Papa Francesco e il dialogo con l’islam

Papa Francesco ripete spesso che il terrorismo di matrice islamica si vince non dichiarando una “guerra di religione”, ma promuovendo il “dialogo con l’Islam”, specialmente con le sue correnti più moderate. Molti credenti in Cristo e figli devoti della Chiesa non capiscono o non condividono quel che dice il Papa italo-argentino. Tento di spiegarlo partendo dalla mia esperienza di missionario-giornalista. Negli anni ‘50 del 1900 ho studiato missiologia, etnologia e islamistica all’Università Urbaniana; ho preso un diploma di tedesco in Austria e Germania e intervistato diversi missionari degli SVD (Società del Verbo Divino); poi ho fatto il Concilio Vaticano II come perito dell’Ad Gentes e giornalista dell’Osservatore Romano; e già durante il Vaticano II ho incominciato a visitare le missioni, anche  in numerosi paesi islamici, in alcuni più d’una volta.

Ebbene, fino agli anni ‘80 del 1900, i rapporti dei cristiani con l’islam non rappresentavamo un problema. Ad esempio, nessuno dei vescovi visitati e intervistati nell’Africa sotto il Sahara (del Sudan, Kenya, Uganda, Ciad, Tanzania, Burkina Faso, Ruanda, Congo ex-belga, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Rhodesia, Swaziland, Mozambico, Angola), mi ha parlato di pericolo o  di terrorismo islamico o di persecuzione contro i cristiani da patte dell’islam (eccetto il vescovo di Khartoum). Allora tutti temevano il “pericolo comunista”, infatti i vari partiti rivoluzionari collegati con Urss, Cina e Cuba, avevano assunto il potere con guerriglie o colpi di stato e distrutto l’economia e i servizi pubblici creati dalla colonizzazione. Nel gennaio 1979 l’ayatollah Khomeini, applaudito dai mass media e dall’opinione pubblica occidentale, assume il potere in Iran, con una rivolta popolare guidata dal clero sciita, contro lo scià Reza Pahlavi, alleato degli Usa, che promuoveva la modernizzazione del paese. Inizia così la svolta radicale dell’islam in tutto il mondo. L’Iran diventa una repubblica islamica e Khomeini dichiara la guerra totale contro “il grande Satana” (gli Usa), il loro alleato Israele e l’Occidente cristiano. E rende attuale la tradizione sciita del “martirio per l’islam”, cioè il terrorismo di matrice islamica, che ha portato a poco a poco ai talebani e poi, con sigle diverse (Al-Qaida, Mujaheddin,  Boko Aram, Shahab, Jihadisti, ecc.), al Califfato islamico, l’Isis (Islamic State Iraq and Siria).

Perché dico tutto questo? Papa Francesco, per sconfiggere il terrorismo, parla di “dialogo della vita”” con i musulmani e non vuol sentire espressioni come “terrorismo islamico” o “guerra di religione”. E fa bene, perché l’alternativa del dialogo è l’odio, la violenza, la guerra. Una guerra totale, che sarebbe davvero la terza guerra mondiale, senza vincitori né vinti. Ma sul “dialogo della vita” con i fedeli dell’islam ho già scritto in diversi miei Blog recenti e il 6 maggio scorso ho pubblicato “Il Vangelo del Dialogo”, l’esperienza di padre Franco Cagnasso, che racconta come lui stesso  vive, dopo studi sull’islam, il dialogo della vita con i musulmani in Bangladesh.

Papa Francesco ha dell’islam una visione positiva e anche qui fa bene. Se si pensa che l’islam è una religione falsa e demoniaca, nata per contrastare il cristianesimo e ammazzare i cristiani, nessun dialogo è possibile. Ma, in una visione alta della storia millenaria dell’umanità e dell’Alleanza con Dio, l’islam appare una religione provvidenziale. Vediamo. Tutti i popoli riconoscono e pregano Dio Creatore e Signore del creato. Quando nell’800 i primi etnologi sostenevano che i popoli primitivi non avevano il concetto di Dio, padre Wilhelm Schmidt (1868-1954), missionario SVD, insegnante all’Università di Vienna, fondatore della “Scuola di Vienna” di antropologia e della rivista “Anthropos”, promosse una vasta ricerca tra i missionari di ogni continente che vivevano fra i popoli “primitivi”.  La sua opera Der Ursprung der Gottesidee (L’origine dell’idea di Dio) ha dimostrato che tutti i popoli riconoscono e pregano Dio. Non esistono popoli atei. Più ancora, Schmidt afferma e dimostra che, più si indaga fra le popolazioni viventi in un’epoca preistorica, isolate dal resto del mondo (a quel tempo erano ancora molte) e più è chiaro che esse hanno “un originale monoteismo convinto”, che risale ai tempi della Creazione.

