L’islam ponte di dialogo verso l’India

Intervista a padre Paolo Nicelli, missionario del Pime e conoscitore dell’islam

 

Dopo il Blog del 15 giugno scorso “Papa Francesco e il dialogo con l’islam”, come avevo promesso pubblico questa intervista con padre Paolo Nicelli, missionario nelle Filippine e  specialista dell’islam (vedi sotto). Credo che anche questo testo del mio confratello, che ha un’esperienza di vita in paesi islamici, possa contribuire a cambiare il giudizio che molti credenti in Cristo danno dell’islam. Giusto condannare il terrorismo di matrice islamica, come fanno anche la grande maggioranza dei musulmani, che sono le prime vittime del Califfato islamico! Ma è sbagliato condannare in blocco una religione e una civiltà che derivano anch’esse da Abramo, nostro Padre della Fede, e hanno una profonda devozione al profeta Gesù ed a Maria. Il popolo cristiano dell’Occidente deve seguire Papa Francesco e avere una visione alta e positiva dell’islam, per poter accogliere e dialogare con i musulmani. Piero Gheddo.

 

Nicelli – Il rinnovamento dell’islam avverrà solo a partire dall’interno del mondo islamico. Noi occidentali abbiamo il compito di sostenere queste correnti innovatrici dell’islam, che non si separano dall’islam stesso. Il problema dell’Occidente è che ha fatto molte promesse all’islam moderato, ma poi non le ha sostenute e queste promesse si sono rivelate funzionali ad altri fini, non all’evoluzione dell’islam.

Gheddo – Promesse di che tipo?

Nicelli – Promesse culturali, investimenti economici e politici, di non isolamento della cultura moderata. Cioè dare visibilità a questa cultura moderata, far capire che l’islam non è solo terrorismo: questo sui giornali, nelle università, dei dibattiti internazionali, nelle agenzie di stampa, ecc. L’Occidente ha un grande potere mediatico, politico ed economico! I musulmani si sentono fuori da questo, messi in un angolo perché terroristi e totalitari.

L’islam è molto di più che il terrorismo. Pensa il peso della cultura, della filosofia islamica nel mondo indiano. L’islam è stato il cuscinetto fra cultura occidentale e cultura orientale, in campo filosofico e religioso e anche antropologico;  e non va dimenticato che l’India, con l’Induismo e il Buddhismo, è la matrice della cultura asiatica filosofica e religiosa, molto più che la Cina e il Giappone. L’Occidente non è riuscito a gettare un ponte di confronto e di reciproco influsso fra Oriente e Occidente; l‘ha fatto con la colonizzazione e le missioni cristiane ma l’islam l’ha fatto nei secoli specialmente col pensiero dei persiani, a partire dallo zoroastrismo fino agli Imperatori Moghul e alla massa del 15% di musulmani che vivono in India.

C’è stato un profondo scambio culturale e religioso fra India e mondo islamico e la Persia è stato il protagonista di questo scambio, cose a cui nessuno pensa.  L’Occidente ha lasciato pochissime tracce nel mondo indiano, prima della colonizzazione alla fine dell’ottocento: Alessandro Magno è arrivato fino alle piane del Gange come conquistatore, ma poi non ha lasciato nulla.

Questa la grande missione dell’islam nel campo culturale e religioso, è stato mediatore fra cultura orientale e cultura occidentale, tramite la Persia. Ecco perché la Persia, l’Iran attuale, è così importante nel dialogo con l’Occidente, perché unisce due mondi. Poi bisogna tener presente che all’interno dell’islam c’è una forte polemica tra mondo arabo e mondo persiano. I primi dicono: noi vi abbiamo dato la rivelazione nel Dio unico, voi vivevate nel politeismo e avete ricevuto la fede nel Dio unico; i persiani dicono: è vero, ma chi ha fatto dell’islam una civiltà e una cultura? La filosofia e la teologia e la cultura persiana.

Gheddo – Araba no?

