Il Beato Clemente Vismara: “Fare felici gli infelici”

Il 16 giugno 2011 padre Clemente Vismara era beatificato in Piazza Duomo a Milano. Nel dicembre 2012 la Emi pubblicava “Fatto per andare lontano – Clemente Vismara (1897-1988), missionario e beato” (Prefazione di mons. Renato Corti), il romanzo d’avventure non inventate ma vere, di 478 pagine e 32 pagine di fotografie originali (Euro 18). Parecchi lettori hanno sperimentato che “chi incomincia a leggere questo libro, va poi avanti fino alla fine”. E’ la biografia di un missionario (“cacciatore di tigri e di anime”) che va a fondare la Chiesa presso popolazioni tribali che non avevano mai sentito parlare di Cristo, nella Birmania forestale del “Triangolo d’oro” (fra Thailandia, Laos e Cina), dove si produce circa la metà di tutte le droghe che poi arrivano in Occidente, fra contrabbandieri e guerriglieri ribelli al governo birmano.

Dopo questa biografia, fatta in gran parte con le sue lettere, nell’ottobre 2014 la Emi pubblicava un secondo libro che si poteva intitolare “La personalità e la spiritualità del Beato Clemente Vismara”. Invece è il volume “Fare felici gli infelici” (con la prefazione di Roberto Beretta) perché in varie sue lettere padre Clemente scrive che “questo è il motto di ogni missionario”. Il sottotitolo del libro ne spiega bene i contenuti: “Il segreto della vita lunga e vittoriosa di Clemente Vismara, missionario beato”, Il volume è uno studio approfondito sulle testimonianze che hanno dato le persone vissute con Clemente, al Processo canonico per la sua beatificazione (pagg. 300, Euro 16). E’ quasi un manuale di spiritualità missionaria, perché nella prima parte tratta, con esempi, delle virtù di Clemente: fede, speranza, carità, obbedienza, amore ai piccoli e ai poveri, purezza, povertà, gioia di vivere. Ma poi esamina i vari aspetti della sua vita missionaria: buon pastore e fondatore di comunità cristiane, la complessa personalità del Beato Clemente, un santo avventuroso, poetico e sognatore, unica passione: la missione alle genti.

Suor Chiara Amata Ruggiero, del Monastero Buon Gesù di Orvieto (Viterbo) , mi scrive una bella lettera: “La ringrazio dell’ultimo libro su padre Vismara che ci ha mandato: “Fare felici gli infelici”. Lei ci fa conoscere un missionario eccezionale in santità e nell’amore ai poveri, attraverso le fonti documentarie e le testimonianze di quelli che hanno avuto conoscenza diretta di lui. Non solo quest’ultimo libro, ma anche gli altri che riportavano gli scritti di Clemente, straordinario testimone di Cristo. Oggi la missione si concepisce e si esercita in modo diverso, ma non cambia la passione del dono di sé per Gesù Cristo, l’Unico che davvero ne vale la pena. Solo questo può innamorare un giovane, una giovane!Lo sapeva bene e lo viveva profondamente padre Clemente, se tanti, leggendo i suoi scritti e conoscendo la sua vita, hanno scelto di consacrare la propria vita al Signore”.

In una recensione su “Il Corriere del Sud”, Andrea Bartelloni scrive: “Il segreto della vita di Vismara è questo: per “Fare felici gli infelici”, il missionario deve dare tutto sé stesso perché solo questo convince i pagani.

Padre Gheddo, che ha al suo attivo molte biografie di santi e beati missionari, si è fatto una precisa idea del concetto di santità: il santo è un uomo felice, è un esempio di promozione umana che rende l’uomo più uomo e la donna più donna; la santità è alla portata di tutti, i santi sono la dimostrazione “che il Vangelo può essere vissuto in ogni situazione umana e in ogni tempo. “Fare felici gli infelici” è la storia del percorso spirituale che ha portato il beato Vismara verso la santità e l’autentica promozione umana e religiosa del suo popolo”.

