luca,15, 1-3, 11-32) di questa IV domenica di Quaresima (10 marzo 2013) è una delle più belle e commoventi che si leggono nel Vangelo. Gesù parlava in parabole, cioè raccontava fatti di vita quotidiana che erano comprensibili ai suoi ascoltatori. Non faceva teorie o teologie, raccontava fatti, presentava persone che incarnavano e rappresentavano ai suoi seguaci la verità che il Signore voleva annunziare.

Il dramma familiare di un padre il cui figlio prende una via sbagliata è comune anche ai nostri tempi. Quante volte sentiamo dire da genitori credenti: “Abbiamo educato bene il nostro figlio, ma poi è andato fuori strada e ci fa soffrire”. Il padre della parabola è esemplare. Anche i genitori d’oggi dovrebbero essere come lui in situazioni simili: amare ancor più il figlio ribelle, dargli il buon esempio di un amore gratuito, pregare per lui, attendere con fiducia e pazienza il suo ritorno.

Ma Gesù voleva soprattutto rivelarci il volto del Padre che sta nei cieli. Il Creatore di tutti gli uomini è un Padre pieno di bontà e di misericordia, che ci vuol bene sempre, anche quando noi non comprendiamo il suo amore. In questa parabola vediamo uno sceneggiato simbolico del mondo “post-cristiano” in cui viviamo. I popoli cristiani sono il figliuol prodigo lontano dal Padre e si ritrovano meno uomini, sono diventati “guardiani dei porci”, mangiano le ghiande dei porci. Gli uomini secolarizzati del nostro tempo si rendono conto che lontano da Dio non c’è vero umanesimo, la vita non ha senso. Non parlo di casi personali, mi riferisco alla cultura che tutti respiriamo: molti hanno perso il senso della vita, non sanno perché vivono. C’è in giro molto pessimismo, disperazione, aumentano i suicidi, tanti non vorrebbero più vivere perchè la vita lontano dal Padre non ha senso. Due riflessioni:

1) La prima domanda che mi faccio oggi è questa: che immagine io mi sono formato di Dio? Vivo la presenza di Dio in ogni momento della mia vita? Il card. Carlo M. Martini insisteva sulla “preghiera continua”, cioè vivere con amore alla presenza di Dio, pur nelle molteplici occupazioni e preoccupazioni della giornata. Seminare i nostri passi con giaculatorie, rosari, pensieri amorosi a Dio che ci vuole bene e ci è sempre vicino.

La nostra vita spirituale dipende in buona parte da come pensiamo e sentiamo Dio presente nella nostra vita. Tutti i popoli credono in Dio Creatore e Giudice, lo adorano, lo pregano: non esistono popoli atei! Ma quelli che non hanno ricevuto la rivelazione di Cristo non sanno chi è Dio, come agisce, cosa pensa, cosa vuole da noi; lo immaginano come un personaggio misterioso, lontano dall’uomo e dalle vicende umane, che punisce i crimini degli uomini. Pensano che la vita è sotto il dominio di spiriti buoni e cattivi, che vanno propiziati con atti di magia, sortilegi, superstizioni.

Nel mondo attuale rischiamo anche noi credenti di finire nel gorgo di una visione pagana di Dio. Ebbene, oggi Gesù ci presenta il Padre nostro che sta nei Cieli, quello che preghiamo ogni giorno: è un Padre, una mamma che amano il figlio, lo guidano, lo perdonano, lo proteggono.

Nel 1974 ero nel Vietnam del sud durante la guerra. Scendevo dai monti verso la pianura, da Pleiku a Qui Nhon, su un camion militare, assieme a numerosi vietnamiti. Una giornata intera di viaggio, su strade dissestate, in un paese in guerra: abbiamo attraversato zone dove si combatteva, villaggi bruciati e bombardati, mitragliamenti, profughi che scappavano a piedi e con ogni mezzo. Tutto questo è un’immagine del mondo in cui viviamo anche oggi!

