La bassa natalità è la morte di un popolo

 

 

     Il valore della vita e delle nascite torna alla ribalta in giornali e telegiornali: la nostra Italia ha pochi bambini, gli italiani diminuiscono di più di 100.000 l’anno, sostituiti da altri popoli più giovani, in buona parte musulmani. Il prof. Angelo Bertolo, storico e scrittore, ha pubblicato nel 2007 un volume che merita di essere ripreso perché  rappresenta “una vigorosa testimonianza, mediante constatazioni di carattere storico e scientifico, utili a quanti desiderano approfondire ogni ragione in favore della vita”. Così l’europarlamentare On.le Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita commenta il volume: Angelo Bertolo, “Fertilità e Progresso” (Campanotto editore, Udine 2007, pagg. 142, in italiano e in inglese).

    L’autore conosce bene l’India ed è membro del “Rajiv Gandhi Institute for Contemporary Studies” di New Delhi. Il sottotitolo del libro precisa meglio i contenuti: “L’imminente crollo dell’Occidente”. Previsione che deriva da tutta l’indagine storica condotta nel volume, che si può sintetizzare in queste parole: “Un alto tasso di natalità è indice di progresso. Un tasso di natalità basso è indice di regresso e preannuncia la morte fisica di quella civiltà e la sua scomparsa dalla faccia della terra”.  Una relazione simile è interconnessa con il rafforzamento o

l’affievolirsi del senso morale e religioso in un popolo.

 

    Per dimostrare storicamente la verità di questo assunto, Bertolo esamina il cammino di alcune civiltà umane che si sono succedute in varie parti del mondo. La sua ricerca spazia dalla civiltà greca a quella romana, dall’India, alla Cambogia, alla nostra Italia e ad altre civiltà del mondo, sempre contrassegnate da questo segno caratteristico: il massimo tasso di natalità di un popolo coincide con la massima vitalità e splendore di una civiltà; quando il tasso di fertilità diminuisce, un periodo storico si chiude e una civiltà scompare, travolta dall’arrivo di popoli più giovani e con più alto tasso di crescita demografica. 

     Nel secondo e terzo secolo A. C., quando Roma era in una fase di forte espansione, di progresso inteso nel senso più ampio,  le matrone romane si dimostravano fiere di fronte alle donne etrusche e greche perché esse avevano più figli e perché il loro senso morale era più alto. E Roma, con la spinta in avanti e l’entusiasmo dei molti giovani, conquistava il mondo allora conosciuto.

     Al tempo del suo massimo splendore nel terzo- quarto secolo dopo Cristo, la città di Aquileia  contava più di 100.000 abitanti, forse 200.000, e tutta la zona compresa dall’attuale Friuli poteva avere una popolazione un po’ inferiore a quella attuale, forse metà di quella attuale. Poi Aquileia decade rapidamente, perde la sua carica di vitalità e la popolazione diminuisce. Due secoli dopo, quando i Longobardi arrivano in Friuli nell’anno 558, essi sono un popolo organizzato di circa 250.000 abitanti. Fra le altre cose, Paolo Diacono ci fa notare che le donne longobarde si dimostravano  fiere di fronte alle  donne romane perché esse erano più prolifiche.  E i Longobardi si sono imposti su tutta l’Italia.

    Dopo l’anno mille, si parla di ripresa della civiltà in Italia, dopo il calo demografico che tutti riconoscono dal tempo dell’Impero Romano e dopo le distruzioni causate dalle invasioni barbariche. Villani, contemporaneo di Dante, ci informa che la sua città, Firenze, in 90 anni cresce da  novemila a centomila abitanti. Tutte le città dell’Italia centrale e della pianura padana  dimostrano una crescita vigorosa. Venezia cresce. Milano cresce. Oltre che dall’espansione fisica delle città, dei suoi palazzi, lo deduciamo dalle Rationes Decimarum, i registri delle decime del tempo,  e dalle cronache di Bonvesin de la Riva, i Magnalibus urbis Mediolani.   La rinascita dopo il mille e il progresso delle città italiane è strettamente legato alla crescita demografica e all’alto senso morale e religioso delle popolazioni. 

     Nel 14° secolo  l’Italia ha avuto la grande pestilenza descritta dal Boccaccio. La popolazione dell’Europa diminuisce di un terzo o forse di una metà. In Italia la Maremma toscana con le sue paludi perde circa l’80% della popolazione, mentre Venezia ne perde un terzo. Il 14° secolo dunque, pur con questa pestilenza e con una fortissima diminuzione della popolazione, è un secolo di grande progresso per l’Italia, il secolo dell’Umanesimo e dell’espansione commerciale delle città italiane, un secolo di progresso, caratterizzato però da una forte natalità. La metà della popolazione che era rimasta in vita, per la forte carica dell’aumento dei giovani, ha potuto continuare a vivere e a progredire verso la civiltà del Rinascimento. 

