"Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo"

 

La “Evangelii Gaudium” (la gioia del Vangelo), pubblicata il 24 novembre 2013 da Papa Francesco, è una “esortazione apostolica”, perché non è dedicata ad un tema unico (come in genere le encicliche), ma spazia su tutto il vastissimo panorama delle attività ecclesiali. Però è stata giustamente definita “il manifesto programmatico del papato”, un proclama d’intenti all’inizio di un pontificato che speriamo abbastanza lungo in rapporto a quanto Papa Francesco si propone di realizzare. Per tentare di capire a fondo questo Papa argentino-italiano, che viene “dalla fine del mondo”, bisogna sempre aver presente l’obiettivo prioritario che Giorgio Mario Bergoglio si propone di raggiungere nei suoi anni di Vescovo di Roma. Cosa che non tutti i commentatori fanno; molti si fermano sui dettagli e non capiscono perché non sono sulla sua stessa lunghezza d’onda.

Un volume che può aiutare a capire è “Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo”, che padre Giuseppe Buono, pubblica con la LER (Libreria Editrice Redenzione di Marigliano (Napoli), pagg. 150, 10 Euro). Uscito a metà marzo il libro si è esaurito in pochi giorni ed esce ora in seconda edizione aggiornata e con la prefazione di mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto (Siracusa).

Padre Buono, sacerdote e missionario del Pime dal 1959, docente di missiologia e di bioetica e religioni, ha visitato molte missioni nei quattro continenti e, come fondatore del Movimento Giovanile delle Pontificie Opere Missionarie e segretario della Pontificia Unione Missionaria, ha maturato una conoscenza e una passione per la missione alle genti che lo rende lettore e testimone credibile della Evangelii Gaudium. Nell’Introduzione egli spiega che ha scritto il libro come sussidio agli studenti di ecclesiologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, sez. San Tommaso, Napoli, per aiutarli ad una “lettura organica dei temi della missione, così come Papa Francesco li espone e che necessitano di ulteriori premesse teologiche e storiche e di approfondimenti che segnino profondamente la vita del cristiano”.

Ma il volume è utile a tutti coloro che desiderano approfondire meglio la natura missionaria della Chiesa e il conseguente dovere missionario di ogni battezzato perché rilegge l’Esortazione apostolica da un’ottica non comune e oggi troppo spesso dimenticata e sottovalutata. Infatti, data la crisi di fede e di vita cristiana che ha colpito l’Occidente europeo, le nostre Chiese locali sentono la forte tentazione di chiudersi in difesa dell’ovile e del gregge di Cristo, minacciati da tanti nemici. Non è facile capire Papa Francesco se non si parte dall’ottica di “Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo”, che non è solo il titolo del libro ma l’impegno prioritario che la Evangelii Gaudium propone a tutti i battezzati e credenti in Cristo: “Voglio una Chiesa tutta missionaria”.

Il libro di Padre Buono dimostra che la rivoluzione evangelica, di cui Papa Francesco è profeta e testimone, in pratica si traduce in questo movimento: uscire dall’ovile per andare verso le periferie dell’umanità, verso i più piccoli e poveri, verso gli estremi confini della terra. “Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo” aiuta a leggere ed a capire a fondo la Evangelii Gaudium, cioè il pontificato di Papa Francesco. Il cammino della conversione a Cristo, alla quale l’Esortazione apostolica chiama la Chiesa e tutti i battezzati, è come il cammino del missionario che va fra i non cristiani per annunziare Cristo e lo annunzia soprattutto con la carità e diventando non “come loro”, ma “uno di loro”, sempre amico di tutti con molta umiltà e sacrifici, fin che la gente dice: “Sei uno di noi”. Così nasce la Chiesa fra i popoli che non conoscono Cristo e così può rinascere fra un popolo come il nostro, cristiano da duemila anni, ma nel quale molti ormai non conoscono più Gesù Cristo. In quest’ottica, anche le novità di Papa Francesco acquistano significato e chiedono adesione e preghiere allo Spirito Santo, protagonista della missione.

Piero Gheddo

 

Matrimonio e famiglia nell'Africa nera

 

Padre Dionisio Ferraro è in Guinea Bissau dal luglio 1973, dopo un anno di studio del portoghese a Lisbona. Ha vissuto sempre immerso nella società africana, come parroco in villaggi e per 26 anni nella più importante parrocchia della capitale, promotore e insegnante nelle scuole, costruttore del liceo cattolico di Bissau. Negli ultimi sei anni è parroco a Bambadinca, una parrocchia rurale vastissima nell’interno del paese (diocesi di Bafatà). Gli ho chiesto com’è la famiglia africana nella religione tradizionale, l’animismo o culto degli spiriti. Ecco la sua esperienza nei villaggi animisti della Guinea Bissau, che è un tipico paese africano ancor poco toccato dalla modernità.

