Papa Francesco: l’aborto è omicidio

Rileggendo e meditando in estate l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, La Gioia del Vangelo pubblicata da Papa Francesco il 24 novembre 2013, Festa di Cristo Re, ho “scoperto” due numeri sull’aborto, che sono nello stile di questa lettera pastorale (non Enciclica dottrinale), facile da leggere e comprensibile a tutti. Nel dare orientamenti pastorali alla Chiesa, Francesco rivela tutto se stesso, racconta quasi la sua esperienza di cristiano, di prete e di vescovo. E’ un testo che bisogna conoscere per entrare in sintonia con Francesco, con l’uomo e il suo programma, poterlo capire e accompagnare con la nostra vita e la nostra preghiera.

I due numeri sull’aborto mi hanno colpito perché il Papa argentino-italiano usa parole pesanti come pietre che non ho mai letto in altri documenti ecclesiali, tutti di condanna dell’aborto. Su Francesco fioriscono tante interpretazioni e letture, ciascuno lo tira dalla sua parte. Non si è ancora capito che lui è davvero un Papa missionario, che viene dalle missioni, e nella pastorale usa uno stile abituale nelle missioni, è libero, aperto, popolare, flessibile, amico di tutti, ma profondamente attaccato alla Verità del Vangelo e della Tradizione cristiana. Soprattutto parla a braccio, dice quel che pensa, può anche sbagliare qualche parola o atteggiamento, ma si è dichiarato “figlio della Chiesa”, scrive e parla col cuore, trasparente e parla chiaro. Per questo “La gioia del Vangelo” è proprio il programma del suo pontificato. Ecco i due punti sull’aborto, senza commenti. Sta parlando degli ultimi, nelle “periferie dell’umanità”, che il cristiano deve amare e difendere:

213. Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, «ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo » (cita Giovanni Paolo II, Cristifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 37).

214. Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?

Piero Gheddo

L’islam deve riformarsi dall’interno

Le atrocità del “Califfato islamico” in Iraq e Siria hanno scosso l’Occidente, che nella sua crisi politico-economica e religioso-morale diventa sempre più indifferente a quanto succede in paesi a noi vicini e alle migliaia di profughi disperati (circa 100.000 dall’inizio dell’anno) che la nostra Italia accoglie. Da quando il nascente Isis (Califfato islamico del Levante e dell’Oriente) conquista in Siria e Iraq una vasta base territoriale, affermandosi con violenze orrende e demoniache contro chi non si converte all’islam sunnita, costringendo Stati Uniti e alcuni paesi europei ad intervenire, pare che l’opinione pubblica occidentale prenda coscienza di quanto odio animi quei fantasmi da incubo che sventolano una bandiera nera; odio non solo anti-cristiano, ma contro l’Occidente e il nostro modo di vivere, che vedono come nemico mortale dell’islam, perché distrugge i fondamenti della religione coranica: sviluppo economico-liberale e benessere, democrazia e diritti dell’uomo e della donna, scienze e tecniche, alfabetizzazione universale, libertà di stampa e di costumi, ecc.

La civiltà islamica è fondata sull’obbedienza a Dio (naturalmente il Dio dell’islam), quella occidentale sull’uomo che si costruisce il futuro con la sua ragione, la sua libertà, i suoi diritti. La nostra civiltà, che ha profonde radici cristiane, crede di poter fare a meno di Dio. Islam vuol dire dipendenza da Dio, l’Occidente significa per quei popoli sviluppo umano senza Dio: laicismo, ateismo pratico, “morale laica” (cioè, la “morale fai da te”?, il primato assoluto della coscienza individuale che ignora Dio e Gesù Cristo, ecc.

Se questa analisi molto sommaria è esatta o almeno plausibile, ci indica anche come affrontare le minacce dell’islam radicale all’Occidente ed essere fratelli dei popoli islamici, in grande maggioranza contrari alle violenze del Califfato, che però si stanno diffondendo non solo nel Medio Oriente,ma in Nigeria, Repubblica centro-africana, Mali, Libia, Sudan, Mauritania, e minaccia i governi dell’Egitto e dell’Algeria).

La storia recente ci dimostra alcune cose:

1) la guerra non risolve nulla, anzi peggiora la situazione (vedi le due guerre in Iraq); chi si augura una nuova Crociata e una nuova Lepanto non tiene conto del miliardo e 300 milioni di islamici, che se attaccati ritornano uniti contro l’Occidente;

2) la riforma dell’islam verrà dalla formazione dei popoli islamici attraverso la scuola e la libertà di ricerca storico-critica delle fonti islamiche, per contestualizzare il Corano e Maometto al mondo moderno, come avviene nella Chiesa attraverso i Concili e il succedersi dei 265 Papi che la guidano;

3) L’Occidente può aiutare questo processo di maturazione con l’aiuto ai profughi e ai perseguitati, il dialogo con i musulmani “moderati” e i musulmani in Occidente, il rispetto della verità nel descrivere le atrocità dei guerriglieri e terroristi islamici, denunziando la radice coranica e storica dell’islam, come lo sterminio degli ebrei è attribuito all’ideologia razzista dei nazisti. Il dialogo senza il rispetto della verità storica diventa una finzione ipocrita che non serve e non convince nessuno.

