Il 16 dicembre scorso ho già illustrato la situazione persecutoria contro i cristiani in Pakistan. Lo stato è laico, in genere i governi proteggono le minoranze religiose, però la forza popolare, culturale e mediatica della maggioranza islamica è tale che nei momenti di difficoltà l’islam, l’unica forza che unisce la popolazione, ottiene privilegi e leggi usate contro i cristiani e le minoranze religiose, specialmente indù.
In Pakistan, i cristiani rappresentano una piccola minoranza di 160 milioni di abitanti, in maggior parte (95%) musulmani, dei quali il 20°% sciiti, il resto sunniti. I cristiani sono 3.743.075, circa il 2% dei pakistani, metà dei quali cattolici. Nelle sette diocesi del Paese ci sono 270 sacerdoti, 735 religiose e 169 religiosi. I missionari stranieri incontrano difficoltà nell’ottenere i visti dal governo, ma sono concessi i permessi di ingresso per sostituire missionari stranieri che si ritirano.
I cristiani si organizzano per rispondere alla crescente intolleranza religiosa. C’è piena collaborazione fra Chiesa cattolica e Chiese protestanti, specie negli organismi che lanciano appelli e denunzie per i casi di discriminazioni anti-cristiane: la “Commissione nazionale Giustizia e Pace”, la “Commissione per la pace e lo sviluppo umano”, il “Centro legale di assistenza e di sistemazione” (per i profughi), l’”Alleanza di tutte le minoranze del Pakistan”, il “Centro di studi cristiano”, che hanno voce nella stampa locale, in Pakistan abbastanza libera, e nelle televisioni sottratte al monopolio statale. A livello internazionale sono collegati con le agenzie “Fides”, “Asia News” e “Zenith”.
In una intervista del 12 novembre 2008 all’agenzia “Zenith”, l’arcivescovo di Lahore, mons. Lawrence Saldanha, presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, ha dichiarato che la situazione delle minoranze religiose va peggiorando, man mano che peggiora la situazione generale del paese, con la guerra in Afghanistan, le forti tensioni e guerriglie per il Kashmir e l’instabilità politica. I fondamentalisti islamici si impongono con la violenza, il ricatto e la passività del popolo. Mons. Saldanha ha detto: “La società pakistana è piuttosto frammentata e non avanza in maniera omogenea. Una parte va avanti più velocemente, un’altra più lentamente e un’altra ancora rimane immobile, non si muove. Si può dire che abbia fatto ingresso nella modernità solo una minoranza più istruita e con mentalità secolare; la maggioranza si trova ancora in una specie di medio evo ed è quella la parte più influenzata dal fondamentalismo islamico”.
“Per quanto riguarda i cristiani, – continua l’arcivescovo – la gran parte vive in condizioni di povertà. Nelle grandi città svolgono lavori molto umili, spesso nelle case dei più ricchi, nelle campagne fanno i braccianti al servizio dei proprietari terrieri. Tuttavia, il numero dei medici, degli insegnanti, degli infermieri e degli impiegati cattolici è in continua crescita e questo è segno dei grandi passi avanti compiuti attraverso le nostre scuole. L’aspetto peggiore delle persecuzione anti-cristiana, continua l’arcivescovo, è il fatto che vi sono madrasse (scuole coraniche) che incitano all’odio contro i cristiani e i giovani fanatici che danno l’assalto alle chiese. Oggi accade sempre più di frequente che gli estremisti spingano i cristiani a passare all’islam. Stanno facendo di tutto per convertire all’islam cristiani e hindù. In molti casi delle ragazze sono state costrette a sposare dei musulmani e a cambiare religione. E’ un fenomeno piuttosto diffuso. La comunità cristiana è molto preoccupata per questa situazione. Molti vivono nel terrore”.
La Chiesa si occupa soprattutto delle scuole, che, con quelle protestanti, rappresentano circa il 14% di quelle del paese. Nella sola diocesi di Lahore sono 72, delle quali solo 10-15 autosufficienti perché frequentate anche da studenti di famiglie in grado di pagare una retta; le restanti accolgono i meno abbienti e sono sulle spalle della Chiesa. In tutto il paese le scuole, gli ospedali e le case di ricoveri per anziani, lebbrosi, handicappati, sono la miglior presentazione del cristianesimo.
Inoltre, l’opera più apprezzata della Chiesa sono le varie opere sociali per i più poveri e le iniziative di promozione della donna, dalle scuole di alfabetizzazione alle cooperative di lavoro che avviano le donne a piccole attività anche domestiche per produrre qualcosa che porta denaro in famiglia. Ho visitato un villaggio cristiano con circa 6.000 abitanti, Kushpur, fondato da un missionario cappuccino belga all’inizio del Novecento, nella pianura del Punjab. Quando i missionari cappuccini e domenicani all’inizio del Novecento convertirono le prime famiglie e comunità, dovettero portarle fuori dall’ambiente islamico e fondarono questo villaggio disboscando le foreste e ricavandone campi. Oggi Kushpur (che in “urdu” significa «villaggio della felicità») è l’unico paese cristiano nel mare dell’Islam.