Poi i popoli si sono moltiplicati e diffusi nei vari continenti e sono nate  molte immagini di Dio e molte religioni. Con una grande divisione: da un lato i popoli che hanno ricevuto la Rivelazione della Bibbia, caratterizzata dal monoteismo; e dall’altro i popoli che hanno avuto altre ispirazioni o rivelazioni dallo Spirito di Dio, che soffia dove e come vuole. I popoli mon0teisti, ebrei (15 milioni), cristiani (2,1 miliardi) e musulmani (1,4), sono circa la metà dei 7 miliardi di uomini sulla terra. Questi tre popoli hanno una radice comune in Abramo, “il Padre della fede”, infatti nella Bibbia si trova l’espressione “Il popolo del Dio di Abramo” (esempio,  nel Salmo 46). E se leggiamo la storia umana secondo i tempi di Dio (“Per Te, oh Dio, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”) vediamo che il monoteismo si sta diffondendo gradualmente a tutta l’umanità. Il passaggio dal politeismo al monoteismo è fondamentale affinché tutti i popoli entrino nell’Alleanza con Dio.

In questa visione religiosa della storia umana risulta che “i popoli di Abramo” hanno una missione comune, pur essendo molto diversi l’uno dall’altro. Ebrei e musulmani credono e vivono la teocrazia: la società umana governata da Dio, secondo le Leggi di Dio; il potere religioso è anche politico; i cristiani distinguono fra religione e politica. Ecco in poche parole:

1) Ai tempi di Cristo i romani occupavano e colonizzavano la Terrasanta, proteggendo l’ordine pubblico e riscuotendo le tasse. Per tutto il resto, gli ebrei erano governati da Dio, rappresentato dal loro Sinedrio e secondo le Leggi date da Dio nei Dieci Comandamenti e nei tempi seguenti.

2)  Per i musulmani, la teocrazia è ancor più evidente. Maometto era capo religioso, politico e militare e anche oggi la crisi che attraversano i popoli islamici è proprio questa: come distinguere il potere religioso da quello politico? Qui si apre il grande problema di come leggere e interpretare criticamente il Corano.

3)  I cristiani seguono Gesù Cristo, che ha distinto chiaramente la religione dalla politica e ha fondato la sua Chiesa universale e libera da ogni autorità politica. Le Chiese che si sono separate dal Pontefice della Chiesa fondata da Cristo e affidata a Pietro, vescovo di Roma, sono oggi quasi tutte Chiese nazionali, sia nel campo ortodosso che protestante-anglicano.

4)  Nel quadro della millenaria storia umana, le lotte e guerre fra le religioni monoteiste sono baruffe tra fratelli, che passano presto. Non minimizzo affatto l’isis e tutto l’estremismo di radice islamica. Noi ci siamo dentro, difendiamoci anche militarmente se necessario, facciamo leggi e controlli più severi, ecc.. Non parlo di questo, ma del fatto che l’islam ha già svolto nella storia, e svolge ancor oggi, una missione importante: ha diffuso il monoteismo nell’Asia profonda e soprattutto in India, da cui vengono induismo e buddismo, le due religioni dell’Asia (allo stesso modo, la Spagna ha diffuso il cattolicesimo nelle Filippine). Nel prossimo Blog una interessante intervista con padre Paolo Nicelli,  missionario del Pime nelle Filippine. oggi dottore della Biblioteca Ambrosiana e professore di Teologia dogmatica, di Missiologia e di Studi arabi e di Islamistica.

5)  Un’ultima osservazione. Stupisce oggi, nei mass media e nei dibattiti in Tv, che quando si scrive o si parla del terrorismo di matrice islamica, si sviluppa ampiamente il racconto della gravità e crudeltà dei crimini che compiono i Jihadisti; ma quello che Papa Francesco propone, nei suoi discorsi e scritti (ad esempio i nn 250-254 della “Evangelii Gaudium”), e con la sua stesa vita, per prevenire e sconfiggere il terrorismo, è semplicemente ignorato, a volte anche sulla stampa e in siti internet cattolici. Noi, cristiani d’Occidente, dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità. Il terrorismo non si sconfigge solo con le leggi, la vigilanza e la fermezza, ma aiutando i fratelli islamici a maturare una diversa visione del mondo moderno e accettando che essi contestino la nostra crisi religiosa.

La famosa tesi di Samuel Huntington, che alla “guerra fredda” sarebbe seguito uno “scontro di civiltà” (e quindi anche di religioni), è più credibile oggi che nel 1993. Il concetto di “missione”, un tempo inteso unicamente come “convertire i popoli a Cristo”, rimane sempre vero, ma dovrebbe assumere anche un senso nuovo e più attuale: gettare ponti di conoscenza, comprensione, dialogo, condivisione fra popoli e civiltà diverse. Il punto debole dei due mondi, cristiano e islamico, è che ci chiudiamo sempre più: passa ben poco da un mondo all’altro. Un missionario del Pime in Bangladesh mi dice: “Vedo citati poco, e malamente, studi e articoli occidentali da parte dei bengalesi; spesso solo frammenti di cui si riferisce per sostenere la propria tesi, piuttosto che analisi di ciò che si dice da parte degli altri. Un difetto analogo lo trovo in Italia: si conosce più di prima, ma è ancora troppo poco per capire ciò che matura ed emerge nel  mondo islamico, in Asia”.

