Dal 10 giugno il leader libico Muhammar al-Gheddafi è ospite del governo italiano, ricevuto con tutti gli onori dovuti ad un capo di stato di un paese amico dell’Italia. Le forze politiche e l’opinione pubblica sono divisi. Chi esprime un giudizio positivo su questa visita che suggella l’amicizia libico-italiana, con tutti i vantaggi che possono venire al nostro paese, chi dà un giudizio negativo ricordando che Gheddafi è un dittatore che non rispetta i diritti dell’uomo e non ammette opposizioni al suo governo.
Ne parlo brevemente solo perché sono stato in Libia nel dicembre 2006, su invito del vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli, francescano minore. Ho visitato bene la Libia, estesa poco meno di sei volte la nostra Italia con solo 5-6 milioni di abitanti libici; oltre ai quali vivono in Libia più di due milioni di lavoratori stranieri, soprattutto egiziani e arabi (profughi da Libano, Iraq, Siria, Aghanistan), ma anche molti africani che vengono dall’Africa nera: somali, eritrei, etiopici, sudanesi, camerunesi, nigeriani, ciadiani, dal Burkina Faso e dalla Cista d’Avorio; e poi alcune migliaia di europei, soprattutto italiani. La Libia è un paese ricchissimo di petrolio e di gas, fornisce all’Italia circa il 30% delle nostre risorse energetiche e il nostro paese è il primo partner commerciale della Libia.
Di Muhammar al Gheddafi si è detto tutto. Dittatore del 1969, nei primi tempi ha seguito una linea politica nettamente anti-occidentale e anti-italiana, rivoluzionaria, fino a finanziare il terrorismo di matrice islamica e le moschee e madrasse islamiche d’ispirazione estremistica in tutto il mondo. Ha espulso dalla Libia i circa 22.000 italiani e altri che tenevano in pieni l’economia e i servizi pubblici, riducendo il suo popolo ad uno stato di miseria. Nel 1986, Reagan bombardò le sei tende, all’interno di caserme, in una delle quali viveva il premier libico, che scampò per miracolo. Gheddafi, anche perchè isolato fra due stati filo-occidentali (Egitto e Tunisia), capì che la sua linea rivoluzionaria lo portava al fallimento e, a poco a poco ha cambiato politica. Oggi fa ancora discorsi rivoluzionari e anti-occidentali, ma in pratica, specie dopo che nel 1998 venne tolto l’embargo economico e nel 2004 l’embargo sulla vendita di armi alla Libia, ha iniziato un cammino di avvicinamento all’Occidente e, quel che più importa segnalare, di faticosa educazione del suo popolo al rispetto dei diritti dell’uomo e della donna. I proventi del petrolio che prima usava per sostenere l’estremismo islamico e i kamikaze palestinesi ora le usa per sviluppare il suo paese: strade, scuole, ospedali, università, case popolari a bassissimo prezzo, inizio di industrializzazione, sviluppo agricolo con l’acqua tirata su nel deserto ad una profondità di 800-1.000 metri! Due acquedotti (costruiti dai sud-coreani) portano l’acqua dal deserto alla Libia della costa, centinaia di chilometri più a nord.
Una visita in Libia permette di rendersi conto di un paese in pieno sviluppo. Gheddafi controlla e tiene a freno l’estremismo islamico e tenta di cambiare gli antichi costumi. Ad esempio, ha mandato a scuola tutte le bambine e le ragazze all’università, vincendo molte resistenze anche da parte di studenti e docenti universitari. Persegue in Libia una politica di libertà religiosa. I 100.000 cristiani (nessun libico, tutti stranieri), pur con molti limiti, godono di libertà di culto e di riunione. La Caritas libica è un organismo stimato e richiesto di interventi.
Due fatti eccezionali vanno ancora segnalati. Nel 1986 Gheddafi scrisse a Giovanni Paolo II chiedendo suore italiane per i suoi ospedali. Costruiva ospedali e dispensari, ma non aveva ancora infermiere libiche. La richiesta veniva dal buon esempio delle due suore francescane infermiere italiane che hanno assistito il padre di Gheddafi fino alla morte. Oggi in Libia ci sono circa 90-100 suore cattoliche (soprattutto indiane e filippine, ma anche italiane) e 10.000 infermiere cattoliche laiche, oltre a molti medici filippini, indiani, libanesi, italiani. Il vescovo Martinelli mi diceva: “La presenza di queste donne cristiane, professionalmente preparate, gentili, attente alle necessità del malato che curano con amore, stanno cambiando l’immagine del cristianesimo fra i musulmani”.
Secondo fatto. Sono stato nel deserto a 900-1000 km. da Tripoli, dove sta fiorendo una regione ex-desertica per l’acqua tirata su dalle profondità della terra. Un lago di 35 km. di lunghezza e campagne coltivate e cittadine, dove vent’anni fa non c’era nulla. La città capitale della regione ha 80.000 abitanti, dove vive un sacerdote medico italiano, don Giovanni Bressan (di Padova) che è stato uno dei fondatori dell’ospedale centrale di Sebha. Don Bressan ha riunito i molti africani profughi dai paesi a sud del deserto (Nigeria, Camerun, Ciad, ecc.) fondando per essi una parrocchia, una scuola, un centro di riunioni e di gioco. Gli africani sono trattati bene, lavorano e sono pagati, per tre o più anni rimangono nel sud, poi hanno soldi a sufficienza per tentare il passaggio in Italia! Fanno tutti i lavori e sono ammirati perché lavoratori onesti e forti. Don Vanni (Giovanni) riesce a fermare alcune famiglie, le altre vogliono venire in Italia, in Europa.
Il cammino della Libia verso la piena integrazione nel mondo moderno e nella Carta dei diritti dell’uomo e della donna, è appena cominciato. Personalmente sono contento che Gheddafi sia venuto in Italia e manifesti con questo la sua intenzione di continuare in una linea moderata e non estremista.
Piero Gheddo
Non ho parole: questo sì che è vero giornalismo. Grazie per tutte queste preziose e consolanti informazioni che, chissà perché, non si trovano sui quotidiani nazionali.
Ma toh! Queste cose non le sapevo! Gheddafi mi è sempre sembrato un arrogante despota. Scopro qualche cosa di diverso. Però venire in Italia con la fotografia che richiama il colonialismo……….! E i suoi discorsi………… !
ciao riccarda