 

      Thomas Malthus basava le sue teorie su due premesse:        

      1) La terra è limitata e tutte le risorse sono esauribili. Ma non prendeva in considerazione il fatto che ci possono essere nuove scoperte di risorse naturali (come infatti sta continuamente avvenendo) e non teneva conto dell’ingegno dell’uomo, della sua inventiva.     

      2) Gran parte della popolazione è inutile in quanto non produce niente, anzi consuma beni prodotti da altri. Se quindi si potesse eliminare parte della popolazione, i sopravvissuti avrebbero più risorse a loro disposizione. Questo potrebbe apparire vero oggi per le popolazioni in via di sviluppo, in quanto non riescono a fornire a tutti istruzione adeguata e servizi sanitari. A ben vedere, il problema è di governance, di pianificazione economica, non di aumento della popolazione di per sé.

     Malthus formulava le sue previsioni catastrofiche poco prima dell’anno 1800, quando la popolazione mondiale era meno di un miliardo. I neomalthusiani oggi riformulano le stesse catastrofiche previsioni di due secoli fa, quando la popolazione mondiale è di 6 miliardi. Ma oggi il livello generale della vita si è elevato in modo impensabile due secoli fa e c’è più molto cibo a disposizione per ogni singolo abitante della terra. Il problema non è che mancano le risorse o ci sono troppi uomini, ma di educare i popoli poveri a produrre con metodi moderni e i popoli ricchi a condividere fraternamente con i poveri le loro conoscenze e scoperte. Conclusione: le previsioni demografiche catastrofiche che oggi leggiamo e sentiamo sventolare come spauracchi da molti studiosi e scrittori, in base alla storia dell’umanità sono più o meno credibili quanto quelle di Malthus.

                                                                  Piero Gheddo

 

La Chiesa e lo sviluppo dell'Africa

 

 

    Nell’Africa nera i cattolici sono 172 milioni, i cristiani tutti assieme 470 su circa 700 milioni di abitanti. Il cristianesimo è la religione di maggioranza fra i popoli neri, i musulmani sono, sempre nell’Africa sotto il Sahara, in 234 milioni. I dati sono del prestigioso “Pew Research Center” di Washington nel 2010, secondo il quale i cristiani aumentano molto più rapidamente degli islamici. Non c’è dubbio che, nell’Africa nera, il cristianesimo è oggi la religione e l’ispirazione culturale-morale che più influisce sul cammino di quei popoli verso il mondo moderno.

     Quando si scrive e si discute su come possiamo aiutare i nostri fratelli africani, il discorso è sempre centrato sui soldi, sui rapporti economici fra ricchi e poveri, sul debito estero dell’Africa e su altri temi di carattere economico. Mentre lo sviluppo di un popolo è costruito principalmente non dal denaro e dalla tecnica, ma dal popolo stesso e dal suo governo, dal rispetto dei diritti dell’uomo, dalla preparazione del popolo a produrre ricchezza per il mercato globale.

 

      Ecco perchè nell’Africa nera si aprono grandi prospettive per il cristianesimo. Il continente nero sta ancora costruendo faticosamente il suo futuro, sia in senso politico che sociale ed economico, ma anche culturale e religioso. I popoli africani sono  profondamente religiosi, ma sperimentano concretamente che nel mondo moderno la loro religione tradizionale, l’animismo, non ha futuro: ha dei valori da salvare, ma come religione organizzata e istituzionalizzata non ha futuro. Gli africani si trovano a dover fare una scelta precisa: cristianesimo o islam, due religioni molto diffuse, con un Libro, un Fondatore, una tradizione, una spiritualità, una comunità. L’alternativa alla scelta di una delle due religioni è l’ateismo pratico che porta inevitabilmente al nichilismo è all’autodistruzione delle culture e dei popoli stessi. Come purtroppo sperimentiamo nella nostra Europa, che addirittura ignora o rifiuta le sue radici cristiane.

     

    Su come le Chiese cristiane contribuiscono allo sviluppo dei popoli africani si potrebbero citare molti dati sulle scuole, la sanità di base, le scuole professionali, l’opera per portare la pace e la giustizia, ecc. Per dare un’idea sintetica e globale su questo tema, chiedo a padre Ermanno Battisti, 40 anni in Guinea Bissau come missionario del Pime: perchè la Bibbia e il Vangelo sviluppano l’uomo e un popolo? Ecco la sua testimonianza:

 

    “Il primo contributo è la diffusione dei Dieci Comandamenti, che esprimono la volontà di Dio per la vita di ogni uomo, la religione tradizionale africana non dà questi indirizzi morali, perché non ha una morale, che è fatta caso per caso dagli anziani del villaggio, secondo quel che si è fatto in passato ed è utile al villaggio. Giudicano il bene e il male secondo la tradizione. Per esempio, se un bambino nasce con qualche deformità è male tenerlo nel villaggio, perché lui è uno spirito cattivo che poi fa del male a tutti, lo abbandonano in riva al mare o lo portano in foresta, dove  muore.