Questo chiama in causa i nostri teologi e intellettuali, i centri culturali, i mass media, le associazioni, le università, le scuole, ecc.

All’inizio del 2000 sono nate nella Chiesa italiana due iniziative per far conoscere l’islam: l’agenzia Asia News nel 2003 e il Centro studi Oasis nel 2004: ambedue già affermate a livello internazionale e mondiale.

Asianews era un quindicinale su carta, iniziato nel 1986 come sussidio al mensile del Pime “Mondo e Missione”. Nel 2005 padre Bernardo Cervellera, missionario ad Hong Kong e insegnante di storia e civiltà occidentale all’università di Pechino, è richiamato in Italia come direttore dell’agenzia Fides, che dirige per cinque anni. Nel 2003 è direttore di Asianews, che pubblica come Sito internet (www.asianews,it) con un successo immediato. Oggi ha anche un mensile su carta con documenti e testimonianze, e si pubblica in italiano, inglese, cinese e spagnolo (programmati francese e arabo, quando le finanze dell’agenzia, che si mantiene senza pubblicità, lo permetteranno). Diffonde ogni giorno la voce del Papa (servizio molto apprezzato in Cina, in Vietnam e nel Medio Oriente) e informa in particolare sulle Chiese cristiane e sulle altre religioni, in particolare l’islam, che segue in tutto il mondo. “Grazie perché avete la nostra vita nel cuore!”: è il messaggio di saluto dalla Cina, giunto ad Asianews da un sacerdote liberato da poco dalla prigionia. Messaggi molto simili giungono da tante parti dell’Asia dove Asianews ha i suoi corrispondenti che informano, oltre che sui problemi politici, economici e sociali dei singoli paesi, dove l’uomo è umiliato e la Chiesa e le religioni perseguitate. Ma non sollo, informano anche dove l’annunzio della Risurrezione di Cristo porta alla Chiesa nuove famiglie, nuovi villaggi, nuovi popoli. Là dove oggi nasce la Chiesa, lo Spirito Santo compie le meraviglie dell’evento cristiano, come leggiamo negli Atti degli Apostoli. Sono fatti che in Occidente dobbiamo conoscere, anche perché non raramente sono commoventi, come un bambino che nasce. Ma quì rinasce la Chiesa, segno di gioia e di speranza.

Ottima l’iniziativa fondata nel 2004, dal patriarca di Venezia Angelo Scola (oggi card. arcivescovo di Milano), il Centro studi “Oasis”, “per promuovere la reciproca conoscenza e l’incontro tra il mondo occidentale e quello a maggioranza musulmana”. Oggi la Fondazione Oasis, ente di diritto civile italiano, con sede legale si trova a Roma, direzione e redazione a Venezia e a Milano, “studia l’interazione tra cristiani e musulmani e le modalità con cui essi interpretano le rispettive fedi nell’attuale fase di mescolanza dei popoli, “meticciato di civiltà e di culture”, partendo dalla vita delle comunità cristiane orientali. Per Oasis il dialogo interreligioso passa attraverso il dialogo interculturale perché l’esperienza religiosa è vissuta e sempre si esprime culturalmente: a livello teologico e spirituale, ma anche politico, economico e sociale. Punto di forza della Fondazione è l’ampia rete di persone che collaborano a livello internazionale

Il nostro è un tempo difficile ma affascinante. “Non abbiate paura!” diceva Giovanni Paolo II. Non possiamo più essere pessimisti. Però il futuro migliore dobbiamo costruirlo noi, ripartendo da Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo. L’islam non è terrorismo. È anzitutto un problema culturale e religioso, che ci rivela la nostra crisi religiosa, di vita cristiana, di identità cristiana, di fede e appartenenza alla Chiesa. Altrimenti l’Occidente, la civiltà occidentale come la conosciamo noi oggi, è destinata a tramontare e sparire, come già sono tramontate la civiltà romana antica e tante altre, perché senz’anima. “L’Europa non si ama più, . scriveva il card. Ratzinger, poco prima di diventare Papa Benedetto XVI – è una civiltà volta alla sua stessa distruzione”. Senza  Gesù Cristo l’Europa è senza speranza, senza futuro. Tramonta per stanchezza e sazietà, soffocata dai beni materiali che produce.

padre Piero Gheddo

 

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«Noi musulmani siamo spontaneamente missionari»

Padre Gheddo è in ospedale, convalescente dopo un intervento chirurgico. Per alcuni giorni, dunque, non potrà aggiornare questo blog. Chiede ai suoi amici lettori di accompagnarlo con la preghiera.