“Nei villaggi pagani c’è ancora il matrimonio tradizionale, con piccole poligamie, un marito con due-tre mogli. Dicono che nell’agricoltura ci vogliono molti figli e una sola moglie non basta, ce ne vogliono almeno due o tre, però c’è qualche caso di poligamia grande, poligami con otto-dieci mogli. E come le mantiene? Non è il marito che mantiene le mogli, ma le mogli che mantengono il marito. L’uomo lavora meno delle donne, si interessa dei rapporti esterni, costruisce e ripara la capanna e fa alcuni lavori in casa, ma la moglie alleva ed educa i figli e produce reddito, con l’agricoltura e piccoli lavoretti di artigianato e poi le galline, le anitre, le uova, i frutti che vende, ecc. Il marito quando è senza soldi e deve partecipare ad una festa, chiede i soldi alle mogli, questa la tradizione nei villaggi non cristiani.

“Il matrimonio è un contratto tra famiglie. Il marito deve avere delle risaie, dimostrare di essere un uomo capace, che ha conoscenze, che sa fare parecchie cose. La ragazza che si sposa sa che va a servire l’uomo, che in casa c’è e non c’è, può andare a trovare parenti o amici o i figli più adulti che sono altrove. Chi segue l’economia della famiglia, chi produce è la moglie. La prima moglie è quella che poi comanda la casa. Quando esco da Bambadinca, a me capita di dare passaggi in auto a qualche giovane moglie che ha due-tre figli e va a cercare un’altra moglie per il marito, perché lei non ce la fa più con i figli e nel lavoro. La poligamia non è perché il marito è viziato, ma perché in casa tutto è centrato sulla prima moglie e lei deve procurare un’altra donna al marito, che la aiuti e produca nuovi figli. E’ lei che organizza la vita di famiglia.

“La vera moglie è la prima. Il dott. padre Alberto Zamberletti, mio confratello del Pime, che ha lavorato molto anche come medico, dice che oggi la malattia che si diffonde in Guinea è l’Aids, ma si trovano più malati di Aids nelle famiglie monogame che nelle poligame, perché le varie mogli controllano di più il marito. L’aids si diffonde soprattutto per contatto sessuale con diverse donne fuori della famiglia. I vizi più diffusi fra gli uomini sono ubriacarsi e andare a donne.

“Quando sono invitato a pranzare in una casa – continua padre Dionisio – mangio col marito e i figli maschi, si mangia con le mani, con un catino in mezzo, nel quale c’è riso e altro; poi c’è il gruppo donne in altra parre della casa in altro cortile e là vanno le mogli e le figlie e i bambini piccoli che sono tanti. Fino a poco tempo fa ogni donna aveva in media sette-otto figli, oggi un po’ meno, ne hanno cinque-sei, perché la vita moderna entra ovunque e si imparano altri costumi. Nelle città è diverso,in genere hanno due o tre figli, ma io parlo delle famiglie tradizionali”.

 

Chiedo a padre Ferraro se tra quelli che si convertono al cristianesimo, cambia la famiglia. Si vede la differenza con la famiglia pagana tradizionale? Gli uomini hanno maggior rispetto della donna? Dionisio risponde:

“Dove c’è il cristianesimo, in genere ci sono cinque anni di catecumenato, preparazione al battesimo. In quegli anni di catechesi, di preghiera e lettra del Vangelo, di contatti quotidiani con famiglie cristiane, i costumi cambiano molto. Il marito rispetta la moglie, lavora con la moglie e la aiuta, mangia con la moglie e i figli. Però anche qui bisogna distinguere. Dove c’è un prete-prete che fa una catechesi autentica e che mira alla conversione a Cristo, le cose cambiano; dove c’è un prete formalista, che fa imparare a memoria le risposte al catechismo, ma si accontenta della frequenza alla chiesa, oppure vuol far vedere al vescovo che lui fa molte conversioni, le cose cambiano poco. Il cambiamento è caratterizzato dalla parola “responsabilità”, perché la catechesi richiama alla responsabilità dell’uomo: nei rapporti con la moglie, con i bambini, col lavoro, col denaro.