Io e gli altri profughi eravamo seduti su delle panche nel cassone scoperto del camion. Di fronte a me una giovane mamma vietnamita teneva in braccio il suo bambino che aveva pochi mesi. Lo cullava, lo allattava, lo coccolava. Ad un certo punto, passando vicino ad un villaggio in fiamme dove molti gridavano il bambino, sentendo quel trambusto, si è messo a piangere, avvertiva anche lui il pericolo. La mamma ha steso su di lui un lembo del suo scialle ed ha continuato a cullarlo e gli cantava una dolce nenia. Dopo un po’ il bambino dormiva placidamente. Attorno a noi crollava il mondo e lui dormiva: non sapeva niente, non aveva paura di nulla, si fidava dell’amore di sua madre.

Ecco, quando penso a Dio mi vengono in mente quella dolce mammina vietnamita e il suo bambino. Se noi viviamo con questa immagine di Dio e nella nostra piccola vita, non possiamo più essere pessimisti, scontenti, scoraggiati, timorosi di chissà cosa. Qualunque cosa mi capiti, io sono sempre nelle braccia del Padre!

2) Noi cristiani, e specialmente noi preti e suore, rappresentiamo Dio e Cristo agli occhi degli uomini. Chi è riconosciuto come cristiano deve sentire la responsabilità di essere, agli occhi di chi ci conosce e osserva, un testimone a tempo pieno. Non per assumere volutamente atteggiamenti significativi e dire parole opportune. Oggi conta soprattutto essere autentici, non falsi. Anzi, i devoti manierati danno fastidio, sono una contro-testimonianza. Il nostro tempo ci invita ad un esame di coscienza: se io sono duro, scontroso, egoista, avaro, freddo, chiuso ai problemi degli altri, non sono come il Padre della parabola di Gesù: non do una bella immagine della fede e della vita cristiana.

Molti anni fa, nel 1966, sono andato la prima volta in Amazzonia e nella capitale dell’Amazzonia brasiliana, Manaus, ho visitato il lebbrosario di Aleixo. Mi accompagnava il mio confratello padre Mario Giudici, che era stato cappellano del lebbrosario e tornava dall’ Italia dopo un’assenza di quattro anni. Era un uomo di grande umanità, dopo un po’ che stavi con lui pensavi: “Chissà com’è buono Dio, se ha fatto un uomo così buono come padre Mario!”. I lebbrosi gli si avvicinavano e volevano salutarlo, abbracciarlo, parlargli. Io me ne stavo un po’ defilato ed entrando in un reparto di donne, vedo una lebbrosa con due moncherini al posto delle mani. Appena sente da lontano la voce di padre Mario, la riconosce, si mette a gridare un saluto e le viene istintivo di battere i moncherini perchè non aveva più le mani.

Piangeva e si è calmata solo quando sono andato a prendere Mario e l’ho portato da lei. Mi sono commosso anch’io nel vedere che per quella povera lebbrosa quel prete era l’unico che rappresentava in concreto la bontà di Dio. Tutti l’avevano abbandonata, i parenti non venivano a trovarla, ma quel prete era ancora lì a darle un abbraccio e la benedizione di Dio. Mi sono chiesto: chissà se io cristiano, io prete, a tutti quelli che mi conoscono da vicino, do questa immagine forte e amorosa di Dio, che è un Padre pieno di amore e non ci abbandona mai?

Piero Gheddo

 

 

Salvati dalla speranza cristiana

In questi giorni oscuri e tormentati sto rileggendo e meditando l’enciclica del nostro amato padre e Papa Benedetto “Spe salvi”, per ritrovare anch’io, prete da 60 anni, la forza e la gioia della speranza cristiana. Sì, perché noi italiani, con tutte le sofferenze, i crimini, i fallimenti, le povertà  che vediamo attorno a noi, manchiamo di speranza. Siamo non solo preoccupati ma angosciati, pessimisti, a volte disperati o quasi. I nostri discorsi sono volti al peggio, i nostri giornali e telegiornali pare che non diano alcuna speranza di poter vedere la fine dei molti ingorghi di urgenze ed emergenze il cui la nostra cara Patria è precipitata.