Nicelli  – Gli arabi erano dei beduini, gente nomade dei deserto. Sono diventati civili e colti grazie ai pensatori e ai sufi persiani che hanno viaggiato nelle loro terre. I più grandi teologi erano persiani: Avicenna, Al-Ghazali (il San Tommaso dell’islam), Ibn ‘Arabi (grande mistico, uno dei sufi più ricordati era persiano). Averroé invece è spagnolo di Cordoba. Insomma la cultura dell’islam viene in gran parte dalla Persia. Bagdad. Damasco e Il Cairo sono arabe, ma la cultura che girava in quel tempo in quelle grandi città e università era persiana. Gli arabi hanno ricevuto tutta la filosofia zoroastriana e anche le novità tecniche e filosofiche: i persiani traducevano i testi greci e indiani e li portavano nelle città e università del mondo arabo.

Nel 1200 Averroé in Spagna, che ha incontrato gli ebrei e i cristiani nelle grandi università di Salamanca e altre, insegnava la filosofia aristotelica secondo la sua interpretazione e la portava nelle città e università arabe.

Gheddo – Che cosa fare di fronte all’islam oggi?

Nicelli – La prima cosa da fare è di evitare ogni confronto fra la cultura occidentale e quella islamica oggi. Se noi guardiamo alla cultura occidentale dal punto di vista filosofico, giuridico, scientifico moderno, è chiaro che siamo secoli avanti a quella islamica, questo è fuori discussione. Ma se tu guardi la cultura islamica nel Medio Evo, confrontata con quella occidentale di quel tempo, vedi che in parecchie cose erano avanti a noi. Se si fa un confronto di questo tipo è errato e offensivo.

Per me importante oggi è sottolineare che se dal punto di vista culturale e scientifico c’è stato questo scambio positivo fra popoli cristiani e popoli musulmani, è chiaro che può esserci anche oggi, a patto che si scopra il senso profondo della propria fede, che è amore a Dio e amore all’uomo. Questo implica un rinnovamento della tradizione, dell’esegesi per i musulmani, come anche per noi occidentali: non dimentichiamo che noi abbiamo avuto i nazisti, cristiani battezzati, che scrivevano sulle fibbie dei loro cinturoni “Gott mit uns” (Dio è con noi) e poi ammazzavano ebrei, zingari, slavi e via dicendo.

Il dialogo con l’islam è un problema di interpretazione della tradizione.  Bisogna isolare il fondamentalismo presente nell’islam, come in tutte le religioni. Tale fondamentalismo violento è frutto di quelle ideologie totalitarie che riducono l’esperienza religiosa e quindi l’esperienza culturale legata a questa a pura violenza, svuotando la religione del suo contenuto formale, Dio e l’amore che Dio ha per la sua creatura. Il fondamentalismo fanatico e violento usa Dio e la tradizione religiosa come giustificazione del massacro di persone innocenti, uomini, donne, bambini e anziani e lo fa in nome della morte e non della vita.

Dr. Padre Paolo Nicelli, PIME

Dottore della Biblioteca Ambrosiana
Direttore della Classe di Studi Africani
Professore di Teologia Dogmatica, Missiologia, Studi Arabi e Islamistica.

 

Papa Francesco e il dialogo con l’islam

Papa Francesco ripete spesso che il terrorismo di matrice islamica si vince non dichiarando una “guerra di religione”, ma promuovendo il “dialogo con l’Islam”, specialmente con le sue correnti più moderate. Molti credenti in Cristo e figli devoti della Chiesa non capiscono o non condividono quel che dice il Papa italo-argentino. Tento di spiegarlo partendo dalla mia esperienza di missionario-giornalista. Negli anni ‘50 del 1900 ho studiato missiologia, etnologia e islamistica all’Università Urbaniana; ho preso un diploma di tedesco in Austria e Germania e intervistato diversi missionari degli SVD (Società del Verbo Divino); poi ho fatto il Concilio Vaticano II come perito dell’Ad Gentes e giornalista dell’Osservatore Romano; e già durante il Vaticano II ho incominciato a visitare le missioni, anche  in numerosi paesi islamici, in alcuni più d’una volta.