     “C’era una bambina che è stata portata in foresta e lasciata morire. Il nostro cane di casa, chissà come, ha preso tra i denti questo fagotto e l’ha portato alla nostra missione. Le suore l’hanno accolta, lavata, allevata, nutrita, educata. Adesso è una donna meravigliosa, una delle grandi cristiane del paese, non solo come cristiana e come mamma, ma anche come persona istruita capace di diffondere il Vangelo.

     “I dieci Comandamenti hanno pervaso la società guineana, anche i musulmani li prendono. La religione tradizionale non conosce i dieci Comandamenti. Onora il padre e la madre ce l’hanno anche loro, ma ad esempio non rubare o non dire il falso non li hanno. Per i balanta il furto non solo non è male, ma è bene, dimostra  l’abilità di un uomo, è una grandezza per un uomo. L’importante è non farsi prendere. I giornali e le radio locali ci intervistano quando succede qualcosa e la gente ascolta cosa diciamo, che orientamento morale diamo. L’autorità del vescovo e dei preti è grande presso tutti, sanno che noi diciamo cose oneste.

      “La Guinea ha avuto un grande vescovo, il francescano veronese mons. Settimio Ferrazzetta (1924-1999), che aveva una fama enorme, come padre della patria. Aveva costruito il lebbrosario di Comura, tenuto dai padre e dalle suore Francescane, il lebbrosario più grande e meglio funzionante dell’Africa occidentale, che prende anche gli ammalati di Aids.  Durante la guerra civile del 1998 lui era ammalato di cuore in Italia, ma capiva che poteva ancora influire sul presidente Nino e su Ansumane Mané, il capo dell’esercio suo avversario. Io stesso ho influito sul Nino. Diversi missionari hanno questa possibilità di influire sui politici, come preti siamo molto stimati da tutti. Il vescovo Settimio è tornato in Guinea Bissau ed è riuscito ad incontrare i due contendenti attraversando anche un fiume pieno di melma, facendo grandi fatiche che il suo cuore non sopportava più ed è poi morto in Guinea per queste fatiche, di notte, trovato morto al mattino. Questo fatto ha impressionato tutti, il presidente Nino ha dato una medaglia d’oro a suo fratello in memoria di mons. Ferrazzetta.

     “L’influsso della Chiesa è molto superiore al 10% dei cattolici. Quando i due vescovi scrivono le lettere pastorali su temi da tutti sentiti, sono letti, commentati, discussi. La Chiesa dei Presbiteriani scozzesi (come origine) e anche altri che sono americani, lavorano molto bene e diffondono il messaggio di Cristo. Poi c’è Radio “Sol Mansi” (“Il sole è sorto” in criolo). Padre Davide Sciocco è il direttore di questa radio molto sentita perché dà notizie oneste, commenti sui fatti quotidiani”.   

                                                                                               Piero Gheddo

E' bello essere preti!

                

  

     Un giovane missionario in Bangladesh dal 2003 mi manda questa commovente testimonianza dei “miracoli” che Gesù compie anche fra i suoi giovanissimi cristiani. La sua parrocchia infatti è stata fondata nella periferia povera di Dacca solo nel 1991. Dove nasce la Chiesa l’azione dello Spirito è palpabile. Piero Gheddo.

 

     Da un po’ di tempo il mio morale non era alle stelle, alcuni problemi in aggiunta ai soliti facevano sentire tutta la loro pesantezza. Insomma uno di quei periodi in cui uno dice: perché non sono rimasto a casa mia invece di venire fin qui ad impegolarmi in queste situazioni che sembrano non finire mai e non trovare mai soluzione? Con questa malessere del cuore, ho preparato la festa della Prima Comunione parrocchiale. Un evento ordinario nel calendario parrocchiale, ma straordinario per i ventidue ragazzi che quest’anno si sono preparati chi più a questo evento. Come sempre c’è stato il tour de force per preparare la chiesa, la celebrazione e soprattutto il cuore di questi ragazzi. Ed ecco che arriva il giorno, venerdì 29 Ottobre.

 

     Terminata la celebrazione e le foto di rito, ci siamo recati nel salone grande della parrocchia per la consegna del certificato e per fare un po’ di festa a questi ragazzi. Come consuetudine viene chiesto ad un papà ed ad una mamma di condividere le loro impressioni. Si alza il papà di un ragazzino, il quale appartiene alla categoria dei “mai visti”. Nel senso che la mamma frequenta poco la chiesa, ma il papà ancora meno. Quel che dice mi lascia senza fiato: “Oggi partecipando a questa Messa ho capito quanto sono stato stupido, non mi sono mai accorto di quanto bello e importante sia incontrare Gesù. Da un mese (dopo il ritiro fatto con i ragazzi per la prima confessione) mio figlio ha continuato a infastidirmi dicendo che devo partecipare alla Messa con lui, ma io ho sempre trovato una scusa per non andarci. Oggi ho visto la gioia di mio figlio e ho capito che quella gioia potrebbe essere anche la mia, se come lui imparo a vedere Gesù in quel pezzo di pane”.