Piero Gheddo

30 giugno 2015

 

I 119 anni di Cesano Boscone

La domenica 14 giugno 2015 l’Istituto della Sacra Famiglia di Cesano Boscone ha celebrato i suoi 119 anni. Nata nel 1896 dal parroco don Domenico Pogliani per accogliere “i poveri e i derelitti della campagna”, oggi è inglobata a nord-ovest nella città di Milano, una vasta cittadella con molto verde, che ospita circa 900 persone “diversamente abili”. Ma la Fondazione Sacra Famiglia si è estesa anche fuori Milano, in Lombardia, Piemonte e Liguria con 15 sedi, 1.900 posti letto, 1950 dipendenti, 840 volontari (dati del 2013). Oggi la Fondazione è alle prese con sfide sempre nuove ed esigenti , tecnicamente ed economicamente: è consolante vedere che custodisce bene la ricchezza della sua missione.

La Santa Messa solenne delle ore 10 è stata celebrata da mons. Paolo Martinelli, cappuccino e vescovo ausiliare di Milano per le persone consacrate, che ha parlato della Festa della Famiglia, com’è l’Istituto Sacra Famiglia: volersi bene, aiutarsi a vicenda, perdonarsi, camminare insieme. Questa la caratteristica fondamentale della cittadella cristiana, opera diocesana col sacerdote don Vincenzo Barbante presidente del Consiglio di amministrazione e con sacerdoti e fratelli Cappuccini per l’assistenza religiosa,

In tutte le S. Messe della domenica la splendida forza dello Spirito Santo si manifesta in questa comunità di “diversamente abili”. All’inizio la chiesa è al buio e quasi in silenzio, un’atmosfera che richiama la Chiesa nascente o perseguitata (alcuni gridano il loro saluto a Dio). La processione dei chierichetti (anch’essi adulti disabili) avanza con le candele, la Croce, il Vangelo e una torcia ondeggiante, lo Spirito Santo. Giunti all’altare, il Vangelo viene alzato e mostrato più volte in ogni lato, la torcia lo illumina nel buio e nel silenzio. Quando la fiaccola è sistemata accanto alla Croce, si accendono tutte e le luci e scoppia l’interminabile applauso. Gesù e lo Spirito Santo sono qui tra noi.

La Messa dura un’ora e mezzo, in rito ambrosiano, ma adattato per far esplodere la gioia dei partecipanti al rito. Un cappuccino guida i canti con la chitarra elettrica e il coro di giovani e ragazze volontari, che vengono anche da lontano per un mese o due di servizio. I sacerdoti concelebranti e i fedeli accompagnano le parole che cantano alzando insieme la mano e il dito destro verso l’alto per indicare Dio (un gesto che commuove chi lo pratica), allargano le braccia come segno di accoglienza, ondeggiano le mani verso l’alto come segno di festa, si piegano a destra e a sinistra come per fare la ola; nel dono della pace c’è un generale spostamento delle persone per salutate tutti quelli che conoscono e nel Padre Nostro tutti si tengono per mano in una gigantesca catena di fraternità, non solo tra i vicini di banco, ma fra tutti i presenti.

Il cappuccino rettore della Chiesa, padre Giuseppe, parlando a braccio e spiegando il Vangelo, provoca gli ascoltatori, suscitando battimani e cori di risposta; nella consacrazione, alza l’ Ostia e il calice e dice “Questo è il Signore Gesù” e tutti ripetono forte scandendo le parole: “Questo è il Signore Gesù”. L’Eucarestia è poi distribuita dai sacerdoti e dalle suore di quattro istituti (le Ancelle della Sacra Famiglia, le suore di Maria Bambina e altri due ordini)

E’ una Messa davvero partecipata, che entusiasma e commuove, come le processioni che si fanno per le vie, le piazze, i giardini della cittadella, con l’Eucarestia o la statua della Mamma del Cielo. Commovente vedere un’umanità sofferente che pregando e cantando, lo Spirito li rinfranca nella fede, nella speranza e nell’amore e aiuto vicendevole.

Io pensavo, ma guarda un po’: nella società, i “diversamente abili” (o handicappati, down) sono spesso mal visti, messi da parte e considerati una disgrazia in famiglia. Cesano Boscone è una cittadella in cui i disabili sono amati, curati, si sentono a casa loro, anche per strada si salutano tutti e acquistano la loro dignità di persone anche utili, perché ci sono numerosi laboratori e servizi alla comunità. Ebbene, nella Chiesa nascono continuamente nuovi istituti dedicati agli ultimi, ai più poveri in tutti i sensi. Sono tutte prove della Divinità e Risurrezione di Cristo! Senza la grazia di Dio, l’esempio di Cristo e la forza del fuoco d’amore accesa e sostenuta dallo Spirito Santo, queste istituzioni di amore e di attenzione agli ultimi non esisterebbero.

