Se la missione alle genti scompare dall'orizzonte

Per noi missionari ad gentes e per la Chiesa italiana non è una buona notizia, I superiori degli istituti missionari italiani hanno deciso la chiusura della rivista semestrale “Ad Gentes”, fondata nel 1997, l’unica in lingua italiana che espressamente tratta della missio ad gentes, oltre a quelle dei singoli istituti missionari. Perché chiude? A quanto è dato sapere, i motivi sono due:

1)    Gli abbonati sono pochissimi, le copie stampate quasi tutte inviate in omaggio o in cambio a biblioteche, università, seminari, ecc.; e quindi gli istituti aderenti devono coprire il passivo economico;

2)    la missione alle genti sta perdendo la sua identità e interessa sempre meno, almeno in Italia, parrocchie diocesi, seminari e il popolo di Dio; i mass media ne parlano sempre meno, eccetto quando ci sono casi di martirio o di persecuzione che riguardano missionari italiani.

Parlando col padre Dino Doimo, missionario del Pime ad Hong Kong dal 1959, mi dice: “Torno in missione col cuore amareggiato, perché vedo che l’ambiente italiano non è più favorevole per le missioni e noi missionari. Tutti dicono che la missione è qui in Italia. La conversione a Cristo del continente CINA interessa parenti e amici e pochi altri”. Dal 1958 gli istituti missionari italiani, attraverso la Pontificia unione missionaria del clero, mandano i loro animatori missionari nei seminari diocesani, minori e maggiori. Ciascuno è incaricato dei seminari di una regione da visitare nel corso dell’anno, così visita tutti i seminari italiani, che ricevono ogni anno un animatore diverso. Adesso, mi dice un giovane animatore, “si sta chiudendo questo periodo perchè è difficile trovare un seminario che accolga volentieri un missionario e lo faccia parlare. I seminaristi sono pochi, molto impegnati e le missioni interessano sempre meno.

Tutto questo segnala quanto ormai tutti sanno, che la Chiesa italiana, con la crisi di fede e di vocazioni sacerdotali e religiose, si chiude in se stessa e gli istituti missionari sono intesi soprattutto per il contributo che le loro case, chiese e sacerdoti danno in aiuto alle comunità parrocchiali con scarso clero. Mi chiedo se gli istituti missionari, come il mio Pime e tanti altri, religiosi o di clero secolare, si interrogano sulla decadenza e la svalutazione del nostro carisma specifico, il primo annunzio ai non cristiani, che sono ancora circa l’80% dell’umanità. E ricordo che il nostro carisma di missionari ad gentes è stato ampiamente confermato dal Vaticano II e dal magistero ecclesiastico seguente fino ad oggi. Dato che da 61 anni sono sacerdote missionario in Italia (prete dal 1953), mi permetto di indicare i due errori fondamentali che un po’ tutti abbiamo compiuto, senza alcun spirito polemico, ma per aiutare a riflettere.

1) Dopo la Fidei Donum (1957) e il Vaticano II (1962-1965) si è incominciato a dire che tutta la Chiesa è missionaria e gli istituti missionari non hanno più senso; ma sia l’Ad Gentes (n. 6) che la Redemptoris Missio (nn. 33-34) affermano con chiarezza che la missione alle genti  non va confusa con l’attività pastorale che si rivolge ai battezzati e quindi che “questi istituti restano assolutamente necessari” (AG, 27); e nella R.M. (66) si legge: “La vocazione speciale dei missionari ad gentes e ad vitam conserva tutta la sua validità… Al riguardo, s’impone una approfondita riflessione, anzitutto per i missionari stessi, che dai cambiamenti della missione possono essere indotti a non capire più il senso della loro vocazione, a non saper più che cosa precisamente la Chiesa si attenda da loro”.

Questa riflessione forse è mancata e anche gli istituti missionari rischiano di non credere più nel loro carisma originario, mentre le giovani Chiese del mondo non cristiano hanno assoluto bisogno di loro anche oggi, lo dicono tutti  vescovi. Lo stesso è avvenuto per le Pontificie Opere Missionarie. Fin che erano pontificie e non dipendenti dai vescovi italiani, svolgevano il loro compito primario: ricordare la missione alle genti, universale, aiutarla con preghiere, vocazioni, aiuti materiali. Da quando sono opere diocesane, la missione alle genti è diventata il gemellaggio di una diocesi italiana con una delle missioni. Si è chiuso l’orizzonte, i missionari sono quelli della diocesi, quasi sempre in America Latina e in Africa. Adesso, con la crisi delle diocesi italiane, è facile immaginare cosa succede.