     Subito dopo di lui è il turno di una mamma, che appartiene alla categoria dei “nuovi arrivi”, nel senso che per regolare il matrimonio con il marito si è fatta cattolica, da battista che era. Ed ecco un’altra sorprendente condivisione: “Io ho fatto la catechesi per diventare cattolica, ma vi devo confessare che ho imparato di più da mio figlio, che dopo il catechismo mi spiegava ciò che aveva imparato, che non durante la catechesi a cui ho partecipato. Mio figlio è stato il mio vero catechista, perché il suo entusiasmo mi ha fatto capire quanto sia bello incontrare Gesù. Quando ho visto i ragazzi entrare in chiesa, tutti vestiti di bianco con la candela in mano, mi sono commossa fino alle lacrime. E’ bello appartenere ad una Chiesa in cui si incontra Gesù”.

     Ma il miracolo più grande a cui ho assistito in quel giorno è un altro. Tre mesi fa la mamma di una delle ragazze che ha ricevuto la Prima Comunione, viene a parlare con me. Sua figlia più grande è scappata di casa da più di un anno per sposarsi con un ragazzo battista. Da allora, non ci sono stati contatti tra la figlia e la sua famiglia. Mentre si sfogava per questa situazione, le faccio questa proposta: “Ma, perché non invita Delisia (la figlia più grande) alla festa di Prima Comunione di sua sorella più piccola”. Lei mi dice: “Padre, non verrà e poi loro sono battisti”. Io ribatto: “Mandi sua sorella a farle l’invito, sono certo che verrà”. Ed ecco il miracolo: non solo Delisia era presente, ma anche suo marito, tutto indaffarato a scattare le foto. Al termine della Messa la mamma di Delisia mi dice: “Padre, ha visto la mia figlia più grande? Domani incontriamo la famiglia di lui per la prima volta. Oggi è veramente un grande giorno per noi”.

     E’ proprio vero, ci sono dei momenti in cui mi chiedo perché sono venuto fin qui, perché mi sono fatto prete, ed ecco che arriva la risposta. Sono venuto fin qui e mi sono fatto prete per essere testimone dei miracoli di Gesù. Lui è capace di fare catechismo agli adulti attraverso i piccoli, Lui è capace di riunire le famiglie attraverso i piccoli. Lui è capace…. noi ne siamo solo i testimoni. Alle volte è proprio bello essere preti…

                                       Padre Paolo Ballan, Pime

                                Parroco di Mirpur a Dacca, Bangladesh

 

E se l'islam fosse il nostro futuro?

Carissimo Padre,

in riferimento a quanto da Lei pubblicato su Armagheddo (8 novembre 2010), mi viene spontaneo chiederle se Lei vorrebbe che la posizione del governo norvegese fosse la posizione di tutti i governi occidentali, come una specie di “bracciosecolare ” che toglie “le castagne dal fuoco” al posto della Chiesa.

O, magari, Lei addirittura si augura che quella decisione diventi la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica? Lei sa meglio di me, però, che la Chiesa non ha una posizione unanime nei confronti dell’Islam. Basti citare, per es., solo due Vescovi: il cardinal Dionigi Tettamanzi e monsignor Luigi Negri. Reazioni  diverse  per l’eclatante episodio dell’occupazione della piazza del Duomo di Milano da parte dei “sederi sollevati in aria “. Il cardinal Dionigi affermò, tra l’altro, se ben ricordo, che la reciprocità non è assolutamente una condizione evangelica necessaria perché un cristiano riconosca ai seguaci di Maometto il diritto di ottenere spazi per la preghiera comune. Il che significa offrire sempre l’ “altra guancia”.

Nella storia della Chiesa questo atteggiamento, però, mi sembra in contraddizione con la promulgazione delle Sante Crociate, che a mio avviso sarebbero da ripetere, se ci fosse una Cristianità e, complessivamente un Occidente, consapevoli della minaccia del terrorismo islamico. Una coscienza inesistente del pericolo, invece, come Lei giustamente rileva.