“Quindi, dove entra il cristianesimo in un villaggio pagano, porta un miglioramento della vita, però anche qui bisogna distinguere. Dove c’è una “revisione di vita” metodica, a scadenza fissa, i cambiamenti ci sono; ma se il prete e i catechisti trascurano questi impegni, tutto va avanti come prima. A volte il missionario ha la consolazione di vedere autentici miracoli di conversioni. A Bissau sono stato 26 anni in parrocchia, nelle “revisioni di vita” mensili con le famiglie sono stato testimone di conversioni straordinarie, di persone che poi hanno cambiato vita davvero. Lo Spirito Santo c’è davvero, perchè noi preti e missionari facciamo pochissimo, a volte ti sembra di parlare al vento, e poi invece tocchi con mano che la tua parola, quando parli a nome di Gesù Cristo, produce frutti. Se Gesù Cristo non cambia la vita delle persone, delle famiglie e della società, la fede e la vita cristiana sono parole vuote. Ecco perché la revisione di vita, che si può chiamare esame di coscienza. Ti ubriachi ancora? Rispetti tua moglie e le tue figlie? Sai perdonare una offesa? Sei generoso con i poveri?Anche quando parlo ai preti arrivo sempre alla revisione di vita. La conversione di un popolo dipende in buona parte dal prete, se è zelante, se dà buon esempio, ecc. Anche la società africana sta cambiando in meglio”.

Dopo intervista vado avanti a chiacchierare e padre Ferraro dice che su 100 matrimoni che celebra n chiesa cinque o sei sono veramente a posto. Quelli che diventano cristiani hanno tutti buona volontà, con tanta fede, preghiera, carità . Ma la cultura cambia con lentezza. Pretendere in Africa un matrimonio come ce ne sono molti in Italia è utopico. “Però, dice padre Dionisio, col passare delle generazioni, anche qui la Chiesa fiorirà. Pochi giorni fa, a Bambadinca, un professionista africano che ha studiato in Italia mi diceva: “Mezzo secolo fa noi siamo venuti non dall’Antico Testamento, ma dalla preistoria e viviamo già nel Nuovo Testamento e nel mondo moderno. Un balzo di millenni in pochi anni non può cambiare costumi millenari, ma il Vangelo in Africa sarà vincente perché è la risposta giusta alle nostre aspirazioni!”. Piero Gheddo

 

 

 

 

 

 

Il matrimonio con rito cristiano in Giappone

 

La Chiesa si sta preparando alla prima sessione del Sinodo episcopale sulla famiglia nell’ottobre prossimo (la seconda nell’ottobre 2015), per discutere le esperienze e sollecitazioni che vengono dalla base del mondo cattolico sui problemi attuali che la famiglia pone ai credenti in Cristo. Ma la Chiesa cattolica è universale e i modelli di famiglia e i problemi familiari che i missionari e le giovani Chiese incontrano fra i popoli non cristiani sono molto diversi dai nostri.

Padre Alfredo Scattolon, missionario del Pime da circa trent’anni in Giappone, dice che “nella tradizione giapponese il matrimonio era sigillato con alcune cerimonie che a noi occidentali non mostrano nulla di “religioso”: era un contratto tra famiglie, combinato dai parenti, come avviene ancora oggi almeno per il 60-70% dei casi. Non si usavano formule particolari, il centro della cerimonia era l’assunzione da parte degli sposi del “saké” (in Cina, invece, si usava il tè), la cerimonia avveniva nella casa dello sposo con una certa solennità; la registrazione presso gli uffici pubblici poteva avvenire, come oggi, sia prima che dopo.

“Però, continua padre Alfredo, le meticolose cerimonie familiari e il rispetto per la tradizione sono il riconoscimento di un Ordine che viene dall’alto, che risponde all’innata capacità umana di percepire il “mistero”, cioè qualcosa che supera e viene prima dell’uomo: vi si può dunque vedere il riflesso di un’autentica religiosità naturale. Il buddismo, entrato e diffusosi in Giappone 1.400 anni fa, non ha mai contestato nè spento quel particolare sentire religioso.

“Ma le missioni e oggi le Chiese cristiane introducono in Giappone una novità: il cristianesimo si presenta con verità e precetti morali, di fronte ai quali i singoli debbono dare una cosciente, libera e personale risposta di adesione o di rifiuto. L’impatto con le verità e la vita cristiana rappresenta per i giapponesi sensibili un travaglio personale. Oltre ai problemi morali che pone il cristianesimo, il fatto di dover “imparare” una dottrina religiosa, cosa a cui non sono affatto abituati, è uno dei motivi che possono spiegare come mai essi trovino tanta difficoltà per convertirsi a Cristo, che pure conoscono e ammirano. Il Vangelo è uno dei libri più venduti!”.