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Nel 1982 a Lahore, capitale del Punjab in Pakistan, ho incontrato dai missionari di Mill Hill di cui ero ospite un docente islamico laico della famosa Università islamica (la più antica nell’islam dopo quella del Cairo), il prof. Kausar Jatoi. Gli chiedo perché l’islam ha così poche società e associazioni missionarie, mentre cattolici e protestanti ne hanno molte. Eppure l’islam si diffonde molto più facilmente del  cristianesimo. Risponde: “Noi musulmani siamo tutti spontaneamente missionari, perché abbiamo un senso profondo della nostra identità e della bontà dell’islam. Non abbiamo bisogno di missionari “professionisti”. Tra voi cristiani non c’è entusiasmo per la vostra fede, la vivete come un fatto privato personale, quindi avete prodotto molti organismi e istituti missionari, inviati  anche nelle regioni islamiche per convertire i musulmani a Cristo. Questo, diceva, indica chiaramente che la religione cristiana è straniera in Asia”. E insisteva su questo concetto: “Noi non abbiamo i “missionari” stranieri, le conversioni all’islam avvengono attraverso il commercio e l’emigrazione di credenti in Allah. Inoltre l’islam crea una forte comunità fra i credenti, che protegge, sostiene e accompagna; voi cristiani siete individualisti e la comunità dei credenti in Cristo esiste solo quando andate in chiesa, poi ciascuno va per conto suo”. Naturalmente ho ribattuto dicendo che il cristianesimo, specialmente oggi, è una libera adesione alla fede, mentre l’islam è una costrizione, una violenza sull’individuo. In parte Jatoi mi dà ragione ma aggiunge: “Voi mettete in primo piano l’individuo, noi la comunità e senza il sostegno di una comunità, di una famiglia, è molto difficile mantenere viva la fede”.
Ho ritrovato in questi giorni gli appunti di quella conversazione. Oggi la situazione è molto cambiata anche per l’islam, ma quelle vecchie carte mi fanno riflettere. La Giornata Missionaria Mondiale che si è celebrata domenica 18 ottobre, in tutte le parrocchie cattoliche del mondo (o almeno lo spero), ha anche questo significato: ricordare ai battezzati e credenti in Cristo che il battesimo è la consacrazione di una vita alla fede in Dio e l’impegno di testimoniare, cioè di annunziare Cristo con la propria vita, e quando è possibile e opportuno anche con la parola. Insomma, anche tutti noi dovremmo essere “spontaneamente missionari”

Piero Gheddo

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Islam guerrigliero nel sud Thailandia

In Thailandia si sta combattendo una delle tante “guerre dimenticate” di cui non si sa quasi nulla. La Thailandia è un paese a grande maggioranza buddhista di 65 milioni di abitanti, con una piccola percentuale di musulmani (4,5%) nelle tre province del sud, ai confini con la Malesia. Le richieste degli islamici di potersi unire alla Malesia risalgono a molti anni fa, poiché in passato quei territori appartenevano al sultanato islamico di Malay sotto la protezione dell’Inghilterra, come la Malesia, il Borneo malesiano e il Brunei. Dopo l’ultima guerra mondiale, il sultanato venne occupato dalla Thailandia.

Negli anni settanta del Novecento c’è già stata una forte campagna di richieste di autonomia regionale da parte dei musulmani, con attentati, violenze e brevi periodi di guerriglia. Poi tutto si è calmato, ma il problema si è riacceso dopo il crollo delle due torri a New York l’11 settembre 2001, che è stato quasi come un segnale di rivendicazione per i seguaci dell’islam in paesi dove sono minoranza: ad esempio, nell’isola di Mindanao nel sud delle Filippine e nella regione del Sinkiang in Cina.

La situazione attuale nel sud della Thailandia è molto grave. I separatisti musulmani reclutano nuovi combattenti nelle scuole islamiche, nel tentativo di innalzare il livello di scontro con il governo e l’esercito thailandese. Secondo uno studio elaborato dagli esperti dell’esercito thailandese, i separatisti musulmani cercano guerriglieri facendo leva sul nazionalismo Malay e sull’orgoglio e il senso di appartenenza al vecchio sultanato. “Essi dicono agli studenti delle scuole [islamiche] che è compito di ogni musulmano riprendere la loro terra dagli infedeli buddisti”.

Parlo con un missionario del Pime, padre Claudio Corti di Lecco, che lavora nel nord della Thailandia da 11 anni ed è in vacanza in Italia. Dice: “Tutti i giorni, i giornali riferiscono di attentati, incendi a scuole, molto spesso i monaci buddhisti non escono più dal monastero o escono con scorte armate di soldati perché sono stati uccisi anche loro; diversi abitanti delle tre province del sud sono scappati e vengono al nord perché la situazione è insostenibile. Per invogliare la gente ad andare a lavorare nel sud, il governo dà paghe molto più alte e tanta gente ci va. Là c’è una grande produzione di caucciù e pagano molto bene. I nostri tribali o per guadagnare o perché non hanno notizia di questa situazione ci vanno, poi alcuni tornano indietro quando si rendono conto dei pericoli. C’è una vera guerriglia contro il governo, i militari, la Thailandia. Con accuse al governo che non ha mai aiutato il sud a svilupparsi, infatti il sud è una zona abbastanza depressa della Thailandia. E anche la minoranza parlamentare accusa la maggioranza di questo.