4) Soprattutto, se l’Occidente vuol dialogare e affrontare la sfida dell’islam, deve ritornare Cristo. La civiltà che abbiamo fondato noi cristiani, oggi non accontenta nessuno, nemmeno i nostri popoli che l’hanno iniziata. E’una civiltà senz’anima, senza speranza, senza bambini e senza gioia, di cui sono segno i troppi fallimenti di una società senza Dio. Non si è ancora capito che i Dieci Comandamenti e il Vangelo sono gli orientamenti che Dio ha dato, a noi uomini da lui creati, per vivere una vita che porti alla serenità,, alla fraternità e solidarietà, all’autentico sviluppo, alla giustizia e alla pace (vedi la sintesi nella “Populorum Progressio”). Se l’Occidente non ricupera le sue “radici cristiane” e le mette a fondamento della sua vita e della sua cultura, rimane solo la guerra e l’autodistruzione dei nostri popoli.

Piero Gheddo

La gioia di portare Cristo al mondo

Nei miei giorni di vacanza al mare, nella casa dei Fatebenefratelli a Varazze (Savona), mi sono riletto, meditato e pregato con calma l’Esortazione apostolica di Papa Francesco, “Evangelii Gaudium” (La gioia del Vangelo). Non è una Enciclica, documento solenne e dottrinale, ma una “Esortazione apostolica”, una semplice “lettera” di natura pastorale che rivela l’animo del Papa italo-argentino (pubblicata il 24 novembre 2013, festa di Cristo Re). E’ un testo che bisogna conoscere per entrare in sintonia con Francesco, con l’uomo e il suo programma, poterlo capire e accompagnare con la nostra vita e la nostra preghiera. Tra l’altro si legge bene perché è molto concreto e comprensibile da tutti. Francesco parla col cuore e si sente che racconta la sua esperienza di cristiano, di prete e di vescovo.

La Lettera incomincia con queste parole (n. 1): “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Cristo, coloro che si lasciano salvare da Lui e sono liberati dal peccato, dalla tristezza del vuoto interiore. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. E aggiunge che l’Esortazione apostolica è indirizzata ai fedeli cristiani “per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice della Chiesa nei prossimi anni”. Ci provoca rendendoci protagonisti del suo piano di annunziare e testimoniare Cristo agli uomini.

La gioia è la caratteristica del cristiano che vive in comunione con Cristo. Se la nostra vita cristiana è autentica deve essere gioiosa, perché il Vangelo – scrive Francesco (n.5) – “invita con insistenza alla gioia” e porta alcuni esempi. Nella visita a Santa Elisabetta, Maria dice: “Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore” (Luc 1,17); Gesù promette ai suoi discepoli: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Giov. 15,19) e garantisce: “E nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Giov. 16,22). Gli Atti degli Apostoli confermano che nella prima comunità cristiana, pur in mezzo alla persecuzione e al martirio, “vi fu grande gioia” (At 13,52); i discepoli “prendevano cibo con letizia” (At 2,46); e persino il carceriere che assiste alla liberazione miracolosa di Pietro, appena battezzato “era pieno di gioia insieme ai suoi familiari per aver creduto in Dio (At 16,34)”.

La parola “gioia” è forse la più importante nella Evangelii Gaudium, che la cita 59 volte! Perchè Francesco apre la sua lettera parlando della gioia di vivere e amare Gesù Cristo? Perché il peccato, qualsiasi peccato, porta tristezza, pessimismo, depressione e conduce alla morte. Gesù Cristo, che morendo in Croce e risorgendo, ci ha liberati dai nostri peccati, ci dà la gioia di vivere. Ecco la grande verità che sperimentiamo nella nostra vita: quando sono in pace con Dio e con il prossimo sono felice e contento, quando ho peccato sono triste, preoccupato, scontroso e scontento.

L’atmosfera dominante nella nostra Italia e nell’Europa cristiana è il pessimismo, il lamento, la mancanza di speranza: quando dall’orizzonte di una persona, di una famiglia, di un paese si toglie il sole di Dio, l’uomo rimane da solo e vede solo buio nel suo futuro. L’11 agosto scorso è morto negli Stati Uniti il grande attore e comico americano, Robin Williams (1951-2014), che si è impiccato nella sua spaziosa e lussuosa residenza. Chi lo conosceva bene ha detto di lui: “Era famoso e pieno di soldi, capace di far ridere tutti gli spettatori dei suoi films e teatri, ma nella sua vita non c’era la luce, nel suo futuro vedeva solo buio”. Noi lo ricordiamo con simpatia e preghiamo per lui, l’ho citato solo come esempio e quasi simbolo della nostra mondo, che ha perso di vista il senso vero della vita: quello che dà gioia, perchè riconosce che siamo stati creati da Dio, dipendiamo e siamo amati e salvati da Gesù Cristo.

Ecco perché una vita serena e gioiosa, vissuta nell’amore di Cristo, è la base di partenza per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel nostro mondo benestante, democratico, istruito, che tende al pessimismo e al nichilismo. Papa Francesco si rivolge specialmente agli operatori pastorali: “Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Recuperiamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Possa il mondo del nostro tempo ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo » (n. 10).

E aggiunge: “Invito ogni cristiano,in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Cristo, cercarlo ogni giorno senza sosta” (n. 3). Solo in questo “incontro con l’amore di Dio che diventa felice amicizia”, noi ci liberiamo dal nostro egoismo e diventiamo pienamente umani. E aggiunge: “Qui sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice” (n. 8).

Piero Gheddo