 

“Come cerimonia religiosa – continua padre Alfredo – il matrimonio è iniziato in Giappone alla fine dell’Ottocento, quando la Casa imperiale, conoscendo i costumi dell’Occidente, li ha imitati e introdotti in Giappone ed oggi probabilmente più della metà dei matrimoni si svolgono secondo un rito cristiano. Vi sono alberghi che, per queste cerimonie, al loro interno hanno costruito autentiche e fastose cattedrali…di plastica! I giapponesi sono conquistati dalla forma solenne e luminosa offerta dalle nostre chiese, ma il nostro contenuto religioso, non parliamo poi del matrimonio-sacramento, non è colto se non minimamente; tanto più che la cerimonia religiosa è stata divulgata soprattutto dall’America protestante, coi film di matrimoni sfolgoranti combinati in pochi giorni, che magari si sfasciano poco dopo. Tuttavia, anche questa assunzione di “immagine” cristiana può portare qualche buon frutto: nelle cerimonie cristiane c’è sempre un’atmosfera di gioia, di cordialità, di rapporti sereni e amorevoli fra le persone, e soprattutto l’esplicito annuncio di una “benedizione” dall’Alto (dal Kami) che è desiderata e altrimenti mancherebbe.

“I protestanti, continua padre Alfredo, spesso si limitano alla sola cerimonia in chiesa; noi cattolici, esigiamo un breve corso di preparazione, spieghiamo il significato del matrimonio cristiano e gli impegni che richiede agli sposi… Succede poi che alcune coppie mandino i loro figli nei nostri asili e scuole, o che talvolta chiedano di conoscere meglio la religione cattolica fino a giungere, se lo Spirito Santo li illumina, a chiedere il battesimo”.

 

Padre Alfredo Scattolon descrive poi la famiglia giapponese tradizionale, che in Occidente non immaginiamo nemmeno. Dice: “In Giappone la famiglia, come la conosciamo noi cristiani, non è mai esistita. Oggi la concezione della famiglia è monogamica; è accettato il divorzio ma mai è ostentato, anzi piuttosto tenuto nascosto. Ci si sposa e si vogliono i figli. Ma il padre è tradizionalmente il “padrone”, alquanto assente dalla vita familiare; un noto detto giapponese elenca le 4 cose più temibili: il terremoto, il fulmine, l’incendio e il padre. I figli sono a carico della madre finché sono in grado di andare a scuola ed è con lei che si stabiliscono i rapporti affettivi più sentiti (le ultime parole dei “Kamikaze” erano per la madre). Dopo la famiglia, viene la scuola a farsi carico dell’educazione dei ragazzi, finché questi entreranno in una ditta, la quale a sua volta determina il loro futuro (il ruolo della “ditta-madre” sta cambiando, ma le aspettative comuni sono quelle tradizionali).

“Il fatto che in Giappone sia molto comune lo scambio dei figli tra parenti con relativo cambio di cognome rivela che il legame con la famiglia di origine è alquanto tenue. Alla radice delle differenze che noi notiamo, ci sta la diversa concezione del

valore della “persona”: secondo il buddismo un uomo o donna è uno dei tanti esseri viventi, nessuna trascendenza. Per tradizione, il giapponese non è individualista come l’italiano, ma si muove in gruppo. Prima la famiglia, poi la scuola, poi la ditta in cui lavora oppure lo stato ai tempi della dittatura militare. Il riconoscimento dei diritti dell’individuo come persona è un contributo del cristianesimo. I giapponesi hanno una forte coscienza unitaria di popolo, ma una scarsa coscienza dei diritti della persona. Il giapponese è fatto apposta per lavorare, obbedire, dare tutto se stesso al gruppo a cui appartiene.

Così la società giapponese è invidiabile per molti aspetti, storicamente ha fatto scuola per es. nell’organizzazione del lavoro; ma quando scendiamo alla singola persona e ai suoi problemi… tra il loro modo di sentire i problemi della vita e il nostro appare un solco profondo. Quando noi missionari italiani veniamo in Giappone, studiando con fatica la lingua giapponese a volte ci chiediamo come mai siamo venuti in un paese così perfetto, non sgangherato com’è la nostra cara Italia. Poi ti accorgi che in Italia grazie alla millenaria tradizione cristiana abbiamo tutti imparato che la vita è un dono impagabile, che per lo meno dovremmo tutti e sempre, dire grazie a Dio e spesso molti lo fanno, dare una mano a chi è in difficoltà senza aspettarsi un ricambio. Abbiamo tutti per lo meno sentito parlare di generosità, disinteresse, perdono. In Giappone il perdono è un concetto nuovo, mi è capitato più volte di incontrare giovani laureati che non riuscivano a leggere il carattere del vocabolo “perdono”! Ritornato da poco nella mia Italia, noto con tristezza, qui in Europa, ma proprio anche in Italia, una evidente e progressiva perdita del senso cristiano e dei suoi valori morali: stiamo ritornando al paganesimo, da cui Cristo e la Chiesa ci hanno tirati fuori”. Parole sagge che non vogliono commenti.

