Quale conclusione ai due Blog: “Un tema tabù: noi italiani siamo troppo vecchi (24 agosto) e “Famiglia e immigrazione due risorse per il futuro” (27 agosto)? In base ai dati riferiti (da uno studio su “La Civiltà Cattolica”) sarebbe bene impostare una politica più organica che affronti razionalmente la realtà attuale. I settori più suscettibili di intervento ci pare siano soprattutto due: primo il sostegno alla famiglia e ai genitori che desiderano avere più figli, assicurando loro reali assegni familiari (analogamente a quanto già si è fatto all’estero con notevoli risultati, basti pensare alla Svezia e alla Francia) e servizi per le madri con bambini piccoli (nidi d’infanzia, scuole materne, servizi di assistenza ecc.), in modo che l’avere più o meno figli sia effettivamente una scelta libera e non dettata dalla necessità.
In secondo luogo occorre affrontare il fenomeno dell’emigrazione in modo strutturale e non soltanto come un’emergenza. È ovvio che si tratta di un fenomeno da gestire, ma ispirandosi a quanto da decenni fanno i paesi tradizionalmente meta di immigrazione. Occorre quindi compiere sforzi di reale integrazione specialmente in materia di istruzione. In Italia, come si è detto, il rendimento degli stranieri a scuola è nettamente inferiore a quello degli alunni italiani, mentre in paesi come Canada e Australia il rendimento più alto a scuola è proprio quello dei figli degli immigrati, grazie a maggiori attenzioni e aiuti agli studenti in difficoltà per una lingua diversa dalla loro.
Puntando su due elementi — aumento della natalità e apertura all’immigrazione — la Gran Bretagna si avvia a diventare il paese più popoloso d’Europa, superando la Francia e poi anche la Germania. Occorre però una maggiore fiducia nel futuro e una decisa apertura alla vita se si vogliono aumentare i tassi di natalità: le ragioni degli economisti o dei demografi non sono mai quelle dei genitori quando decidono di avere un altro figlio.
Dal punto di vista economico è necessario sfruttare i margini ancora inutilizzati della forza lavoro, in particolare femminile, e quelli che si renderanno disponibili per effetto dell’allungamento della vita media e del miglioramento delle condizioni di salute nell’età avanzata. L’età di pensionamento fissata per legge andrà certamente spostata, o almeno resa molto più elastica, con adeguati incentivi perché non ci si ritiri troppo presto. Ma l’Italia deve recuperare anche la qualità dei fattori della produzione e la capacità di ampliarne in modo duraturo l’efficienza complessiva. Punti sui quali il nostro Paese è in ritardo rispetto alle altre nazioni industrializzate. Ci sono ampi margini di miglioramento possibile nel settore del capitale umano, migliorando il sistema di istruzione: nel 2006 la quota di popolazione in età da lavoro con un titolo di istruzione universitario era del 13%, cioè la metà della media dei paesi industrializzati; tra i più giovani la quota sale al 17%, contro il 33% medio dei paesi sviluppati. Si possono introdurre migliori meccanismi per valorizzare il merito e premiare i risultati individuali.
Purtroppo le politiche demografiche hanno effetto soltanto a lungo termine e l’Italia, preoccupata delle emergenze immediate, non si è mai dimostrata capace di pianificare il proprio futuro. Viviamo sempre sull’emergenza, tra un’elezione e l’altra. Speriamo che questa volta l’amore per la famiglia e per il proprio paese aiutino gli italiani a provvedere per tempo. Il Papa ha parlato innumerevoli volte della famiglia e delle sue problematiche, compresa quella dell’evoluzione demografica. A lui hanno fatto eco moltissimi vescovi e intere conferenze episcopali, compresa la Conferenza episcopale italiana, i cui appelli però sono spesso oggetto di scarsa attenzione perché ritenuti «ovvi».
Benedetto XVI ha parlato del problema demografico anche nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2009), sottolineando che le nuove potenze economiche hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all’elevato numero dei loro abitanti, e che «tra le nazioni maggiormente sviluppate quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità di sviluppo». La popolazione è una ricchezza e non un fattore di povertà. In Europa il problema è soprattutto quello di assicurare il ricambio generazionale, garantendo un maggiore equilibrio tra nascite e morti, un equilibrio non facile da ristabilire.
La maggior ricchezza di un Paese è certamente quella che gli economisti chiamano il suo «capitale umano», al quale non si può pensare prescindendo dalla famiglia. Quest’ultima, pur con tutti i suoi problemi e le sue debolezze, rimane un aspetto fondamentale e più intimo dell’ essere umano, la cui avventura, senza di essa, perderebbe una dimensione essenziale. La Chiesa, da sempre, ne ha fatto oggetto di particolarissima attenzione, e non si stanca neppure oggi di ricordare che la sua difesa coincide con la difesa dell’intera società e del suo futuro.
Piero Gheddo