“Ma in fondo – continua il missionario – lo scontro è diventato fra islam e buddhismo. Infatti il governo, per cercare di superare questo momento di crisi, favorisce molto le scuole islamiche e l’islam. I musulmani quel che vogliono lo ottengono. L’esempio più lampante è che i musulmani sono stati riconosciuti come thailandesi: mentre prima thailandese voleva dire buddhista, da due anni a questa parte i musulmani sono riconosciuti come thailandesi. Esempio concreto. Tutti i giorni, al mattino alle otto e alla sera alle sei c’è l’inno nazionale. Il paese si ferma, radio e televisioni trasmettono l’inno nazionale e tutti lo cantano. Le televisioni trasmettono immagini della Thailandia. C’è il re, ci sono i monaci buddhisti e adesso ci sono sempre anche i musulmani col loro caratteristico vestito, ci sono le pagode buddhiste e le moschee islamiche.

“Invece i nostri tribali no. Il cristianesimo è considerato religione straniera, anche se ormai gli stranieri siamo pochi: clero e suore sono quasi tutti locali. In Thailandia i cattolici sono circa 300.000 e i cristiani tutti assieme quasi un milione su 65 milioni, i musulmani sono circa tre milioni. Nella diocesi del sud fondata dai salesiani i cattolici sono circa 6.000, mentre nella nostra diocesi di Cheng Mai al nord sono 50.000 battezzati e 25.000 catecumeni. Cheng Mai è la seconda diocesi di Thailandia, dopo Bangkok.

“I musulmani vogliono unirsi alla Malesia, che ufficialmente non li appoggia, ma che sarebbe ben contenta di prendere anche quelle province thailandesi. Ma questo irredentismo islamico è venuto fuori dopo l’11 settembre 2001. Sono in Thailandia da undici anni, ma nei primi anni non c’era assolutamente questa richiesta di indipendenza. E’ una politica generale dell’islam che viene fuori anche nelle Filippine e in diverse regioni dell’Indonesia, ad esempio Sumatra che vorrebbe l’indipendenza per fare uno stato islamico”.

Piero Gheddo

«Sposare una ragazza iraniana?»

Questo tema del matrimonio fra cristiani e musulmani l’ho già trattato nei Blog del 6 gennaio, 31 marzo, 3 maggio. Questa volta si tratta del matrimonio fra un giovane italiano e una ragazza iraniana. Ecco la lettera:

Gentilissimo Padre Piero Gheddo, sono un Ragazzo Italiano credente Cristiano, credo di essermi innamorato di una Ragazza Musulmana Iraniana…lei adesso vive in Italia per studio…..non credo di essermi preso una cotta da adolescente, anke perkè tale piu’ non sono….ma le voglio qualcosa di piu’ di un semplice ‘bene’….non voglio kiederle di prevedermi il futuro..altrimenti nn direi di essere Cattolico, ma vorrei un consiglio su un futuro legame con lei, partendo dal presupposto ke lei proviene da una famiglia per bene. Grazie.
Mauro.

Carissimo Mauro, grazie di avermi scritto per un consiglio sul tuo caso. Ti rispondo con una breve riflessione sul matrimonio, come lo intende il Vangelo, la Chiesa e noi cristiani. E’ l’unione d’un uomo e di una donna per creare una famiglia, avere dei figli, educarli, formare una piccola comunità di vita dove regni l’amore, l’aiuto vicendevole, dove i più piccoli e i più sfortunati ricevano maggiori attenzioni; insomma, dove ci sia una totale comunicazione di sentimenti, propositi, risorse, progetti. Gesù intendeva così il matrimonio, fino a dire che i due sposi “non sono più due ma una carne sola” (Matteo 19, 6). Espressione fortissima che indica la piena comunione di due sposi uniti nel Sacramento del matrimonio.

Ora, questa profonda unione e comunione di due giovani sposi deve partire da una base umana non troppo dissimile, non troppo diversa. Un proverbio frutto di saggezza popolare diceva: “Moglie e buoi dei paesi tuoi”. Ora dimmi con sincerità. Com’è possibile che questa perfetta e profonda unione e comunione di due vite si possa raggiungere partendo da due religioni e culture così abissalmente lontane come cristianesimo e islam?

Non dubito che la tua cara ragazza venga da “una famiglia per bene” e che vi vogliate bene davvero. Ma tutto questo, secondo me e la mia esperienza, non basta a fondare un vero matrimonio, se le basi umane da cui partite sono troppo distanti. All’inizio tutto può sembrare bello, ma le difficoltà vengono dopo, man mano che il tempo passa e la passione iniziale fisica e sentimentale certamente non è più travolgente. E’ inevitabile, capita a tutte le coppie. Poi quando nascono i figli e si devono educare, la famiglia ha delle difficoltà, tra marito e moglie possono esserci delle divergenze, ma tutto si ricompone quando alla base c’è un amore vero e profondo come ho detto prima. Altrimenti si inizia il triste cammino che porta poi fuori strada. E questo può venire anche se la tua ragazza è una iraniana musulmana “che adesso vive in Italia per motivi di studio”. Va bene, e dopo?  Vorrà tornare in Iran? E se rimane con te vorrà andare a trovare i parenti e gli amici, portare a vedere i figli? E come educherà i figli, nel Corano o nel Vangelo?