Piero Gheddo

 

 

La rivoluzione evangelica di Papa Francesco

Un anno fa, il 13 marzo 2013, Giorgio Mario Bergoglio era eletto da 115 cardinali Vescovo di Roma e Pontefice della Chiesa cattolica universale, il 263° discendente dell’Apostolo San Pietro. A un anno di distanza, Papa Francesco continua a suscitare nei popoli anche non cristiani tante speranze di pace, di giustizia, di gioia di vivere, di crescita umana ed economica per tutti. Un interesse inspiegabile, poichè Francesco non ha alcun potere economico-politico-militare-scientifico-tecnico, così da poter influire sull’andamento delle vicende mondane. Si spiega solo per un motivo soprannaturale. Il Papa argentino ripropone ai popoli, con la sua persona, i suoi gesti e le sue parole, il Vangelo e le Beatitudini di Gesù, un’autentica rivoluzione rispetto alla disumanità del mondo in cui viviamo, che specialmente nel nostro Occidente post-cristiano, sembra aver eliminato Dio dall’orizzonte dell’uomo e della società.

Da duemila anni le Chiese cristiane proclamano la Buona Notizia che è nato il Salvatore dell’uomo e già in passato il “primo annunzio” aveva provocato un terremoto benefico nei popoli, come pure capita anche oggi, in territori e popoli limitati, nelle missioni e ora giovani Chiese. L’annunzio delle Beatitudini non ci commuove più, l’abbiamo sentito tante volte! In ogni epoca storica il Vangelo è sempre nuovo, ma perché Francesco viene accolto in modo così corale quasi senza obiezioni o rifiuti? Nel recente passato Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II erano Papi “popolari”, che toccavano il cuore dei popoli. Con Francesco si verifica un fatto nuovo. Lui stesso si mette a livello della gente comune, parla a braccio, i suoi discorsi si riferiscono alla vita quotidiana e li capiscono tutti. Sembra quasi che dica: voi sapete già cosa dice la Chiesa, cosa dicono la dottrina e la morale cristiana. Adesso vediamo un po’ come noi stessi viviamo o possiamo vivere questa millenaria tradizione. Papa Francesco scende dalla Cattedra pontificia, rinunzia ai lussi e ai fasti tradizionali, si proclama “peccatore”, è uno di noi che fa lo stesso nostro cammino e ha le nostre stesse tentazioni, è trasparente, non vuole segreti, anzi spalanca tutte le nicchie, i ripostigli, le cassaforti vaticane in modo da iniziare la purificazione della Chiesa proprio dal suo centro.

Soprattutto, quando parla provoca sempre chi lo ascolta. Non fa ragionamenti, ma fa la revisione di vita ogni giorno, nel commento al Vangelo a Santa Marta spiega cosa vuol dire Gesù, ma poi subito applica il Vangelo alla vita quotidiana, sua e della gente. Si veda ad esempio il discorso del 14 febbraio 2014 in Piazza San Pietro alle decine di migliaia di fidanzati, venuti da ogni parte del mondo. Un predicatore all’antica avrebbe spiegato cos’è il fidanzamento, quali sono le regole da osservare, citando passi del Vangelo e il Catechismo della Chiesa cattolica. Papa Francesco si fa preparare tre domande dai fidanzati e risponde direttamente raccontando fatti ed esempi: perché il matrimonio è per sempre? Come vivere assieme il matrimonio e la preparazione alle nozze? Domande che tutti si fanno, quindi l’attenzione è assicurata, e poi i fatti, i proverbi, le battute che Francesco fa saranno ricordati, mai un Papa ha parlato in modo così diretto e personale alla gente che lo ascolta. E’ la realtà vista dalla parte della gente, non dalla parte della millenaria Dottrina della Chiesa. Naturalmente spiegando la Dottrina, ma applicandola alle situazioni umane del nostro tempo.

Ma insomma, qual è, in fondo, la rivoluzione di Papa Francesco? Nient’altro che questa: vuole riportare gli uomini del nostro tempo a Dio, a Gesù Cristo, al Vangelo. In lui non c’è alcuna rottura con i Papi precedenti e con la Tradizione cristiana, che però, come i Manuali della morale cristiana, i Codici di diritto canonico, le norme liturgiche, i Concili ecumenici e le encicliche dei Papi vengono pubblicati per adattare, “aggiornare” (come diceva Giovanni XXIII) la dottrina e la morale cattolica agli uomini di tutti i tempi. La Verità rivelata rimane ferma, ma viene interpretata e applicata in modi diversi secondo le varie epoche storiche e l’evoluzione dei popoli. Gesù ha detto ai suoi Apostoli: “Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete comprenderle; quando però verrà lo Spirito della verità, vi guiderà verso tutta la verità… Lo Spirito riprenderà quanto io ho insegnato e ve lo farà capire meglio” (Giov. 16, 12-15).