Ebbene, fino agli anni ‘80 del 1900, i rapporti dei cristiani con l’islam non rappresentavamo un problema. Ad esempio, nessuno dei vescovi visitati e intervistati nell’Africa sotto il Sahara (del Sudan, Kenya, Uganda, Ciad, Tanzania, Burkina Faso, Ruanda, Congo ex-belga, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Rhodesia, Swaziland, Mozambico, Angola), mi ha parlato di pericolo o  di terrorismo islamico o di persecuzione contro i cristiani da patte dell’islam (eccetto il vescovo di Khartoum). Allora tutti temevano il “pericolo comunista”, infatti i vari partiti rivoluzionari collegati con Urss, Cina e Cuba, avevano assunto il potere con guerriglie o colpi di stato e distrutto l’economia e i servizi pubblici creati dalla colonizzazione. Nel gennaio 1979 l’ayatollah Khomeini, applaudito dai mass media e dall’opinione pubblica occidentale, assume il potere in Iran, con una rivolta popolare guidata dal clero sciita, contro lo scià Reza Pahlavi, alleato degli Usa, che promuoveva la modernizzazione del paese. Inizia così la svolta radicale dell’islam in tutto il mondo. L’Iran diventa una repubblica islamica e Khomeini dichiara la guerra totale contro “il grande Satana” (gli Usa), il loro alleato Israele e l’Occidente cristiano. E rende attuale la tradizione sciita del “martirio per l’islam”, cioè il terrorismo di matrice islamica, che ha portato a poco a poco ai talebani e poi, con sigle diverse (Al-Qaida, Mujaheddin,  Boko Aram, Shahab, Jihadisti, ecc.), al Califfato islamico, l’Isis (Islamic State Iraq and Siria).

Perché dico tutto questo? Papa Francesco, per sconfiggere il terrorismo, parla di “dialogo della vita”” con i musulmani e non vuol sentire espressioni come “terrorismo islamico” o “guerra di religione”. E fa bene, perché l’alternativa del dialogo è l’odio, la violenza, la guerra. Una guerra totale, che sarebbe davvero la terza guerra mondiale, senza vincitori né vinti. Ma sul “dialogo della vita” con i fedeli dell’islam ho già scritto in diversi miei Blog recenti e il 6 maggio scorso ho pubblicato “Il Vangelo del Dialogo”, l’esperienza di padre Franco Cagnasso, che racconta come lui stesso  vive, dopo studi sull’islam, il dialogo della vita con i musulmani in Bangladesh.

Papa Francesco ha dell’islam una visione positiva e anche qui fa bene. Se si pensa che l’islam è una religione falsa e demoniaca, nata per contrastare il cristianesimo e ammazzare i cristiani, nessun dialogo è possibile. Ma, in una visione alta della storia millenaria dell’umanità e dell’Alleanza con Dio, l’islam appare una religione provvidenziale. Vediamo. Tutti i popoli riconoscono e pregano Dio Creatore e Signore del creato. Quando nell’800 i primi etnologi sostenevano che i popoli primitivi non avevano il concetto di Dio, padre Wilhelm Schmidt (1868-1954), missionario SVD, insegnante all’Università di Vienna, fondatore della “Scuola di Vienna” di antropologia e della rivista “Anthropos”, promosse una vasta ricerca tra i missionari di ogni continente che vivevano fra i popoli “primitivi”.  La sua opera Der Ursprung der Gottesidee (L’origine dell’idea di Dio) ha dimostrato che tutti i popoli riconoscono e pregano Dio. Non esistono popoli atei. Più ancora, Schmidt afferma e dimostra che, più si indaga fra le popolazioni viventi in un’epoca preistorica, isolate dal resto del mondo (a quel tempo erano ancora molte) e più è chiaro che esse hanno “un originale monoteismo convinto”, che risale ai tempi della Creazione.

Poi i popoli si sono moltiplicati e diffusi nei vari continenti e sono nate  molte immagini di Dio e molte religioni. Con una grande divisione: da un lato i popoli che hanno ricevuto la Rivelazione della Bibbia, caratterizzata dal monoteismo; e dall’altro i popoli che hanno avuto altre ispirazioni o rivelazioni dallo Spirito di Dio, che soffia dove e come vuole. I popoli mon0teisti, ebrei (15 milioni), cristiani (2,1 miliardi) e musulmani (1,4), sono circa la metà dei 7 miliardi di uomini sulla terra. Questi tre popoli hanno una radice comune in Abramo, “il Padre della fede”, infatti nella Bibbia si trova l’espressione “Il popolo del Dio di Abramo” (esempio,  nel Salmo 46). E se leggiamo la storia umana secondo i tempi di Dio (“Per Te, oh Dio, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”) vediamo che il monoteismo si sta diffondendo gradualmente a tutta l’umanità. Il passaggio dal politeismo al monoteismo è fondamentale affinché tutti i popoli entrino nell’Alleanza con Dio.