E allora, ricorriamo ad una delle tre encicliche di Papa Benedetto che tratta proprio della Speranza. Il testo latino dell’enciclica (del 2007) inizia con queste parole: “Spe salvi facti sumus”, e si riferisce alla prima enciclica “Deus Caritas est”, Dio è Amore, Dio ci ha creati e ci ama sempre, anche nella situazione drammatica in cui ci troviamo. “Spe salvi”  tratta il tema che la fede dà la speranza della Vita eterna con Dio, ma che ci conforta e sostiene anche nella vita terrena in questo mondo. In altre parole: senza la speranza che Dio che è Amore dà all’uomo, l’uomo stesso non può vivere bene, perché, come scrive il Papa: “Solo quando il futuro è realtà positiva, diventa vivibile anche il presente… Chi ha speranza vive diversamente, gli è donata una vita nuova” (n. 2).

Il cristianesimo non è solo comunicazione della “Buona Notizia”, ma infusione della forza della Fede e la Speranza cristiana, che non “in qualcosa”, ma “in Qualcuno”. E Papa Benedetto, per concretizzare queste parole, porta l’esempio del nostro Salvatore. Nel mondo in cui viveva Gesù vigeva la schiavitù. Le persone venivano comperate e vendute al mercato degli schiavi ed erano del tutto nelle mani dei loro padroni. Situazione orrende, spaventosa, certo molto peggiori della nostra. “Gesù Cristo – scrive Benedetto XVI  – non era Spartaco o Barabba, non era un combattente per una liberazione politica”. Anzi “è morto Egli stesso in Croce”; ma ci ha condotti all’“incontro con il Dio vivente e così l’incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo… Anche se le strutture esterne rimanevano le stesse, questo cambiava la società dal di dentro” (n. 4).

L’enciclica cita anche l’esempio più attuale di Giuseppina Bakhita, nata nel 1869 nel Darfur, in Sudan. “All’età di nove anni – “Spe Salvi” (n. 3) – venne rapita da trafficanti di schiavi e venduta cinque volte sui mercati del Sudan. L’ultima volta era al servizio della madre e della moglie di un generale e ogni giorno veniva fustigata a sangue, per tutta la vita le rimasero sul corpo 144 cicatrici”. Nel 1882 è comperata dal console italiano Callisto Legnani. Aveva sempre avuto “padroni che la maltrattavano e la disprezzavano o, nel migliore dei casi, la consideravano una schiava utile. Ora però sente dire che esiste un Padrone al di sopra di tutti i padroni, il Signore di tutti i Signori , e che questo Signore è buono, è la bontà in persona e che ama anche lei. Anche lei è amata, e proprio dal Padrone supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi”.

Così Bakhita scopre la Speranza cristiana e quando Legnani torna in Italia, la ragazzina gli chiede di portare anche lei nel suo paese. Così arriva a Venezia ed è affidata alle Suore Canossiane, che la curano, le vogliono bene e la educano nella Fede cristiana. Battezzata nel 1890, diventa suora Canossiana nel 1896. muore a Schio (Vicenza) l’8 febbraio 1947, dopo una lunga e dolorosa malattia. E’ canonizzata nel 2000 da Giovanni Paolo II.

Benedetto XVI conclude che Bakhita, “cercò in vari viaggi in Italia soprattutto di sollecitare alla missione. La liberazione che aveva ricevuto mediante l’incontro con il Dio di Gesù Cristo, sentiva di doverla estendere, doveva essere donata anche ad altri, al maggior numero possibile. La speranza che era nata in lei e l’aveva redenta, non poteva tenerla per sé questa speranza, doveva raggiungere molti, raggiungere tutti”. Speriamo, e preghiamo, che raggiunga anche tutti noi italiani e ci ridoni il sorriso e la Speranza di un futuro migliore. Per noi uomini è difficile, ma nulla è impossbile a Dio.

Piero Gheddo