L’ultima rivelazione di Dio è quella di Gesù Cristo, ma noi uomini non possiamo mai comprendere pienamente il pensiero di Dio, la volontà di Dio. Ecco perchè dalla Parola di Dio autenticata dalla Chiesa, nei duemila anni di cristianesimo lo Spirito ha rivelato, ha fatto capire tante cose contenute nel Vangelo. Questa è la grande “Tradizione della Chiesa”, che è fonte di rivelazione come la Parola di Dio scritta, l’Antico e il Nuovo Testamento. La Chiesa ha compreso a poco a poco più profondamente il Vangelo ed è cambiata nei secoli in tante cose: ad esempio, il giudizio sulle religioni non cristiane (“Nostra Aetate” del Vaticano II), la libertà religiosa di ciascun uomo (“Dignitatis humanae”), la “collegialità” dei vescovi con il Papa (“Lumen Gentium”, Capitolo III), la Messa nelle lingue locali “Sacrosanctum Concilium”, n. 36), ecc. Papa Francesco è su questa linea, ad esempio convocando il Sinodo sulla Famiglia e interrogando le Chiese di tutto il mondo, porterà un rinnovamento e “aggiornamento” non del modello di matrimonio secondo il Vangelo, ma delle norme pastorali e giuridiche per vivere il modello nel mondo d’oggi.

Molti ancora si chiedono qual’è, com’è la rivoluzione evangelica di cui Papa Francesco è il primo missionario e modello. Eppure è facile capirlo: che tutti noi battezzati diventiamo sempre più autentici seguaci e imitatori di Gesù Cristo, per trovare l’entusiasmo e la gioia di essere suoi testimoni, luce del mondo e sale della terra. Nessuno può tirarsi fuori da questa “revisione di vita” secondo il Vangelo: cardinali, vescovi, preti, suore, laici, l’importante è che ciascuno di noi abbia a cominciare la rivoluzione evangelica della Chiesa, partendo da se stesso. Tornare a Cristo affinchè, con l’aiuto dello Spirito Santo, il mondo in cui viviamo diventi meno disumano e più umano.

Piero Gheddo

 

85 anni di grazie e di gioia

85 anni or sono, a Tronzano vercellese dove si coltiva il riso, Rosetta Franzi in Gheddo, a mezzogiorno di quel 10 marzo 1929, mentre le campane della vicina chiesa parrocchiale rintoccavano l’Angelus, dava alla luce il suo primogenito, poi sacerdote e missionario del Pime. Ringrazio il Signore di aver raggiunto questa terza età stando bene (con alcuni inevitabili acciacchi) e potendo ancora lavorare, dato che continuo a ricevere numerose richieste. Ringrazio anche i miei genitori, i servi di Dio Rosetta e Giovanni, che hanno trasmesso a me e ai miei fratelli (Piero 1929, Francesco 1930, Mario 1931) la fede e tanti buoni esempi di vita cristiana, pregando anche per la mia vocazione sacerdotale; e poi i tanti preti e laici che mi hanno educato, a Vercelli e al Pime di Milano, compresi i membri della mia grande e santa famiglia Gheddo-Franzi e un missionario in particolare, padre G.B. Tragella, che mi ha orientato bene all’ideale missionario e al giornalismo a servizio dell’ad gentes e mi ha dato, negli anni ruggenti di giovane prete, il senso molto concreto di cosa vuol dire preghiera, obbedienza, capacità di rinunzia, umiltà, austerità di vita, concentrazione totale all’ideale, ecc.

Oggi ripeto quanto dico spesso parlando in pubblico. E’ bello fare il prete! Non per motivi esterni (salute, soldi, fama), ma perché mi sento sempre amato, protetto, perdonato e consolato da Dio e posso ancora essere utile al prossimo. Quest’anno celebro i 61 anni di sacerdozio (ordinato dal beato card. Schuester nel 1953 nel Duomo di Milano). I superiori del Pime mi hanno destinato alla missione della stampa e animazione missionaria e ho potuto visitare molte missioni e situazioni ad gentes in tutti i continenti. Mi sono reso conto della verità di quanto diceva la grande Madre Teresa: “I popoli hanno fame di pane, di pace e di giustizia, ma soprattutto hanno fame e sete di Gesù Cristo”. E aggiungeva: “La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo”.