Non conosco le Missioni e magari posso dire delle stupidaggini. Tuttavia mi sembra che si sarebbe dovuto pensare da tempo, dove fosse stato anche meno difficile realizzarle, a delle milizie cristiane di autodifesa, proprio perché un po’ ovunque, non da oggi, i Cristiani vengono allegramente ammazzati. Ci sono Vescovi, sacerdoti e anche laici che non lasceranno mai le loro terre e che sono disposti al martirio. Se io fossi un cristiano di quei luoghi me ne sarei andato da un pezzo con i miei cari o sarei perito difendendo legittimamente me e i miei. E, soprattutto, mandando qualche fanatico all’inferno, non per scherzo. Ma forse io ragiono troppo da “occidentale”. Cordialmente,

Carlo Martinelli

Caro Martinelli,

grazie della sua lettera alla quale rispondo volentieri, perché mi dà modo di precisare il mio pensiero. Due punti:

1) ho citato il governo norvegese che non dà il permesso di costruire una moschea a Oslo, finanziata dall’Arabia Saudita, fin che in Arabia i cristiani non potranno costruire la prima chiesa. Così almeno scrivono i giornali. Non penso che tutti i governi occidentali debbano fare così, per un motivo facile da capire: si andrebbe verso un confronto aspro con i governi islamici, i cui popoli pensano di essere oppressi e colonizzati dai cristiani, cioè dall’Occidente. Legga il mio volume “La sfida dell’islam all’Occidente” (San Paolo 2007, pagg. 164), dove spiego ampiamente come e perchè si è formata questa psicosi nei popoli islamici, che l’Occidente cristiano è il nemico dell’islam, la prima causa della decadenza dell’islam negli ultimi secoli. E’ una mentalità che i testi scolastici insegnano ai loro bambini e studenti, per non parlare di quel che dicono gli imam nelle moschee e i giornali popolari nelle lingue locali! Questo spiega “il martirio per l’islam” che entra nella mentalità dei giovani, con tutte le conseguenze che sappiamo.

D’altra parte, abbiamo sperimentato, con le guerre in Iraq e in Afghanistan, che lo “scontro di civiltà” e la violenza non migliorano la situazione, anzi la peggiorano. Fino al crollo del muro di Berlino l’Occidente affrontava un’ideologia nemica, il comunismo, ed era un’ideologia politico-culturale; oggi siamo di fronte ad un’ideologia di radice religiosa (non la religione islamica in sé, ma l’islam strumentalizzato da politici, capi religiosi, intellettuali), che non si sgonfia facilmente come il comunismo, imploso dall’interno! I musulmani sono molto divisi fra di loro, ma uniti contro l’Occidente: un miliardo e 300 milioni di persone!

2) Il governo della Norvegia ha compiuto un gesto nuovo che, ho scritto, “meriterebbe almeno di essere discusso, acquistare rilievo in giornali e televisioni. Invece niente, nessuno ne parla. L’Europa non ha ancora preso coscienza che il terrorismo di matrice islamica non è rivolto solo contro i cristiani, ma contro l’Occidente cristiano, gli Stati Uniti e l’Europa cristiana”. La maggioranza dei popoli europei non hanno ancora preso coscienza di questo pericolo che ci minaccia. Quindi, il primo imperativo è di parlarne, discuterne, sperimentare soluzioni. E poi, cosa fare?

A) I governi e le forze politiche e sociali dovrebbero, trattando con i governi dei paesi islamici quasi tutti nostri alleati, avere l’atteggiamento che in genere è adottato con la Cina: ricordare con forza che debbono osservare i diritti dell’uomo, fra i quali la piena libertà religiosa. E compiere anche gesti forti come quello del governo norvegese, che certo non otterrà risposta positiva, ma almeno mette quei governanti di fronte alle loro responsabilità. E coinvolgere in questi gesti i musulmani d’Italia, le echiesto a noi di costruire una moschea? Bene, prima però scrivete, in modo ufficiale attraverso la vostra Ambasciata, una richiesta al vostro governo, firmata da molti vostri correligionari, affinchè conceda anche ai cristiani quello che voi chiedete in Italia: la piena libertà religiosa. E vediamo cosa il vostro governo risponde”. Insomma, esistono molti modi di esercitare pressioni amichevoli, fraterne, senza offendere né suscitare reazioni violente.

B) Diverso è il discorso per la Chiesa e per noi come cristiani, che abbiamo il dovere anzitutto di pregare, di aiutare e accogliere i nostri fratelli di fede perseguitati. Poi c’è il dialogo con i musulmani, l’aiuto ai poveri; infine di dire agli italiani che il modo migliore per dialogare con l’islam è di tornare a Cristo, alla fede e alla pratica religiosa. Anzitutto perché, convertendoci a Cristo in modo sincero, risolveremmo molti nostri problemi personali, familiari e sociali. In altre parole, in una società di cristiani autentici (quello che oggi non siamo) si vive tutti meglio. E daremmo miglior testimonianza del cristianesimo ai popoli altri.

L’alternativa del ritorno a Cristo è quella dell’Europa cristiana com’è oggi, compresa la nostra Italia, che appare ai musulmani come un continente ricco, evoluto, democratico, colto, ma lontano da Dio, vuoto di ideali e di bambini. I giornali islamici ripetono spesso, come gli imam nelle moschee e gli insegnanti nelle scuole: “Noi musulmani abbiamo un compito storico: riportare l’Europa a Dio”. E’ inevitabile che un vuoto religioso, come oggi appare l’Europa, prima o poi venga in qualche modo riempito da popoli che hanno una forte identità religiosa. E se fosse questo, in prospettiva storica, il nostro futuro?