Piero Gheddo

16 giugno 2015

 

Francesco alle POM: non diventate una Ong

Il 5 giugno scorso Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie (POM), ringraziandoli cordialmente per il servizio che rendono alla Chiesa nel “realizzare il mandato missionario di evangelizzare le genti fino agli estremi confini della terra”. L’annuncio del Vangelo è “la prima e costante preoccupazione della Chiesa”, “il suo impegno essenziale”, “la sua sfida maggiore, e la fonte del suo rinnovamento”.
Poi Francesco continua: “Davanti ad un compito così bello e importante, la fede e l’amore di Cristo hanno la capacità di spingerci ovunque per annunciare il Vangelo dell’amore, della fraternità e della giustizia. E questo si fa con la preghiera, con il coraggio evangelico e con la testimonianza delle beatitudini.
“Per favore, state attenti a non cadere nella tentazione di diventare una ONG, un ufficio di distribuzione di sussidi ordinari e straordinari. I soldi sono di aiuto ma possono diventare anche la rovina della Missione… Per favore, con tanti piani e programmi non togliete Gesù Cristo dall’Opera Missionaria, che è opera sua. Una Chiesa che si riduca all’efficientismo degli apparati è già morta”.  Parole brevi ma dure di Papa Francesco e il suo richiamo non riguarda solo le POM, ma anche tutta la cosiddetta “animazione missionaria”, i Centri missionari diocesani, gli Istituti missionari, le associazioni di laicato missionario.
Per capire bene la situazione attuale e le parole di Papa Francesco, occorre ricordare il beato padre Paolo Manna (1872-1952), che Giovanni XXIII definiva “Il Cristoforo Colombo della cooperazione missionaria” (nel Congresso missionario dei seminaristi, novembre 1960). Missionario in Birmania e poi direttore di “Le Missioni Cattoliche”, padre Manna ha dato una svolta all’animazione missionaria con la sua Unione Missionaria del Clero fondata nel 1916 e assunta da san Guido Maria Conforti, Vescovo di Parma e Fondatore dei missionari Saveriani, che ha presentato l’associazione a Benedetto XV. Nel gennaio 1917 gli “Acta Apostolicae Sedis” pubblicano l’approvazione del Papa e i giornali ne danno notizia. Nasce così l’Unione missionaria del Clero (Conforti presidente e Manna segretario), che ha subito un ottimo successo in Italia e all’estero. Nel dicembre 1917 i soci erano 1.254, fra i quali Achille Ratti (Pio XI) e Angelo Roncalli (Giovanni XXIII); 4.035 nel 1919, 10.255 nel 1920 e 23.000 nel 1924.
Delle quattro Pontificie opere missionarie, tre delle quali nate nell’ottocento francese (Propagazione della Fede 1822, Sant’Infanzia 1843 e Clero Indigeno 1889), l'”Unione missionaria del Clero” (1916) è la più attuale. A quasi un secolo dalla sua fondazione, siamo ancora ben lontani dall’ideale di padre Manna, che la missione alle genti sia sentita come propria da tutte le persone consacrate e quindi da diocesi, parrocchie, seminari, ordini religiosi. Per questo l’Unione è stata così definita da Paolo VI nella Lettera apostolica “Graves et increscentes” (5 giugno 1966, nel 50° di fondazione): “La Pontificia Unione Missionaria ha un ruolo di primaria importanza fra le Opere Pontificie. Se è l’ultima in ordine di tempo, non è l’ultima per il suo valore spirituale. Essa dev’essere considerata come l’anima delle Pontificie Opere”.
Manna voleva un’associazione che trasmettesse ai sacerdoti l’entusiasmo per l’ideale missionario; animando il clero si sarebbe raggiunto tutto il popolo cristiano. In Birmania aveva sperimentato quanto fosse necessario il denaro per l’opera missionaria, ma sul rapporto fra “propaganda missionaria” e denaro scriveva in due articoli mentre stava iniziando l’Unione Missionaria del Clero:
“Oggi parlare di missioni è quasi come parlare di denaro. Se prendiamo in mano qualsiasi periodico missionario non vi troviamo che appelli per avere denaro; si escogitano mille industrie per tirar su soldi… Non diamo troppo valore al denaro come mezzo di apostolato… La cooperazione missionaria non è solo questione di denaro: è una questione squisitamente, sovranamente spirituale… è soprattutto questione di personale. La più urgente forma di cooperazione è di favorire le vocazioni all’apostolato, di dare operai alla Chiesa”.
Un altro suo articolo è un accorato invito alla preghiera: “Non tutti possono sempre mandare soccorsi di elemosine, tutti però possono pregare e tutti ne hanno il dovere. La preghiera per la conversione degli infedeli è anche più importante e necessaria dell’elemosina, in affare tanto spirituale e soprannaturale quale è quello della conversione delle anime… Preghiamo e invitiamo tutti i nostri parenti, conoscenti e dipendenti a pregare per questa santissima causa di Dio e della Chiesa”.