Giornali e televisioni non lo dicono, ma questa è la verità: il più grande dono che possiamo fare al prossimo e ai popoli e l’annunzio della salvezza in Cristo e di testimoniarlo nella nostra vita, soprattutto con la carità e cercando di vivere secondo l’esempio di Cristo; un cammino che dura tutta la vita, ricomincia ogni giorno con entusiasmo nuovo e mantiene giovani, cioè non ci lascia indurire dalle sofferenze, incomprensioni, fallimenti, malattie, umiliazioni. Ecco perchè vivo sereno e contento anche a 85 anni: mi sento utile agli uomini perchè ho scelto di testimoniare e annunziare Gesù Cristo, di cui tutti gli uomini e tutte le culture hanno bisogno.

La mia vita avventurosa l’ho raccontata in molti articoli e libri. In Italia, il contatto diretto con tante persone in parrocchie, ospedali, carceri (per sette anni in San Vittore a Milano, 1972-1979), ambienti e associazioni di giornalisti e di stampa e TV, mi ha confermato in una convinzione, che desidero trasmettere soprattutto ai giovani in ricerca di qualcosa che riempia le loro giornate e riscaldi il loro cuore. Senza un ideale che valga la pena di essere vissuto, non si può vivere bene. La vita è bella se ha un senso, uno scopo, se è un cammino verso un ideale. La cultura del nostro tempo propone ideali terreni, materiali, che esaltano e illudono per qualche anno, poi decadono e scompaiono: i soldi, la carriera, la visibilità mediatica, il sesso, la gloria mondana, il divertimento. Specialmente i giovani devono scegliere una meta precisa per la vita, da perseguire con spirito di sacrificio e l’aiuto di Dio, allora non sono più sballottati da mille distrazioni, proposte, tentativi, illusioni.

Il beato Clemente Vismara (1897-1988) scriveva: “La vita è bella solo se la si dona”. L’ideale cristiano è questo: non rimanere chiusi in noi stessi, ma aprirci a Dio e al prossimo, combattere il nostro naturale egoismo per essere davvero fratelli e sorelle con tutti, specialmente i più piccoli e poveri, i più isolati e marginalizzati. Non si può vivere senza un ideale che vada al di là della nostra piccolezza e debolezza umana, al di là anche della morte. Solo Gesù Cristo dà la speranza della vita eterna, che, se diventa fede e ideale, giustifica e sostiene tutti i sacrifici della vita presente.

Per me l’ideale è stato seguire Gesù che mi chiamava alla consacrazione sacerdotale e missionaria, l’unica passione di tutta la vita. Quand’ero giovane, chiedevo a Dio di darmi la fedeltà e l’entusiasmo per la missione, con il dono della commozione fino alle lacrime quando parlavo e scrivevo del sacerdozio, della vocazione alla vita consacrata. Adesso chiedo a Dio di non far diminuire in me la passione per il Regno di Dio che ho sperimentato fino ad oggi.

Alcuni amici mi hanno telefonato: “Che regalo possiamo farti per i tuoi sessant’anni di sacerdozio?”. Ho risposto con sincerità: “Pregate per me, dite qualche Rosario, ascoltate una Messa e fate una Comunione per tutti i missionari e i loro popoli”. Veramente la preghiera per l’amico, oltre che dare la vita, è il dono più grande che possiamo fare. Oggi vedo con chiarezza quello che ho sempre saputo: l’unica cosa che mi occorre sempre più è l’amore e l’aiuto di Dio.

Piero Gheddo

Cosa scriveva Paolo VI sul “socialismo”

Ho dovuto recentemente parlare del “Sessantotto”, un tempo di ubriacatura ideologica nefasta per la fede, quando molti pensavano che l’ideologia marxista, la “rivoluzione comunista” e le varie correnti del socialismo fossero “l’unica speranza per i poveri”; quando non pochi “intellettuali” e anche teologi cattolici scrivevano che è sbagliato parlare di “Dottrina sociale della Chiesa”, perchè l’unica autentica e scientifica “analisi della società” era quella del marxismo. Negli suoi ultimi anni di pontificato (1963-1977), Paolo VI, spesso contestato e deriso, non osava più parlare di “Dottrina sociale della Chiesa”. Il termine è stato ripreso con forza da Giovanni Paolo II nel suo primo grande viaggio internazionale a Puebla in Messico (gennaio 1979), per la terza Assemblea dei vescovi latino-americani (Celam) , e oggi è usato da tutti, Avendo visto come sono finiti i circa trenta paesi governati dal comunismo o “socialismo reale”, oggi è difficile capire perché a quel tempo nasceva addirittura l’associazione “Cristiani per il socialismo”!