In questa visione religiosa della storia umana risulta che “i popoli di Abramo” hanno una missione comune, pur essendo molto diversi l’uno dall’altro. Ebrei e musulmani credono e vivono la teocrazia: la società umana governata da Dio, secondo le Leggi di Dio; il potere religioso è anche politico; i cristiani distinguono fra religione e politica. Ecco in poche parole:

1) Ai tempi di Cristo i romani occupavano e colonizzavano la Terrasanta, proteggendo l’ordine pubblico e riscuotendo le tasse. Per tutto il resto, gli ebrei erano governati da Dio, rappresentato dal loro Sinedrio e secondo le Leggi date da Dio nei Dieci Comandamenti e nei tempi seguenti.

2)  Per i musulmani, la teocrazia è ancor più evidente. Maometto era capo religioso, politico e militare e anche oggi la crisi che attraversano i popoli islamici è proprio questa: come distinguere il potere religioso da quello politico? Qui si apre il grande problema di come leggere e interpretare criticamente il Corano.

3)  I cristiani seguono Gesù Cristo, che ha distinto chiaramente la religione dalla politica e ha fondato la sua Chiesa universale e libera da ogni autorità politica. Le Chiese che si sono separate dal Pontefice della Chiesa fondata da Cristo e affidata a Pietro, vescovo di Roma, sono oggi quasi tutte Chiese nazionali, sia nel campo ortodosso che protestante-anglicano.

4)  Nel quadro della millenaria storia umana, le lotte e guerre fra le religioni monoteiste sono baruffe tra fratelli, che passano presto. Non minimizzo affatto l’isis e tutto l’estremismo di radice islamica. Noi ci siamo dentro, difendiamoci anche militarmente se necessario, facciamo leggi e controlli più severi, ecc.. Non parlo di questo, ma del fatto che l’islam ha già svolto nella storia, e svolge ancor oggi, una missione importante: ha diffuso il monoteismo nell’Asia profonda e soprattutto in India, da cui vengono induismo e buddismo, le due religioni dell’Asia (allo stesso modo, la Spagna ha diffuso il cattolicesimo nelle Filippine). Nel prossimo Blog una interessante intervista con padre Paolo Nicelli,  missionario del Pime nelle Filippine. oggi dottore della Biblioteca Ambrosiana e professore di Teologia dogmatica, di Missiologia e di Studi arabi e di Islamistica.

5)  Un’ultima osservazione. Stupisce oggi, nei mass media e nei dibattiti in Tv, che quando si scrive o si parla del terrorismo di matrice islamica, si sviluppa ampiamente il racconto della gravità e crudeltà dei crimini che compiono i Jihadisti; ma quello che Papa Francesco propone, nei suoi discorsi e scritti (ad esempio i nn 250-254 della “Evangelii Gaudium”), e con la sua stesa vita, per prevenire e sconfiggere il terrorismo, è semplicemente ignorato, a volte anche sulla stampa e in siti internet cattolici. Noi, cristiani d’Occidente, dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità. Il terrorismo non si sconfigge solo con le leggi, la vigilanza e la fermezza, ma aiutando i fratelli islamici a maturare una diversa visione del mondo moderno e accettando che essi contestino la nostra crisi religiosa.

La famosa tesi di Samuel Huntington, che alla “guerra fredda” sarebbe seguito uno “scontro di civiltà” (e quindi anche di religioni), è più credibile oggi che nel 1993. Il concetto di “missione”, un tempo inteso unicamente come “convertire i popoli a Cristo”, rimane sempre vero, ma dovrebbe assumere anche un senso nuovo e più attuale: gettare ponti di conoscenza, comprensione, dialogo, condivisione fra popoli e civiltà diverse. Il punto debole dei due mondi, cristiano e islamico, è che ci chiudiamo sempre più: passa ben poco da un mondo all’altro. Un missionario del Pime in Bangladesh mi dice: “Vedo citati poco, e malamente, studi e articoli occidentali da parte dei bengalesi; spesso solo frammenti di cui si riferisce per sostenere la propria tesi, piuttosto che analisi di ciò che si dice da parte degli altri. Un difetto analogo lo trovo in Italia: si conosce più di prima, ma è ancora troppo poco per capire ciò che matura ed emerge nel  mondo islamico, in Asia”.