Nel 1934 “Il Pensiero missionario” pubblica uno studio di padre Manna intitolato: “La cooperazione cristiana alla conversione del mondo e l’Unione missionaria del clero”. E’ il testo fondamentale per comprendere il suo pensiero e la sua passione missionaria, Se i preti non vivono la passione di portare Cristo a tutti gli uomini, anche il mondo cristiano non potrà fare miracoli; “Quale triste spettacolo offriamo noi sacerdoti quando, sfiduciati, lamentiamo impotenti la deplorevole condizione di gran parte del mondo e dei nostri stessi paesi cristiani, quasi per piangere il fallimento del nostro ministero, il fallimento di Dio! Ma Dio non fallisce mai e non può venir meno la Chiesa; può però fallire un ministero di uomini deboli e inetti per un’opera sì soprannaturale e divina…”.
L’Unione missionaria del clero è nata sulla base di questa convinzione: la cooperazione dei fedeli alla missione della Chiesa è in rapporto alla fede e alla passione missionaria dei preti. Manna grida con forza: “Una diocesi, una parrocchia in cui si coltivino nelle anime queste divine idealità, non perderà mai la fede e avrà l’intelligenza di ogni opera buona… Teniamo come assioma indiscutibile – suffragato dalla prova dei fatti – che tutto quanto si fa per le missioni, prima di arrecar bene agli infedeli, cade in benedizioni sulle nostre cristianità; mentre al contrario, una fede che non si propaga, o è morta o è destinata a morire… Il risveglio missionario in tutta la Chiesa è oggi più che mai urgente”.
Manna continua: “L’Unione non ha mantenuto il suo carattere originale di associazione altamente spirituale e apostolicamente educativa, quale deve essere secondo l’ispirazione che ne diede il Signore…Per parlare bene e utilmente delle missioni bisogna parlarne da apostoli, da uomini che amano molto Dio e le anime, come ne parlano i santi missionari. Il frutto vero, sostanziale che l’Unione missionaria trarrà dai suoi corsi di studi, dalle sue conferenze, sarà proporzionato allo spirito con cui tale propaganda sarà fatta. Parlerà lo Spirito di Dio? Si avranno infallibilmente frutti di vita. Parlerà lo spirito dell’uomo? Si avrà del fracasso, ma gli interessi che si vogliono favorire non progrediranno di un passo”.
Il beato Paolo Manna è convinto che “Bisogna spiritualizzare la propaganda…La missione è opera di fede e di grazia dello Spirito Santo, è la Pentecoste che si perpetua attraverso i tempi…L’Unione missionaria deve essere vivificata dallo stesso Spirito. Solo animata da Esso deve operare e produrre frutti di salute e di vita. Guai se nell’Unione missionaria si insinua lo spirito umano… Le missioni fanno appello al cuore dei fedeli e li spronano a pregare ed a sacrificarsi per esse, solo se sono presentate quale cosa del tutto divina… Nella nostra predicazione facciamo parlare l’amore che ha avuto Dio per il mondo, facciamo parlare il Sangue che Gesù Cristo ha sparso per le anime, facciamo parlare la miserevole condizione degli infedeli… sono le voci che il nostro popolo comprende meglio di ogni altro parlare…. “.

Piero Gheddo

10 giugno 2015