La differenza con i villaggi musulmani vicini si vede subito: la pulizia delle case e delle strade; la libertà con cui le donne si fermano a parlare e si lasciano persino fotografare (altrove questo è considerato quasi un crimine); la vivacità dei ragazzi e delle ragazze a scuola, nel gioco, nella vita del paese; l’unità e la collaborazione delle famiglie al bene comune, che ha permesso la fondazione di gruppi cooperativistici per lo scavo di pozzi, la canalizzazione dell’acqua, il commercio dei prodotti locali.
Parlo con la signora Maddalena Keshwan, una mamma di cinque figli (di cui uno sacerdote), che presiede l’Associazione Santa Caterina da Siena delle donne di Kushpur. «Nei villaggi musulmani», mi dice, «ci sono tante divisioni, fazioni, clan familiari, invidie e lotte per dominare. Qui a Kushpur viviamo in buona armonia. Ma il segno più evidente dell’influsso cristiano è che noi donne abbiamo una nostra personalità e libertà, siamo riconosciute come persone, possiamo parlare, organizzarci e contare qualcosa nella vita del villaggio. La nostra Associazione ha unito le donne, ha raccolto aiuti e abbiamo realizzato varie opere pubbliche, come il deposito d’acqua per tutto il villaggio, un centro di cucito e la scuola di alfabetizzazione per gli adulti».
Maddalena mi porta a visitare le sue collaboratrici che mi trattengono un po’ in casa, offrendomi tè da bere. Così vien fuori la cosa più interessante. La vita a Kushpur è così diversa da quella dei villaggi islamici vicini, che vengono quasi ogni giorno gruppi di uomini musulmani a vedere come vive un villaggio cristiano, soprattutto come mai le donne sono così libere e gli uomini che lavorano, mentre nei villaggi musulmani lavorano soprattutto le donne e i bambini: l’uomo che ha raggiunto i trent’anni e ha generato alcuni figli ha la vita assicurata, non lavora più seriamente. Parlo naturalmente dei villaggi rurali che vivono secondo una mentalità e cultura antica. Nelle città la situazione cambia. Per concludere. Nella difficile situazione in cui vive il Pakistan, la piccola minoranza cristiana, pur lottando per la sopravvivenza, mantiene viva la speranza di un futuro migliore, dando alcune testimonianze che servono anche a noi, cristiani d’Occidente:
1) Mantengono viva la fede e l’unità nella Chiesa. Mons. Saldanha già citato afferma nella sua intervista: “I nostri cristiani sono molti saldi nella fede in Cristo e ripongono la loro speranza in Lui. Ora vivono la loro fede in maniera più attiva, nutrono una maggior devozione, sono molto più impegnati e hanno ripreso a venire in chiesa. Tutti questi fatti, di cui stiamo parlando, hanno unito i cristiani. Pregano e sperano che le cose possano migliorare un giorno. E’ questa la lezione che voi cristiani d’Occidente potete apprendere da loro”. La Chiesa pakistana chiede il nostro aiuto di preghiera e anche di sostegno economico delle loro opere di carità ed educative.
2) Secondo insegnamento. L’estremismo islamico e le violenze contro le minoranze hanno unito i cristiani nel dialogo di vita e nella collaborazione ad iniziative comuni. Inoltre si impegnano nel dialogo con gli ulema musulmani moderati. Ancora mons. Saldanha dice: “Nella nostra diocesi, insieme agli ulema locali, ai pastori protestanti e agli esponenti delle altre religioni, come i sikh e gli indù, abbiamo dato vita al Comitato per la Pace, dove è possibile riunirsi per discutere di problemi comuni e per celebrare le rispettive cerimonie e festività. Le nostre scuole, inoltre, sono aperte anche ai bambini musulmani. Per loro assumiamo appositamente degli ulema per l’insegnamento del Corano”.
3) Terzo insegnamento. La Chiesa pakistana ha celebrato a Karachi il primo congresso missionario nazionale (25 – 29 novembre 2008), dal titolo: “La vita di Gesù deve essere portata in tutti gli angoli del Paese”. Pensate. Una piccola Chiesa perseguitata si propone di annunziare Cristo “in ogni angolo del paese”: invece di chiudersi, si apre alla missione! Padre Mario A. Rodriguez, direttore nazionale delle Pontificie opere missionarie (Pom), racconta ad “AsiaNews” che i cinque giorni di lavoro a Karachi, con oltre 200 delegati, stanno già portando frutto.
Piero Gheddo