Caro Mauro, non insisto perché la conclusione mi pare logica e, credimi, l’ ho sperimentata diverse volte. Questo matrimonio è sconsigliabile. Anche per due altri motivi molto forti e dirimenti:
1) Primo. Sei sicuro che tu, cristiano, puoi sposare una musulmana senza convertirti all’islam? Ti sei informato che questo è assolutamente sicuro? Guarda che normalmente, la famiglia e la comunità della donna islamica pretendono che il cristiano che vuole sposarla si converta all’islam. Se non lo fa, non danno il permesso. E se la ragazza ti sposa lo stesso, correte ambedue grossi pericoli. Nei paesi dell’islam, persino in un paese evoluto e laico come la Tunisia, la legge permette il matrimonio tra un musulmano e una cristiana, ma proibisce il matrimonio tra un cristiano ed una musulmana, a meno che l’uomo non si converta all’islam prima del matrimonio. In caso contrario, il matrimonio è considerato nullo, anche se contratto validamente in paesi non islamici come l’Italia. Com’è la legislazione in Iran?

2) Secondo. L’ho già detto e lo ripeto. Tu non sposi una donna, sposi una grande famiglia (con molti cugini, nipoti, zii, parenti di vario genere), sposi una comunità islamica (la “umma”), sposi una tradizione, costumi e leggi tradizionali sul matrimonio, che sono diversissimi da quelli del matrimonio in un paese cristiano. Comunque, prima di fare un passo di cui potresti pentirti mille volte, fa un viaggio in Iran con la tua ragazza, renditi conto della situazione, se quel che ti ho detto è vero o no, chiedi di vedere la legislazione vigente per i matrimoni tra un cristiano e una musulmana, se mai rivolgendoti all’ambasciata italiana perché ti aiuti a capire la situazione. Ciao, io vi ricordo tutti e due nelle mie preghiere. Dio vi illumini e anche voi pregate per conoscere la volontà di Dio che vuol bene a tutti e due. E se capite che non potete sposarvi, separatevi subito, da buoni amici ma nient’altro. Ci sono nella vita decisioni difficili, ma bisogna avere il coraggio di prenderle, quando si capisce che sono inevitabili.

Tuo padre Piero Gheddo

Come andare d’accordo con l’islam?

Nel recente viaggio di Benedetto XVI in Terrasanta come “pellegrino di pace” (8-15 maggio 2009), il fatto più rilevante credo sia stata la chiara indicazione del come andare d’accordo fra i fedeli delle tre religioni monoteiste, ebrei, cristiani e musulmani. Dopo aver detto, sull’aereo che lo portava in Giordania, che la Chiesa “non è un potere politico, ma una forza spirituale”, ha aggiunto: “Proprio perché non siamo parte politica, possiamo più facilmente, anche nella luce della fede, parlare alla ragione e appoggiare le posizioni realmente ragionevoli”. La chiave dell’andare d’accordo è appunto “parlare alla ragione e appoggiare le posizioni realmente ragionevoli”. Un discorso laico, fondamentale nel magistero di Benedetto XVI, come aveva già fatto nella “lectio magistralis” a Ratisbona (12 settembre 2006) e poi ripreso il 19 marzo scorso a Luanda in Angola, quando aveva affermato, parlando ai musulmani, che “oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, essa stessa un dono di Dio”.

Il Papa applica al “dialogo” fra cristiani e musulmani il discorso sull’andare d’accordo. Non un “dialogo teologico”, ma un dialogo sui problemi dell’uomo e sulla pace, basato sulla ragionevolezza della fede religiosa. Perché “religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede”. Due i temi sui quali il Papa ha insistito negli incontri con i musulmanii:

1) Primo, ha ringraziato la Giordania che concede la piena libertà di religione nel paese dove vivono circa 100.000 cristiani liberi di costruire chiese (caso unico nel mondo islamico) e persino una Università cattolica (della quale Papa Benedetto ha benedetto la prima pietra). Questo dimostra che, se c’è libertà e ragionevolezza, “lo scontro di civiltà” non è inevitabile. Ed a proposito ha evocato una “alleanza di civiltà tra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le previsioni di chi considera inevitabili la violenza e il conflitto”.

2) Secondo,  la religione è ragionevolmente contro la violenza. Questa visione della religione, ha aggiunto, “rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione”. La ragione spinge a servire “il bene comune, a rispettare la dignità dell’uomo, che dà origine ai diritti umani universali”.

