Ho già scritto, il 13 marzo scorso, della visita che ho fatto a Siracusa, al Santuario della Madonna delle Lacrime, per parlare di “Come trasmettere la fede in famiglia” (domenica 8 marzo scorso).
Per quattro giorni, nel 1953, in un quadretto raffigurante il Cuore Immacolato di Maria, la Madonna di gesso ha pianto lacrime umane, certificate da Commissioni mediche e da molti severi esami clinici. Da questo straordinario avvenimento è nata la devozione popolare alla “Madonna delle Lacrime” di Siracusa e il grandioso Santuario che oggi ospita centinaia di migliaia di pellegrini ogni anno. Ma Dio può piangere? Che senso hanno le lacrime di Maria? C’è un senso “teologico” anche per le sofferenze dell’uomo, le nostre sofferenze?
In occasione del cinquantesimo anniversario dell’avvenimento miracoloso, nel 2003 la Chiesa siracusana ha voluto approfondire il senso di quel pianto materno, convocando tre convegni preparatori e il XIII Colloquio Internazionale di Mariologia sul tema: “Lacrime nel cuore della città”, i cui testi sono pubblicati in un grosso e denso volume, più grande dei libri normali, di 520 pagine. Non è facile sintetizzare 520 pagine in una paginetta, ma ci provo, per dare agli amici lettori del mio Blog il messaggio che Maria ha trasmesso con le sue lacrime.
In un tempo come il nostro, dopo l’apocalisse dell’11 settembre 2001 dominato da violenze inaudite sull’uomo e sui popoli, concentrare la nostra attenzione e contemplazione sul dolore di Maria può sembrare evasivo, futile, inutile. Ma noi non cerchiamo una fuga dalla realtà, sebbene una risposta ad un bisogno di senso e di speranza, che solo Dio può dare, anche nelle nostre a volte tragiche realtà di tutti i giorni. Le lacrime di Maria sono da un lato la partecipazione alle sofferenze di tutto il mondo, dall’altro esprimono anche il “dolore” di Dio, nel rendersi conto di quanto fuoristrada porta l’esercizio della libertà che Lui stesso ha concesso agli uomini, di poter scegliere fra il bene e il male!
Maria, in quei tre giorni di lacrimazione, non ha detto nemmeno una parola. Il suo messaggio sono le lacrime, espressione del suo sentimento materno e di quello paterno di Dio verso l’uomo. La lacrime esprimono una forte emozione. Nel mondo secolarizzato in cui viviamo, le emozioni, il pianto ci sembrano segni di debolezza. Anche noi, rispetto a popoli più semplici, stiamo diventando sempre più impassibili, indifferenti, freddi, duri, poco comunicativi dei nostri sentimenti. Non siamo più capaci di ridere, non siamo più capaci di commuoverci, di piangere. Incapaci di comunicare con gli altri in modo profondo. Siamo incapaci di dire cordialmente “grazie”, di esprimere la nostra partecipazione alle vicende e sofferenze altrui. Ormai troppi di noi siamo chiusi nella corazza della nostra “privacy”, quel che succede agli altri in fondo ci lascia indifferenti! Il Dio rivelatoci da Gesù, non è così. Il volume citato “Le lacrime nel cuore della città” ci accompagna a compiere il passaggio da una “ontologia dell’Essere”, ad una “ontologia dell’Amore”.
Il tema del “dolore” di Dio è venuto alla ribalta nella teologia contemporanea perchè il dramma della sofferenza umana, più intenso o più avvertito nel nostro tempo (anche per l’influsso di giornali e televisioni che danno un’immagine troppo negativa della società in cui viviamo), ha condotto ad un rifiuto dell’immagine di Dio che ci viene dalla cultura e dalla filosofia greca: un Dio inconoscibile, impenetrabile, imprevedibile, lontanissimo dall’uomo nell’alto dei Cieli, che giudica e condanna senza rendersi conto delle nostre sofferenze.
Ma il Dio della Bibbia e di Gesù Cristo in cui crediamo non è questo. “Deus Charitas est”, “Dio è amore” è la prima enciclica di Papa Benedetto XVI. Ecco perché Maria a Siracusa ha pianto, per comunicarci la passione di Dio per l’uomo e la sua partecipazione alle nostre sofferenze, sconfitte, ingiustizie. E anche il dolore per i nostri peccati, che ci portano lontani da Dio e quindi meno uomini. La Madonna delle Lacrime di Siracusa ci invita a riflettere e pregare per acquistare un’immagine di Dio che ci aiuti a sentirci credenti e una intimità con Lui che ci è Padre, cioè che renda più umana e più profonda la nostra fede e il nostro amore a Dio, e più cordiali nei nostri rapporti umani.
Piero Gheddo