Piero Gheddo

I cinquant'anni dell'indipendenza africana

 

 

      Il 2010 è l’anno dell’Africa, l’anno simbolico dell’indipendenza africana. Cinquant’anni  fa, nel 1960, 17 paesi africani divennero indipendenti dal colonialismo europeo e, poco prima o poco dopo, tutto il continente acquistò la sua indipendenza, ponendo fine ai 60-70 anni di colonizzazione. Ma le celebrazioni di questa ricorrenza sono state sotto tono, sia negli stessi paesi africani che nei paesi ex-colonizzatori d’Europa. ll motivo è facile da capire. Gli africani, e specialmente le loro élites, nutrivano grandi speranze di potersi liberare dalla povertà e dalla fame, ma questa seconda liberazione pare ancora lontana, anche se negli ultimi tempi ci sono stati passi in avanti verso lo sviluppo economico e il rispetto dei diritti dell’uomo.

      Il passaggio all’indipendenza è stato fondamentale per innescare nei popoli africani la presa di coscienza delle loro responsabilità di fronte alla costruzione di stati moderni, con governi democratici ed economicamente autosufficienti. Il cammino di ogni popolo verso lo sviluppo non solo economico ma umano, rispettoso della giustizia, del bene comune e dei diritti dell’uomo, è lungo e difficile per tutti. Anche noi in Europa, dopo secoli che ci siamo messi su questa strada, ci accorgiamo che più si avanza in campo economico, tecnico, produttivo, democratico, più aumentano le difficoltà, sorgono nuovi problemi. Gli africani sono indipendenti solo da cinquant’anni.

     Gli aspetti negativi dell’Africa sotto il deserto del Sahara sono noti a tutti e spesso la stampa e la televisione informano sull’Africa solo quando ci sono emergenze  negative: fame, sete, dittature, guerriglie, colpi di stato, epidemie. Ma ogni pessimismo è errato, perché l’Africa è un continente giovane, circa il 50% degli africani sono sotto i 18 anni (in Italia il 17%): credono nel futuro, vivono nella speranza di poter  cambiare le troppe situazioni negative che bloccano il loro cammino verso lo sviluppo.  Nel 1991 un missionario in Mozambico mi diceva: “Vivo in Africa da quarant’anni, sono convinto che qui c’è una riserva di umanità di cui l’Europa ha bisogno”.

     La situazione dell’Africa nera è complessa. Ci sono anche non pochi aspetti positivi che vanno sommariamente elencati. Rispetto al 1960, ecco com’è migliorata la situazione dell’Africa nera nel suo complesso:

         L’analfabetismo nel 1960 riguardava circa il 90% degli africani, oggi solo il 45%. In cinquant’anni è dimezzato.

         Soprattutto, sul piano universitario, nel 1960 nell’Africa nera le università erano una decina, oggi se ne contano un centinaio. Tutti i paesi indipendenti hanno la loro università e in certi paesi ci sono anche le università private, in genere  cristiane.

         La speranza di vita alla nascita era di 41 anni, oggi è di circa 55 anni.

         La mortalità infantile è diminuita in modo considerevole. Era del 173 per mille all’inizio degli anni cinquanta, è caduta all’85 per mille all’inizio dei Novanta.

         Il più importante miglioramento è avvenuto nella mentalità dei popoli, che hanno preso coscienza della propria dignità e dei propri diritti. Il mondo si evolve e l’Africa nera è oggi informata soprattutto da radio e televisioni. Sono nati partiti politici, sindacati, cooperative, associazioni studentesche, giornali popolari. Il fatto positivo che si nota visitando vari paesi africani è il moltiplicarsi di associazioni di base, di gruppi che si incontrano, di cooperative che realizzano vari tentativi di sviluppo solidale. Sia nelle città che nei villaggi.

         Dove c’è coscienza di popolo c’è la democrazia. Mentre nel 1960 l’Africa nera era praticamente governata da dittature o, nei casi migliori, da governi paternalisti attorno ai capi carismatici che avevano portato all’indipendenza (Costa d’Avorio, Kenya, Tanzania, Senegal, Ghana, ecc.). Oggi le sei o sette vere dittature totalitarie sopravvivono in pochi paesi, che hanno avuto la sfortuna di essere stati e di essere ancora governati da regimi comunisti (Eritrea, Etiopia, Zimbabwe, Congo ex-francese, ecc.).

 

     “L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo”, ha scritto il grande reporter Ryszard Kapuscinski. E’ vero. Ad esempio, in senso economico, il panorama generale non è positivo, ma nell’ultimo decennio i dati di organismi internazionali affermano che l’Africa sta crescendo anche economicamente. Ad esempio nel rapporto della Banca Mondiale del 2007 si legge: “Molte economie africane sembrano aver voltato pagina e intrapreso il cammino di una crescita economica più veloce e costante” (“Africa Development Indicators 2007”). E si riferisce al tasso medio di sviluppo annuale del 5,4%. Paesi emergenti e virtuosi in questo cammino verso lo sviluppo economico e umano sono il Ghana (l’unico africano visitato dal Presidente americano Obama nel luglio 2009),  il Lesotho, la Namibia, la Liberia, il Kenya e alcuni altri.