Il discorso tenuto ai musulmani durante la visita alla Cupola della Roccia a Gerusalemme (12 maggio), è quasi una sintesi del suo insegnamento. Ha parlato di ebrei, cristiani e musulmani che “adorano l’Unico Dio” e li ha esortati a credere “di essere essi stessi fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana. Questo – ha continuato il Papa – pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto. Questa è la ragione per la quale operiamo instancabilmente a salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”.

Papa Benedetto è veramente ammirevole, perché parla con molta semplicità e chiarezza, con parole efficaci che lasciano il segno. I suoi interventi hanno avuto un buon impatto nel mondo islamico, come rivelano la stampa della Giordania e di altri paesi arabi, che hanno riferito e commentato in modo favorevole quanto il Papa ha detto sulla libertà di religione e sulla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi.  Il rispetto e la cordialità del mondo islamico, almeno quello dei suoi rappresentanti giordani e della stampa araba, ha confermato quanto già si sapeva. Nel mondo dell’islam, i popoli islamici sono portati ad accettare il “dialogo di civiltà con l’Occidente”. Gli ostacoli sono la strumentalizzazione politica della religione e il radicalismo religioso, terreni di coltura dell’anti-occidentalismo e del terrorismo. Ma sono tendenze dalle quali dobbiamo guardarci anche noi credenti in Cristo.

Piero Gheddo

Ancora: sposare un musulmano?

Una giovane italiana mi scrive, a proposito di matrimoni fra una cristiana e un musulmano. Tema che mi pare molto sentito! Ecco la lettera:

Ciao, says, anch io ho il tuo stesso problema, sono quattro anni k stiamo insieme ed i miei nn lo sanno, ci vorremmo sposare ma senza cambiare religione l’uno con l’altra, come si può fare? i miei non accetteranno mai ed è ingiusto…se sai come si può fare fammi sapere….ciao.

Cara ragazza anonima,
grazie di avermi scritto e ti rispondo subito. Se capisco bene, da quattro anni sei assieme ad un musulmano che è in Italia e i tuoi genitori non lo sanno. E aggiungi: “I miei non lo accetteranno mai”, cioè non accetteranno mai che tu lo sposi. Adesso vorreste sposarvi, ma senza cambiare religione, né tu né lui. E mi chiedi come potete fare.

Ti rispondo secondo il mio parere e la mia esperienza di casi come questo:

1) Prega molto per avere il consiglio di Dio e la forza per seguirlo.

2) Devi capire e riflettere umilmente che hai fatto un “errore giovanile”, come diciamo noi anziani. Se ti tiri indietro adesso, sei giovane e puoi rifarti una vita. Stai tranquilla che Dio guiderà i tuoi passi verso un’altra occasione di matrimonio. Ma la condizione iniziale è che tu riconosca che hai fatto uno sbaglio. Capita, specialmente da giovani e nessuno ti può giudicare, se non Dio che ti perdona come il Padre buono che sta nei Cieli.

3) Suppongo che tu sia credente. Il mio consiglio, ripeto, è di pregare, riconoscere e fermarti a riflettere su questo errore, sbaglio, peccato, chiamalo come vuoi, che non ti apre nessun scenario di futuro, cioè ti mette in un vicolo cieco da cui non uscirai più, se adesso, subito non domani, non fai marcia indietro. Magari fatti aiutare da qualche sacerdote e confessore a cui confidare le tue pene e chiedere il perdono di Dio nella confessione e nella Comunione con Gesù, che ti rimette a posto e ti permette di iniziare una vita nuova. Lo so che non è facile, per questo ti dico di pregare molto: tu non hai la forza, ma questa forza te la può dare il Signore, se tu lo preghi e riconosci il tuo sbaglio. Ti ricordo anch’io nella preghiera perché Gesù e Maria ti aiutino.

4) Mi chiedi se esiste la possibilità di sposarvi mantenendo ciascuno la propria religione. Certo che è possibile, ma pensa seriamente alle conseguenze, di cui ho già scritto ampiamente in vari miei Blog e nell’ultimo volume pubblicato dalla San Paolo due mesi fa: “Ho tanta fiducia” (pagg. 236, Euro 14,00). Le conseguenze sono queste: tu rompi i rapporti con la tua famiglia d’origine e sposi non solo un uomo, ma un’altra famiglia, un’altra comunità sociale, un’altra religione, altri costumi, tradizioni e leggi matrimoniali. In questo nuovo ambiente in cui andresti a vivere, sappi che la donna ha una posizione di assoluta inferiorità in tutti i settori della vita: divorzio, eredità, autorità familiare ad esempio fissare il luogo di residenza, ecc. Una giovane donna italiana non può accettare questa situazione umiliante, che non dipende dal marito ma dall’ambiente religioso e sociale in cui andresti a vivere.

5) Infine, tu mi dici di voler conservare la tua fede cristiana. D’accordo, ma per quanto tempo potresti mantenerla, in un ambiente totalmente musulmano? Se perdi la fede in Cristo, ragazza mia, perdi la radice della tua identità come persona e soprattutto come donna, l’unica ricchezza che tu hai e che tutti noi abbiamo.