Oggi, nel modo globalizzato, quasi tutti i popoli adottano il libero mercato, il capitalismo che, si dice, i popoli democratici possono cambiare per una maggior “giustizia sociale”. Ma, in pratica, pare inevitabile che ovunque “i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri”, persino in paesi come Vietnam e Cina, dove governa il Partito comunista ma, per arricchire, si pratica un “capitalismo selvaggio” di cui in Occidente abbiamo quasi perso il ricordo. Lo stesso avviene in India, dove governa un “socialismo democratico”.

Nella “Evangelii Gaudium”, Papa Francesco tratta il tema in modo pragmatico com’è nel suo stile. Nel capitolo II (Alcune sfide del mondo attuale) conferma la condanna della Chiesa agli aspetti fondativi dell’economia nel mondo attuale:

– No ad un’economia dell’esclusione (nn. 53-54);

– No alla nuova idolatria del denaro (55-56);

– No ad un denaro che governa invece di servire (57-58);

– No all’inequità che genera violenza (59-60).

Papa Francesco rivendica per i cristiani e la Chiesa il diritto di dire il loro parere sui problemi della società, contro la “cultura della secolarizzazione” che marginalizza la religione dalla società. Scrive (n. 183): “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale nazionale, senza preoccuparsi per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Una fede autentica, che non è mai comoda e individualista implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”. Quindi Francesco afferma (n.186): “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri”, collaborando (n. 188) “per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri… e per creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”. E cita Paolo V (Octogesima adveniens, 189): “I più favoriti devono rinunziare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni a servizio degli altri”.

L’azione del cristiano in favore dei poveri deve sempre ispirarsi al Vangelo e Papa Francesco rilegge i passi del Nuovo Testamento che riguardano il grido dei poveri, la predilezione di Dio per i poveri, il dovere del seguace di Cristo di aiutare i poveri e la misericordia di Dio per chi non è avaro di quello che ha e ne fa parte a chi ha meno di lui. Parla spesso dei poveri, degli ultimi, dei marginali, di andare alle periferie dell’umanità, dell’opzione preferenziale per i poveri, ma da non intendere in senso politico-partitico, perché sarebbe travisare quel che dice e fa Papa Francesco. Per lui i poveri sono gli ultimi, i marginali della società, ma anche gli ammalati, le persone isolate, i carcerati; e i lontani da Cristo e dalla Chiesa. Nella Eg, condannata “la nuova idolatria del denaro”, scrive: (n. 58): “Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi debbono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’uomo”.

A quarant’anni di distanza, è interessante rileggere quel che diceva Paolo VI del socialismo e dell’adesione dei cristiani a movimenti e partiti socialisti. Nella Lettera apostolica “Octogesima adveniens” (14 maggio 1971), contestata perché “poco coraggiosa” e poco “profetica”, Paolo VI scriveva:

“N. 26 – Il cristiano che vuol vivere la sua fede in un’azione politica intesa come servizio, non può, senza contraddirsi, dare la propria adesione a sistemi ideologici che si oppongono radicalmente o su punti sostanziali alla sua fede …. all’ideologia marxista, al suo materialismo ateo, alla sua dialettica di violenza, al modo con cui essa riassorbe la libertà individuale nella collettività, nega ogni trascendenza all’uomo e alla sua storia personale e colletiva”.

“N. 28 – Il pericolo sarebbe di aderire formalmente ad una ideologia che non ha alla base una dottrina vera e organica, di rifugiarvisi come in una spiegazione ultima e sufficiente, costruendosi così un nuovo idolo, di cui si accetta, talora senza prenderne coscienza, il carattere totalitario e coercitivo. Si pensa di trovare così una giustificazione alla propria azione anche violenta, un adeguamento ad un desiderio anche generoso di servizio. Questo desiderio resta, ma si lascia assorbire da un’ideologia la quale, anche se propone certe vie di liberazione per l’uomo, finisce in ultima analisi per asservirlo”.

“N. 31 – Ci sono dei cristiani che si lasciano attirare dalle correnti socialiste nelle loro diverse evoluzioni. Essi cercano di riconoscervi talune delle aspirazioni che portano in se stessi in nome della loro fede, si sentono inseriti in questo flusso storico e vogliono svolgervi un’azione. Ora, secondo i continenti e le culture, questa corrente storica assume forme diverse sotto uno stesso vocabolo, anche se esso è stato e resta, in molti casi, ispirato da ideologie incompatibili con la fede. Un attento discernimento si impone. Troppo spesso i cristiani, attratti dal socialismo, tendono ad idealizzarne in termini assai generici: volontà di giustizia, di solidarietà e di uguaglianza. Essi rifiutano di riconoscere le costrizioni dei movimenti storici socialisti, che rimangono condizionati dalle loro ideologie di origine”.

Piero Gheddo