2) Il secondo sbaglio fondamentale è stato di politicizzare la missione alle genti ed è una vita che condanno (inutilmente) questa tendenza suicida degli istituti missionari, che ha cambiato la nostra immagine nell’opinione pubblica italiana. Fino al Concilio Vaticano II c’era la chiara affermazione della nostra identità: andare ai popoli non cristiani , dove ci mandava la Santa Sede, annunziare e testimoniare Cristo e il suo Vangelo, di cui tutti hanno bisogno. Certo si parlava anche delle opere di carità, di istruzione, di sanità, di promozione, di diritti e opere di giustizia per i poveri e gli sfruttati. Ma su tutto emergeva l’entusiasmo di essere stati chiamati da Gesù per  portarlo a popoli che vivono senza conoscere il Dio dell’Amore e del Perdono. C’era l’entusiasmo della vocazione missionaria gioiosamente manifestato e quindi si parlava spesso di catechesi,  catecumenato, conversioni a Cristo, preghiere e sofferenze per le missioni, del perché i popoli hanno bisogno di Cristo, ecc. Soprattutto si parlava di vocazioni missionarie, perché il missionario è un privilegiato che va fino agli estremi confini della terra per esaudire il Testamento di Gesù quando sale al Cielo.

Ma oggi, ditemi voi: chi manifesta entusiasmo per la vocazione missionaria e dove è finito l’appello per le vocazioni missionarie ad gentes? Oggi facciamo le campagne nazionali per il debito estero, contro la produzione di armi, contro i farmaci contraffatti e per l’acqua pubblica; oggi non si parla più di missione alle genti ma di mondialità e di opere sociali o ecologiche. Mi sapete dire quanti giovani e ragazze si entusiasmano e si fanno missionari dopo una manifestazione di protesta contro la produzione di armi? Nessuno. Infatti gli istituti missionari non hanno quasi più vocazioni italiane. Non lamentiamoci perché si chiude la rivista ad Gentes. Nel quadro di tutto quel che ho detto, ha un suo logico significato. Nel volume “Missione senza se e senza ma” (Emi 2013, pagg 250) c’è il capitolo “La crisi dell’ideale missionario” in cui spiego ampiamente tutto questo.

Piero Gheddo

5 pensieri su “Se la missione alle genti scompare dall'orizzonte

  1. Concordo e vedo anch’io che la realtà è come dici, caro Piero.
    Però quello che NON si ha NON si può dare.
    Siamo un paese dove la pratica religiosa è al 10-15%. Le fredde cifre indicano un numero di praticanti (aggravato dalle tante e spesso confuse scelte al loro interno) confrontabile con quello di parecchie terre di missione.
    La Chiesa Italiana però sembra non si renda conto di questo. La CEI – cioè i preti e i vescovi – continuano nei fatti a considerare l’Italia un paese a maggioranza cattolica. Forse dobbiamo aspettare che le percentuali scendano a una sola cifra?
    Quando sento le dichiarazioni sul “ruolo della famiglia” io vorrei chiedere: avete contato PRIMA quante sono le famiglie che fanno pregare i loro figli? Quando sento appelli al ruolo dei politici cattolici io vorrei sapere: avete contato PRIMA quanti sono i politici che si orientano sulla dottrina sociale della Chiesa?
    Dopo aver fatto questi conteggi domandiamoci: in quante parrocchie e in quante diocesi ci si preoccupa prima di tutto di preparare persone qualificate per i diversi tipi di interventi (animatori, catechisti, volontari nel modo assistenziale)?
    Come vengono accolti i movimenti e le associazioni di volontariato nelle parrocchie? come fratelli alleati o come concorrenti? come cristiani che remano con noi o come aderenti a una setta ostile?
    Quanti sono i volontari e gli aderenti a movimenti ecclesiali che devono umiliarsi a chiedere “col cappello in mano” il “permesso del parroco” di fare apostolato? quanti si sentono rispondere un secco no? A me risulta la stragrande maggioranza.
    Che percentuale del “PIL” della Chiesa è speso in attività di formazione in modo che i cristiani parlino a proposito quando aprono la bocca? Quanti soldi spendiamo per imparare a rivolgerci a quell’85-90% che NON entra mai in chiesa? A me sembra che la Chiesa spenda decisamente troppo in gite, salamelle, campi da calcio, feste, danze e semplice “parcheggio” dei figli.
    Al tempo glorioso delle missioni italiane come tu le hai conosciute (ho letto buona parte dei tuoi libri, Piero) questi problemi non c’erano. Avevamo risorse umane che oggi abbiamo perduto. Per nostra colpa. E se non ne abbiamo non ce n’è per nessuno.
    Credo che sia tempo per la Chiesa Italiana di accettare una consulenza fornita da chi vive e opera nelle cosiddette terre di missione. Credo che abbiano buoni consigli da darci. Un abbraccio.