Tu allora capisci facilmente perché le inchieste e statistiche sui matrimoni fra una donna cristiana occidentale e un musulmano confermano che l’80% circa dei matrimoni falliscono nei primi 6-7 anni e altri falliscono dopo. Mi scuso che ho scritto fin troppo. Prega e anch’io prego per te. Dio ti benedica. Con affetto, tuo padre

Piero Gheddo

Una musulmana non può sposare un cattolico

Salve padre Gheddo,
ho trovato il suo sito per caso, dato che mi stavo informando sui matrimoni cattolici-musulmani. Ecco, anche io ho conosciuto un ragazzo musulmano e a dire il vero anche io provo qlc di più di un’amicizia con lui e non so come mi è venuta in testa l’idea di parlare di un futuro matrimonio, anche se è un’illusione e lo so perkè sarebbe cosa molto complicata sposarsi cn un musulmano, dato che la sua famiglia ha posto già come condizione, per qlc donna lui volesse sposare che nn sia musulmana, quella della conversione all’islam. A volte sn sicura che se si ama una persona si fa tutto per lei, ma se realmente tra noi ci fosse un amore così forte, perkè è sempre la donna a dover cedere?? perkè loro hanno una cultura-religione cn i paraocchi…?
a volte una persona deve essere anche tollerante ma fino a un certo punto… e poi, se nn si riesce a oltrepassare gli ostacoli, meglio guardare altrove…lei pensa che ci possa essere un punto di incontro tra due persone di due religioni diverse soprattutto cn un musulmano?
Grazie Simona

Cara Simona, grazie della lettera. Devi essere ben giovane, se usi il linguaggio degli sms nei telefonini: sn, qlc, perké, cn, ecc. La tua lettera però si capisce bene, ma non ho voluto correggere il tuo linguaggio. L’ho scritto e detto mille volte e lo ripeto: il matrimonio  fra un uomo musulmano e una donna cattolica è del tutto sconsigliabile, soprattutto per tre motivi:

1) Motivo di fede. Se la donna è disposta a rinnegare la fede cristiana e diventare musulmana, si potrebbe dire che il matrimonio è possibile anche se non consigliabile. Entrare nella comunità islamica (la “umma”) è la condizione inevitabile ed è inutile lamentarsi. Se la donna è disposta ad accettarne le conseguenze, faccia pure a suo rischio e pericolo, ma sappia che nell’islam la donna è inferiore all’uomo e lo segue in tutto. Questa la tradizione, questa la mentalità comune e una donna non può certo ribellarsi a questa cultura antica, se non vuol essere punita in modo anche barbarico. Punto.

2) Motivo antropologico-culturale. Il matrimonio, com’è noto, per riuscire bene deve essere l’unione totale di due persone. Non solo l’amore fisico, sessuale, che porta a generare figli (questo può esserci, naturalmente, anche fra un musulmano e una cattolica), ma l’integrazione sentimentale, culturale, linguistica, di costumi quotidiani, di visione e programmazione della vita tra uomo e donna, Tutto questo, fra un uomo e una donna educati nell’islam e nel cristianesimo è non solo molto difficile, ma impensabile e quasi impossibile. Questo perché le differenze fra le due religioni sono abissali e non possono essere superate dalla semplice buona volontà e dall’attrazione fisica, che sfiorisce presto, se non è sostenuta da questa integrazione totale dei due sposi.

3) Motivo esperienziale. L’esperienza dimostra che questi matrimoni in genere falliscono entro i primi sei-sette anni. Un’inchiesta della Conferenza episcopale francese di alcuni anni fa dimostrava che i fallimenti erano superiori all’80% nei primi sette anni e altri matrimoni fallivano dopo. E quei pochi che duravano erano dovuti al fatto che la donna francese, innamorata dei propri bambini, si era adattata a fare la donna islamica, ma con una vita di sacrifici inimmaginabili dalle ragazze italiane d’oggi.

D’altra parte, cara Simona, la risposta al tuo interrogativo la dai tu stessa quando scrivi: “A volte una persona (cioè una donna) deve essere anche tollerante, ma fino a un certo punto… e poi, se nn si riesce a oltrepassare gli ostacoli, meglio guardare altrove…”. Ben detto, tenendo presente che la ragazza cattolica che sposa un musulmano non sposa un uomo (che personalmente può essere buono, gentile, affettuoso, onesto), ma una grande famiglia, una comunità religiosa (nella quale è facile entrare ma impossibile poi uscire), una cultura che si oppone radicalmente a quella cristiana.

Il mio Sito, per chi non lo sapesse, è www.gheddopiero.it gestito dagli “Amici di Lazzaro” di Torino, ma Simona si riferisce a quanto ho scritto il 6 gennaio 2009 a un’altra signorina che mi faceva la stessa domanda. Il testo di quella risposta si può trovare nell’archivio dei blog.

Piero Gheddo