      Per concludere dovrei illustrare il contributo positivo che le  Chiese cristiane danno allo sviluppo dell’Africa nera. Sarà il tema di un prossimo articolo. Avvido che lunedì prossimo, 15 novembre, parlerò a Radio Maria, dalle ore 21 alle 22,30, illustrando  questo tema: “Cinquant’anni di indipendenza africana – Luci e Ombre”.

                                                                                        Piero Gheddo

Terrorismo: una novità dalla Norvegia

  

     Gli attentati e le stragi di cristiani in Iraq quasi “non fanno più notizia”. Sono talmente frequenti, quasi quotidiani. Solo “Avvenire” li riporta e dedica ancora la prima pagina al massacro di 58 cristiani (tre dei quali sacerdoti che stavano concelebrando la S. Messa) di domenica 31 ottobre nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad. Il fantomatico “Ministero della Guerra dello Stato islamico iraqeno” (affiliato ad Al Quaeda) dice in un comunicato: “Tutti i centri, le organizzazioni, le istituzioni, i dirigenti e i fedeli cristiani sono bersagli legittimi per i mujaheddin, ovunque possano colpirli”.  Pare incredibile che nell’anno 2010 ci siano ancora queste condanne a morte generalizzate nei confronti di persone colpevoli solo di credere in Gesù Cristo e nel Vangelo: “Violenza assurda contro le persone inermi!” ha detto Benedetto XVI.

     Nella capitale iraqena ci sono 65 monasteri e chiese cristiane, una quarantina dei quali hanno subito uno o più attentati negli ultimi sette anni. E’ inevitabile che i cristiani fuggano: nel 2003 in Iraq erano 800.000,  il 3 per cento degli iraqeni (25 milioni), oggi si calcola ne rimangano 450.000, quasi dimezzati in pochi anni. Una migrazione di massa per motivi di odio religioso e non si ha notizia che, nel paese “pacificato” da due guerre, possa migliorare la situazione. Gli iraqeni tutti, i cristiani più degli altri, sono ostaggi di un terrorismo terrificante che può colpire ovunque, purtroppo esercitato in nome di una religione, l’islam, che raduna circa un miliardo e 300 milioni di uomini e donne in tutti i paesi del mondo. E nel mondo islamico pochi timidamente reagiscono e condannano.

       Superfluo dire che oggi la pace nel mondo è soprattutto minacciata da questa ideologia di radice religiosa che ha generato “i martiri per l’islam” e il terrorismo contro persone inermi. “Oggi su centro persone che perdono la vita per crimini  d’odio legati alla religione, 75 appartengono a confessioni cristiane” ha dichiarato ad “Avvenire” (4 novembre) l’eurodeputato Mario Mauro, responsabile dell’Europarlamento per l’imminente accordo politico ed economico fra lraq e l’Unione Europea. Un tema da discutere dovrebbe essere questo: come far cessare questa guerra unilateralmente dichiarata dall’islamismo contro innocenti? Con la guerra no, ma quale altra soluzione è possibile? La speranza che un “islam moderato” riesca a contestare efficacemente, a discutere liberamente nella “umma” (comunità) islamica questi crimini contro l’uomo compiuti in nome dell’islam, è per il momento una pia illusione. Nei paesi islamici e nelle stesse comunità di musulmani all’estero, ad esempio in Italia, non c’è spazio per questi dibattiti. I  musulmani moderati sono proprio le prime vittime dell’ideologia cieca e violenta che sta conquistando sempre più le masse islamiche, a partire dai testi scolastici e dai bambini educati nelle scole ad onorare i “martiri dell’islam” ed a vedere nell’Occidente cristiano il primo nemico della loro fede religiosa.

     E allora, cosa fare? Non c’è dubbio che bisogna pregare e aiutare i nostri fratelli che vivono nel Medio Oriente e protestare. Ma poi, cos’altro si può fare? Una novità viene dal governo norvegese. Come riferiscono i giornali, i musulmani di Oslo hanno chiesto il permesso di costruire una moschea nella capitale norvegese, finanziata dall’Arabia saudita. Il governo ha risposto negativamente: “I cristiani in Arabia saudita non hanno alcuna libertà religiosa, anzi vengono incarcerati se sorpresi col Vangelo o se si riuniscono per pregare. Quando il governo dell’Arabia darà ai cristiani il permesso di costruire la loro prima chiesa, anche noi permetteremo la costruzione di questa moschea ad Oslo”. E’ un fatto nuovo che, credo, meriterebbe almeno di essere discusso, acquistare rilievo in giornali e televisioni. Invece niente, nessuno ne parla. L’Europa non ha ancora preso coscienza che il terrorismo di matrice islamica non è rivolto solo contro i cristiani, ma contro l’Occidente cristiano, gli Stati Uniti e l’Europa cristiana.