  2. Caro don Piero,
    sono d’accordo con te sul fatto che molti membri della Chiesa – ahimé, anche ai più alti livelli – abbiano perso il senso della missione, che non è, in primo luogo, la carità verso i poveri, né tanto meno la riparazione delle ingiustizie sociali, ma è innanzi tutto la trasmissione del Vangelo.
    Solo chi accoglie il Vangelo diventa capace di vera carità, di vera accoglienza, di vera profezia, di vero perdono.
    A me sembra che sarebbe necessario che il Papa chiarisse di nuovo il vero senso della missione, non solo a parole, ma anche se necessario, avvicendando le persone che occupano posti di responsabilità e che appaiono prive di questa, chiamiamola così, “sensibilità missionaria”, con pastori che siano invece pieni di questa sensibilità.
    Anche il suggerimento di Paolo Malacarne mi sembra degno di considerazione.
    Ti saluto con stima e con affetto,
    Mario Molinari

  3. Cari Paolo e Mario,
    grazie per le vostre lettere di adesione a quanto ho scritto, fa sempre piacere leggere lettere di chi è d’accordo e ricevo anche altri segni di amici che mi seguono e leggono questi Blog. Vorrei però sentire anche chi non è d’accordo e legge la storia della Chiesa italiana in modo diverso, ma nessuno si fa vivo.
    Voglio notare, caro Paolo, che “La CEI – cioè i preti e i vescovi – continuano nei fatti a considerare l’Italia un paese a maggioranza cattolica”, credo non corrisponda alla realtà. Frequento molti vescovi e preti di parrocchia: ad esempio, venerdì scorso a Gemonio, provincia di Varese e diocesi di Como, ho avuto una lunga chiacchierata con don Silvio Bernasconi sulla sua parrocchia e la Chiesa italiana; e domani sera vado ad Agrate Brianza per la Messa solenne e poi la cena col parroco e altri amici nel paese del Beato Clemente.
    Vedo davvero tanti preti e alcuni vescovi, tutti sono convintissimi che siamo un paese sempre meno cristiano. il dramma dei preti oggi, parlo di quelli ancora attivi nella pastorale, è la corsa contro il tempo per arrivare a tutto e il fatto che la grande maggioranza sono di età fra i 60 e gli 80 e più anni. Quando uomini e donne vanno in pensione, il prete vede ogni giorno aumentare il suo lavoro e quindi anche la grande spinta che Papa Francesco sta dando alla Chiesa, per evangelizzare e rimanere a contatto col popolo, è recepita in senso intellettuale, ma difficile da realizzare. Ciascuno ha il suo carattere, il suo stile, le sue abitudini, i suoi schemi di vita e di lavoro; e a una certa età, sulla via della decadenza fisica con vari acciacchi e stanchezze, pressato dalle urgenze ed emergenze quotidiane.
    In questi giorni l’arcivescovo di Milano ha consacrato 26 nuovi sacerdoti diocesani. Ha ringraziato il Signore e i giovani preti e le loro famiglie, ma ha aggiunto che in un anno muoiono circa 50 preti diocesani! Con una diocesi come Milano che ha circa 5,5-6 milioni di abitanti, è facile capire cosa succede. Però mi piace la riflessione di Scola: la Chiesa è dello Spirito Santo, che è il protagonista della missione. Dobbiamo pregare, fare tutto quel che possiamo e fidarci dello Spirito. Se c’è questa fiducia, continuiamo ad evangelizzare con gioia il nostro popolo. E questo vale per tutti noi. Vostro padre Piero Gheddo