Questo chiama in causa i nostri teologi e intellettuali, i centri culturali, i mass media, le associazioni, le università, le scuole, ecc.

All’inizio del 2000 sono nate nella Chiesa italiana due iniziative per far conoscere l’islam: l’agenzia Asia News nel 2003 e il Centro studi Oasis nel 2004: ambedue già affermate a livello internazionale e mondiale.

Asianews era un quindicinale su carta, iniziato nel 1986 come sussidio al mensile del Pime “Mondo e Missione”. Nel 2005 padre Bernardo Cervellera, missionario ad Hong Kong e insegnante di storia e civiltà occidentale all’università di Pechino, è richiamato in Italia come direttore dell’agenzia Fides, che dirige per cinque anni. Nel 2003 è direttore di Asianews, che pubblica come Sito internet (www.asianews,it) con un successo immediato. Oggi ha anche un mensile su carta con documenti e testimonianze, e si pubblica in italiano, inglese, cinese e spagnolo (programmati francese e arabo, quando le finanze dell’agenzia, che si mantiene senza pubblicità, lo permetteranno). Diffonde ogni giorno la voce del Papa (servizio molto apprezzato in Cina, in Vietnam e nel Medio Oriente) e informa in particolare sulle Chiese cristiane e sulle altre religioni, in particolare l’islam, che segue in tutto il mondo. “Grazie perché avete la nostra vita nel cuore!”: è il messaggio di saluto dalla Cina, giunto ad Asianews da un sacerdote liberato da poco dalla prigionia. Messaggi molto simili giungono da tante parti dell’Asia dove Asianews ha i suoi corrispondenti che informano, oltre che sui problemi politici, economici e sociali dei singoli paesi, dove l’uomo è umiliato e la Chiesa e le religioni perseguitate. Ma non sollo, informano anche dove l’annunzio della Risurrezione di Cristo porta alla Chiesa nuove famiglie, nuovi villaggi, nuovi popoli. Là dove oggi nasce la Chiesa, lo Spirito Santo compie le meraviglie dell’evento cristiano, come leggiamo negli Atti degli Apostoli. Sono fatti che in Occidente dobbiamo conoscere, anche perché non raramente sono commoventi, come un bambino che nasce. Ma quì rinasce la Chiesa, segno di gioia e di speranza.

Ottima l’iniziativa fondata nel 2004, dal patriarca di Venezia Angelo Scola (oggi card. arcivescovo di Milano), il Centro studi “Oasis”, “per promuovere la reciproca conoscenza e l’incontro tra il mondo occidentale e quello a maggioranza musulmana”. Oggi la Fondazione Oasis, ente di diritto civile italiano, con sede legale si trova a Roma, direzione e redazione a Venezia e a Milano, “studia l’interazione tra cristiani e musulmani e le modalità con cui essi interpretano le rispettive fedi nell’attuale fase di mescolanza dei popoli, “meticciato di civiltà e di culture”, partendo dalla vita delle comunità cristiane orientali. Per Oasis il dialogo interreligioso passa attraverso il dialogo interculturale perché l’esperienza religiosa è vissuta e sempre si esprime culturalmente: a livello teologico e spirituale, ma anche politico, economico e sociale. Punto di forza della Fondazione è l’ampia rete di persone che collaborano a livello internazionale

Il nostro è un tempo difficile ma affascinante. “Non abbiate paura!” diceva Giovanni Paolo II. Non possiamo più essere pessimisti. Però il futuro migliore dobbiamo costruirlo noi, ripartendo da Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo. L’islam non è terrorismo. È anzitutto un problema culturale e religioso, che ci rivela la nostra crisi religiosa, di vita cristiana, di identità cristiana, di fede e appartenenza alla Chiesa. Altrimenti l’Occidente, la civiltà occidentale come la conosciamo noi oggi, è destinata a tramontare e sparire, come già sono tramontate la civiltà romana antica e tante altre, perché senz’anima. “L’Europa non si ama più, . scriveva il card. Ratzinger, poco prima di diventare Papa Benedetto XVI – è una civiltà volta alla sua stessa distruzione”. Senza  Gesù Cristo l’Europa è senza speranza, senza futuro. Tramonta per stanchezza e sazietà, soffocata dai beni materiali che produce.

padre Piero Gheddo

 

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