                                                                            Piero Gheddo

Perché giornali e Tv non ne parlano mai?

Nel gennaio 2010 l’Onu ha lanciato un grido d’allarme nel suo “World Population Ageing 2009” (la popolazione del mondo invecchia): per la prima volta nella storia, entro il 2045 le persone sopra i 60 anni supereranno i bambini, perchè crescono del 2,6% all’anno, tre volte più velocemente rispetto alla crescita normale della popolazione. Tale invecchiamento accomuna sia i paesi ricchi che quelli in via di sviluppo. Nella maggioranza degli Stati al mondo gli abitanti diminuiscono, cioè ci sono più anziani che bambini. La Cina – che per legge ha sposato la politica del figlio unico – sperimenta le tremende ripercussioni sociali che tale scelta suicida provoca: oggi mancano in Cina milioni di donne in età di matrimonio, poiché tutte le coppie volevano il figlio maschio e le bambine venivano e vengono eliminate alla nascita! Il documento del Palazzo di Vetro segnala come il drammatico crollo demografico dell’umanità avrà conseguenze molto gravi in campo sociale ed economico. Cioè ci saranno meno soldi per il welfare, meno per le pensioni, meno per la sanità e per curare gli anziani.

Benedetto XVI segnala al n.28 della “Caritas in veritate” come la questione demografica influisce sullo sviluppo: “L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco”.

L’ideologia anti-natalista degli organismi dell’Onu sta dando i suoi frutti di morte. Tutti ricordiamo come 30-40 anni fa si parlava di “boom demografico” e di un’Italia che “soffocava” per i troppi bambini. Fare meno figli era considerato benefico per la società e circolava lo slogan: “Meno figli più sviluppo”. Oggi l’Onu dice esattamente il contrario: più figli e più sviluppo, più produzione di ricchezza! Ma allora, aveva ragione Paolo VI con la sua “Humanae Vitae” (nel 1968), enciclica attaccata da una canea di voci abbaianti e offensive, provenienti anche dall’interno del mondo cattolico. Pare proprio di sì. Insomma, dobbiamo augurarci di avere lunga vita, per vedere che i Papi avevano ragione. Meglio crederci subito, fin dall’inizio.

La nostra Italia è uno dei paesi che più soffrono per la scarsa natalità. Secondo i dati Istat del 2008 il nostro paese ha un tasso di fertilità di 1,37 figli per donna, mentre il livello minimo per assicurare almeno la parità fra nati e morti è di 2-2,1 figli. Nessun paese europeo ha queste nascite, solo la Francia registra 2 figli per donna, grazie alle molte politiche di sostegno della maternità fatte dai vari governi fin dagli anni settanta. I paesi scandinavi e l’Irlanda sono ad un livello leggermente inferiore. Proprio per le scarse nascite, gli abitanti del nostro paese aumentano solo perché abbiamo circa tre milioni di “terzomondiali” tra noi che hanno un alto tasso di fertilità. Nel 2009, sempre secondo l’Istat sono nati in Italia 80.000 bambini di immigrati su 560.000. Anche se fra loro si nota una progressiva diminuzione delle nascite, man mano che si integrano nella nostra società e cultura dominante.

Il demografo Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia all’Università di Milano Bicocca, afferma che (“Avvenire”, 1 ottobre 2010) ci vogliono sostanziose politiche a sostegno della famiglia e della natalità, per cambiare questa tendenza suicida: occorrono 16 miliardi di Euro, anche investiti gradualmente, e il governo deve trovarli, spiegando agli italiani perché deve limitare altre spese. Infatti c’è “il rischio per l’Italia di un punto di non ritorno”. E spiega: “Quando in Italia nascevano un milione di bambini l’anno, 25 anni dopo c’erano mezzo milioni di madri potenziali. Tra 25 anni le madri potenziali saranno 250.000. O faranno quattro figli ciascuna, ma non credo, oppure, anche con le migliori politiche produrremo numeri inconsistenti”.

Mi chiedo. Perché questo tema non viene mai o quasi mai discusso, studiato, commentato in giornali e televisioni? Ogni sera siamo sommersi dalle chiacchiere dei talk-show televisivi, i giornali portano ogni giorno editoriali e commenti su problemi di attualità. Le “culle vuote”, che nel 2004 il Presidente Ciampi aveva definito “la più grande disgrazia dell’Italia oggi”, è semplicemente ignorato. Forse perché è un tema scomodo. Bisognerebbe infatti anche parlare di quanti bambini italiani in meno nascono in Italia a causa dell’aborto e del divorzio, le due nefaste leggi suicide del nostro popolo e della nostra Italia. Ma anche questo è un argomento tabù.

Piero Gheddo