  4. Rev. Padre, mi sento in coscienza di dire che non mi stupisce più di tanto se sempre meno persone e soprattutto giovani, credano nell’importanza della missione e ancor di meno accettino di affrontare in prima persona i necessari sacrifici per attuarla, quando tutto il mondo che li circonda, a cominciare da gran parte di quello cattolico, da gran parte della stessa Chiesa, diffonde con mille mezzi (diretti o indiretti, esplici o impliciti) il concetto che convertire è in pratica un crimine, che tanto la misericordia divina non bada alla religione di appartenenza degli uomini, che in fondo l’unico vero compito è quello di aiutare materialmente i poveri… compito che si può adempiere anche facendo parte di una qualsiasi onlus anche atea… Se, come ha scritto già qualcuno, siamo arrivati ad avere il 15/20% massimo di cattolici praticanti, una qualche ragione ci sarà… e non si può sempre dare la colpa alle cause generiche come la secolarizzazione, il denaro ecc. perchè queste non sono cause, sono al limite a loro volta effetti o mezzi… la secolarizzazione è l’effetto di un arretramento della Chiesa e non solo di un avanzamento dei suoi nemici (che poi non possono nemmeno più definirsi tali visto che oggi la Chiesa non vuole più che si dica che il mondo è per certi aspetti un nemico, come non si possono definire nemiche le altre religioni… nemmeno quando massacrano i cristiani…) e quanto al denaro, – che pare essere l’unico chiodo fisso delle attuali gerarchie ecclesiastiche tanto che non si parla che di poveri buoni e ricchi cattivi, tanto che unico peccato sembra essere la corruzione economica… – dicevo il denaro è sempre esistito, ha sempre determinato la perdizione di un certo numero di fedeli… anche fra gli stessi apostoli, solo che allora convertiva a sè allontanandole da Cristo, meno del 9% delle persone (1 su 12 fra gli apostoli…)… oggi circa l’85%: è diventato più forte il denaro o più lassista, grigia, indeterminata la Chiesa e il suo messaggio? In tutta onestà, le sembra che una frase come qualla pronunciata pochi giorni fa da Mons Galantino (“… chiedere scusa ai non credenti perché tante volte il modo in cui viviamo la nostra esperienza religiosa ignora completamente le sensibilità dei non credenti, per cui facciamo e diciamo cose che molto spesso non li raggiungono, anzi li infastidiscono. Quindi, anche noi sul piano pastorale dobbiamo rivedere certi comportamenti, rivedere il modo con cui esprimere la nostra esperienza religiosa”.) possa fungere da stimolo ad intraprendere una missione fra chi non crede? Se un tuo pastore per primo afferma che eprimere il tuo credo può turbare chi non crede al punto da dovergli chiedere scusa (e non specifica ad esempio di riferirsi a chi pretende di convertire a colpi di fucile…) non può legittimamente farti sorgere il dubbio che la tua smania missionaria, la tua voglia di annuncio sia già di per sè “sopra le righe”, possa rientrare fra i comportamenti di cui poi qualche vescovo dovrà poi chiedere scusa? Non possono secondo lei, simili atteggiamenti (e questo è solo uno dei tanti) considerarsi demotivanti?
    La saluto con grande stima.
    GP

  5. Caro amico Petronio,
    potremmo discutere all’infinito per stabilire quali sono le cause della situazione attuale della missione alle genti, cioè ai non cristiani, è poco sentita nelle comunità cattoliche. Ma il problema è un altro: come far rinascere la passione, l’entusiasmo della missione ai non cristiani in tutto il mondo (non solo nel cortile di casa nostra!). Poiché una Chiesa, una comunità cristiana che non sia più missionaria in questo senso, rischia di non essere più la Chiesa fondata da Cristo, col compito primario di “andate in tutto il mondo ad annunziare il Vangelo, battezzando….”.
    Io sono convinto che noi missionari dobbiamo ricuperare il carisma delle origini, dei fondatori: andare ai non cristiani. Altri sono invece convinti che la missione oggi è a 360 gradi, tutto il mondo è in missione allo stesso modo; quindi l’Ad Gentes si vive anche nella nostra situazione italiana.
    Questo il problema che divide il mondo missionario in Italia. Grazie della sua lettera che conferma con esempi quanto ho detto. Suo padre Piero Gheddo

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